Notiziario natale 2017

Page 1

VOCE per la COMUNITA’ NATA LE 20 17

Gv 20,21

UNITA’ PASTOR ALE S. ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOT TICINO

Strumento di formazione informazione pastorale


RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTI Licini don Raffaele, parroco cell. 3371486407 - 3283108944 e-mail parrocchia: info@parrocchiebotticino.it sito web: www.parrocchiebotticino.it Segreteria Unità Pastorale tel e fax 0302692094 Bonetta don Giacomo, tel. 3474763332 Pietro Oprandi, diacono tel. 0302199881 Scuola Parrocchiale don Orione tel.0302691141 Suore Operaie abitazione villaggio 0302693689 BATTESIMI sabato 10 e domenica 11 febbraio 2017 Sabato Santo 31 marzo durante Veglia Pasquale sabato 7 e domenica 8 aprile 2017

I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

PRESENTAZIONE

In occasione del Natale viene portato in ogni famiglia il 'notiziario pastorale'. Già dal titolo si intuisce che quanto scritto è "voce per la comunità" nel suo camminare e crescere nella novità di fede e di impegno ecclesiale. In particolare la voce della Chiesa che ha convocato il Sinodo mettendo all'attenzione di tutti la realtà giovanile. C'è la voce della liturgia del tempo del Natale, dei missionari, dell'impegno sociale, dell'attività degli oratori, della scuola parrocchiale, del gruppo scouts; pellegrinaggi e attività di gruppi o associazioni che fanno riferimento anche alla realtà ecclesiale. Tribunale Ordinario di Brescia Voce per la comunità - NATALE 2017 Direttore Responsabile: Adriano Bianchi Autorizzazione del Tribunale di Brescia n°17/2014, del 28 ottobre 2014

sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it

Stampato in proprio Botticino piazza IV Novembre,13 Unità Pastorale “S.Arcangelo Tadini” Parrocchie di Botticino

La busta per l’offerta in occasione del Natale

Come tradizione, in occasione del Natale viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un’offerta straordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale. Gli impegni economici non sono pochi.

Il parroco e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare anticipatamente quanti vorranno accogliere questo appello. 2

"Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo" per una pastorale dei volti Torna il Natale a ricordarci che Dio si prende cura di noi. Dio si prende cura di noi, ha a cuore la nostra vita. Il Natale ci ricorda la grande avventura d’amore in cui Dio ha voluto scommettere: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Dio per amore e con amore si prende cura degli uomini. Al contrario, quanta difficoltà abbiamo noi oggi a prenderci cura di noi stessi e degli altri in modo vero, autentico e liberante! Quanta difficoltà a gestire con amore la vita, il tempo, gli ideali, gli affetti, i sentimenti, le relazioni! Quanta difficoltà a ricercare l’essenziale della vita! Dall'omelia di ingresso del nostro nuovo vescovo abbiamo colto il tema di questo nuovo anno pastorale "...Dal volto di Cristo ... al volto degli uomini..., per una pastorale dei volti". E i volti rimandano alle persone, agli uomini, piccoli o grandi che siano, che incontro in casa, a scuola, sul lavoro, in chiesa, al bar... L’annuncio del Natale non è compiuto finché non prendiamo seriamente coscienza della scelta di Dio di avere cura degli uomini e finchè quindi non facciamo nostra questa scelta d’amore nell’esistenza quotidiana. Sì, perché Natale è innanzitutto una domanda rivolta a noi cristiani: che cosa posso fare per rendere migliore la mia vita e la vita degli altri? Se ci guardiamo attorno ci accorgiamo certamente che pessimismo e rassegnazione sembrano le espressioni più comuni del nostro convivere. È cresciuto lo spirito di contrapposizione, si assiste a tanta prepotenza e anche ad una violenza diffusa nel parlare, nel modo di trattarsi. La speranza e la passione per il cambiamento sembrano sempre più affievolirsi. Anche nella politica, nella società e nella Chiesa talvolta si è presi da un senso di impotenza di fronte ai grandi problemi della vita dell'umanità intera. Dobbiamo ritrovare il gusto e la passione di lavorare di più insieme, in sinergia, mettendo da parte i propri interessi e personalismi, quello spirito di contrapposizione e quella rivalità che contraddistinguono la nostra società, per il bene di tutti.

Il Natale è un giorno che apre alla speranza, ci dice che qualcosa di nuovo e di diverso può ancora accadere. Il Natale ci dice che anche dall’umile Nazareth della nostra vita qualcosa di straordinario può ancora venire. E allora il Natale è per tutti noi un impegno. Chi ha un ruolo di potere, o meglio di servizio, si prenda cura di tutti i cittadini e dei luoghi di vita, soprattutto dei più deboli, degli sconfitti della vita, degli ultimi della storia e persino degli avversari. Si prendano cura della natura, dell’ambiente custodendolo per coloro che verranno dopo di noi. Chi è imprenditore a qualunque livello, si prenda cura di chi è senza lavoro; investa le energie, i sacrifici, le capacità con e per le persone. I genitori si prendano cura dei figli con amore e devozione, si facciano educatori e testimoni di vera spiritualità, anche nella solitudine, ma con speranza. Lo sposo o la sposa si prenda cura del proprio coniuge, custodisca l’amore, eserciti la responsabilità, non fugga alle prime difficoltà, respinga le scorciatoie di amori rubati o superficiali relazioni. I figli si prendano cura dei genitori, dei fratelli e sorelle, dei nonni e delle nonne; abbiano il coraggio di ascoltare la loro “saggezza” frutto degli anni e anche del loro soffrire. Uomini e donne di buona volontà, credenti o dubbiosi, non rifiutiamo di mostrare la benevolenza verso chi fa fatica ed anche verso quanti hanno “fallito” nella vita. I giovani non fuggano dalle proprie responsabilità di essere costruttori di un mondo che sarà il mondo di domani. Insieme prendiamoci cura della nostra comunità, di chi è qui per servire il Signore nel condurre e di quanti condividonono questo ministero. E io prete e animatori pastorali prendiamoci cura senza tristezza e rassegnazione del nostro popolo tutto. Facciamoci riconoscere come dono per il nostro tempo. Questo è il “Buon Natale” che prego si realizzi per tutti noi don Raffaele 3


Il nuovo Vescovo di Brescia PIERANTONIO TREMOLADA

Nasce a Lissone, nella provincia di Monza e Brianza e diocesi di Milano, il 4 ottobre 1956. Viene ordinato sacerdote a Milano il 13 giugno 1981. È studente Roma fino al 1984. Insegnante presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale dal 1985 per oltre 25 anni. Redattore capo della rivista biblica Parole di Vita dal 1987 al 1995. Rettore per la Formazione al Diaconato permanente dal 1997 al 2007. Collaboratore per la Formazione Permanente del Clero e Responsabile dell’Istituto per l’accompagnamento dei giovani sacerdoti dal 2007 al 2012. Vicario Episcopale del Card. Angelo Scola dal 2012 al 2017. Vescovo Ausiliare di Milano dal 2014 al 2017. È Vescovo eletto di Brescia dal 12 luglio 2017. Fa l'ingresso in diocesi di Brescia l'8 ottobre 2017. " ...Mi resta un’ultima cosa da dire. Parlando di se stesso ai cristiani di Ippona il vescovo Agostino disse di se stesso: “Con voi cristiano, per voi vescovo”. È quanto vorrei ripetere anch’io a tutti voi. Sono convinto che la fede in Cristo e il battesimo ricevuto è ciò che abbiamo di più prezioso. Tuttavia, vorrei aggiungere anche questo: che cioè da oggi io sono uno di voi. Sono e vorrei essere un bresciano tra i bresciani. Vengo da Milano e porto con me una storia, una tradizione, un patrimonio di bene che mi ha plasmato. Permettete che dica che sono fiero di appartenere alla Chiesa da cui provengo. Ma da oggi io sono qui, pastore del popolo di Dio che è in questa diocesi e in questa città. Da subito io cercherò – e un poco già l’ho fatto – di immergermi in questo fiume di grazia che mi precede. Sento che una Chiesa mi accoglie dentro una grande storia e le sono grato per la fiducia che già mi dimostra. Vorrei dirle che questa fiducia è sin d’ora ricambiata da un affetto sincero e dal desiderio di fare della mia vita, di questi anni della sua ultima stagione, “un’offerta sull’altare della vostra fede” – come dice bene san Paolo (cfr. 1Tm 4,6)). La vita di un vescovo appartiene al Signore e al popolo di Dio che è chiamato a servire. E così io vorrei che fosse. Altro non ho chiesto al Signore mentre si avvicinava questo giorno. So bene che il desiderio non basta. Sarà la vita di ogni giorno a trasformarlo in vero amore. Anche gli errori e le debolezze, che da parte mia so bene non mancheranno, contribuiranno a renderlo tale, se vivremo tutto con fede e in reciproca comprensione. Abbiamo tutti bisogno della misericordia di Dio! A lui dunque ci affidiamo, sicuri che con il suo aiuto e con la buona volontà di tutti potremo scrivere qualche buona pagina di storia. Dio vi benedica e si degni di benedire anche me insieme con voi. Nel nome del Signore, auguro a tutti buon cammino." 08 ottobre 2017 - S. Messa ingresso Vescovo Pierantonio

STEMMA E MOTTO

S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada, Vescovo di Brescia “D’argento, alla croce patriarcale d’azzurro uscente da un innestato in punta dello stesso a due burelle ondate del primo, accompagnata da due rotoli della Scrittura in capo e da due cervi brucanti affrontati in punta, il tutto al naturale” La croce patriarcale (doppia) è un noto simbolo della Chiesa di Brescia in quanto richiama la reliquia delle Sante Croci custodita in Cattedrale. Alla base di questa è posto un corso d’acqua, simbolo dell’acqua della Vita, scaturita dal costato trafitto del Cristo Redentore (Gv 19,31-37). A questa fonte si abbeverano due cervi. Essi richiamano il motto episcopale «Haurietis de fontibus salutis», citazione di Is 12,3 ed evocano il Salmo 42: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a Te, o Dio». I due cervi alludono anche la comunione dei fedeli: alle sorgenti della salvezza ci si abbevera insieme. Gli antichi rotoli della Scrittura rimandano alla Parola di Dio a noi offerta nelle Sante Scritture, esse stesse sorgente della Salvezza. Il campo dello scudo è in argento, simbolo della trasparenza, quindi della Verità e della Giustizia, doti che devono accompagnare lo zelo pastorale del Vescovo; inoltre argento e azzurro sono i colori di Brescia. 4

CONSIGLIO UNITA' PASTORALE ATTIVITÀ IN ATTO E SINODO DEI GIOVANI

L'8 novembre si è riunito il Consiglio dell'Unità Pastorale delle tre Parrocchie di Botticino. Si apre l'incontro con una riflessione sul tema pastorale dell'anno 2017/2018. Partendo dall'omelia del nostro nuovo vescovo, nel giorno del suo ingresso, viene così definito. "Dal volto di Cristo al volto degli uomini per una pastorale dei volti" Punto 1) Le ATTIVITA’ PASTORALI avviate Per quanto riguarda l’ICFR, si sono svolti gli incontri con don Raffaele per l’iscrizione al catechismo, dando più possibilità ai genitori e, tranne pochissimi, sono stati incontrati tutti. Viste le necessità di avere gruppi meno numerosi, si sono resi disponibili nuovi genitori per gli incontri settimanali con i bambini. Continuano anche gli incontri per i ragazzi del dopo-Cresima, con il coinvolgimento di alcuni genitori, oltre agli animatori. Un gruppo di adolescenti parteciperà all’incontro organizzato dalla comunità di Taizè a Basilea. Si stanno riorganizzando le tre realtà degli oratori per la gestione, l’apertura e le proposte educative. Gli animatori pastorali hanno iniziato a incontrarsi insieme e per gruppi di attività pastorale. Gli scout hanno iniziato ufficialmente la loro attività come realtà ecclesiale operante a Botticino. La Caritas continua a sostenere, incontrare e accompagnare le persone in necessità. I ministri straordinari della comunione hanno ricevuto il mandato, ma servirebbero altre disponibilità.E' necessario invitare le famiglie a comunicare i nomi di altri anziani o ammalati che vorrebbero ricevere la comunione e dei quali non si è a conoscenza. Punto 2) Il Documento preparatorio al SINODO SUI GIOVANI che si terrà nell’ottobre 2018. Quali indicazioni e modalità per un lavoro nelle nostre parrocchie. Il parroco presenta in sintesi i vari punti del documento, di cui i membri del CUP hanno già visionato la terza parte. Si sottolinea il fatto che il Papa ha colto l’importanza dei giovani e invita a riflettere su come la Chiesa li accoglie nel discernimento vocazionale, perché possano farsi dono per gli altri. Nella 1° parte è presentato uno sguardo sui giovani nel mondo di oggi; nella 2° Fede, discernimento, vocazione; nella 3° l’azione pastorale. Infine è inserito un questionario per raccogliere i dati, leggere la situazione, condividere le pratiche pastorali. Ogni realtà locale quindi dovrebbe attivarsi per rispondere alle domande proposte sulla realtà giovanile, per avere un quadro della situazione e fare un’analisi approfondita. Per questo si è pensato di proporlo alla riflessione di diversi gruppi di persone. Come vediamo la realtà dei giovani? Come ci poniamo noi di fronte a loro? Per coinvolgere più persone, ogni membro del CUP si è preso l’incarico di convocare un piccolo gruppo (es. genitori, anziani, sportivi, insegnanti, giovani…), con il quale si proverà a riflettere e rispondere alle domande proposte, in forma scritta, entro fine gennaio. Il prossimo incontro verterà sul mettere insieme quanto è emerso e si programmerà il seguito.

Punto 3) Varie ed eventuali - Viene accolta la richiesta della "Pro Loco di Botticino" di avere al suo interno una persona rappresentante delle parrocchie, visto quanto scritto nello statuto: "Lo scopo istituzionale della “PRO LOCO BOTTICINO” è di promuovere in ogni forma e con ogni mezzo la conoscenza, la tutela, la valorizzazione e la fruizione delle risorse ambientali, storiche socio-culturali, artistiche, enogastronomiche e produttive del territorio e della comunità che su di esso risiede, onde promuoverne la crescita complessiva." - Il 19 novembre si svolge la 1° Giornata Mondiale dei Poveri, voluta da Papa Francesco per stimolare i credenti alla cultura dell’incontro con i fratelli che intorno a noi vivono nella difficoltà economica o di altro tipo. La povertà è una realtà tangibile, che non riguarda solo il gruppo degli operatori Caritas, ma che interpella il nostro stile di vita e l’attenzione ai nostri fratelli. Per favorire la lettura e la riflessione personale sul messaggio del papa si è pensato di stamparlo dividendolo in tre parti e distribuirlo al termine delle messe di quella domenica, della precedente e successiva, con alcune domande che invitano alla riflessione. - Si è proposto di valorizzare il momento della raccolta delle offerte durante le messe come azione liturgica in cui ciascuno, secondo le proprie capacità, contribuisce economicamente ai bisogni della propria parrocchia e trasmite essa ai bisogni della chiesa e delle povertà. 5


Natale da cristiani 1. Ai nostri giorni tutti sanno che il 25 dicembre «è Natale» e che Natale è giorno di festa; anzi, è il giorno in cui iniziano «le feste» natalizie (che vanno fino a Capodanno e all'Epifania). Per le feste di Natale si usa farsi gli auguri (Buon Natale!), offrire doni ai bambini, scambiarsi regali anche tra grandi, fare «l'albero di Natale», fare il «presepio», andare alla Messa nella notte, fare un buon pranzo, mangiare il panettone... e chi può, far vacanza.

Chiesa romana e che, nel giro di pochi anni, verrà celebrata praticamente da tutte le Chie­se, sia in Occidente che in Oriente.

