Con il patrocinio
a mio figlio Vincent
sono felice, mentre lui insegue le cavallette io ascolto il vento ondeggiare sull’erba
SOMMARIO presentazione
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riflessione
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la ricerca
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rossocubo
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io sono qui
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a welcoming place
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legoista
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fine primo tempo...
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due parole di presentazione
Non riesco a stare fermo e se anche sono immobile, io penso. Il lavoro seguente vuole dare forma alla mia persona, non necessariamente reale, ma che ne tratteggia il pensiero. L’azione “Egoista” nasce da una volontà di ricostruzione ed analisi, lavorando dietro l’immagine con le sue varie forme espressive che negli anni ho potuto approfondire.
Può trasparire una contraddizione nelle opere legate ad oggetti ed elementi i quali però non sono la mia vera mania, ma soltanto il mezzo per dare spazio alla ricerca e al dialogo. Inoltre, pur considerando la fantasia una base indispensabile allo sviluppo di progetti concreti, sarà pur sempre una natura impersonale a prevalere; in fondo può essere che io non voglio svanire senza lasciare prima una traccia. Così, tra le molteplici strade che un artista può percorrere, io ho fatto
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una scelta che è anche una prova. “Egoista” racconta una storia suddivisa in sessioni operative che ho ritenuto di valutare e poi riunirvi un “distillato” di azioni. Ho cercato di ricostruire un’esperienza assimilata dopo numerosi interventi sul luogo, anche se quello che viene vissuto in prima persona è impossibile da ritrasmettere in modo identico.
Questo volume è un mezzo “di facciata” che non può sostituirsi all’esperienza e questa fragilità dell’arte del presente dovrebbe stimolare a vivere direttamente un’emozione. Sarei, in definitiva, soddisfatto, qualora l’esempio fosse utile, se con questo volume il lettore farà propri alcuni spunti finalizzandoli all’agire, …verso qualsiasi direzione!
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Ego(art)ista riflessione sul fare arte di Ornella Calvetti Inconsapevolmente la sera porta consigli, forse per alleviare il mistero del sonno e dei sogni. In tal modo però il mattino rimane quasi sempre troppo preso dal risveglio e da una fisicità appena prima impercettibile. Queste dimensioni, già ancor prima che la virtualità o queste farfulle cose di finta modernità, ci portano sul nostro essere umano, iniziato ben non si sa da dove e finito ancor meno.
Parabola mozza, verbo instabile. Risulta quindi normale che l’arte sia ancor più una libertà da costrizioni sicure e da possibili recessi di senso. Qui tutto può essere e tutto è stato, forse sarà. Non ci sono limiti se non possibili dubbi o fallimenti di utopie, già inutilizzate. Le opere, hanno un senso giusto per poter dare a tutti quel bisogno di morbida coperta, dentro cui avvolgersi ma poi, lasciato il primo attimo, addormentarvisi dentro, tornado così alla di-
mensione iniziale. Così si spiega il girovagare di Ulisse, per le vie di Dublino e l’instabilità di umore di Gilgamesh. Anche Pollicino alla fine voleva tornare perché nel rientrare si racconta di un viaggio, di un altrove dove l’altro alla fine è sempre noi stessi, solo un poco più timidi. Un circolo vizioso, ma senza viaggi intorno al mondo, ma in un mondo che una cosa sola, l’opera, crea.