2. Da allora sono passati parecchi secoli: molte cose sono cambiate nel mondo e nella Chiesa. Oggi tutti «fanno festa» a Natale, anche se molti non sanno bene perché (né gli interessa più di tanto: l'importante è far festa!). Alla fine, il rischio è che «Natale» si esaurisca tutto in giocattoli e Perché tutto questo? Perché a Natale? panettoni, auguri e lu­ci colorate, con un pizzico Perché il 25 dicem­bre? di sentimentalismo d'occasione, che non fa male a nessuno e lascia il tempo che trova (A Natale tutti La festa di Natale non è sempre esistita. Se ne si sentono più buoni...). parla per la prima volta - nei documenti a noi pervenuti - in una specie di almanacco, chiamato Lungo la storia, la festa cristiana del Natale si è «Cronografo», che risale all'anno 354. Questo do- caricata via via di varie tradizioni e usanze che ne cumento, oltre alla lista dei consoli e delle feste hanno ampliato la riso­nanza religiosa ed ecclesiale ro­mane, presenta anche la lista delle date di se- a livello familiare e sociale (si pen­si, per esempio, poltura dei vesco­vi di Roma e dei martiri ricordati al presepio, allo scambio di doni, agli auguri). Ma nella Chiesa romana. purtroppo ai nostri giorni lo spirito del Natale, che Nella lista delle feste civili, alla data del 25 dicem- dava profondo significato a queste cose, rischia di bre sta scrit­to: «Natalis Solis lnvicti». Si tratta di trovarsi come sommerso sotto l'ondata della logica una festa pagana che cele­brava la «vittoria» del consumistica, che si è im­padronita di dette tradisole e della luce sull'invadenza delle te­nebre, a zioni corrompendone il senso fino a can­cellarne o partire dal fatto che - da questa data in poi -la a renderne irriconoscibile l'originario riferimento durata del giorno ricomincia ad allungarsi rispetto re­ligioso cristiano. a quella della notte. Nell'elenco delle memorie dei martiri, alla stessa 3. Per celebrare il Natale da cristiani, bisognerebbe data sta scritto: «Natus Christus in Betleem Ju- anzitut­to ricordarsi che si tratta del Natale di Gesù daea». È la più antica te­stimonianza storica sulla Cristo. In altre pa­role: il senso proprio di questa festa cristiana del Natale: memoria della nascita festa è quello di ricordare la na­scita di Gesù. Non di Gesù a Betlemme. Una festa nuova (fino allora si tratta di una favola, ma di un fatto; anche se i l'unica festa annuale celebrata dai cristiani era la contorni precisi di questo fatto non sono ricostruiPasqua), in­trodotta da pochi anni negli usi della bili stori­camente in tutti i dettagli. 6

Per esempio: non sappiamo con precisione in che giorno Ge­sù sia nato. Nei primi secoli cristiani si formò una tradizione secondo cui questo evento avrebbe avuto luogo precisamente il 25 dicembre, ma la cosa è tutt'altro che sicura dal punto di vi­sta storico. Probabilmente a Roma si cominciò a celebrare il «Natale del Signore» in questa data, proprio perché in quel gior­no si celebrava tradizionalmente la festa pagana del «Natale del sole»: i cristiani diedero un significato nuovo a questo giorno, ricordando la nascita di Cristo, vero «sole» venuto «dall'alto» a rischiarare le tenebre del mondo (cf Lc 1,78-79), «luce vera» che «illumina ogni uomo» (cf Gv 1,9). Non sappiamo neanche in quale anno esattamente Gesù sia nato. Quando, nel sec. VI, si incominciò a contare gli anni «pri­ma» e «dopo» Cristo, ci fu un errore di calcolo, per cui in realtà Gesù sembra essere nato 6 o 7 anni «prima di Cristo». Ma que­sti particolari contano fino a un certo punto. L'importante è che di fatto Gesù è nato in Palestina, all'epoca del re Erode e dell'imperatore romano Ottaviano Augusto. Siamo nel mondo della storia, non in quello delle fiabe.

"Shopping, il Natale deve essere Shopping RICORDALO” era soltanto un grande maestro e profeta, figlio di Maria, ma il «Figlio» stesso di Dio, fatto si uomo.

Tutto il senso della festa di Natale incomincia da qui. È una festa della fede cristiana. Facciamo festa perché è esistito Gesù Cristo, e perché crediamo che egli è risuscitato da morte, e per­ché riconosciamo in lui il segno concreto e «parlante» dell'a­more di Dio per l'umanità (Gv 3,16: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita 4. È un fatto anche questo: che ormai, praticamen- eterna»). te in tutto il mondo, si misurano gli anni e i secoli «prima di Cristo / dopo Cristo». Bene o male, Facciamo festa nel ricordo della nascita di Gesù, basterebbe questo a mostrare l'interesse obiettivo perché cre­diamo con profonda convinzione che e permanente della domanda: ma chi era questo quel bambino nato da Ma­ria è davvero il «Figlio dell' Altissimo» (Lc 1,32), il «Dio con noi» (Mt 1,23), Gesù Cristo? il «Verbo fatto carne» (Gv 1,14), l' «immagine del La storia ci dice che egli fu «condannato al sup- Dio invisibile» (Col 15), l'espressione piena e totale plizio [la cro­ce] da Ponzio Pilato, sotto l'impera- della realtà divina «apparso in forma umana» (Fil tore Tiberio» (così scrive lo storico romano Tacito 2,7), la presenza personale di Dio stesso nel nostro nei suoi Annali); ma ci dice anche che ben presto, mondo e nella nostra storia. dopo la sua morte, i suoi discepoli hanno comincia­ to a proclamare apertamente che egli è risuscitato 5. Bisogna entrare in qualche modo nell'orbita di da morte e a insegnare che «Gesù di Nazaret» non questi pensieri, per celebrare il Natale da cristiani e per capire che co­sa significa la «gioia di Natale». Bisogna andare oltre le banalità pubblicitarie e televisive, oltre il folclore, oltre le vecchie tradizioni e le nuove conven­zioni, per ritrovare l'anima e lo spirito di questa bellissima fe­sta. Come si possono cogliere nelle antiche e sempre vive paro­le di san Leone Magno: «Rallegriamoci, fratelli carissimi, per­ché oggi è nato il nostro Salvatore! Non c'è spazio per la tri­stezza, nel giorno in cui è nata la vita... Rallegriamoci nel Si­gnore, ed esultiamo di gioia spirituale, poiché è sorto il giorno nuovo della redenzione, giorno da lungo tempo predisposto, giorno che apre la felicità eterna». 7


SINODO sui GIOVANI, OCCASIONE di NUOVO DIALOGO “Giovani, fede e discernimento vocazionale” è il titolo per la prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata per l’ottobre 2018. Il tema traccia le coordinate essenziali per un itinerario ecclesiale che si preannuncia di assoluto interesse e attualità anche per le nostre comunità cristiane. È una grande opportunità che ci dobbiamo giocare bene, non solo per aprire un confronto franco tra chi con loro lavora tutti i giorni, ma anche perché porterà gli adulti a interrogarsi sulla propria fede. Potrebbe tramutarsi in concreta e preziosa occasione per “aprire gli occhi” su un mondo, quello dei nostri figli, che non può essere solo osservato dall’alto. Oggi i nostri ragazzi hanno bisogno di testimoni e di padri, di qualcuno che gli faccia vedere il lato promettente della vita. Se pensiamo ai nostri nonni o ai genitori possiamo dire che hanno vissuto tanti periodi critici che corrispondevano a quelli che stava attraversando il Paese, ma si sentivano anche “costruttori” del loro futuro. Oggi invece in un momento di diffusa crisi e fragilità del mondo adulto, bisogna dare atto ai giovani che nonostante la precarietà negli affetti, sul lavoro e riguardo al futuro, non si sono persi d’animo e hanno cercano di inventarsi nuove strade. Il Documento Preparatorio al Sinodo dei vescovi 2018 è un testo lucido, attuale, onesto, uno strumento utile per capire e analizzare la nostra realtà giovanile, quella che viviamo con tutte le bellezze e le sfide che essa comporta. Un testo chiaro e fruibile che desidera arrivare a tutti, proprio a tutti, giovani e meno giovani. In particolare vuole fornire degli spunti critici e di indirizzo al mondo adulto, che è chiamato a vivere e ad interrogarsi sulla situazione giovanile odierna, nell’ambito familiare, educativo, scolastico, lavorativo e nell’orientamento alle scelte

di vita. Anche gli stessi giovani sono chiamati in prima persona a riflettere coerentemente sul proprio vissuto e stile di vita, interrogandosi sui cammini intrapresi e, più a fondo, sulle proprie (profonde) aspirazioni. Le problematiche e le sfide che emergono nel documento leggono davvero quello che ogni giovane si trova a vivere quotidianamente. E se esse sono dette dal lato dell'adulto, proviamo adesso a ri-raccontarle dall'esperienza di tre giovani, impegnati nel sociale, e con la responsabilità di dare voce ai nostri coetanei . Tra l'altro, dobbiamo aggiungere

che – partiti un po' timorosi di non essere all'altezza, di non sapere bene cosa dire, di dire cose abbastanza scontate – alla fine ci siamo accorti che... un'idea tira l'altra, lo scambio moltiplica i punti di vista e le visioni, e le sfaccettature della realtà sono molteplici, irriducibili ai singoli particolari; e che alla fine non potevamo "barare": lavorando insieme, ci siamo anche messi di fronte alla "verità" della nostra vita, e alla serietà del nostro "parlare a nome dei giovani". Un effetto positivo di questo Sinodo, in effetti, c'è già stato: su noi stessi.

Alcuni tratti della nostra cultura giovanile

In primo luogo emerge la mancanza di coinvolgimento e radicamento verso la realtà in cui si vive, il non riconoscimento di figure di riferimento e la non adesione a stili e modelli comportamentali che possono essere da guida e accompagnamento, essendo continuamente bersagliati da vari input e condizionamenti esterni. La flessibilità e la fluidità irrompono in ogni campo della vita, causando un sentimento di smarrimento e disorientamento immobilizzante, un vuoto vocazionale e personale di cui non ci si rende conto, o di cui non si coglie spesso l’origine. Certamente per noi giovani, nonostante le molte opportunità di crescita ed evoluzione offerte a livello sociale, educativo e professionale, non è un momento storico semplice: si vive una grande e infinita libertà a livello di scelte, di autodefinizione, di espressione, di immaginazione che diventa liquidità e indeterminatezza. È però questa stessa libertà che causa il grande disorientamento esistenziale, che spesso sfocia nella paura. Paura di non essere compresi, paura di essere considerati inadatti e non all’altezza, paura del giudizio e di fare scelte radicali. È in questo contesto che sta crescendo una generazione di persone deresponsabilizzate, che parlano il “recriminese”, che non vogliono scegliere un “per sempre” e vogliono poter sempre trovare uno spiraglio per tornare sui propri passi. Ci si accontenta in tanti ambiti della vita, raramente si fanno progetti a lungo termine: i sogni sono per i folli, la realtà è dura e minacciosa. Il testo del Documento non nasconde una chiara lettura del contesto storico e politico attuale che fornisce una cornice di certo non rassicurante sui mali e le storture che affliggono la nostra società a livello valoriale, economico, sociale e geopolitico.

Spazi aperti al sogno

Facciamo un passo in avanti, anche perché di analisi si muore e in esse non si trova molto spazio per il desiderio, il sogno, il cambiamento. Entriamo in dialogo e profonda sintonia con Papa Francesco, che non si appiattisce (né ci appiattisce) su correttissime fredde analisi, ma entra in empatia con noi giovani e traccia dei sentieri: non come ricettine ma come pause di respiro, borracce d'acqua. A ciascuno di noi restano in mente immagini e "verbi" delle tante volte che il Papa si rivolge ai giovani. Di fronte alle analisi il Papa interroga se stesso e tutti noi, invitando al realismo, ad essere critici, propositivi e

8

osservatori che partecipano alle difficoltà dei propri fratelli. Il primo sentiero da percorrere è quello di "camminare insieme", partecipare e condividere. "Insieme si può", sembra echeggiare. Siamo invitati a comprendere, capire, approfondire, a non sottovalutare nessuna flebile voce che chiede supporto e attenzione. Il secondo sentiero è la ricerca di un dialogo costruttivo col mondo degli adulti. Il Papa invita il mondo adulto a prendersi cura dei più giovani, a guidare con amorevolezza e determinazione, sospendendo il proprio giudizio ed evitando etichette penalizzanti. Ogni giovane è un mondo a sé fatto di sogni, aspirazioni, desideri e volontà. Il problema è che non sempre gli adulti sono in grado di assumere questo ruolo di guida: le famiglie in primis non sempre hanno la formazione e le competenze per accompagnare i propri figli in questo passaggio verso l’adultità, che è tanto importante quanto delicato. Si può essere adulti per età anagrafica senza aver compiuto quelle necessarie tappe di vita che aiutano a strutturare l’identità e a rafforzare l’autostima dell’individuo. Questo passaggio implica una serie di difficoltà affettive, emozionali che devono essere gestite e prese in carico per delineare la figura del giovane che cammina prontamente verso le proprie responsabilità e l’essere adulto senza paure e recriminazioni con se stesso. È facile allo9


ra che gli adulti cadano nella trappola e tentazione di ripensare ai tempi passati, quando a 25 anni si era già adulti e responsabili! In questo invito al mondo adulto ci sentiamo coinvolti anche noi giovani: a non interrompere il dialogo, a non chiudersi nel proprio presente, a chiedere aiuto e guida, ad avere fiducia, a non rinnegare il patrimonio del valori e della fede, la vocazione dell'adulto ad accompagnare i giovani verso la vita. Non vogliamo permessi speciali o facilitazioni rispetto alla vita: vogliamo – ne siamo sempre più consapevoli – mete alte e credibili, e compagni-guide per il cammino. Questa è la storia che ci hanno raccontato (di Gesù, dei Santi, dei testimoni che ci affascinano), e che vorremmo ci venisse narrata anche oggi. In effetti restare sulle proprie posizioni non aiuta il dialogo intergenerazionale, né tantomeno la crescita sana di nessuna delle parti in causa. Essere dunque aiutati al cammino verso l'adultità. E questo significa investire sulle scelte importanti di ogni individuo, sulle vocazioni, sul senso di autoefficacia, autostima e di empowerment personali e sociali.

Una Chiesa che "ci piace"

Torniamo al Documento preparatorio al Sinodo. Esso ci ha presentato un'immagine di Chiesa che fa il primo passo, che si prende cura e prende a cuore i giovani avviando con loro un dialogo. Non per convincere,

non per strumentalizzare, non per dare contentini. Ma per "accorgersi" di loro, per riconoscerne il dono e la grazia, per imparare ad ascoltare, prima ancora che a dialogare o dire le proprie ansie e preoccupazioni. E non in atteggiamento condiscendente, ma sincero: un dialogo fatto di ascolto e di stima, di attenzione e rispetto, di non chiusura mentale, ascoltando prima di proporre e accompagnare, e senza paura di interrogarsi e interrogare in ogni ambito e in ogni sfera del vivere. Dunque anche lasciandosi provocare, soprattutto là dove la testimoninaza non è o non è stata cristallina. Il questionario intanto può essere uno strumento adatto, utile per interrogare e permettere il coinvolgimento di tutta la comunità dei fedeli, di tutte le realtà ecclesiastiche e territoriali, per generare un documento finale che raccolga le reali istanze e indichi indirizzi concreti. È una Chiesa Madre che ci parla, disponibile a “incontrare, accompagnare, prendersi cura” dei giovani, sapendo che la sua natura è di accogliere il figlio. Una Chiesa in uscita che si avvicina e si interroga sul suo futuro (ci sarebbe un futuro della chiesa senza un futuro dei giovani?). C’è un grande lavoro da compiere in sinergia allora: con le famiglie, perché sappiano guidare e insegnare e trasmettere l’importanza dello scegliere, di puntare alto, di investire su di sé; sulla Chiesa, che deve essere un esempio coerente di amore e di servizio verso il prossimo; sui giova-

10

ni che sono già inseriti in percorsi di formazione e di animazione, perché abbiano modo di testimoniare l’incontro con Cristo, evangelizzando nella semplicità della quotidianità. Siamo tutti responsabili.

Nessuno escluso

Il lavoro che si propone di fare questo Sinodo è grande e può costituire una vera risposta a tutti questi bisogni. La Chiesa prova a dare risposte reali e concrete, ponendosi accanto ai giovani, condividendo il cammino e le difficoltà, per accompagnare e andare incontro. Il dialogo che un giovane può sostenere con una Chiesa in uscita, accogliente e amorevole, è quello attraverso cui passa l’educazione: educare alla bellezza della vita, delle scelte, delle relazioni, alla fede vivificante e vicina alla persona. Spendere “tempo” con e per i giovani non è mai una perdita di “tempo”: i giovani sono la società futura, sono i buoni cristiani e gli onesti cittadini del domani ma che devono iniziare ad esserlo da oggi, responsabilizzandosi, trovando il loro posto in società. Dobbiamo rimboccarci le maniche, essere rete (più che stare on line), trovare soluzioni creative e attuali, per costruire insieme una società dove le risorse (umane) possano venire valorizzate per il bene di tutti.