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LA RI C ERCA conversazione con Stefano Venezia 10 dicembre 2010 di Claudio Cravero
STEFANO VENEZIA | EGOISTA Claudio Cravero: Come ti sei avvicinato all’arte? Stefano Venezia: Per egoismo. Per soddisfare il bisogno di esprimermi. A metà degli anni ’80, da autodidatta, mi sono avvicinato dapprima al mezzo pittorico, il più immediato per chiunque desideri cimentarsi con il “fare” artistico. Dagli anni ’90, invece, ho sentito una necessità – forse tipica dei ventenni – di collocarmi nel contesto in cui avevo scelto di vivere, e in cui vivo tuttora: Cuneo. La mia era un’urgenza ambientale, intesa cioè come personale esigenza di cercare risposte in luoghi naturali al tempo facilmente accessibili. La natura – per quanto incontaminata possa apparire – è infatti anzitutto un concetto culturale ma, nonostante il suo essere in parte antropizzata a margine della città, poteva offrirmi con la sua spontaneità un terreno in cui riconoscermi e confrontarmi, un luogo in cui riflettere e interrogarmi. Così, le mie pitture – tradizionali e per certi versi rispondenti a delle logiche di mercato – si inserivano paradossalmente nell’ambiente diventando una sorta di performance. Realizzate con colori acrilici e in totale solitudine in mezzo a boschi, le tele, intitolate in seguito Dispersioni, venivano lasciate nel luogo stesso in cui erano state create.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA C.C.: Lasciavi, o meglio disperdevi, un tuo segno distintivo nella natura come testimonianza della relazione creatasi? S.V.: Volevo contemporaneamente lasciare un segno e far sì che le tracce depositate continuassero a vivere nella natura con un loro corso. Recuperavo però degli elementi (muschio, foglie di edera, rametti, pietre, ecc.) da conservare come azione di scambio, di baratto. Come se quegli elementi rappresentassero e condensassero l’atmosfera, l’aria e il silenzio che avevo respirato e udito. C.C.: Credi che la relazione che hai instaurato con la natura possa essere paragonata alle pratiche della Land Art, dove ad esempio Richard Long e Hamish Fulton passeggiando o camminando vivevano autenticamente la natura misurandone lo spazio ambientale e facendone esperienza? S.V.: In parte sì. Mi ero infatti appena trasferito a Cuneo arrivando da Torino. Intendevo dunque appropriarmi di quei luoghi che non conoscevo, scoprirmi in uno spazio nuovo facendone esperienza, ma non collezionando semplicemente dei “pezzi” durante le escursioni. Infatti, la conoscenza che nasce nell’esplorazione di un luogo è la stessa che può avvenire con una persona. È anzitutto un saluto, un sorriso, e si sviluppa attraverso uno scambio reciproco basato sul dare e avere.
STEFANO VENEZIA | EGOISTA C.C.: E questa idea di scambio è sempre stata solo una tua esigenza personale, o l’hai condivisa in senso relazionale con altri? S.V.: No, non è stato solo un mio bisogno personale unidirezionale. Crescendo mi sono confrontato inevitabilmente con altri artisti e addetti ai lavori e, con la meraviglia della casualità degli incontri (che tanto casuali non sono), le mie premesse si sono sposate dall’individuale a un’idea di collettività. C.C.: La tua ricerca ha quindi a che fare con l’alterità, con l’altro da sé? S.V.: Sì, imprescindibilmente. La relazione con l’altro, natura o essere vivente, è fonte di conoscenza prima di tutto su chi sono io. L’alterità è per me uno specchio nel quale riflettermi e scoprire quanto di me è presente nel mondo.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA C.C.: Come si è manifestata e ha preso forma nei tuoi lavori questa attitudine? S.V.: C’è un lavoro che più di altri segna il passaggio dalla pittura e dalle prime elaborazioni interattive ad una pratica, per così dire, “relazionale”. È Innesto Greffe Graft, lavoro realizzato nel 2002 in coppia con Domenico Olivero, altro artista cuneese con cui ancora oggi condivido riflessioni e progetti. Si tratta di una breve camminata in Valle Pesio che, condotta con un gruppo di persone, prevedeva la dispersione di segni tangibili nel paesaggio. Le tracce depositate nella natura, in questo caso manufatti in metallo realizzati da carpentieri e artigiani, erano contenitori veri e propri in cui raccogliere impressioni e pensieri dei partecipanti. Riflessioni che nascevano da domande di tipo esistenziale poste da me e Olivero al gruppo, e infine svelate, condivise e scambiate tra i presenti attraverso una sorta di cerimonia rituale notturna. Questa attitudine, che in Innesto Greffe Graft si è palesata in modo molto spontaneo, si è precisata in seguito con una progettualità più definita. Prende così forma Rossocubo (dal 2002), dove lo scopo era predeterminato e consisteva nell’invitare il pubblico a prendere coscienza di sé in un luogo attraverso oggetti complementari all’ambiente ospitante.