Il tempo che stiamo vivendo è ricco di possibilità e di bellezza. Me lo ripeto con gioia crescente ora che sono concluse le attività estive e già siamo entrati en nuovo anno pastorale che si apre carico di attese e di iniziative. È un tempo buono, dove il Padre è all’opera – in maniera molto più profonda e incisiva di quanto, a volte, ci è possibile intuire – e dentro il quale chiama anche noi a seminare, a coltivare, a raccogliere. I segni della sua presenza e della sua azione sono, a volte, proprio davanti ai nostri occhi spesso incapaci di riconoscerli, oppure ancora nascosti e in attesa sotto uno strato di terra, ma pronti a rivelarsi e a sorprenderci con i loro frutti quando meno ce lo aspetteremmo. Questo per dire che non è tutto facile, chiaro e immediato – e nessuno ci ha mai assicurato che lo sarebbe stato. Ma è tutto incredibilmente vero, bello e prezioso; tutto è amato da Colui che eternamente ama, ci ama. Mi piace ripartire così, quasi stropicciandomi gli occhi stanchi e annoiati, perché si lascino illuminare e entusiasmare dalla benedetta realtà che forma il nostro vivere. “Giovani, fede e discernimento vocazionale”. Il tema per la prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata per l’ottobre 2018, traccia le coordinate essenziali per un itinerario ecclesiale che si preannuncia di assoluto interesse e attualità anche per le nostre comunità cristiane. È un itinerario che – come Chiesa bresciana – desideriamo condividere e fare nostro, perché diventi una delle linee prospettiche che orientano il cammino dei prossimi anni e ci aiuti a muoverci insieme, e insieme ricercare alcune ulteriori possibilità per continuare ad annunciare e testimoniare il Vangelo nel nostro tempo. 11


Dalla mia eternità cadono segni

Il titolo del cammino sinodale accosta infatti tre termini – giovani, fede, discernimento vocazionale – che costituiscono una sfida e nello stesso tempo una opportunità che ci sembra importante cogliere al volo. L’intenzione che sta all’origine e anima questa iniziativa di approfondimento ecclesiale riguarda infatti la missione propria della chiesa, espressa dal Documento preparatorio con queste parole: “la Chiesa ha deciso di interrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza, e anche di chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia. Attraverso i giovani, la Chiesa potrà percepire la voce del Signore che risuona anche oggi”. Anche solo da questo breve enunciato possiamo cogliere alcune preziose e utili indicazioni operative. Come già espresso nel titolo è innanzitutto evidente la scelta di legare insieme pastorale giovanile e vocazionale. Nel documento si parla infatti di “pastorale giovanile vocazionale”. Questa reciproca inclusione, pur nella consapevolezza delle differenze, è una prospettiva che – a livello diocesano – abbiamo fatto nostra già da qualche tempo, proprio perché diventi una delle caratteristiche che distinguono e qualificano l’opera educativa nei confronti delle giovani generazioni e, in modo ancor più specifico, il rapporto

pastorale con il mondo giovanile. In secondo luogo si esprime con forza il desiderio di andare incontro ai giovani per accompagnare in modo significativo le loro scelte di vita e prendersi cura del loro percorso di fede. Tutto ciò – come ben sappiamo – non è assolutamente di facile e immediata realizzazione. Non poche sono infatti le difficoltà di incontro e dialogo, serio e continuativo, con un mondo giovanile che ci sembra sempre più sfuggente e indefinito. Si tratta dunque di avviare un “movimento di uscita” capace di incrociare le attese, i desideri, i bisogni e tutto il vissuto dei giovani, così profondamente segnato dalla elevata complessità e dai rapidi mutamenti del nostro contesto culturale. Per il prossimo anno pastorale proviamo, semplicemente ma non banalmente, a metterci in ascolto. Scegliamo l’ascolto come modalità di essere “chiesa in uscita”. L’ascolto è già fondamentalmente un atteggiamento di uscita da se stessi per lasciare spazio e prestare attenzione a ciò che è altro da sé. Il “mettersi in ascolto” ci sembra infatti una modalità e uno stile intelligente e possibile di “uscire”, per incontrare, comprendere e accogliere il mondo giovanile. Ascoltare ci aiuta, forse, anche ad operare un necessario cambio di prospettiva: da uno sguardo un po’ risentito e sfiduciato sui giovani (…perché non vengono alla messa, non partecipano alle iniziative, non fanno scelte sempre 12

coerenti con la fede…), a uno sguardo più contemplativo e profondo, che ne coglie la bellezza e il valore, che pazienta, perdona, ama. “Accompagnare i giovani – precisa il documento in preparazione al Sinodo – richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi; significa anche prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare la realtà in cui vivono e a trasformare un annuncio ricevuto in gesti e parole, nello sforzo quotidiano di costruire la propria storia e nella ricerca più o meno consapevole di un senso per le loro vite.”. Non si tratta di somministrare questionari, ma di farsi vicino, di accostare e accompagnare con discrezione, andando oltre lo steccato dei nostri pensieri, delle nostre sicurezze e ragioni, per stabilire un dialogo sincero e un rapporto di reciproca fiducia, per ricercare insieme il senso autentico dell’esistere e, in esso, del credere, dello sperare, dell’amare. “Mettersi in ascolto”, come Chiesa, significa anche farci continuamente più attenti e disponibili ai segni della presenza del Padre dentro la realtà che viviamo, per riconoscere e discernere la sua voce e i suoi inviti, così che le nostre scelte e le nostre azioni siano sempre più conformi alla sua volontà. È una paziente

Non è tutto

amato da

facile, chiaro

Colui che

e immediato:

eternamente

ma tutto è

ama, ci ama.

e fiduciosa ricerca dell’opera di Dio, un discernimento comunitario di ciò che lo Spirito opera, suscita e chiede. Questo potrà significare e comportare l’avvio di una verifica seria e serena sulla qualità della nostra azione pastorale e, in particolare sul nostro sentire e agire l’annuncio della fede ai giovani, ma è una fatica alla quale ci sottoponiamo volentieri, perché all’annuncio della fede ai giovani e al loro accompagnamento non possiamo proprio rinunciare. Anzi è proprio al mondo giovanile che volgiamo con fiducia e speranza il nostro sguardo, consapevoli che possono essere essi stessi i protagonisti più autorevoli e efficaci dell’annuncio e della testimonianza di fede ai loro coetanei. I giovani stessi sono, per le nostre comunità cristiane e i nostri oratori, la risorsa più bella e gli alleati più validi per far incontrare Dio agli altri giovani. Per favorire alcune occasioni di incontro e ascolto dei giovani – e possibilmente di tutti i giovani, anche di quelli che non frequentano abitualmente i nostri ambienti e itinerari – mettiamo a disposizione degli oratori, dei gruppi e delle associazioni un semplice strumento che abbiamo chiamato listeners’ corner. Si tratta di una simpatica proposta – gestita e animata da un gruppo di giovani stessi – per inte-

13


ragire con altri giovani attorno ad alcune specifiche questioni. L’iniziativa – presentata Non è tutto facile, chiaro e immediato: ma tutto è amato da Colui che eternamente ama, ci ama. Dalla mia eternità cadono segni dettagliatamente da un apposito volantino illustrativo – è strutturata in diverse fasi con l’obiettivo essenziale di creare delle concrete occasioni di ascolto, di esposizione (metterci la faccia), ma anche di rilettura e di comprensione di quanto emerge dall’ascolto. In questo modo tentiamo di sentirci coinvolti e partecipi, anche a livello locale, di quanto la Chiesa, con il Sinodo dei Vescovi, vivrà in forma universale. Accanto a questa specifica proposta sarà importante continuare a coltivare una sensibilità, già per altro ben presente, per la vita e la vocazione di ogni giovane. Nella proposta degli itinerari formativi, delle iniziative annuali e estive (campi, pellegrinaggi, esperienze di missione e carità…), come in ogni occa-

sione di incontro e dialogo personale l’attenzione alla dimensione vocazionale della vita può costituire un preciso e chiaro riferimento e criterio orientativo per tutta la pastorale giovanile. In questo contesto – in modo particolare e specifico per i presbiteri – la cura all’accompagnamento personale, la disponibilità alla confessione, al discernimento e alla direzione spirituale divengono aspetti di primaria importanza per consolidare tutta l’opera di annuncio del Vangelo. Come ogni anno il lavoro e l’entusiasmo per portarlo avanti non ci mancano. In quest’opera ci sentiamo e ci poniamo, il più possibile, in comunione con il Padre e tra di noi, per poter realmente camminare insieme. Ci aiuterà sicuramente il Vescovo Pierantonio che, con tanta gioia e simpatia, accogliamo come un dono del Cielo e una guida sicura per la nostra diocesi.

LISTENERS' CORNER In ascolto dei giovani Il cammino della Chiesa verso il Sinodo sui giovani ci propone un anno dedicato all’ASCOLTO. La Chiesa bresciana vuole ascoltare tutti i giovani, in particolare quelli di cui non conosce la voce. Pronti ad ascoltare, mettendoci in discussione, guardando alla realtà, osservando difficoltà, speranze e desideri che ci verranno raccontati. Non è il momento delle risposte. È tempo di ascoltare! 14

lectio educativa ... di Marco Mori ...Dal Vangelo di Giovanni (Gv 6, 1-13) Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”.Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Rispose Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

“Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea”

risolvere i propri problemi. In questo contesto Gesù offre un profumo nuovo di pane appena sfornato e una pesca miracolosa mai compiuta e vista. È più forte la Il miracolo dei pani e dei pesci ha il profumo di sua novità, ma non si rifiuta di usare le cose di tutti i casa, gli odori della quotidianità e del lavoro del pescagiorni, perché la novità non sappia di irraggiungibile. tore, il legame con quello che, abitualmente, è necessario per sostenersi. Sembra proprio un miracolo dome“Gesù, alzati gli occhi, stico e simpatico, semplice e puro come un bicchiere vide una grande folla” d’acqua fresca. Casa c’è, di certo: ma anche un rapporto Non per niente il miracolo di Gesù parte dallo di tensione tra Gesù e la sua terra che il Vangelo non tace: questo miracolo è inserito nel contesto del tor- sguardo. Gesù alza gli occhi e vede la folla. Lo fa con mentoso rapporto che Gesù soffre con la Galilea. Vale uno sguardo diverso dai suoi compaesani e dai suoi dila pena sottolineare questa difficoltà che, letteralmente, scepoli, che è già un ascolto e un uscire da sé. Per anincornicia il prima e il dopo del miracolo: Gesù non è dare, per rinnovarsi, bisogna avere una visione nuova capito, anzi è rifiutato. Il suo modo di fare non è secon- dell’altro, che non è di giudizio, ma di comprensione. do la tradizione, secondo gli odori e i profumi di casa. Bisogna proprio scegliere di vedere qualcosa di diverso È una situazione che potremmo definire di pastorale da quello che ho sempre visto, da quello che è davan“trascinata”, “stanca”: Gesù non riesce a mettere la no- ti ai miei occhi. Gesù “comprende” sempre di più nel vità del Vangelo dentro a quello che i suoi compaesani suo sguardo la gente con i suoi bisogni, i discepoli a si aspettano, dentro le loro abitudini, alcune delle qua- cui chiede di guardare anch’essi in questo modo, la cali profondamente religiose. E questo sta mettendo alla pacità di non buttare via nulla… È uno sguardo così prova Gesù. L’ostilità e, soprattutto, l’incredulità della profondamente spirituale che coinvolge l’economia e gente di casa, però, non lo ferma e non lo intacca. La impegno, che non sfugge la concretezza della situamissione, come ogni missione, è più grande ed è più zione ma, appunto, la comprende, la prende con sé. La forte. Gesù, da buon educatore, rilancia la sfida e non prima riposta non è la soluzione del problema, ma la si ferma né ai sondaggi né alla propria esperienza: il decisione che quel problema possa e debba essere mio, Padre gli ha affidato di più! Più che altro i Galilei vo- possa rientrare nelle mie scelte, cambi le cose che sto gliono i segni, le prove, i risultati, le soluzioni. A loro, facendo e i progetti che ho costruito. Fra l’altro, il Vandi fatto, non interessa Dio: non vogliono vedere lui, ma gelo insiste sul fatto che Gesù sappia cosa sta per fare: 15


sue mani. Anche questo è ascolto, perché è consapevolezza di quello che si ha e che si è, è buttare tutto nelle mani di Gesù, è fidarsi di lui e non delle nostre capacità, è liberarsi dai nostri schemi e dalla fantasie sui nostri ipotetici superpoteri, è sapere chi è il Salvatore e che noi stessi siamo salvati perché, da soli, con quei pani e quei pesci non si va da nessuna parte. Questo ragazzo, con un solo gesto, diventa più discepolo dei discepoli. Apre la strada a tutti. Indovina a chi offrire il poco che ha. Fa l’investimento giusto, perché dona e non trattiene. Risolve il problema a tutti perché lo affida a Gesù.

“Fateli sedere”

lo sa bene e si lascia cambiare! Non siamo noi ad entrare nel mondo, è il mondo che entra nella nostra vita. O ci si lascia toccare, o non c’è ascolto, né spiritualità, né Vangelo. L’ascolto fondativo non è, quindi, uscire da sé, ma permettere all’altro (persona, problema, situazione…) di entrare nella mia vita, di cambiarmi nelle prospettive, nelle scelte, nei programmi, nella visione. Se non c’è questo passaggio, rischiamo un ascolto organizzativo, funzionale, ma non vero. Più rimbalza nella nostra profondità il suono dell’altro, più c’è la possibilità di creare una nuova armonia. L’ascolto ha bisogno di tempo, di spazio dentro di sé, di pazienza, di crescita: non si ripete nulla di creativo se non si cambia se stessi e il modo di vedere.

“Dove potremo comprare il pane? ... C’è qui un ragazzo”

Così Gesù parte da Filippo, lo mette in mezzo per capire se si lasci cambiare o meno da questa logica innovativa. E Filippo fa la cosa che gli riesce meglio: conta. Si difende. Certifica l’impossibilità della richiesta di Cristo. A ben guardare, lui divide, perché è Cristo che moltiplica. Fa il commercialista della povertà, mentre Gesù lo invita a certificare l’abbondanza. Filippo è invitato all’ascolto di Cristo, al suo ragionamento, al rovesciamento della propria logica terrestre. Il primo miracolo di Gesù è cambiare la testa e il cuore ai suoi discepoli, è convincerli a non rassegnarsi ad una logica

mortale ma diventare apostoli della vita, dell’abbondanza. Uscire è smettere di dividere e cominciare a moltiplicare. Andrea trova ed indica il ragazzo con i cinque pani e i due pesci. Non c’ è dato sapere il motivo per cui questo adolescente porti a Gesù quello che ha: potrebbe essere per l’insistenza invidiosa della folla, oppure perché ha intuito che Gesù da quel poco può fare molto. Sembra che all’evangelista interessi il fatto che il poco che si ha, comunque, in un modo o nell’altro, arrivi a Gesù. Da che parte arrivi o come arrivi poco importa: non si parte mai da motivazioni chiare e pulite, a Gesù basta il gesto; quanto questo dono sia, conta ancora di meno. Ma la bellezza che sia un ragazzo a portarlo è strepitosa: c’è tutta una vita nuova che sgorga da questo gesto, come è ovvio per un uomo che si affaccia alla vita. C’è la generosità di un dono da adolescente che non capisce ma che, pure, offre senza calcolare: comincia a cambiare la logica di Filippo e inizia la moltiplicazione di Gesù. C’è la curiosità furba di chi vuole proprio vedere cosa farà Gesù, quasi la voglia di provare se è proprio così forte come dicono in giro: non con la sicurezza scientifica di un ragionamento illuminista, ma con la sovrana libertà di chi la vita la vuole proprio toccare. È proprio da lì, dal punto più debole, da quello che deve ancora crescere che Gesù moltiplica. È da un gesto sincero di generosità che parte l’azione di Cristo. Non dal calcolo, non dalla logica, nemmeno dalla pedagogia educativa, ma dalla freschezza di mettere nelle 16

Gesù, però, non si limita a risolvere il problema della fame. Prima fa accomodare tutti. Il pane di Cristo lo si mangia comodi, quando ognuno è a suo agio. Non è una mensa aziendale, dove conta mettere qualcosa sotto i denti e il più velocemente possibile; è un banchetto dove sperimentare la fraternità è parte integrante del menù, dove lo stomaco ha le sue esigenze ma non sono le sole perché c’è anche il cuore per le relazioni e il cervello per i progetti futuri… Così Gesù sfama tante fami e la sua moltiplicazione non riguarda solo il bisogno di pane, ma anche quello di vita, di senso. Vince la solitudine perché rende veramente tutti amici; avere Lui ci permette di sentirci fratelli. L’abbondanza è davvero abbondanza, non è uno spot pubblicitario. Gesù dimostra di ascoltare e di rispondere a ciascuno secondo quanto gli serve: ad ognuno è data la possibilità di sfamarsi, “quanto ne volevano”. È un’abbondanza calibrata su tutta la possibilità della vita: non è spreco, ma pienezza. Sprechiamo quando ci ingozziamo. Qui si riconosce Lui e i fratelli, e quindi la vita circola e non viene trattenuta.

“Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” Prima di moltiplicare Gesù rende grazie. Loda il Padre perché gli dona la possibilità di moltiplicare. Non maledice il lavoro che deve compiere, ma lo benedice e lo offre. Moltiplicando, Gesù compie la volontà del Padre, continua la sua creazione, rinnova la vita, indica la fonte e il donatore, svela la logica profonda di ogni azione di Dio. La sterilità non è mai storia della salvezza e non possiamo mai giustificare teologicamente la nostra pochezza. Dio è dalla parte dell’abbondanza, a partire dal cuore che lo sa lodare: lo allarga al mondo e alla storia, non lo fa atrofizzare. Ai discepoli Cristo affida il compito di custodire e raccogliere la sua abbondanza. Di tenere vivo nella Chiesa il suo dono. Di non buttare via nulla perché non c’è nulla che venga da lui e che non serva alla nostra vita. Ascoltare è andare a cercare e trovare Cristo in ogni pezzetto, è maturare la consapevolezza che la sua azione ha raggiunto tutto e tutti, che lui ha già conservato il pane per tutto il suo popolo (dodici ceste traboccanti!). A noi non spetta inventarlo, ma accoglierlo, scoprirlo, vederlo, non rovinarlo, invitare a sfamarsi e non mandare via affamati… Essere custodi di questa abbondanza a 360° è il senso di ogni ministero nella Chiesa. Ma c’è un ultimo passaggio che la moltiplicazione dei pani e dei pesci regala al nostro cammino: Cristo ci permette di continuare a vivere con la sua fame. Siccome Gesù moltiplica tutto, anche la nostra fame di giustizia, di vita, di libertà, di pace non ne rimane immune. Forse è il regalo più bello che ci avvicina a lui: dimostrare che la sua moltiplicazione continua perché la sua fame, il suo sguardo, la sua logica continua in noi. Moltiplica in noi la sua ansia di Messia, perché la casa non sia più la Galilea ma tutto il mondo, perché il tempo non sia più il suo ma anche il nostro.

17


di José Tolentino Mendonça, teologo e poeta

P

ermettetemi di cominciare con una sorta di parabola. Qualche mese fa mi sono ritrovato fra le mani un libricino – una vera e raffinata perla – sulla filosofia del viaggio (argomento assai utile per un pastore!) e con un titolo piuttosto curioso: "La vocazione di perdersi." Piccolo saggio su come le vie trovano i viandanti. Ne è autore un geografo italiano. Ricordiamo tutti il personaggio del geografo ne Il Piccolo principe di Saint-Exupéry. È un saggio, totalmente sedentario, che rimane in attesa delle testimonianze che gli portano gli esploratori per poter disegnare le carte dei territori. Sono gli esploratori che valicano fiumi, montagne, oceani e deserti, e i loro racconti servono a lui per immaginare il mondo. Lui è un geografo, non un esploratore. Per questo, quando il piccolo principe gli chiede alcune informazioni concrete sul suo pianeta, non sa dire nulla. Ora, il caso di Franco Michieli, che è geografo ma anche esploratore, è molto diverso. I suoi libri sono narrazioni in prima persona e costituiscono inediti esercizi di cammino e di riflessione sulle esperienze che egli stesso ha vissuto. Il nostro tempo si caratterizza per una onnipresente tecnologia di mappatura e di comunicazione, alla quale noi tutti ricorriamo per i piccoli e grandi spostamenti quotidiani. Sembra che, senza, non sappiamo più vivere, né viaggiare, né pensare. Oggi uno smartphone connesso a internet fornisce informa-

zioni più dettagliate di un atlante; con il GPS ci sentiamo confortevolmente guidati per territori complessi e sconosciuti; e dello stesso modo ci affidiamo completamente agli itinerari che ci vengono proposti da “Google Maps”. Si direbbe che il mondo abbia smesso di avere necessità di esploratori! Proprio di questo parlava Papa Francesco nell’omelia del primo gennaio 2017, ricordandoci che «non siamo... terminali recettori di informazione». Cioè, non possiamo diventare sedentari dal punto di vista spirituale ed esistenziale dimenticando la nostra vocazione di esploratori! È vero che non possiamo essere dicotomici al punto di rifiutarci di vedere nell’attrezzatura tecnologica che abbiamo oggi a nostra disposizione anche un importante sussidio per le funzionalità della vita. Allo stesso tempo, non possiamo essere così ingenui da non percepire le mutazioni che, da questa esplosione tecnologica, vengono accelerate. A proposito del telefonino, per esempio, il filosofo Maurizio Ferraris parla addirittura di una nuova ontologia! E non lo fa per scherzare, dal momento che la telefonia mobile effettivamente modifica il comportamento umano. Immaginiamo che una persona ci chiami al telefono fisso e ci chieda: «Dove sei?». La risposta sarebbe stupita e scontata: «Dove vuoi che sia? Sono lì, dove mi chiami». Con il telefonino è tutta un’altra storia: si incomincia proprio chiedendo: «Dove sei?», visto che l’in18

terlocutore può essere dappertutto. A questo punto, chiedersi che tipo di oggetto è il telefonino diventa interessante. La verità è che siamo assediati da un eccesso di tecnologia (e penso alla tecnologia in senso materiale ed immateriale: le idee fatte, la cultura dominante, le abitudini, le mode…). Dobbiamo domandarci fino a che punto questo diventa un ostacolo ad una esperienza originale, radicata nella profondità, disponibile per il dono che compromette l’intera vita? Alle volte sembra che ci troviamo ad una crescente distanza da noi stessi e di conseguenza anche da Dio e dagli altri. Ci affidiamo senza un vero senso critico alle tecnologie varie e smettiamo di affidarci ai nostri occhi, al nostro tatto, al nostro udito. Ci allontaniamo così dall’esperienza. Diminuiscono le nostre competenze per il rapporto, per la vita condivisa, per le pratiche collaborative e comunitarie. Abbandoniamo velocemente la cultura dell’incontro. E, come dice Papa Francesco nella stessa omelia, diventiamo catturati per la «orfanezza autoreferenziale», per una pericolosa «orfanezza spirituale», «dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno, (...) facendo perdere la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione». Questa sembra la fatalità del nostro presente. La proposta di Franco Michieli va salutarmente in senso contrario. Per questo introduce un’espressione che può suonare strana, ma molto ricca di suggerimenti. Lui parla della vocazione di perdersi. Con questa espressione ci raccomanda di rinunciare a carte, bussole e GPS per consegnarci, disarmati, all’avventura del cammino, senza altri strumenti di navigazione se non l’osservazione del sole e delle stelle, l’attenzione alla configurazione del territorio e alle sue linee, e soprattutto il radicale affidarsi del viaggiatore al viaggio, lasciando che sia il cammino a rivelarsi e a guidare i suoi passi lungo il percorso. Si tratta di un elogio della esperienza, di un ritorno alla necessità intramontabile dell’esperienza. Senza di lei perdiamo di vista la vita nella sua sorprendente originalità, nella sua capacità di esprimere la grande chiamata dell’assoluto. La vita diventa autoreferenziale, piccola, piena di contraffazioni e svuotata di senso e di amore. Ma c’è speranza! Nella grammatica degli esploratori, come spiega Michieli, non sono i viaggiatori che vanno in cerca delle strade, ma le strade che non cessano di venire, sempre e di nuovo, incontro ai viaggiatori. È l’inversione del paradigma culturale dominante. Ed è, ci permettiamo di dirlo, la visione evangelica. Molti, forse, si domanderanno cosa venga a fare un alpinista in un’assemblea come la nostra. Un geografo-esploratore che cosa potrà

mai insegnare a un’assemblea di religiosi, formatori e teologi che si occupano del tema delle vocazioni nella Chiesa? Io penso che una testimonianza del genere abbia qualcosa da dirci, in primo luogo, per la sua stessa storia. È un geografo che non rimane chiuso in una scienza astratta. In effetti, la competenza per interpretare e orientare la realtà è molto importante, purché la realtà esista. Michieli è un geografo-esploratore. Ossia non mette tra parentesi l’esperienza, la relazione con il concreto, il contatto con il reale, la profondità del viaggio praticato. Domandiamoci allora se noi (religiosi, formatori e teologi) non sembriamo, in certi momenti, dei produttori di guide di viaggio per luoghi che non abbiamo visitato. Ricordiamo l’episodio inaugurale della vocazione di Mosè nel deserto: «Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel

19


tempo della profezia, della missione, della speranza

Per gli esploratori non sono i viaggiatori che vanno in cerca delle strade,

roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”» (Es 3,1-4). Prestiamo attenzione al verbo che Mosè utilizza: «Voglio avvicinarmi». Cioè, mi addentrerò il più possibile, entrerò dentro, come se mi immergessi in ciò che mi sta di fronte. Quando si lasciò soddisfare dalle visioni parziali, distanti e nebulose, quando con tutte le sue forze desiderò una chiara certezza per le domande del suo cuore, il libro dell’Esodo ci dice che «il Signore lo vide… e lo chiamò». Il Signore è pronto a chiamarci. Addentriamoci. Abbandoniamo una spiritualità vaga, in cui siamo spettatori dispersi. Cerchiamo Colui che conferma, Colui che dà consistenza al nostro desiderio. Apprendiamo anche dal racconto della vocazione del profeta Samuele: «Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: “Samuele!” ed egli rispose: “Eccomi”, poi cor-

ma le strade che non cessano di venire incontro ai viaggiatori

se da Eli e gli disse: “Mi hai chiamato, eccomi!”. Egli rispose: “Non ti ho chiamato, torna a dormire!”. Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: “Samuele!”; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi!”. Ma quello rispose di nuovo: “Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!”. In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: “Samuele!” per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi!”. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: “Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: ‘Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta’”. Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: “Samuele, Samuele!”. Samuele rispose subito: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”». «La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti». Sembra un sommario realista della nostra esperienza: anche il nostro quotidiano si fa rarefatto, frammentario e assente in relazione alla manifestazione di Dio. Però, sottolineiamo la frase straordinaria dell’autore sacro: «La lampada di Dio non era ancora spenta». Dio è fedele alla Persona umana e alla storia. Anche in situazioni ed età agitate da venti e turbolenze, la nostra fiducia risiede in questo:

20

«La lampada di Dio non era ancora spenta». Ci dice il testo che Samuele non conosceva ancora il Signore: e noi, lo conosciamo? Samuele si sente chiamato, ma reagisce in modo equivoco, credendo che sia Eli che lo sta interpellando. Finché è aiutato a rivolgersi verso il Signore e ad affermare: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta». Il Signore non smette mai di comunicare con noi, ma è necessaria una pedagogia spirituale che ci aiuti a far tornare a Lui i nostri sensi interiori. «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta»: non è questa l’unica via vera e feconda di una pastorale vocazionale per tutta la Chiesa? Sottolineo tre affermazioni di Franco Michieli che possono forse dialogare con i tre tempi che costituiscono il titolo di questa conferenza: profezia, missione e speranza. Le rammento velocemente: i momenti in cui non si conosce il cammino sono i più interessanti; quando ci rapportiamo con l’ignoto, esso si rivela; non sono i viaggiatori che trovano le strade, ma il contrario: le strade trovano i viaggiatori.

Il tempo della profezia Guardiamo al primo tempo, quello della profezia, con l’affermazione che gli corrisponde: «I momenti in cui non si conosce il cammino sono i più interessanti». Noi siamo abituati a considerare la profezia solo da un punto di vista positivo. È profetico ciò che si afferma in un modo nuovo; sono profetici il germoglio e il seme che recano la promessa di una rivitalizzazione; è profetico ciò che instaura immediatamente la speranza; è profetico ciò che inverte la statistica della diminuzione; è profetico ciò che indica una soluzione al nostro

Domandiamo- guide di viaggio ci allora se noi per luoghi che non sembriamo non abbiamo dei produttori di visitato. problema. Ma sappiamo che, a fianco di una teologia catafatica, esiste la teologia negativa, o apofatica, quella consapevole che anche il silenzio di Dio può essere parola di Dio. «I momenti in cui non si conosce il cammino sono i più interessanti». Non sarà che questa stagione storica che stiamo vivendo – in cui la parola “crisi” è diventata quasi banale per quanto spesso è ripetuta; in cui gli indicatori nel campo vocazionale sembrano non riuscire a corrispondere al quadro delle necessità; in cui tanti guardano con timore al futuro perché hanno capito che la forma delle diverse realtà religiose ed ecclesiali non potrà più rimanere con la stessa configurazione; in cui tanti amerebbero una soluzione rapida per tante interrogazioni che emergono, ma non ne vedono la via –, non sarà che questa stagione è alla fine un kairós, un’occasione anche di grazia, un tempo che ci sta parlando profeticamente? È certamente un momento critico, disseminato da tanti spasmi di dolore, ma non staremo assistendo, senza rendercene conto, a un parto? La profezia non può essere ridotta a un impulso di soddisfazione immediata. La vera profezia è molto spesso segnalata da una carenza, da una insoddisfazione che diviene principio dinamico, purificatore e proiettivo. La profezia ci chiama ad approfondirla continuamente. Un esempio clamoroso ce lo dà il profeta Geremia. L’esercito del re di Babilonia assediava allora Gerusalemme e il profeta Geremia era rinchiuso nel cortile della prigione

21


che era nella casa del re di Giuda. E la parola dell’Eterno gli fu rivolta in questi termini: «Ecco, Canameel, figlio di Sallum, tuo zio, viene da te per dirti: “Còmprati il mio campo che è ad Anatot, poiché tu hai il diritto di riscatto per comprarlo”» (Ger 32,7). Il profeta non riesce a cogliere il senso di questa parola e dell’evento associato. Però, con fiducia, avanza nel senso di quello che avrà udito di Dio. E nella preghiera spiegherà la sua perplessità: «Ecco, le opere d’assedio giungono fino alla città per prenderla; la città, vinta dalla spada, dalla fame e dalla peste, è data in mano dei Caldei che combattono contro di lei. Quello che tu hai detto è avvenuto, ed ecco, tu lo vedi. Eppure, Signore, DIO, tu mi hai detto: “Còmprati con denaro il campo, e chiama dei testimoni”, ma la città è data in mano dei Caldei» (Ger 32,24-25). Non è questo tempo di crocevia epocale ed incertezza, in cui ci sentiamo assediati, proprio il tempo per acquistare un campo novo? «I momenti in cui non si conosce il cammino sono i più interessanti».

Il tempo della missione Nella suggestiva immagine di Franco Michieli si disegna una sorta di processo in tre tappe per parlare dell’esperienza del viaggio: rischiare la relazione, abbracciare lo sconosciuto, lasciare che la rivelazione avvenga. Credo siano parole chiave anche per pensare la missione. Prima di tutto viene la relazione. Non dimentico che la filosofa Simone Weil suggeriva che la traduzione del versetto iniziale del prologo di Giovanni – «In principio era il logos» – dovesse essere: «In principio era la relazione». La missione non è una realtà astratta, gestita a distanza o compresa teoricamente. La missio-

ne, come insegna Gesù, come non cessa di ricordarci Papa Francesco, è accettare il rischio della relazione. E non possiamo restare in attesa di garanzie, o di sapere tutto in anticipo. È vero che si ama solo quel che si conosce. Ma la nostra conoscenza non può pretendere di fissare per sempre l’altro in una determinata immagine. Amare è anche abbracciare lo sconosciuto, cioè la possibilità, quello che è ancora aperto, quella irriducibile libertà che rende ciascuno unico e ogni momento della storia un’opportunità per la Grazia. È sintomatico il fatto che Gesù non fornisca ai discepoli molte indicazioni sulla missione. Si limita a dire loro: «Andate… Non portate borsa, né sacca, né sandali... In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”... Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno... Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10,3-9). I discepoli non portano né borsa né bisaccia: non vivono né della loro autosufficienza né di elemosine. I predicatori cinici dell’epoca di Gesù andavano mendicando il proprio nutrimento. E, nella tradizione giudaica, erano note altre forme per ottenere una giusta remunerazione per l’attività missionaria. I discepoli di Gesù, dal canto loro, condividono un annuncio e ricevono una comunità, che è rappresentata dalla tavola e dalla casa. Entrano in contatto diretto con la realtà. Si pongono a fianco degli uomini. Hanno fiducia. Entrano nelle loro case e nelle loro vite. Camminano con loro. La tavola, per esempio, è una sorta di frontiera simbolica: ci pone radicalmente dinanzi all’altro, davanti all’ignoto dell’altro che si apre. L’elemosina molte volte è l’ultimo grande rifugio

22

tempo della profezia, della missione, della speranza

Il cristianesimo contrasta la paura dello sconosciuto:

della coscienza davanti alla paura e al disturbo che la commensalità rappresenta. La tavola avvicina, espone, genera reciprocità. Per questo il viaggio missionario di quei primi discepoli rappresenta la più lunga traversata del mondo greco-romano, o forse di qualsiasi mondo: il passaggio dalla soglia della porta all’ignoto della tavola. Le regole della purità e i codici d’onore, vitali nella strutturazione delle società mediterranee del primo secolo, saranno scossi dallo sviluppo delle comunità cristiane, che assorbono, in una pratica fraterna, genti e costumi dalle più svariate provenienze. Il cristianesimo è nato e si è affermato contrastando la paura dello sconosciuto. Tentando con lui una relazione, che solo può essere una relazione di amore, di tempo condiviso, di compagnia. Nella parabola del buon samaritano (che dobbiamo leggere pure in chiave vocazionale, perché è la chiamata che Dio ci fa nel fratello più povero e bisognoso), non possiamo dimenticare che il samaritano trascorre tutta la notte accanto all’uomo ferito e «si prese cura di lui» (Lc 10,34). Solo il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi adesso tu cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno» (Lc 10,35). La notte del samaritano è icona della vita intera di un pastore che insegua lo stile di Gesù. La vocazione alla missione, secondo il modo di Gesù e seguendo i suoi passi, altro non è se non una vocazione di perdersi. In questa linea si pone la richiesta di Papa Francesco ripetuta ai pastori. «Questo io vi chiedo: siate pastori con l’“odore delle pecore”, che si senta quello». L’odore sollecita un contatto “fusionale”, un contatto al tempo stesso immediato e profondo. Un odore, per esempio, è molto diverso da un’immagine: nell’immagine, la relazione tra soggetto e oggetto è dell’ordine della rappresentazione, mentre la percezione olfattiva ci si incolla addosso, è puro impregnarsi. L’immagine parla di un oggetto che è fuori da noi, ma quando l’olfatto segnala un profumo è perché lo abbiamo già addosso. In alcuni testi profetici troviamo una variazione significativa. Nel libro del profeta Ezechiele, parlando del popolo che dovrà tornare dall’esilio, «così dice Dio: Io vi accetterò come soave profumo» (Ez 20,41). Qui, chiaramente, il soave profumo è quello del popolo stesso. A Dio non basta l’odore delle nostre greggi o quello della rugiada sui nostri campi. Gradito a Dio è l’odore del suo popolo, quel segnale di presenza, quella

tentando una relazione, che può essere di amore, di compagnia...

biografia scritta in modo tanto intenso senza neanche una parola. Più tardi, nel Nuovo Testamento, per l’esattezza nelle parole di Paolo, viene detta la stessa cosa, ma con una veemenza e con un ampliamento semantico che danno molto da pensare. Nella seconda Lettera ai Corinzi l’apostolo scrive: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo» (2Cor 2,15). Così come Ezechiele, Paolo fa dell’odore una metafora della vita. Noi siamo odore, l’odore è la nostra vita, è il dono ricevuto da Dio. Ma dice qualcosa che il profeta non poteva indovinare, infatti se siamo «dinanzi a Dio il profumo di Cristo», allora è Cristo in noi a permettere l’oblazione, ad assicurare l’offerta, a fare della nostra vita un dono. Ciò che deve entrare nelle nostre narici è questa buona novella: siamo di Cristo. È attraverso Cristo, con Cristo e in Cristo (la formula tanto cara alla teologia di Paolo) che siamo quel profumo che sale fino a Dio (2Cor 2,14).