STEFANO VENEZIA | EGOISTA C.C.: Si tratta di interventi estemporanei o permanenti? S.V.: Nel tempo ho prefigurato installazioni permanenti, esempi di arte pubblica nel paesaggio, come anche la serie Steps, interventi che possono avere un valore antropologico, oltre che simbolico. I cubi, infatti, realizzati in metallo e colorati di rosso, tonalità che crea shock nell’ambiente evidenziando la loro estraneità, sono diventati funzionali a seconda dell’uso della persona che se ne è appropriata. Nati per contenere pensieri e domande, le scatole nel tempo sono diventate degli abbeveratoi e mangiatoie per animali. C.C.: In parte è quanto evidenziato da Kubler ne La forma nel tempo, testo miliare in quella che è definita antropologia artistica. Credi, dunque, che la tua sia una “storia delle cose”, dove ogni oggetto è portatore di senso e significato? S.V.: Nei miei interventi io produco “cose”, manufatti che inevitabilmente portano con sé dei saperi: dal saper fare – quello artigianale di chi costruisce l’oggetto – a quello tecnico della progettazione e, non ultimo, il saper essere dell’artista che l’ha pensato.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA Interessante, come in un recente caso di Rosso cubo, è l’effetto che l’oggetto ha sullo spettatore nel tempo. Il mio risultato non è l’unico, ma passibile di modifiche, interpretazioni e adattamenti culturali. In questa direzione, il progetto si sta evolvendo. Ad esempio in Eco-Box (2010), all’interno di una scatola percorribile, sempre di colore vermiglio, è contenuto un kit per far crescere domesticamente un mini-prato. È un intervento basato come gli altri sullo scambio: in questo caso non attraverso il baratto di oggetti, ma tramite valori come il tempo della creazione e della cura propri del cosiddetto “tempo per la vita”. Anche in Little Love (2010), aumenta la cura del sé inserendo una visione globale all’interno del quotidiano. C.C.: Nel tuo percorso c’è un’interazione molto forte con i soggetti con cui ti confronti, e c’è spesso un dare e un avere. Perché definisci il tuo lavoro “egoista”? S.V.: Intitolare l’esposizione Egoista è una scelta certamente radicale. Ma la mia ricerca, nonostante la premessa della relazione con l’altro, ha dopotutto la finalità di conoscere più a fondo me stesso. Egoista racchiude una forte intimità che dal privato si trasforma in pubblico, con il desiderio narcisistico non tanto di essere visto, ma di essere assorbito dall’ambiente intorno a me.
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AZIONI DI SCAMBIO 1998
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ROSSOCUBO un pò più di un paio di domande a Stefano Venezia 4 novembre 2010 di Michela Sacchetto
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“l’artista è un manipolatore di segni prima che un produttore di oggetti d’arte e lo spettatore un lettore attivo di messaggi piuttosto che un contemplatore passivo dell’estetica o un consumatore dello spettacolare” (Hal Foster, 1985)
Stefano Venezia: “È l’azione e non il prodotto ciò che a me interessa. L’opera è solo una testimonianza dell’azione avvenuta”. Stefano è un creatore di situazioni, di dispositivi estetici che, nella loro forma più recente, coinvolgono gli spettatori, invitandoli a prendere del tempo o meglio a prendere il tempo, a coglierlo per plasmarlo. Rossocubo è un progetto, un sistema di segni portato di volta in volta a modificare il proprio significante, adattandolo al contingente. Un cantiere in divenire che, ben trasformandosi, accumula e conserva le tracce del proprio proliferare. Prende origine da azioni performative che negli anni sono andate assumendo la forma di interventi artistici nello spazio pubblico. Lungi dall’essere conclusi in sé, tali interventi necessitano di essere compartecipati per produrre senso. Si realizzano attraverso il coinvolgimento sensoriale e emotivo del pubblico, veicolato attra-
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA verso azioni condivise. È quindi un processo in continuo spostamento, che attraverso la reiterazione di una determinata forma, si inserisce nel contesto in cui sceglie di operare. La forma è quella del cubo, sviluppo volumetrico del quadrato, da sempre simbolicamente legato alla terra, ai quattro punti cardinali, ai quattro elementi, in breve all’ordinamento terrestre elaborato dall’uomo. In uno stato di massima disponibilità, il cubo si dà come organismo in costante proliferazione. Il processo che esso manifesta e contiene si sposta da un medium all’altro, da un tempo all’altro e così da un luogo all’altro, come fosse un dispositivo in circolazione libera. Il senso che Rossocubo assume è legato alla messa in situazione di un dialogo con la natura e con la nostra produzione del tempo e della memoria. Nato nel 2002 come installazione modulare in ambiente naturale, composta da cubi rossi disposti regolarmente sull’erba, è diventato progressivamente un raccoglitore collettivo di tracce e passaggi tra i sentieri di montagna. Nella forma più attuale, si è espanso ulteriormente, configurandosi come contenitore di situazioni e azioni condivise. È approdato nello spazio urbano, portando con se la traccia del suo dialogo con la natura, diventato ora un pretesto per coinvolgere le persone a condividere tempo e azioni comuni. Nella ricerca artistica in cui si sviluppa la versione più recente di Rossocubo, la percezione e la rappresentazione del rapporto uomo-ambiente naturale è quindi utilizzata come valore di scambio con un pubblico chiamato a commuoversi, nel senso di muovere con. Tale ricerca è l’obiettivo attraverso il quale Stefano osserva e sollecita l’analisi del legame che ognuno intrattiene con il proprio tempo. I dispositivi che mette in atto invitano infatti le persone a dedicarsi alla piacevole praxis di produrre una temporalità propria, estrapolata dagli imperativi socio-economici. La proposta significativa dell’artista è quella di attuare uno scambio di tempo. Accettare di investire del tempo per sé stessi, ricevendo in cambio l’esperienza stessa e la disponibilità di uno spazio in cui condividerla, il quale porta l’impronta della volontà dell’artista e delle persone coinvolte. La valorizzazione del tempo speso e il piacere tratto nello spenderlo è allora proporzionale all’inve-
STEFANO VENEZIA | EGOISTA stimento che ognuno può e intende fare, nella logica di un’economia solidale. La persona è invitata a concedere minuti e istanti da dedicare a un gesto, un ricordo, una sensazione, un’azione in cui la natura diventa un veicolo attraverso il quale riconsiderare la qualità del proprio vissuto. Gesti significativi che partecipano alla messa in discussione del sistema di compravendita di minutaggi della società attuale. Nell’era del consumismo e dello spettacolare, il tempo, essenzialmente quello della produzione economica, è percepito come fattore esterno, incalzante e impersonale. Privo e privato di storia, come denuncia Guy Debord in “La Società dello spettacolo”, esso proietta le persone in un “presente astratto”, in cui si vendono “blocchi di tempo attrezzati” e consumabili. La pratica artistica di Stefano, proiettandosi nel ritmo del quotidiano, tenta discretamente di nutrire la coscienza di tale distorsione del tempo personale e collettivo. Propone in alternativa di attribuire un valore e un senso, che ognuno è libero di determinare, a gesti e azioni a cui si può altrettanto liberamente contribuire. Gesti e azioni che permettono al pubblico di gustare momenti di autentica consacrazione alla produzione e al godimento di tempo per sé stessi. Astraendosi dalla logica di diffusione di un prodotto concluso, il processo di cui l’artista si fa promotore, sviluppa una critica intrinseca non solo del tempo della produzione economica ma anche del sistema di compravendita dell’opera d’arte. Rossocubo, passando da essere forma-contenuto a contenitore-ambiente, si dà come semplice contesto, in cui l’opera esiste in qualità di situazione condivisa. Abbandonata la materialità dell’oggetto finito, è il tempo a essere usato come elemento costruttivo di un lavoro in progress. Condizione formale dell’esistenza dell’opera, esso è elaborabile e modificabile da chiunque. Stefano rinuncia in questo senso all’unicità del privilegio autoriale, per suggerire la necessità di creare ambienti e situazioni in cui si sia liberi di coltivare il proprio tempo e valorizzarlo attraverso opere condivise. Spogliando il gesto artistico della sua esclusività e appropriandosi dell’affermazione di Joseph Beuys: “siamo tutti artisti”, si fa promotore di una nozione aperta e partecipativa di arte, intesa come espansione e condivisione dell’azione creativa. Un’arte impegnata nella soddisfazione di bisogni primari, quali il piacere di prendere tempo.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA ciao Stefano, (mi senti?) ciao, (si ti sento bene) perfetto, ho un po’ di domande da farti…sei d’accordo? per me va bene ti chiedo solo una cosa, prima di passare a parlare del progetto Rossocubo. Mi incuriosisce il titolo del tuo volume, Egoista. È un titolo che mette l’individuo al centro…esattamente te al centro…un “te” inteso come artista con una propria visione? Un “te” inteso come persona con le proprie pulsioni e i propri vizi? sembra un titolo curioso, ma penso appaia più come un titolo coraggioso. E’ vero, nel lavoro Egoista mi sento “al centro”, esprimo me stesso, con un certo piacere per l’esibizione, ma lungi dall’emettere giudizi o fabbricare morali. E’ un lavoro tutto mio, come lo voglio io e penso rimarrà un valido esempio, per me stesso ovviamente. allora… se inizio c’è… Rossocubo dove e quando ha inizio? Puoi parlarne come se fosse una storia, una sorta di narrazione, dotata di uno sviluppo biografico? magari autobiografico? Come ti scrivevo la scorsa volta, via mail, ho l’impressione che il suo tempo, di Rossocubo intendo, e il tuo tempo coincidano…
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Rossocubo è il nome di un’azione che dura nel tempo. Come ogni fatto storico, è assai difficile comprenderlo nel momento stesso in cui lo si fruisce o lo si crea. Ad oggi comunque, analizzandolo secondo la tua impressione, vi posso far convogliare buona parte del mio percorso di vita. Soprattutto perché Rossocubo è un’azione condivisa e buona parte del mio agire è stato nel costruirmi un ambiente sociale e contemporaneamente nel cercare persone con le quali potermi confrontare. Diciamo pure che Rossocubo è un filtro che contiene il distillato del mio agire e il mio pensare inerenti alle relazioni con le persone. mi racconti della prima volta in cui hai invitato qualcuno ad assistere a una delle azioni messe in atto in ambiente naturale, azioni che sono all’origine di Rossocubo? Cosa volevi condividere? Cercavi una compartecipazione? Cos’ha significato per te far muovere delle persone, farle andare incontro a una certa situazione…farle incontrare? Cosa ti interessava in questo incontro? per un coinvolgimento del pubblico la condizione primaria è dare alcuni semplici elementi da sviluppare con un’attenta guida verso l’azione. Quindi alla base ci vuole l’intenzione di comunicare un proprio pensiero, identificarlo ed esser comunque disposti a modificarlo sulla base dei risultati derivati dall’incontro con questo pubblico. In queste occasioni ho cercato quindi i molteplici punti di vista; i vari e diversi riflessi del mio pensiero originale. il tuo feedback sull’esperienza? Cosa ti ha spinto a ripeterla, rinnovarla? più che modificare un mio pensiero iniziale, ho avuto la conferma e quindi la spinta a continuare nel mio agire. Il ripetere un’azione nasce dalla necessità di verificarla, in condizioni diverse, in contesti vari, in fasi nuove del mio esistere. Tra l’altro, il termine che simboleggiava il primo scambio è stato “swappingtime”.