Il tempo della speranza Quando cerco qualche immagine per definire la speranza, mi viene spesso in mente quella che in architettura è chiamata “copertura”, o “punto di vista di Dio”. Una casa, per esempio, ha quattro pareti perimetrali che riusciamo a vedere bene e a tenere sotto controllo,

23


tempo della profezia, della missione, della speranza

L’uomo ha bisogno di scoprire la sua vocazione divina,

ma la quinta, cioè il tetto, ci sfugge. La quinta parete è quella parte di realtà che è presente eppure non vediamo: solo Dio la vede. Per questo gli architetti la chiamano “il punto di vista di Dio”. Che cosa potrebbe dunque essere la speranza? La speranza sarebbe, in sintesi, la possibilità presente di contemplare il mondo con gli occhi di Dio. San Paolo ricorda che «adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12). Questa è la promessa. Dobbiamo adottare il “punto di vista di Dio”. In un romanzo di Karen Blixen che amo molto, La mia Africa, c’è la descrizione di un viaggio in aereo che evidenzia il punto di vista di Dio (cioè il sentimento estasiato di Dio per l’uomo e per il mondo). Vedere con gli occhi di Dio è apprendere a guardare con amore. Nel romanzo di Karen Blixen si dice, in una pura estasi: «All’improvviso, appare il lago. Visto dall’alto, il fondo bianco scintillante, attraverso l’acqua, crea una tinta azzurra incredibile, irreale, di una luce accecante… Al nostro avvicinarsi [migliaia di fenicotteri] si sparpagliarono, in grandi cerchi o a ventaglio, come raggi del sole al tramonto». Ora domando: che cos’è che noi siamo soliti raccontare? Quale punto di vista adottiamo per osservare la realtà? Che cosa ve-

ha bisogno di vedersi amato e chiamato.

diamo, quando guardiamo? Michelangelo diceva che le sue sculture non nascevano da un processo di invenzione, ma di liberazione. Osservava la pietra grezza, totalmente informe, e riusciva a vedere ciò che sarebbe diventata. Per questo, quando descrive il suo mestiere, lo scultore spiega: «Io non faccio altro che liberare». Sono persuaso che le grandi opere di creazione (come quel momento in cui una donna o un uomo si trovano posti di fronte alla questione della propria vocazione) nascano da un processo simile, per il quale non so trovare espressione migliore della seguente: esercizio di speranza. Senza speranza notiamo solo la pietra, il suo aspetto grezzo, un ostacolo faticoso e insormontabile. È la speranza che apre uno spiraglio, che fa vedere, al di là delle dure condizioni attuali, le ricchezze di possibilità che vi sono nascoste. Solo la speranza è capace di dialogare con il futuro e di renderlo vicino. La nostra esistenza, dal principio alla fine, è il risultato di una professione di speranza. E il tempo della speranza ci fa comprendere quello che il geografo-esploratore diceva: non è il viaggiatore che sceglie la strada; egli, piuttosto, si scopre prescelto e chiamato. È forse questo l’annuncio più urgente e necessario. Forse il problema delle vocazioni nella Chiesa ci chiede di riscoprire la vocazione dell’uomo e di potenziare tale annuncio. L’uomo ha bisogno di scoprire la sua vocazione divina, ha bisogno di vedersi amato e chiamato. Il nostro tempo assomiglia troppo al commento degli ultimi braccianti messi a contratto nella parabola dei lavoratori della vigna. Quando viene loro domandato perché se ne stiano inutilmente in quel luogo, senza dare un senso al tempo della loro vita, essi rispondono: «Perché nessuno ci ha presi a giornata» (Mt 20,7). La traduzione della Vulgata va ancora più a fondo: «Quia nemo nos conduxit» («Perché nessuno ci ha guidato»). C’è, nel cuore umano, carenza di Dio e di assoluto. Quando la speranza non ci fa sentire il suo tocco, pare che nessuno ci guidi. Consentitemi di citare una poesia di una grande scrittrice portoghese, Sophia de Mello Breyner Andresen: Ascolto ma non so se ciò che sento è silenzio, o Dio ascolto senza sapere se sto sentendo 24

il risuonare delle pianure del vuoto o la coscienza attenta che nei confini dell’universo mi decifra e fissa so appena che cammino come chi è guardato amato e conosciuto e per questo in ogni gesto metto solennità e rischio. Nello sguardo di Gesù troviamo quello amorevole di Dio, che va alla ricerca dell’uomo nel luoghi più impensati per trasforma re il suo cuore. Quando Zaccheo sale sul sicomoro, spinto da una curiosità che avrebbe potuto fermarsi lì, Gesù si avvicina e dice, fra lo stupore generale: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Sarà passato per la mente di Zaccheo che quel predicatore sarebbe andato a cercarlo, di propria iniziativa, per farsi ospitare da lui? È la sorpresa di Dio. E quando Zaccheo si sente osservato in quel modo, la sua vita si trasforma. In piedi, annuncia: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). So appena che cammino come chi è guardato amato e conosciuto e per questo in ogni gesto metto solennità e rischio. Il dialogo che avviene vicino al pozzo, nel Vangelo di Giovanni, comincia quasi con una successione di malintesi. Il primo: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» (Gv 4,9). E poi: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva?» (Gv 4,11). La svolta si verifica quando la donna capisce, attraverso l’esempio della sua stessa vita, che Gesù non si lascia ingannare dagli equivoci superficiali, ma guarda in profondità. Quella donna inizialmente riluttante va al villaggio a

dire: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?» (Gv 4,29). Cristo è il terapeuta dello sguardo. Tende per noi il ponte che ci fa passare dal vedere chiuso al contemplare fiducioso e dal semplice sguardo alla visione della speranza. Domandiamo di nuovo: cosa venga a fare un geografoesploratore in un’assemblea come la nostra? Che cosa potrà mai insegnare sul tema delle vocazioni nella Chiesa? La nozione più esatta di viaggiatore la devo a Jacques Lacarrière, che lo descrive così: «Il vero viaggiatore è colui che, in ogni nuovo posto, ricomincia l’avventura della propria nascita». Credo fermamente che, nel viaggio, sia in gioco proprio questo tentativo, più cosciente o più implicito, di ricostruzione di se stessi. Le frontiere esteriori ci rimandano in modo persistente a una frontiera interiore. La geografia tende inevitabilmente a farsi metaforica, e chiunque cammini sulla terra, a un certo punto si renderà conto, con dolore e con speranza, che sta camminando soprattutto dentro di sé. Si ricredano, infatti, quanti pensano che i viaggi siano soltanto esteriori. Quella che gli occhi percorrono non è solo la cartografia del paesaggio. Spostarsi, che lo si voglia o no, implica un cambio di posizione; un’alterazione della prospettiva abituale; una maturazione del proprio sguardo; un riconoscimento del fatto che ci manca qualcosa; un adattamento a realtà, tempi e linguaggi, o la scoperta dell’incapacità di farlo; un inevitabile confronto; un dialogo faticoso o affascinante che ci assegna, necessariamente, un nuovo compito. L’esperienza del viaggio è l’esperienza della frontiera e dell’aperto, di cui in ogni tempo, abbiamo bisogno. Il cammino emerge come dispositivo ermeneutico fondamentale.

25


Il ricordo nominativo dei defunti nelle messe Nelle messe della domenica possono essere citati i nomi dei defunti anche senza nominarli nel canone? In diocesi da tempo cìè il divieto di nominare i defunti nel canone per evitare che la messa venga considerata una proprietà privata. La problematica è sorta con la messa nella lingua parlata. In quella preconciliare in latino era possibile nominare i defunti solo nelle orazioni delle messe proprie per i defunti (esequie, trigesima, anniversario...), oppure nel canone sempre, ma solo mentalmente. Con l’introduzione della lingua compresa da tutto il popolo il nome del defunto è diventato un elemento affettivo importante, ma non senza un’accentuazione della concezione privatistica della messa. Per evitare questo scoglio, la riforma liturgica non prevede il ricordo nominale dei defunti in tutte le preghiere eucaristiche e in alcune di esse solo quando si celebra la messa propria pro defunctis. Deve apparire chiaro che la celebrazione della messa è sempre e fondamentalmente per tutti i defunti (cf lndulgentiarum dottrina 20). Con tutto ciò è umanamente comprensibile il desiderio di udire il nome dei propri defunti nella preghiera della comunità. Una risposta della Congregazione per il culto divino del 1969, concedeva di usare la formula prevista all’interno della preghiera eucaristica per ricordare i defunti dei quali si fa una particolare memoria. Di fronte alla mentalità privatistica della messa alcuni vescovi proibirono negli anni ’80-’90 di nominare pubblicamente singoli defunti nelle messe domenicali, perché queste fossero concepite come autentiche celebrazioni di tutta e per tutta la comunità. Con gli stessi intenti, la Congregazione per il clero nel 1991 emanò un decreto che, a precise condizioni, permette di ricordare più defunti nell’unica messa. Ciò ha condotto a instaurare la prassi di nominare, nelle messe quotidiane, i defunti di cui si fa particolare memoria all’inizio della celebrazione o/e durante la preghiera dei fedeli. Con un linguaggio privo di ambiguità: non dicendo «La messa è per...», ma: «Ricordando tutti i defunti, oggi facciamo particolare memoria di...». Le norme liturgiche vanno osservate con saggezza. don Silvano Sirboni parroco e docente di liturgia

Cremazione: è cambiato qualcosa? Le ultime disposizioni della Congregazione per la dottrina della fede

I giornali ne hanno parlato dando l’impressione che l’autorità ecclesiastica sia intervenuta per porre restrizioni alla pratica della cremazione, dichiarata lecita dalla stessa autorità fin dal 1963, ma non è così. La Congregazione per la dottrina della fede è invece opportunamente intervenuta nel 2016 con un’Istruzione (Ad resurgendum cum Christo) per evitare la diffusione di alcune pratiche che, prima ancora di oscurare la fede, sembrano poco rispettose della morte e del comune sentire umano di fronte a questo mistero. È forse serio e rispettoso trasformare le ceneri dei nostri cari in un brillante? Più che un segno di affetto non sembra piuttosto un estroso esibizionismo? Le ceneri conservate in casa intendono esprimere un grande affetto ma, passata la prima generazione, non rischiano di diventare imbarazzanti? E poi che ne faranno? Ci sono persone credenti che desiderano che le loro ceneri siano disperse nella natura. Una scelta in buona fede, ma non si rischia di cancellare più facilmente la memoria dei nostri defunti e la realtà stessa della morte che i cimiteri tengono invece opportunamente viva? Il documento della Congregazione, pur manifestando la preferenza per la tradizionale sepoltura del corpo, ribadisce la liceità della cremazione che «non è di per sé contraria alla religione cristiana» e «non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo» in qualunque modo esso si dissolva (cfr. nn. 1 e 4). L’Istruzione non dice nulla di nuovo, non stabilisce pene disciplinari se non per chi ha scelto notoriamente la cremazione per ragioni contrarie alla fede al quale, per rispetto della sua volontà, non sono concesse le esequie cristiane. La Congregazione precisa autorevolmente per la Chiesa universale le norme che, grosso modo, sono già in vigore anche nella Chiesa italiana dal 2011: «La prassi di spargere le ceneri in natura oppure di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, come, ad esempio, nelle abitazioni private, solleva non poche domande e perplessità. La Chiesa ha molti motivi per essere contraria a simili scelte» (Rito 26

delle esequie, n. 165). La Congregazione toglie ogni perplessità e afferma che «la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita», salvo il caso «di circostanze gravi ed eccezionali» e con il permesso del vescovo (n. 6). L’Istruzione esorta perché le urne cinerarie siano collocate nei cimiteri poiché favoriscono «il ricordo e la preghiera per i defunti» (n. 3). Noi potremmo aggiungere che i cimiteri (almeno nella loro originaria identità cristiana) manifestano quella comunione battesimale che ci fa un solo popolo nella Chiesa, un unico corpo in Cristo, solidali con lui nella vita, nella morte e nella risurrezione. don Silvano Sirboni parroco e docente di liturgia

Anche il modo di stare in chiesa fa parte dei segni liturgici Da quando le chiese sono meno affollate risalta sempre di più il fenomeno di sedersi fra i banchi in ordine sparso, ben distanti gli uni dagli altri e soprattutto cintando accuratamente le prime file. All'invito del presidente ad avvicinarsi, anche per compattarsi, la risposta è nuda (tranne uno o due che si spostano), se non bizzarra ("Non mi avvicino perché i primi banchi sono per quelli che vogliono farsi vedere..." o "questo è il mio posto da sempre..."). Il dibattilo si fa ancora piu interessante quando qualcuno osserva che non è il caso di dare indicazioni in merito, perché ognuno deve trovare la “propria dimensione'’. Ah sì? Questo mi lascia molto perplesso: la liturgia ha decine di accorgimenti per accorpare, unire, unificare, armonizzare. Potrei continuare molto su questo argomento, ma credo di essermi spiegato e vengo alla domanda: il modo di occupare i banchi non fa parte dei gesti liturgici? E' davvero così ininfluente sedersi insieme o stare tutti sparpagliati? Sì, il modo di stare in banchi o sedie durante l’assemblea fa parte dei gesti, o meglio, dei segni liturgici. Infatti, l’assemblea è l’elemento costitutivo della celebrazione liturgica, anzi è il soggetto principale che è chiamato a manifestare chiaramente l’unità dei figli di Dio. La celebrazione eucaristica, vertice di tutto il culto cristiano, è stata istituita, certamente, per fare la comunione, ma nel contesto di un’assemblea chiamata in primo luogo a “fare comunione”, a essere segno e progetto del corpo ecclesiale di Cristo. L’apostolo Paolo ammonisce severamente la comunità di Corinto perché dividendosi durante la santa cena «non riconosce il Corpo del Signore» e, pertanto, mangia il pane e beve al calice indegnamente (cf 1 Cor 11,17-29). Tutta la riforma liturgica scaturita dal Va-

ticano lI ha un comune denominatore: fare, alimentare e manifestare l’unità della Chiesa. Le norme per la costruzione di nuove chiese, come quelle che riguardano l’adeguamento delle chiese già esistenti, secondo la riforma liturgica, mirano in modo particolare a «favorire la formazione di un’assemblea unitaria - priva di divisioni al suo interno - e la partecipazione attiva di tutti i fedeli all’azione liturgica» (Commissione episcopale per la liturgia, Adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, 15). Perché, allora, è sovente così diffìcile fare veramente assemblea? Sarà, forse, perché ci sono ancora alcuni che, condizionati dalla prassi preconciliare, intendono la messa come semplice spazio per pregare individualmente? Sarà, forse, perché anche la partecipazione attiva è stata intesa piuttosto come attivismo senz’anima che non coinvolge veramente, esternamente e interiormente i fedeli? Sarà, forse, perché tanti fedeli si sentono un po’ come al supermercato dove si è in tanti, ma ognuno fa le proprie compere? Per fare comunione bisogna “sentirsi a casa”. Forse le nostre comunità, nonostante questo nome, sono prive di autentiche esperienze comunitarie che si riflettano anche nell’assemblea eucaristica nel giorno del Signore. Resta, comunque, il fatto che entrando in certe chiese si è sovente avvolti da un clima di freddo anonimato che non invita certo a collocarsi gli uni accanto agli altri. Con o senza ministri dell’accoglienza, non sarebbe forse opportuno restituire alla messa parrocchiale della domenica la sua originaria dimensione familiare di gioioso e fraterno incontro occupando, ad esempio, lo spazio che precede l’inizio della celebrazione per favorire l’accoglienza, per salutare vecchi e nuovi amici, per provare insieme qualche canto che verrà eseguito poi durante la celebrazione? Senza questo fondamento umano, che è importante, viene a mancare la base per costruire la Chiesa nella dinamica dell’incarnazione. don Silvano Sirboni parroco e docente di liturgia

27


LA NOSTRA VITA HA BISOGNO DI UNA BUONA NOTIZIA?

I SEGNI DEL REGNO

Credente e cristiano sono la stessa cosa? NO. Credente= chi crede in una fede religiosa. Cristiano= riferito a Gesù Cristo e alla religione da lui rivelata. - La Chiesa è il sicomoro. - Vale la pena scommettere in Dio perché comunque hai vissuto bene. - Lo stare insieme bene e l’altruismo è il valore. - La felicità la trovi non in te stesso, ma nel relazionarsi con l’altro nello scambio reciproco. - Vale la pena di essere cristiani? Si - Resurrezione: inspiegabile. Nel vivere quotidiano c’è comunque qualcosa che si collega all’aldilà.

Nell’ultimo incontro di catechesi del secondo anno, noi genitori ci siamo trovati a dover rispondere alla domanda “cosa sappiamo di Gesù?”. Nei cinque gruppi è emerso che in quell’epoca la gente seguiva Gesù in quanto timorati, perché portava “novità e scompiglio”, stravolgendo le regole del momento. Con i suoi atteggiamenti d’amore verso il prossimo aveva attirato tanta gente che credeva in Lui e che iniziò a predicare in suo nome, successivamente alcune delle persone più restie nei suoi confronti iniziarono a credere vedendo di persona i miracoli compiuti. Purtroppo al giorno d’oggi molti vedono il miracolo solo dopo aver vissuto una brutta esperienza risolta. Per esempio un figlio che si salva dopo un brutto incidente, oppure una gravidanza inaspettata dopo aver avuto per anni delusioni e la convinzione di non poter avere figli, o ancora la guarigione, inaspettata anche dai medici, da una brutta malattia. Tutte queste esperienze sono conferme di “MIRACOLO” di vita vissuta da alcuni dei nostri genitori che credono addirittura di vivere quotidianamente il miracolo, affidandosi anche per i piccoli problemi di tutti i giorni alla preghiera fiduciosi nell’aiuto di Dio. In particolare vi raccontiamo la storia di due genitori che hanno ritenuto MIRACOLO quanto accaduto: durante il periodo di Natale di qualche anno fa, all’inizio della gravidanza la mamma ha avuto dei problemi e dopo essersi recata in ospedale le è stato comunicato che il battito del bambino non c’era più e le è stato prescritto il raschiamento. Con tristezza ma anche con la convinzione che andasse tutto bene nonostante la visita precedente, la mamma si è recata in ospedale per l’intervento. Erroneamente un’infermiera aveva messo una cartella clinica sopra alla sua e il medico, nella confusione, ha così deciso di controllare con un’ecografia prima di procedere all’intervento. Miracolosamente, e con stupore dei presenti ,si è sentito il cuore del bambino che non aveva mai cessato

genitori del 2° anno ICFR

genitori del 1° anno ICFR

1) Credente è colui che crede in un Dio magari non ben specificato, in un principio superiore, mentre il Cristiano si identifica in una serie di valori, di pratiche e di principi che sono quelli del Vangelo e li mette in pratica attivamente nella sua vita. Dunque credente e cristiano non hanno lo stesso significato. 2) Tutti concordiamo nel credere in Dio e in Gesù Cristo per quanto alcuni abbiamo evidenziato una discrasia tra la religione cristiana e la Chiesa, in quanto questa è fatta di uomini che sono spesso fallibili. 3) Siamo d’accordo nel dire che crediamo nella nostra religione perché è la nostra, senza bisogno quindi di sminuire altre religioni. 4) Vale la pena…? Successo materiale e principi morali non coincidono. 5) La fede dal punto di vista “pratico” ci offre una serie di seri principi che orientano la vita di tutti i giorni, dal punto di vista “emotivo” può offrire una serenità e una pace interiore che forse sarebbero altrimenti difficili da sperimentare. 6) La maggior parte di noi ritiene che non ci sia contraddizione tra credere nella scienza e credere nella religione E’ importante ricordare che i figli imparano più da quello che vedono che noi facciamo (crediamo, viviamo …) che da quello che noi comunichiamo o insegniamo loro.