STEFANO VENEZIA | EGOISTA il tuo fare artistico, nel progetto di cui stiamo parlando, è passato dal voler ricercare un armonia e un equilibrio personali con l’ambiente naturale, a rielaborare la natura come una sorta di pretesto, di mezzo…Come leggi questo passaggio dell’oggetto “natura” da “cosa verso cui” a “cosa attraverso cui”? la natura, intesa come altro dall’essere umano, è la condizione ambientale per sviluppare le mie ricerche. Ricerche che vanno poi verso l’uomo, ovvero verso il cercare di infondere nell’uomo la consapevolezza di essere parte del grande disegno naturale e al contempo di poter assaporarne l’unicità. Poi, a piccoli passi, attraverso il “mezzo” naturale, è la complessità delle relazioni tra persone ad esser passata in primo piano. Quando la natura mi “chiamava” e mi “ospitava”, l’azione si esauriva tra due soli soggetti. Il passaggio verso l’ “adottare” l’ambiente naturale è stato dettato dal fatto di voler condividere delle sensazioni, nello stesso modo in cui io vi trovavo uno stimolo. In fondo, volevo che anche altri individui vi scoprissero le infinite realtà. condividere le sensazioni e, mi sembra, condividere la memoria. Il tuo “adottare” l’ambiente naturale può essere, tra le altre cose, collegato alla questione del farne un luogo di condivisione di tracce, tracce intese come indici di passaggio? Penso all’installazione-performance di Rossocubo nelle valli piemontesi, nel 2008, in cui i cubi rossi fungevano da raccoglitori dei messaggi lasciati dai passanti. Cosa ti interessa nel meccanismo della traccia e quindi dello scaturire della memoria? Qual’è il ruolo della natura in questo meccanismo? Vi è equilibrio tra il tempo e gli spazi biologici e il tempo e gli spazi della memoria umana? non penso sia possibile comprendere il nostro tempo né tanto meno la natura che lo genera (o è viceversa?). Un’impronta non genera automaticamente un essere, tuttavia può fungere da motore per la nostra razionalità, così come per la nostra fantasia, in modo tale che sia l’immaginazione a proiettarci effettivamente verso un vivere con interesse e un affrontare il tempo senza paure.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA Un mero abbandono alla memoria, non lascia spazio al futuro. Usando invece in modo “attivo” la memoria, come richiamo, si vive la condivisione delle idee, la ricerca per crescerle e quindi la loro realizzazione. la natura come oggetto di memoria condivisa e di ricordi riattivati e riattivabili quindi...una natura che, nel tuo lavoro, è infatti passata dall’essere ambiente che conteneva l’intervento, a traccia, ricordo contenuto nell’intervento stesso, trasportato altrove. A un certo punto, hai scelto di dislocare il senso del tuo lavoro, quella “voglia” o “volontà” di natura, al centro degli spazi che le persone occupano quotidianamente, ovvero la città. Non ti faccio domande…raccontami di questo “certo punto”…un momento, un giorno, una sensazione magari, che hanno accompagnato il percorso dalla montagna all’ambiente urbano. probabilmente ho preso coscienza del fatto che non tutte le persone sanno come andare verso la natura, anzi, non ne sentono proprio il bisogno. Io penso tuttavia che non ne conoscano il “gusto” e che oggi, soprattutto, non si propenda verso questo genere di esperienza perché non si conosce il fine per il quale eventualmente affaticarsi. potremmo dire che il tuo progetto intende in qualche modo stimolare la “voglia” e la “volontà” di natura, a sua volta pretesto per stimolare la “voglia” e la “volontà” di una relazione più autentica con il proprio essere e essere con gli altri? Alla base dell’interazione che proponi con Rossocubo, infatti, ci sono una serie di domande sulla coltivazione delle “idee”, le “idee” che sono uno dei costrutti mentali con cui l’uomo dialoga con il mondo esterno. Cosa ti interessa ottenere o osservare scambiando queste domande? ti interessa un qualche risultato, una sorta di statistica? Cosa crea, nell’ambito del tuo lavoro, l’insieme delle risposte che puoi ottenere? pretendo che fatte delle domande ci siano delle risposte. Ho “seminato” domande di ogni tipo, con il solo scopo di asso-
STEFANO VENEZIA | EGOISTA ciarne poi le risposte più disparate. Questo deriva dal mio modo di affrontare un’idea. Un recente lavoro di Rossocubo, è stato associato alla coltivazione di un mini-prato, con l’intento che ogni gesto quotidiano rispecchiasse un metodo e uno stile che potessero poi permeare l’intero nostro modo di vivere. La statistica non è nei miei obiettivi, non ritenendola equa. Al limite è una questione estetica, il veder disposti e ordinati una serie di dati da me raccolti. Per rispondere alla prima domanda, in definitiva, in uno scambio, mi interessa il punto di vista alternativo al mio. Vorrei trasportare un mio sguardo prolungato verso la natura. Parallelamente, se riuscissi a stimolare una qualche azione altrui, vorrei fosse di tipo emulativo, nel senso di “riscoprire” uno stile “naturale”… stimolare azioni altrui…molta parte del tuo progetto Rossocubo si basa infatti non solo sulla condivisione della memoria e delle idee, ma anche sulla condivisione di alcune semplici azioni, come la coltivazione di un piccolo prato portatile. Come scegli le azioni che vuoi condividere? La loro pregnanza va otre all’intrinseco valore di “tempo trascorso per se stessi”, a te prezioso? È quello che chiami “valore di scambio”? ripeto come sia una questione di stile, intendo dire che un’azione minima e basica come il coltivare un prato può essere utile alla natura, ma non al nostro sostentamento e questo tempo potrebbe quindi risultare “perso” se lo riconducessimo a una logica di mercato. Detto altrimenti, significa che possiamo fare azioni disinteressate, ottenendone però un ricambio di tempo e di consapevolezza. se al posto di azioni parlassimo di emozioni? Di mappe di emozioni che vuoi tracciare con i tuoi progetti? Geografie condivise, fatte di scambi? penso alla società di oggi come un’enorme metropolitana, proprio perché “sotterranea”, intendo dire sul piano umano, degli scambi. Meglio sarebbe se questi avvenissero in un vastissimo giardino, alla luce del sole, così che non esistessero differenze e che le risorse fossero condivise, come pure il tempo, lento… ultima domanda, che in realtà non chiede nulla. Potremmo leggere Rossocubo come un passaggio dalla costruzione di un’”unità contenitiva”, a misura delle tue emozioni, ovvero la scatola rossa posta in uno spazio-stanza naturale, alla realizzazione di un’ “unità abitativa”, collocata nell’ambiente urbano, la quale porta le tracce della natura che inizialmente la conteneva. Direi che in qualche modo affiori la questione della reiterazione dell’ambiente scatola-stanza-abitazione, che migrando da una situazione a un’altra e da una dimensione a un’altra, si ripropone come luogo per raccogliere e condividere emozioni … probabile. Rossocubo potrebbe anche divenire una casa, ma non vorrei tendesse ad un’automatica esclusione dell’ambiente esterno. E poi se vuoi parlar di abitazioni potrei illustrarti altri progetti… volentieri. Magari ne parliamo la prossima volta di persona. A presto...
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I2001-2008 O SONO QUI
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Dislocazioni del quotidiano, associazioni ed analisi ambientali
Non so voi, ma percorrendo strade molto vicine alla montagna mi colpisce sempre l’insieme di verde fitto formato dalla vegetazione, dagli aghi di pino e dall’assenza di spazi liberi. Guardo quel manto uniforme di verde scuro, di punti modulati dalle cime degli alberi, dove pare regni l’immobilità. Rimango ipnotizzato da questo paesaggio. Posso rimanere ore ad osservare un punto preciso di questa superficie irregolare. Sono sul versante opposto, parallelo a quel verde inanimato. A certe altitudini non si distinguono i rumori nella valle. Mi concentro quindi sull’azione del vento e mi proietto dritto dentro a quel tappeto scuro. Poco alla volta riesco a distinguerne i dettagli, nuove tonalità di colore, ma non avverto movimento alcuno. Che cosa succede in una porzione di paesaggio, così anonima e apparentemente immobile? E’ questo ciò che mi assilla e al tempo stesso, mi affascina. Un luogo che mi chiama per vedere effettivamente con tutti i sensi, il suo trascorso e il suo presente. In quel luogo io ci sono, sono al centro di quel verde intenso e nessuno mi può vedere. Probabilmente mi sono perso. D’altronde non mi sono dato orari, per il resto del mondo io potrei esser da qualunque parte. Il movimento all’interno del bosco non è aumentato rispetto a quello che guardavo dall’esterno. Tutto è immobile eppure tutto è vivo.