28

Credente e Cristiano non si equivalgono, non sono la stessa cosa, ma spesso molti si professano cristiani non praticanti. Abbiamo certamente alcuni valori comuni da cui partiamo per sederci qui ad un tavolo tutti insieme. Allora ci si chiede: se fossimo ad esempio musulmani faremmo lo stesso? La risposta che tutti hanno dato è: "molto probabilmente no" perché sono due tipi di religione diverse. Non tutti pratichiamo e non sempre, ma abbiamo un'ottica simile, un comune modo di vedere le cose. Il ritrovarci qui è un'opportunità e questo impegno non deve essere vissuto come "colpa da espiare". Noi siamo qui per dare anche un'opportunità ai nostri figli, poi se – una volta cresciuti – dovessero decidere di allontanarsi da questo percorso spiacerà per loro, ma sarà pur sempre una decisione loro e non un obbligo o un'imposizione dei genitori. Il senso di colpa non ci deve essere, perché altrimenti si rischia che (tra sei anni) siamo di nuovo qui a pensare che la fine di questo percorso sia "una liberazione". - Cos'è cambiato da quaranta/cinquant'anni fa? Una volta c'era più malessere, si stava peggio e quindi molte persone erano più vicine e legate alla Chiesa trovando un'ancora a cui aggrapparsi, per credere e sperare in un futuro migliore, in un miglioramento della salute, ...ecc. Oggi con il benessere ci siamo staccati di più. Una volta la Chiesa era più un luogo "rifugio", mentre ora abbiamo l'opportunità di stare insieme facendo un sacrificio e confrontandoci seppur con qualche difficoltà. Differenza tra il Cattolico e il Cristiano: molti non la sanno o preferiscono non esprimersi, alcuni dicono che uno è solo credente mentre l'altro è credente praticante. La frase conclusiva di estrema sintesi che è emersa a chiusura del dibattito/confronto e dei sentimenti emersi oggi è la seguente: "L'opportunità di potersi incontrare ci ha dato modo di confrontarci e di arricchire le nostre famiglie nel cammino sulla strada verso il Signore".

di battere. Per questo motivo i genitori si sono sentiti “miracolati”, mentre qualcuno avrebbe affidato tutto alla casualità non vedendo l’intervento della mano di Dio. Infatti questo è un altro punto emerso nelle nostre discussioni, in quanto non tutti credono nella possibilità di miracoli, addirittura qualcuno dice “ci sono io e basto io, non ho bisogno di altro”. Sicuramente il poter vedere di persona i miracoli di Gesù aiuterebbe questi genitori ad avvicinarsi a Lui. Effettivamente a tutti noi genitori, con le tante difficoltà dei tempi d’oggi e senza la presenza fisica di Gesu’, rimane questo difficile compito: trasmettere ai nostri figli la fede con la convinzione che Lui sia accanto a noi in ogni istante. I genitori del 2° anno

29


Natale in Etiopia

E'

Figlio di Dio e di Maria, certo, per i cristiani. Ma non si veste alla medesima maniera in tutte le regioni. Il che starebbe a dire che si è proprio in-carnato e anche in-culturato, uomo perfetto a tutte le latitudini. E questo è proprio “da Dio”. Nessun altro personaggio della storia riuscirebbe a farsi rappresentare con caratteristiche locali dovunque lo si ricordi o rappresenti. Bravo, Gesù! L'Etiopia, che si sente orgogliosa di essere una delle prime nazioni 'ufficialmente' cristiane, anzi, dicono, la seconda dopo l'Armenia a riconoscere come religione di stato il cristianesimo, ha una sua tradizione millenaria di celebrare e riconoscere la venuta di Gesù, il Natale. Festa grande quindi, anche qui, non ci piove, ma con qualche sorpresa da offrire a chi la vede dal di fuori, come turista o come residente che abbia le radici altrove. Non è la festa più grande, e nemmeno la seconda più sentita. Ci sono almeno altre due feste che hanno un impatto sociale e celebrazioni ricche di folclore e tradizioni con aspetti spettacolari, attorno alle chiese, per le strade, nei cortili e nelle case... e in cucina (!) di fronte alle quali il Natale sbiadisce un po'. Il ritrovamento della vera Croce di Gesù (festa il 27 settembre) e il Battesimo di Gesù (celebrato il 19 gennaio, corrispondente liturgico della vostra Epifania) hanno una colorazione e una partecipazione di popolo senza pari, e sono pubbliche nazionali, anche dopo che il

Gesù Bambino non è lo stesso dappertutto.

comunismo ha cercato di darci un taglio, e anche se la presenza dei musulmani è vicino al 40 per cento. Però qualcosina si muove, anche in...cucina. Il digiuno, per esempio, che viene vissuto a livelli che ci sconcertano, e che nella vicinanza delle grandi feste ha un peso decisamente notevole (giorni o settimane intere!) come aspetto di preparazione spirituale e di coinvolgimento di popolo, aveva la precedenza sulla celebrazione... “culinaria” del Natale. Fino a due anni fa credo, se il Natale cadeva di mercoledì o di venerdì, la carne (segno sulle tavole di grandi occasioni e di festa) si mangiava il giorno dopo. Adesso hanno introdotto l'aggiustamento, per ora solo per il Natale e per il Battesimo di Gesù: si può mangiare carne il giorno stesso, anche se cade di venerdì o di mercoledì, i due giorni settimanali sacri per il digiuno. La data della festa è poi diversa dalla vostra, come potete dedurre anche dalle altre due feste sopra citate. In Etiopia si segue il calendario giuliano, non quello gregoriano che a suo tempo nel mondo occidentale cristiano-latino era stato introdotto. Magari direte che qui siamo, come al solito, in ritardo: Natale il 7 gennaio, di contro al vostro il 25 dicembre; Battesimo il 19 gennaio, di contro alla vostra Epifania del 7 gennaio, o al Battesimo di Gesù del 14. Possiamo ribattervi che siamo anche più giovani, essendo noi nell'anno 2010! Il Natale è comunque festa pubblica nazionale per tutti. Liturgicamente è ovviamente la Messa al centro della celebrazione, ma qui in Etiopia è molto più sentita e vissuta che da noi anche la vigilia (wazema), corrispondente un po' alla nostra idea di 'primi vespri'. La messa di mezzanotte è rigorosamente di mezzanotte, e si protrae fino alle quattro del mattino, almeno tra gli ortodossi. Noi cattolici siamo un po' più contenuti. Quelli di rito latino sicuramente, ma anche quelli di rito ge'ez, il rito più tipicamente etiopico ed antico. La partecipazione alle celebrazioni liturgiche è molto spesso, almeno quelle di giorno e per tanta gente, all'esterno delle chiese, e il senso della puntualità o della presenza dall'inizio alla fine come da voi non mi pare esista, certamente almeno per quelli che attendono dall'e30

sterno. Un motivo è senza dubbio che le celebrazioni – cantate – sono più che lunghe. Le scadenze liturgiche regolari mensili sono tante, e ognuna si fa sentire 'fisicamente'. Non so se ci sono altri paesi che usano come qui i... montarbo. Immaginate quindi anche per il Natale. Per l'estensione di un quartiere e oltre, le strade e le case sono sempre invase dalle preghiere, dalle prediche, dai canti, dalle musiche, anche ad ore proibitive, ma non ancora proibite, nonostante qualche voce si senta in parlamento a sostegno di una migliore... ecologia acustica. Si può essere accompagnati dalle due o dall'una di notte in poi, e magari dopo che la sera

precedente, attorno alle 23, dai decibel già si poteva sospettare della grandezza della festa. Occorre tempo per farci il callo. Più facile farci l'abitudine a livello fisico che psicologico. Con la celebrazione della Messa che caratterizza la notte di Natale, però, i montarbo sono più ammorbiditi. Esiste in Etiopia il “gioco di Natale”, che si pratica in costume: é una specie di hockey, su terra battuta o su prato o su un campo qualsiasi disponibile. Cliccate in internet per sapere di più e con più precisione su tutte queste notiziole che ho cercato di riassumere. Chiedo scusa per eventuali errori o imprecisioni. Sotto le feste, girando per le strade della grande capitale, vi potreste poi imbattere in numerossissimi greggi, stanziali o in movimento: numerosissime pecore, vittime sacrificali per la celebrazione delle grandi feste in famiglia. La carne più probabile sulla tavola è quella ovina. Non manca però la gallina, che entra nel piatto tradizionale nazionale, nella preparazione piccante o non.

Tanti bovini hanno pure il destino segnato, magari in rosso sulla loro pelle. Molta gente comune, specialmente tra i nostri dipendenti, si mette insieme per comperare una mucca o un torello. L'uccisione e lo squartamento avviene poi in un tempo stabilito e in un giorno stabilito, non qualsiasi. Credenze e tradizioni vanno rispettate anche in questo. La suddivisione viene poi fatta pacificamente ed equamente e il consumo della carne va fatto velocemente: non ci sono tanti frigo in circolazione. La carne cruda bovina è un cibo molto apprezzato in tante parti del paese. La non abitudine al consumo di carne può giocare qualche scherzo di appesantimento che si manifesta nei giorni successivi alle feste. Potremmo dire che ci sono i ponti post-feste. Quello che colpisce in Etiopia è il senso religioso della gente, l'assenza di quel nostro 'rispetto umano' nella manifestazione di atti e gesti religiosi: inchino verso la chiesa, accompagnato dal segno della croce, in corrispondenza di una chiesa che può essere anche a cento metri di distanza; la preghiera prima dei pasti; il taglio a croce delle torte o di grandi pani circolari; la danza anche da parte degli anziani; la preghiera in pubblico in chiesa; il gusto della coreografia durante i funerali; la capacità di coinvolgersi in incarichi di servizio durante le funzioni e le processioni... Il popolo in quanto popolo-uno si vede e si sente. La tradizione è forte. L'appartenenza pure. La solidarietà ha varie forme, che noi non abbiamo. Il tutto fa bene al cuore. Forse Gesù è nato in questo popolo trovandovi una culla spessa, bella e resistente. Non c'è forse bisogno del fiato di asinelli e buoi a riscaldarlo. Presepi? Nelle chiese cattoliche si possono trovare. Penso di avervi dato una idea sul nostro Natale, senza neve e con poche luci. Non è il Natale il momento di toccare qualche difettuccio di famiglia. Non siamo perfetti neanche noi etiopi, ma qualcosa potete prendere di sicuro anche da noi. Buon Natale, italiani! don Isidoro Apostoli, sacerdote salesiano botticinese 31


Emigranti sulle orme di Gesù Di chi sto parlando? Di noi, naturalmente.

C’

è un passo della Sacra Scrittura che ci illumina sul mistero di Natale. La lettera di San Paolo ai Filippesi, capitolo 2 dice: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome”. Io vorrei invitarvi a riflettere su questo “viaggio” di Gesù, viaggio che gli cambia in qualche modo la condizione, dalla “comodità, sicurezza”, della sua condizione divina ad assumere la natura umana che di per sé è debole, insicura, scomoda. Tutto il percorso del Natale è un cammino dal sicuro all’insicuro, dalla casa povera ma decorosa di Nazareth verso la stalla scomoda ed esposta di Betlemme, dalla vicinanza dei parenti al paese dei pastori sconosciuti, dalla propria patria Israele, alla terra ignota dell’Egitto. Perché questo pellegrinaggio? Per amore, amore per tutti a partire dai più deboli ed emarginati, amore non fatto di elemosina ma di condivisione, amore per un riscatto ma non un riscatto frutto di guerra per una condizione umana migliore, ma un riscatto fatto di condivisione silenziosa e cammino nascosto verso la “vera e unica condizione degna dell’uomo” quella di figli di Dio. Sono qui per farvi gli auguri di Natale, ma che auguri? 1- Che passiate delle feste riempite della gioia del “Dio tra noi”. 2- Che abbiate di fronte a voi un anno di cammino dove le difficoltà, le sconfitte, le fatiche siano momenti di grazia e di purificazione 3- Che sulla strada troviate tante persone che vi provochino ad uscire da voi stessi e dalla comodità della vostra vita verso l’ignoto della vita di Dio 4- Che abbiate sempre il coraggio di fare questo viaggio non sapendo dove andate ma sapendo che Dio vi conduce. Buon Natale. don Oreste Ferrari 32

”GLORIA a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra PACE agli uomini che egli AMA” Lc 2,14 Ecco quel che vedono e cantano gli angeli annunciando la nascita di Gesù, principe della pace, dando un segno: “un bimbo avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia” e.. escluso dal mondo degli uomini perché… “per loro non c’era posto…”. Ma quel bimbo è PACE per gli uomini che egli AMA. PACE perché Gesù è veramente pace per noi, per gli uomini che credono in Lui, per coloro che sanno fargli un posto nel loro cuore accogliendolo. Mi chiedo, in questi giorni, se sarà pace anche in questa terra bruciata dal sole, bagnata dal sangue di chi come GESÙ DÀ LA VITA PERCHÉ ALTRI ABBIANO LA VITA. Ci sarà posto per lui? Segni di guerra, di violenza non mancano, due chiese bruciate, alcuni cristiani minacciati di morte se si riuniscono a pregare, persone ancora in ostaggio come Sr Gloria che oltre da dieci mesi si trova ancora nelle mani dei suoi rapitori. Si, Gesù vuole e viene ancora a nascere in questa terra arsa dal sole, macchiata di sangue innocente ma proprio perché tale AMATA. Una preghiera perché il Sole di Giustizia sorga anche su questa terra e guidi i passi di ognuno sulla via della vera pace. Possa Gesù, principe della pace portare pace a questo popolo, a tutti. Facciamogli posto, accogliamolo nei piccoli e poveri, emarginati, indifesi, oppressi, esclusi … usciamo dal nostro egoismo, poniamo gesti di pace e di giustizia e sarà Natale perché … “qualunque cosa avrete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me." Buon Natale e pace a tutti. Una preghiera e un abbraccio vostra Sr Erminia dal Mali

33


Settimana Sociale dei cattolici sul

lavoro

D

al 26 al 29 ottobre a Cagliari si è tenuta la Settimana Sociale dei Cattolici sul Lavoro. Un momento di importante riflessione sul tema del lavoro che ha visto coinvolta gran parte della comunità cattolica italiana che insieme si è confrontata su un tema così importante. La chiesa italiana, è proprio il caso di dirlo, ci ha messo la faccia, spendendosi per un lavoro che, come scritto nel titolo della Settimana Sociale, sia libero, creativo, partecipativo e solidale. Aggettivi che richiamano ad una equità ed uguaglianza sia delle condizioni ma anche del senso del lavoro. Interventi e azioni concrete si sono susseguite in questi giorni con un grande e arduo obbiettivo: rimettere il lavoro al centro. Ma cosa significa concretamente rimettere il lavoro al centro? Riprendo in sintesi alcune questioni sollevate dall’intervento di Mauro Magatti proprio in occasione della Settimana Sociale a Cagliari. Vuol dire innanzi tutto formare cioè

“capacitare la persona, superando le false dicotomie che separano invece di mettere insieme”. Significa cercare di comprendere che la persona è fatta di tante dimensioni differenti e che queste devono essere tutte stimolate per formare una persona su tutti i diversi fronti che fanno parte della vita lavorativa e sociale. E questo deve essere responsabilità di tutti e non solo del singolo. Perché “l’educazione è un bene comune”. Mettere al centro il lavoro significa “creare un ecosistema favorevole a chi lo crea e a chi lo pratica”. La classe politica deve essere in grado di favorire un terreno fertile per il lavoro attraverso misure finanziarie e politiche adeguate che non escludano l’accesso a nessuno. In un’era che si affaccia, e in parte è già dentro, alla digitalizzazione della filiera lavorativa, mettere al centro il lavoro, significa soprattutto “umanizzarlo” cioè restituirgli la parte fondativa e di senso dell’azione del lavorare; quella legata all’uomo, uscendo così dal paradigma del profitto e di una cultura di sola produzione. “Che il lavoro non sia solo fabbricazione ma contribuzione” e che sia innanzi tutto relazione perché possa essere sempre lavoro con e lavoro per. Mettere al centro il lavoro significa quindi gettare le basi per un nuovo modello di sviluppo per i nostri figli, non più ossessionato dalla crescita quantitativa, dal possesso, dal consumo ma piuttosto dalla sintesi tra efficienze e creatività, tra solidarietà e partecipazione; un lavoro che sia per l’uomo. Dice Papa Francesco: “adoperativi per andare oltre il modello di ordine sociale oggi prevalente. Dobbiamo 34

chiedere al mercato non solo di essere efficiente nella produzione di ricchezza e nell’assicurare una crescita sostenibile, ma anche di porsi a servizio dello sviluppo umano integrale. Non possiamo sacrificare sull’altare dell’efficienza valori fondamentali come la democrazia, la giustizia, la libertà, la famiglia, il creato. In sostanza dobbiamo mirare a “civilizzare il mercato”, nella prospettiva di un’etica amica dell’uomo e del suo ambiente”. Tutto ciò significa quindi lavorare con e per le nuove generazione creando un patto intergenerazionale che fondi i suoi pilastri sulla creazione di quel bene comune di cui tanto si parla e che possa essere declinato nella creazione di un nuovo modello di lavoro a vantaggio delle nuove generazioni come condizione per la sostenibilità della protezione degli anziani. E’ questo il tempo di tornare a seminare con “speranza e larghezza” così da poter raccogliere quei frutti che sapranno essere sempre più buoni se intrisi di un lavoro buono. La tradizione e la cultura italiana sono il luogo perfetto per dare il via a questo cambio di paradigma proprio perché l’Italia, nei secoli, è stata capace di immaginare il lavoro come espressione del se e luogo dove manifestare la propria anima. Pensiamo solo ai grandi artisti italiani, dai pittori ai poeti, passando per architetti e scienziati, che sono nati e cresciuti in un humus culturale e sociale dove l’attività lavorativa era fatta di relazioni familiari e intime che hanno dato vita a meraviglie ammirate e invidiate da tutto il mondo. Ora sta a noi riprendere e recuperare la nostra matrice culturale e dare inizio ad un cambio di direzione che veda il lavoro veramente libero, creativo, partecipativo e solidale.

Libero, creativo, partecipativo e solidale L

ibero, creativo, partecipativo e solidale. È questo il lavoro che vogliamo. È questo il lavoro al centro della 48ª Settimana Sociale in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre. “La massimizzazione del profitto anteposta alla realizzazione e alla dignità della persona – ha sottolineato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali – ha portato alla situazione odierna, ma questo paradigma – ha aggiunto – non è più sostenibile, non è possibile una ripresa economica senza che sia riconosciuto il diritto al lavoro”. E il lavoro è sempre associato al senso della vita, non può essere ridotto a occupazione”. “Non abbiamo soluzioni pronte, ma sensibilità e cuore per affrontare le questioni. Il lavoro degno è una risposta al bisogno che c’è in ciascuno di noi. Il bisogno di vivere, di realizzarsi. Il bisogno del pane, degli affetti, dell’infinito. Nella nostra vita c’è un bisogno globale che abbraccia tutto e attraverso il lavoro si dà una risposta al bisogno che abbiamo”. La Settimana Sociale si concentrerà sulle buone pratiche, cioè sulle realtà che,

nonostante tutto, creano lavoro. In molte realtà la parola lavoro apre, però, delle ferite individuali, sociali e ambientali (basti pensare al tema dell’inquinamento con le ricadute negative sulla salute). Oggi la disoccupazione colpisce allo stesso modo i giovani e i cinquantenni. A questi si aggiunge poi la generazione Neet, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Serve un cambio di passo. In ambito cattolico non è possibile accettare il modello culturale che vede l’uomo al servizio del lavoro. Sono sempre più necessarie politiche di conciliazione lavorativa per permettere una partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all’attività professionale e alla vita familiare. Il Papa a Genova, nel maggio 2017, aveva utilizzato un gioco di parole (“questo non è riscatto ma ricatto”) per commentare la situazione di un lavoratore costretto a fare 11 ore al giorno per 800 euro. Sul tavolo ci sono alcuni nodi da risolvere: la giusta retribuzione, la valorizzazione delle eccellenze, l’accompagnamento e inserimento delle situazioni di difficoltà. Alle imprese bisogna chiedere con forza che diventino sempre più re35


sponsabili anche nei confronti di chi non lavora direttamente con loro ma fornisce loro dei servizi. Risulta, inoltre, sempre più evidente la mancanza di un sistema educativo in grado di preparare al lavoro. Anche perché non si possono trascurare le esigenze di un mondo del lavoro in continua trasformazione. Il lavoro 4.0 richiede una formazione continua. Guardando avanti gli interrogativi diventano, infatti, ancora più incalzanti. Negli ultimi anni il mondo del lavoro sta cambiando così in fretta da rivoluzionare stili di vita e modelli etici. Si tratta di mutamenti portatori di grandi domande. Cosa significa oggi lavoro (umano)? Quali devono essere i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore? Come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione continua potrà preparare chi già lavora ai cambiamenti del futuro? Con quali competenze gestire il rapporto del lavoratore con la macchina robot? E, infine, quali forme di tutela efficaci per il “lavoro degno” è necessario trovare al tempo dell’industria 4.0? Parlare di industria 4.0 sostanzialmente vuol dire parlare del futuro, ovvero di scenari che saranno compiuti e misurabili intorno al 2030. Non possiamo da una parte sapere con precisione quali saranno i modelli di business, ma non possiamo nemmeno affermare che senza i lavori di oggi assisteremo a un vuoto. L’ipotesi più probabile? Si apriranno altri scenari e ci sarà spazio per competenze di alto livello. Siamo di fronte a nuove sfide nei confronti delle quali non dovremo farci trovare impreparati. Luciano Zanardini

51a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace Il documento preparato da Francesco per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2018 mette al centro richiedenti asilo,rifugiati e vittime della tratta. Parole chiare. Radici evangeliche. E nessun sconto a quei politici che alla ricerca di consenso alimentano chiusure e razzismo.

R

icorda che sono tanti, tantissimi, «oltre 250 milioni nel mondo». Prendendo poi in prestito le parole di Benedetto XVI, ammonisce: «migranti e rifugiati sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace».. Per trovarlo, incalza, «molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta». Perciò i cittadini nei Paesi di destinazione e i rispettivi Governi sono invitati a praticare “la virtù della prudenza” per “accogliere, promuovere, proteggere e integrare” i migranti e rifugiati, “stabilendo misure pratiche”, “nei limiti consentiti dal bene rettamente inteso”. Il Messaggio per la 51a Giornata mondiale della pace che si celebra il 1° gennaio 2018 è tutto dedicatoa migranti e rifugiati. Ha toni accorati e un linguaggio tagliante, che non aggira i problemi, ma li affronta in maniera diretta, Papa Francesco mette in guardia contro la “retorica” di chi “fomenta la paura dei migranti a fini politici” seminando “violenza, discriminazione razziale e xenofobia”, ed esorta le nazioni ad approvare i patti globali Onu per migrazioni sicure e per i rifugiati di cui si discuterà nel 2018. «Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura», afferma Jorge Mario Bergoglio. «Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate”. Da qui l’invito ai governanti perché agiscano “nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento”. “Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità", sottolinea Papa Francesco, "delle quali devono assicurarne i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere 36

come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare”. Nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace papa Francesco sollecita «uno sguardo contemplativo, capace di accorgersi che tutti facciamo parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamento la solidarietà e la condivisione». Bergoglio suggerisce anche «quattro pietre miliari per l’azione», ovvero quattro concetti, quattro parole («accogliere, proteggere, promuovere e integrare») utili a tessere strategie efficaci, in grado di offrire a «richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta una possibilità di trovare quella pace che stanno cercando», Il Santo Padre sottolineando infine che il 2018 condurrà alla “definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati”. Patti che rappresenteranno “un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche”. “Per questo – sottolinea papa Francesco – è importante che siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza”. Il Papa invita la comunità internazionale al “dialogo” e al “coordinamento”, prevedendo la possibilità che “al di fuori dei confini nazionali” anche “Paesi meno ricchi possano accogliere un numero maggiore di rifugiati, o accoglierli meglio, se la cooperazione internazionale assicura loro la disponibilità dei fondi necessari”. 37

ACLI BOTTICINO IN OCCASIONE DELLA 51a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE. MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO TEMA: Migranti e rifugiati: Uomini e donne in cerca di Pace

1° GENNAIO MARCIA DELLA PACE

dalla PIAZZA della CHIESA di BOTTICINO MATTINA al CONVENTO dei FRANCESCANI DI REZZATO.

13\14 GENNAIO TENDA DELLA PACE NEL CORTILE DEL PALAZZO COMUNALE di BOTTICINO MOSTRE, MOMENTI DI INCONTRO E RIFLESSIONE SUL TEMA DELLA PACE, DELLA GIUSTIZIA E DEL DISARMO.


Nella festa di "TUTTI I SANTI" in 450 al Santuario di S.Arcangelo Tadini di Botticino Sera

C

ome ogni anno il 1° novembre la Chiesa celebra con Solennità la Festa di Tutti i Santi. Quest'anno la comunità di Botticino ha voluto provare a ridare Luce a questa Festa che rischia di essere dimenticata a causa delle mode e delle influenze provenienti da altre culture . La festa e' iniziata con una breve celebrazione alle cinque e mezza presso la Basilica S.Tadini durante la quale il Parroco in forma dialogica ha condotto i bambini a riflettere sui Santi, sulla possibilità di diventarlo, sulla loro invocazione, sulla venerazione dei loro corpi, delle loro reliquie e delle loro immagini ed una commuovente rappresentazione all' altare da parte di cinque fanciulli elogiante Dio in quanto Luce che illumina la nostra vita. Successivamente genitori e figli si sono ritrovati in Oratorio per un rinfresco ed un piatto di pastasciutta cucinata dalle volontarie. Più tardi un piccolo gruppo di volenterose mamme e catechisti hanno dato vita ad una serata gioiosa per tutti i bambini presenti con semplici laboratori creativi per i più piccoli e giochi e staffette per i più grandi al termine dei quali è stato donato zucchero filato a volontà. È stata una serata all'insegna serenità, delle "cose" vere, buone e giuste: una serata senza MASCHERE proprio come i Santi che hanno vissuto senza aver paura di nascondere il loro Amore per Gesù. Un ringraziamento particolare a tutte quelle Famiglie che hanno scelto di festeggiare con Noi nonostante l'alternativa fosse, come ogni anno, molto stuzzicante. Sabrina

A

nome di tutti Gli AMICI di ZACCHEO ringrazio per l'accoglienza che ci avete riservato la giornata del primo novembre e che ci ha sorpreso e commosso. Da qualche anno andiamo ogni anno a trovare, conoscere e pregare un santo per mostrare ai nostri ragazzi "fisicamente" cosa, o per meglio dire CHI, ha cambiato la nostra vita, certi che vedere qualcosa è meglio che spiegarlo. Passiamo una giornata pregando insieme, mangiando, cantando e ascoltando la storia del Santo. Don Arcangelo e la sua storia ci ha colpito molto e ci è diventato caro. Gli "Amici di Zaccheo" sono una compagnia che vive l'esperienza di Comunione e Liberazione, che è la forma che il Signore ha deciso per noi per conoscerLo sempre più. Come Zaccheo saliremmo in cima agli alberi per vederLo e stare con Lui. Siamo venuti di corsa per amor anche del nostro Papa emerito Benedetto XVI, che si è inginocchiato nella vostra bella chiesa. Nel 1969 disse : " ...dalla crisi odierna emergerà un Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell'esperienza. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi , la risposta che avevano sempre cercato in segreto " . La nostra compagnia ha questo desiderio cercare di vivere mettendo al centro dell’esperienza la Fede, e che il mondo possa vederlo. Davide per Gli Amici di Zaccheo

38

39


“Teatro Oratorio Botticino Mattina”

N

ell’ambito parrocchiale, fin dai tempi più remoti, è sempre stata viva l’attività teatrale. “Teatro Oratorio Botticino Mattina” è il nome che si è dato il gruppo che è andato man mano costituendosi dal 1983 in poi. All’inizio erano solo bambini e ragazzi, in seguito si sono aggiunti anche gli adulti. (In quegli anni il teatro con gli adulti era coordinato con assiduità e passione da Pasqualino Caputo). Il nuovo gruppo compie la primissima esperienza teatrale nel 1983 con una commedia di Giosy Cento dal titolo “Convegno a Betlemme“. Una storia Natalizia realizzata con i bambini di una classe di catechismo. La felice scoperta del teatro ci spinse a fare l’anno successivo un secondo lavoro: “Natale perchè? Per chi?” Tratto da “Natale in Carovana” sempre di Giosy Cento. Si delinearono così nuove prospettive e opportunità. Sopratutto aderirono al gruppo nuove risorse di ogni genere che si sono dimostrate fondamentali per il futuro del “Teatro Oratorio Botticino Mattina”. Per alcuni, esterni, questo titolo sembrava riduttivo. Personalmente l’ho sempre portato con convinzione e orgoglio. Dai temi religiosi del debutto siamo passati nel 1985 ad una storia didascalica interpretata sempre dai bambini: ”Il dodicesimo principe”. Oltre la sorprendente bravura degli interpreti, sono stati apprezzati i progressi che si andavamo facendo con le scenografie e i costumi. Con “La statua de Paol Encióda” sempre gli stessi ragazzi hanno sperimentato in teatro il dialetto bresciano. La vecchia farsa è stata ambientata in un ipotetico Botticino, caratte-rizzato da una ironica rivalità fra i “Spuditù” e i "Maranù”. Alla commedia si è accodata un perfomance dialettale di Battista Benetti. Nel 1988 i bambini della prima ora sono diventati ragazzi, adolescenti. Facendo del teatro un momento educativo, abbiamo voluto affermare alcuni valori quali la solidarietà. Con gli stessi ragazzi abbiamo allestito una

alcune foto dal palcoscenico commedia dal titolo “Vicolo senza uscita” tratta da “il cortile dei sette monelli” di Enrico D’Alessandro. La presenza nel vicolo di una ragazza cieca, trasforma il clima apatico del vicolo in una gara di solidarietà. In questo periodo la compagnia appare ben strutturata, sostenuta dalla collaborazione di tante persone: Piero Ferrari per le musiche, Ferrante per l’audio, Francesco Sanca e Claudio Ponzanelli per le scene. Per la logistica e la collaborazione tecnica c’è un buon numero di addetti: Elisio, Giàn de Ghéta, Paolo e Claudio Casali, Crescino Zanola, Elia Cremonesi, Tobia Zanetti, Beppe e Francesco Prati, Beppe Ferrari, Beppe Tregambe, Emanuele Arrighini, e il truccatore professionista Franco Treccani. In seguito il numero è destinato ad aumentare con l’apporto di altri volontari: Emidio Lonati, Eugenio Albini, Alberto Soldi, Franco Gorni, Giuseppe Zani, Oscar Abrati, Mario Porta, Enrico Tadei, Fausto Quecchia, Ettore Roberti, Piero Casella, Gianluigi Marini, Pierino Castegnati, Silvestro Squassina, Mario Benetti, Mario Massetti e il Gruppo Alpini di Mattina al quale si affiancherà nel 2015 anche quello di Sera e S.Gallo. Ho voluto citarli tutti, perchè sono una ricchezza eccezionale di cui siamo fieri e ai quali va la nostra riconoscenza. Mi scuso per le eventuali dimenticanze. Con queste forze il ”Teatro Oratorio di Botticino Mattina” ha potuto mettersi in marcia per portare i propri lavori anche in altri teatri della provincia. I palcoscenici visitati in 35 anni di teatro sono molti: Botticino S., S.Gallo, Prevalle, Caionvico, Borgo Trento, Pavoniana, Manerbio, Borgo Poncarale, Castelmella, Lodrino, Odolo, Barghe, Degagna di Vobarno, Nuvolera, Rezzato, Virle, Serle, Via Chiusure, Via Moretto, Portese, Villanuova, Salò, Bedizzole, Carzago, Sarezzo, Villa Carcina, Nave, Bornato, Erbusco, Pavoniana, Castelcovati, Storo, Castenedolo, Montichiari, Lonato, Vill. Prealpino, Parco Gallo, S.Colombano. Torniamo alla piccola cronistoria. La necessità di trovare testi da mettere in scena ci ha indotto a parlare anche di noi stessi, a raccontare il nostro Botticino. Per alcuni l’argomento sembrava banale. Da parte mia il particolare affetto a questo tema mi ha fatto trovare la forza e la convinzione di proseguire nella realizzazione del progetto. Nasce così e debutta nel maggio del 1992, “Sota èl pörtech”. La sceneggiatura ha richiesto più di un anno di lavoro, per mettere assieme tutti i ricordi, gli aneddoti, le vicende più caratteristiche del nostro paese. 40