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STEFANO VENEZIA | EGOISTA Ora mi sento un elemento stesso della natura, distinguibile da essa soltanto per un peccato di presunzione. In realtà qui sono accolto senza pregiudizi. Devo distendermi verso altre forme di comunicazione, cercando di decifrare animazioni e fruscii che si alternano come segnali di un mondo parallelo, diverso probabilmente solo nei metodi. In fondo sono d’accordo con il pensiero di Gilles Clément quando ne “il giardiniere planetario” sottolinea come nella cultura degli indios sia del tutto normale associare una persona ad un albero. Con questi lavori, ho iniziato a sondare determinate porzioni di paesaggio. Porzioni di esistenza in altrettanti spazi vitali. Io sono ancora lì. E non sono solo…
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A13 giuWELCOMI N G PLACE gno 2010
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Tramite l’azione “a welcoming place” ritrovo le condizioni per dar spazio al mio pensiero. Mantengo uno zaino con lo stretto necessario, oggetti che per me determinano la condizione di abitabilità di un luogo: kit per la coltivazione della terra (mantenimento di sé), corda per lasciare all’aria i propri indumenti (rinnovamento di sé), ombrello (protezione dall’esterno non naturale), casella postale (collegamento con le persone, però non troppo immediato). Mi incammino sul sentiero, penso solamente alla meta. Raggiunta la radura, mi insedio, inizio la coltivazione e predispongo per un breve soggiorno. Affondo i piedi e le mani nella terra, guardo attraverso i fili d’erba, incamero aria e silenzio. Ascolto gli alberi ed immagino cosa possano aver visto in tutto questo tempo: probabili presenze umane, ciclici cambiamenti del clima, animali
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in libertà. Non fà importanza quanto tempo passo qui, più tardi, vado via sempre con un rinnovato equilibrio. Intanto registro con il GPS le coordinate del luogo: ne deriva una mappa casuale a disposizione dei nuovi possibili ospiti. E’ pur vero che alcune volte non ho raggiunto il luogo poiché non esisteva il sentiero. Mi dispiace, chissà quale prospettiva (ottica e di vita) avrei assaporato da lì.
N 44° 20’ 56’’ - E 07° 03’ 24’’
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N 44° 29’ 45’’ - E 07° 11’ 54’’
N 44° 20’ 46’’ - E 07° 03’ 18’’
N 44° 13’ 39’’ - E 07° 23’ 47’’
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QUESTO LUOGO È MIO! TUTTO DEVE ESSERE DISPOSTO AL MEGLIO PER LA MIA PERMANENZA! (ma più verosimilmente, è il luogo che mi ospita ad avere il totale controllo su di me...)
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LEGOI S TA 25 ottobre 2010
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quello che ricordo di più del sottobosco cappuccetto rosso
i funghi velenosi
“non c’è campo”
le formiche sul collo dopo il risveglio dal pomeriggio sotto un pino
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Ogni tecnica necessita del suo tempo… Oggi, per esempio, sono intento sul portatile a trascrivere appunti. E qui mi accorgo come sia incondizionata la fiducia nella tecnologia. Tuttavia sono ancora libero di immaginare. Inizio allora un esperimento, navigando sul web e utilizzando lo schema degli acquisti on-line. Mi permetto di ritornare ai piaceri “futili” della mia giovinezza: il gioco delle costruzioni, i “mattoncini”. Preparo così un lavoro virtuale tra lo schermo ed i tasti. Vorrei materializzare quello che ogni tanto mi passa nei sogni dove, nonostante le raffinate soluzioni e le trappole non prive di sudate azioni, quando credo di avere la realtà …mi risveglio! Digito un indirizzo e attendo il pacco. Pure qui mi sono fatto i calcoli per anticipare il fabbisogno di questo altro sogno.. Desideravo l’oggetto oppure sognavo una situazione?
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…questo lavoro non è finito. Sarà ancora importante mirare alla mia identità. Le cose utili a sopravvivere sono già state inventate, il resto è capriccio.
Sono egoista quando mi rivolgo agli oggetti, non per l’utilità, ma per lo status. E’ vero, appaiono interessanti per il fatto che si possono controllare ed ammirare, tuttavia
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non hanno modo di rispondere. Piuttosto, sono convinto che la soluzione al proprio equilibrio stia nel riconoscere le primarie verità:
minute e quasi invisibili agli altri, apparentemente banali e imperfette, ma uniche per ognuno. Non ci sono altre novità…
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Ornella Calvetti
Claudio Cravero
nata a nizza 03 Marzo 1982 curatrice e storica d’arte.
1977, Torino. Vive e lavora a Torino. Curatore indipendente, la sua ricerca è rivolta a tematiche inerenti i concetti di alterità, confine e memoria. Attualmente svolge attività curatoriale presso il PAV - Centro Sperimentale d’Arte Contemporanea di Torino
Selezione di alcuni recenti eventi curati 03-25/04/10 “See/sea” mostra a Bordighera presso la rotonda di Capo Ampelio. 19-27/09/09 “Men/bottles” collettiva artistica a Nizza presso il laboratorio “Reserve”. 28/04-18/10/08 “le vide é le plein” art happening del Collettivo Ubique Cellar of Bi-loft Torino. 01-22/07/07 Zooart rassegna d’arte internazionale nel Giardino Fresia di Cuneo. 17-18-19/11/06 “inspirina C” evento artistico a Cuneo presso lo spazio LS_1. Ideatrice e curatrice della P.H2O Arte di Cuneo dal 1998 a oggi.
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Didascalie 8-9
Michela Sacchetto nata nel 1983 a Cuneo, vive e lavora tra Cuneo e Bruxelles. Storica dell’arte e curatrice indipendente, ha conseguito la laurea in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma, dopo aver ottenuto un diploma triennale in Scienze dei Beni Culturali all’Università degli Studi di Torino. Ha collaborato in passato con la Fondazione Volume! di Roma, con il Musée d’art Moderne de Saint Etienne, Francia, con la galleria Erna Hècey di Bruxelles e con la piattaforma artistica Isola Art Center di Milano. Ha scritto regolarmente per la rivista d’arte contemporanea Art.Key di Torino. Attualmente collabora a Bruxelles con il curatore e produttore artistico Gregory Lang, lavora come assistente degli artisti Angel Vergara e Sophie Whettnall e come curatrice delle esposizioni organizzate dall’associazione Art.ur di Cuneo. Dal 2009 fa parte del progetto collettivo “MuseoAeroSolar”, iniziato dall’artista argentino Tomas Saraceno.
Egoist_A, 2011, luce verde al neon, cubo rosso in pannello composito, cm 76x50 17 dispersione n° 5, 1990, acrilico su tela, cm 50x50 dispersione n° 28, 1999, acrilico su mdf, cm 30x60 18,19,20 little_love, 2010, spugna erba sintetica su pannello composito, terra erba naturale in box, dimensioni variabili 25 innesto greffe graft, 2002, cubi in metallo, dimensioni variabili 26-29 steps#1, 2004, cubi in metallo, percorso variabile 30-33 steps#2, 2008, cubi in metallo, percorso stabilito 34 Rossocubo, versione box con stoffa, (progetto 2009), cm 220x220x220 36 interventi dei passanti, per Ecobox. 37 Rossocubo, versione Ecobox, 2010 per la 6°giornata del contemporaneo 38 piazza, 2008, stampa fotografica, cm 13x17 40 folla, 2009, stampa fotografica, cm 13x17 41 persone, 2001-2008 stampe fotografiche, dimensioni varie 42 MIRAggio, 2008, olio su tela, 9 x cm 18x24 43 celle, 2003, olio su tela, cm 18x24 44 conCENTRATO, 2007, acrilico su PVC espanso, cm 160x180 44 2DESTINI, 2001, olio su tela, cm 150x150
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Questo volume è stato pubblicato in occasione dela mostra EGOISTA, di Stefano Venezia: 9-24 aprile 2011, spazio ARTINTOWN, via Berthollet, 25 - 10125 TORINO.
Interventi di: Ornella Calvetti Claudio Cravero Michela Sacchetto
Per l’aiuto offerto a vario titolo un particolare ringraziamento a: Emma, Ettore e Stefania, Silvana e Angelo
Fotografie di Stefano Venezia
www.artintown.it
Altri crediti fotografici 5, 34, 37 Emma Barale 21, 70, 71 Domenico Olivero 54, 55, 56, 57 Oliver Migliore
Contatti: e-mail: stefano@veneziacuneo.it www.veneziacuneo.it
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