Alla fine la storia di Botticino Mattina, verosimilmente ricostruita, l’ho collocata sotto il portico della casa rurale della mia infanzia. Sotto il portico, abilmente riprodotto dai nostri scenografi, passano, fra adulti e bambini, quarantacinque interpreti. In questa commedia sono state rappresentate o citate più di sessanta persone realmente vissute a Botticino, alcune delle quali, alla data del debutto, erano ancora in vita. La commedia si è rivelata una affettuosa carezza alle nostre radici, un omaggio ai nostri genitori ai quali abbiamo rivolto un pensiero che è la sintesi di tutto il lavoro: “ai nòs genitùr per èl tànt chè lur i m’ha dàt, con chèl póch chè lur i gha it, me gha dìse grassie, grassie fés!” In occasione del 25° di questa singolare commedia abbiamo preparato un DVD che assembla varie riprese effettuate durante le repliche che si sono susseguite fino all’ultima avvenuta nel maggio 2004 a Sót de l’àiva presso il portech dei Prati. Nelle 40 repliche effettuate si sono avvicendati complessivamente più di 120 fra bambini, adulti, e collaboratori, rigorosamente elencati sulla copertina del DVD. La partecipazione di tanti attori, ragazzi e ragazze, oramai diventati adulti, ci ha permesso di continuare la nostra attività teatrale. Al fortunato “Sóta èl pórtech” ha fatto seguito infatti nel 1994 la commedia “L’udur de le palanche” tradotta da “I denti dell’eremita” di Carlo Terron. Ambientata ancora in una casa contadina, è una satira in agrodolce che mette in risalto la stoltezza e l’avidità delle persone per il denaro. Nel 1996 si cambia stile e ambientazione: è la volta de “El póer Piero” traduzione in dialetto bresciano, con qualche immancabile riferimento al nostro paese, de “Il povero Piero” di Achille Campanile, resa spassosa e divertente dalla magistrale interpretazione di Battista Benetti. Incredibile e sconvolgente è stata invece la presenza sulla scena de l’ “Antenato” interpretato autorevolmente da Domenico Lonati. Anche questa è una traduzione in dialetto nostrano che mantiene il titolo originale della commedia di Carlo Terron. Un cavaliere dell’anno “mille” ritorna in vita ogni trecento anni e sconvolge la vita di un suo “…postero”, abilmente interpretato da Andrea Benetti. Per alcuni anni ho trattenuto nel cassetto il copione de “Il Tacchino” di Feydeau. Una commedia brillantissima

della voudeville francese ritenuta troppo… trasgressiva per i nostri ambienti. Lo portai alla luce tramite una traduzione in dialetto fortemente ironica e umoristica della trama. Nel 2001 sul palcoscenico ebbe per titolo: “Le Cūre de Sirmiù” . Tanti attori, risate a crepapelle, tanti applausi, per delle improbabili trasgressioni nostrane. Sempre alla ricerca di testi da mettere in scena, mi sono rivolto, non senza alcuni timori reverenziali, al siòr Carlo Goldoni, per prendere due suoi capolavori: “I due gemelli di Verona” e “Siòr Todero Brontolón” per tradurli e ambientarli entrambi in Brescia. Il primo è stato trasformato in “I zemèi de Monteciàr”. Le scene, i costumi, la bravura degli attori, la magica e camaleontica interpretazione di entrambi i Zemei da parte di Nicola Rossi, hanno reso lo spettacolo sorprendentemente brillante. Il secondo, che a Brescia non poteva che essere chiamato “Doro, vècio bruntulù” , è stato interpretato con molta efficacia da Andrea Benetti. La amabile nuora Francesca, interpretata da Aurelia Casali, ha dovuto inventare centro strategie per vincere il tenace brontolone. Il 2015, centenario della Prima Guerra Mondiale, ci porta ad un nuovo fortunato approccio con il teatro: va in scena “Nel Quindès-Desdòtt… ghéra la guèra!” allestito con la collaborazione della Banda “Giuseppe Forti “ di Botticino diretta dal maestro Stefano Gamba. Il lavoro è ancora in cartellone ed è interpretato da vecchi e nuovi attori. Il supporto tecnico è sempre fornito da quel folto gruppo di addetti che si sono dimostrati una vera fortuna per il nostro “Teatro Oratorio Botticino Mattina”. Giacomo Luzzardi

41


GRUPPO SCOUT BOTTICINO 1 Sant’ Arcangelo Tadini «Cari Scouts, ho trascorso una vita molto felice e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice. Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dal cedere alle nostre voglie. Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute e robustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e godere la vita pienamente una volta fatti uomini. Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e meravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità. Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto il profitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto. Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Cercate di lasciare questo mondo un pò migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del nostro meglio. “Siate prearati” così, a vivere felici e a morire felici. Mantenete la vostra Promessa di Scouts, anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo». Le parole che Baden Powell, fondatore dello scoutismo, rivolge agli esploratori di tutto il mondo ben racchiudono il senso e il significato del percorso educativo che ha mosso i primi passi anche nell’Unità Pastorale delle parrocchie di Botticino. Grazie al sostegno del parroco don Raffaele e con l’approvazione del Consiglio Unità Pastorale e del Vescovo, un gruppo di Scout ha iniziato ad animare la vita delle tre parrocchie di Botticino.

La proposta nasce dall'intuizione di un gruppo di capi, con alle spalle una lunga esperienza di scoutismo, animati dalla volontà di intraprendere un rinnovato cammino e proporre un percorso educativo in collaborazione con le parocchie. Il gruppo scout Botticino 1, intitolato a S. Arcangelo Tadini, è ufficialmente riconosciuto dall’Associazione Guide e Scout d’Europa Cattolici (FSE).

La proposta Scout

La proposta Scout ha l’obiettivo di formare la persona secondo i principi e i valori definiti dal fondatore Lord Robert Baden Powell. Attraverso la fantasia, il gioco, l’avventura la vita all’aria aperta, l’esperienza comunitaria, la progressiva ricerca di senso della vita e lo sviluppo della dimensione sociale e spirituale, lo scautismo risponde alle tante e autentiche domande dei giovani sulla vita. Lord Robert Baden Powell - B.P. per tutti gli scout del mondo - nella concretezza del suo linguaggio e delle sue intuizioni pedagogiche, aveva indicato in “quattro punti” i fondamenti del metodo scout: • formazione del carattere • abilità manuale • salute e forza fisica • servizio del prossimo E così, una storia iniziata per gioco, si intreccia con le vicende della vita del ragazzo e continua a proporre, giocando, delle esperienze che affascinano. Dal grande gioco del branco, passando per l'avventura del riparto, si arriva alla strada del Clan dove si sperimenta la dimensione del servizio e dell'impegno. Così si impara a vivere la vita come un gioco. Ma non per gioco. Scoutismo non vuol dire solo camminare con lo zaino in spalla o dormire in tenda o indossare un' uniforme, ci sono tanti enti e associazioni che lo possono fare. Se c'è un ambiente in cui è presente lo spirito scout, lì c’è un clima nel quale tutti collaborano al bene comune e i grandi si prendono cura dei più piccoli. Lo spirito scout è una sorta di quinta essenza, entra a far parte della persona ragazzo e adulto ed è un distillato dell’esperienza scout vissuta positivamente, senza malignità, ipocrisia, il

Le sezioni

Lupetti e Coccinelle: 7-11 anni Esploratori e Guide: 11-16 anni Rover e Scolte: 16-21 anni 42

tutto vissuto con passione, con entusiasmo, con disponibilità. Spirito scout è ricerca, voglia di cooperare con gli altri, desiderio di progettare e costruire, impegno attenzione ai fratelli e sorelle che ci vivono accanto. È andare a vedere cosa c’è oltre l’orizzonte, verificare il senso delle cose, rendersi utili agli altri, con entusiasmo e intraprendenza per “lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato”. È sfidare se stessi per divenire persone responsabili, attive, competenti, autonome. È uno stile da vivere secondo i valori della Legge e della Promessa. Tali indicazioni sottolineano come per formare un uomo libero ed un buon cittadino servano qualità semplici, che si concretizzano in una proposta formativa che ha un metodo ben definito e pensato per le diverse fasce di età alle quali è rivolto. Lo scoutismo si rivolge a ragazzi dai 7-8 anni fino ai 2021, articolandosi in tre fasce di età. Il ragazzo mette in gioco il suo onore, sapendo che lungo questa strada impegnativa l’importante non sarà mai l’essere arrivato, quanto fare del proprio meglio. Un impegno senza termine, “se piace a Dio per sempre”, perché “una volta scout, sempre scout”.

L’associazione FSE ed il metodo

L’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici, di cui il gruppo Botticino 1 fa parte, appartiene alla Federazione dello Scautismo Europeo - FSE - e si è costituita in Roma nel 1976. L’associazione ha a cuore la formazione religiosa, morale e civica dei giovani, per poter formare cittadini coscienti dei valori spirituali e culturali della comunità, che si sentano responsabili per il bene comune, che sappiano sostenere le proprie convinzioni nel rispetto delle idee altrui, che siano sempre pronti a collaborare con cristiano spirito di servizio. Il metodo scout non è fine a se stesso, ma diventa uno

strumento per formare uomini e donne autentici, che sappiano rendere concreti i valori del Vangelo, testimoniandoli nella quotidianità della loro esperienza di vita. Per questo motivo il gruppo scout è inserito a pieno titolo nella vita della parrocchia nella quale opera e vuole offrire uno stile particolare di vivere il Vangelo, affinché l’esperienza di Fede sia autentica risposta alla chiamata che Dio scrive nel cuore di ciascuno. Essere Scout è una dimensione da vivere con tutto il proprio essere, come recita una preghiera che volentieri condividiamo e che esprime bene il senso di quanto abbiamo provato a descrivere. "Signore, donami occhi che sanno stupirsi e gioire ogni volta che scorgono un nuovo orizzonte, che senza paura guardano in alto verso la cima distante, che sanno ancora commuoversi di fronte alla maestosità della Creazione. Signore donami mani che sappiano accarezzare, che insieme a quelle dei miei fratelli formino una cordata che nessun pericolo potrà spezzare. Donami orecchie capaci di cogliere il silenzio del creato, e di ascoltare chi cammina al mio fianco. Donami spalle che a volte per il carico dello zaino provano fatica, ma una fatica dolce, poiché consapevoli che stanno portando il peso anche per gli altri. Aiutami a cogliere il sapore dell’essenzialità. Donami piedi che non temono fatica, che instancabilmente mi conducono a nuovi incontri. E donami, Signore, un cuore grande, capace di aprirsi all'incontro con Te, che mi cammini accanto e che vuoi essere mio compagno di viaggio.

Il gruppo di Botticino

Alcuni ragazzi hanno già aderito alla proposta e si sono ritrovati nei giorni 14 e 15 ottobre presso l’oratorio di Botticino Mattina. Un bel momento di festa e di condivisione, insieme a tutte le famiglie, ha dato inizio alle attività che si svolgeranno durante l’anno, secondo un calendario definito dai capi, generalmente il sabato pomeriggio (dalle 17 alle 19) o la domenica mattina (dalle 8 alle 12).

Se qualcuno avesse intenzione di vivere un’avventura insieme a noi, saremo ben lieti di accoglierlo. Per informazioni: Gianandrea Bonometti 333.8550442 - scoutbotticino@gmail.com La sede del gruppo è presso l’oratorio di Botticino Sera - P.zza IV Novembre. 43


La COMBRICCOLA TEATRALE BOTTICINESE compie

L

a “Combriccola Teatrale Botticinese” è un gruppo dell’oratorio di Botticino Sera, nato spontaneamente nel 1977 e presentatosi per la prima volta sulla scena con la commedia di Tom Gatti “L’anemia della siura Angelica”. Promotori di quella iniziativa furono: Vittorio Montini (era novantenne, proveniente dalla scuola della città), Gio. Pietro Biemmi (regista ed elaboratore dei testi teatrali), Quecchia Emidio (attore più volte premiato), Laura e Gianni Montini, Busi prof. ssa Domenica, Roberto Fassoli, Bonardi Lucia, Bonardi Pieranna, Bonini Luigino e poi Rovetta Sergio, Filippini Severino e Marco Luppis. Nel 1979 viene presentata la commedia “Nina desèdet” (di Gio. Pietro Biemmi). Il testo parla della condizione della donna come sposa, madre e lavorante a domicilio. Con questa commedia, nel 1981, la “Combriccola” partecipa alla rassegna teatrale bresciana della FABER classificandosi al terzo posto, mentre a Lucia Bonardi viene assegnato il premio di “migliore attrice femminile”. Nel 1982 è la volta di “Coràgio Cèco!” (testo di Gio. Pietro Biemmi) in cui si tratta il tema dell'anziano. Tra il 1982-1992 Biemmi Gio. Pietro si assenta dal gruppo per impegni politico-amministrativi e nel frattempo la “Combriccola” presenta alcune commedie di Egidio Bonomi. Nel 1992 è la volta di “Auguri Nina” (di Gio.Pietro Biemmi) - nel 2003: vien presentato “Patì e mai mòrer” (di Gio.Pietro Biemmi) e nel 2007: “El ministrù” (di Gio. Pietro Biemmi) Il percorso della “Combriccola” è contrassegnato da lusinghieri traguardi a livello provinciale. Ha partecipato più volte alla rassegna teatrale “Leonessa d’oro” di Travagliato (2003 -2005 - 2007) conseguendo segnalazioni di merito. Nel 2003, con la commedia “Patì e mai mòrer” ha ottenuto il terzo posto; nel 2007, con la commedia “El ministrù” ha conseguito il terzo posto (2° nel gradimento del pubblico). Quecchia Emidio è stato giudicato migliore attore comico; Busi Domenica, migliore attrice femminile, inoltre sono stati ritenuti meritevoli di segnalazioni Maghella Giorgio e Pieranna Bonardi. Anche i testi presentati hanno ottenuto

40ANNI

menzione di merito. In tutti questi anni la “Combriccola” ha calcato la scena di numerosi teatri della provincia: Nave, Rezzato, Virle, Vobarno, Salò, Barghe, Ponte San Marco, San Colombano,Torbole, Gussago, Paderno F.C., Bedizzole, Bione, Preseglie ed in varie circoscrizioni cittadine.  Ha partecipato a rassegna: "Quater sàbocc” del Prealpino (1999-2004) - “El dialèt a la Pavo” organizzato dalla Pavoniana (2000) - “Ciciàra ciciàra” di Roncadelle (2005). Le televisioni bresciane Super T.V. e Teletutto hanno presentato più volte “Auguri Nina “ e “Patì e mai mòrer” ed il “Ministrù”.. Attualmente il gruppo è impegnato nel nuovo lavoro teatrale dal titolo “Festa granda al camposant” di Gio. Pietro Biemmi. Il testo parla di don Tadini, parroco di Botticino, il quale, dopo essere stato elevato nel 2009 alla gloria degli altari, intende far visita alle anime del suo cimitero. Il gruppo è attualmente composto da: Attori: Domenica Busi - Emidio Quecchia - Pieranna Bonini - Giorgio Maghella - Monica Alberti - Enrico Tognazzi- Agnese Liberini - Marco Luppis - Lori Papirio - Luigina Gavezzoli - (ragazzi) Stefano e Matteo Luci e suoni: Filippini Severino - Lonati Emiliano Roberto Fassoli Collaboratori: Renzo Lonati - Sergio Rovetta - Casali Mario Regia ed autore dei testi: Gio. Pietro Biemmi Ultimo lavoro teatrale: “Storie di confine” dedicato alle vicende della 1° guerra mondiale in cui si parla dell’esodo in Boemia della popolazione della Val di Ledro. 44

LABOR ATORIO DI CUCITO ... E NON SOLO Ci risentiamo ad un anno di distanza. Tutto procede per il meglio. L'affluenza è notevole. Gli spazi sono diventati stretti. Il numero di donne, di tutte le nazionalità, che passa dal laboratorio è notevole. In quest'ultimo periodo si sono viste anche delle bambine, più che mai convinte di confezionarsi delle pigotte o imparare a lavorare a maglia. Verrebbe voglia di aprire l'attività anche in altri giorni, ma non possiamo se non ci sono altre donne, con un briciolo di esperienza nel campo del cucito, e non solo... che offrono un po' del loro tempo per le finalità del laboratorio. NON SERVONO TITOLI DI STUDIO. Si dà quello che si può. Nessuna partecipante resta delusa se si sente dire: “non lo so fare… proviamoci.” La ricompensa è l'amicizia che si crea nell'operare

insieme, un'integrazione a 360°, un sentirsi bene che ti fa desiderare di ritornare. Le riflessioni fatte sul Notiziario Pastorale lo scorso anno e l'invito a dare una mano, anche solo una volta al mese, non hanno ancora convinto del tutto. A Botticino ci sono tantissime donne che sanno usare una macchina da cucire e che hanno idee creative da concretizzare riciclando tessuti e filati. C'è anche una macchina per maglieria che aspetta una “maestra”. Per favore, passate una volta, tanto per vedere…. Anche quest'anno è ripreso il corso di taglio e confezione del sabato pomeriggio. Il numero delle partecipanti si è ridotto, ma a vantaggio dell'acquisizione di tecniche specifiche e realizzazione di capi più interessanti. La referente Ausilia

LE FINALITÀ DEL LABORATORIO

• offrire suggerimenti ed aiuto per realizzare un risparmio economico familiare, all’interno di un consumo ecosostenibile; • recuperare tecniche di lavoro che sono un patrimonio creativo femminile e passarle alle nuove generazioni; • educare alla capacità di ascolto, alla disponibilità, al dialogo e alla collaborazione, anche con chi non si conosce; • favorire lo scambio di osservazioni ed esperienze in campo domestico e sociale.

45


L’ACCOGLIENZA SPRAR A BOTTICINO I

n Italia esistono differenti forme di accoglienza. Il sistema di accoglienza SPRAR (servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati) è la forma di accoglienza coordinata e monitorata da un Servizio Centrale, gestito dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), in seguito ad una convenzione stipulata con il Ministero dell’Interno. Si tratta, quindi, di un sistema ministeriale di seconda accoglienza.

L’obiettivo del progetto SPRAR Provincia di Brescia (che coinvolge anche il comune di Botticino), è l’accoglienza diffusa o micro-accoglienza, ovvero la distribuzione delle persone sul territorio, anziché la concentrazione in un’unica grande struttura. Il progetto SPRAR di Botticino è gestito dalla Cooperativa Sociale K-Pax, i beneficiari del progetto (giovani uomini di età compresa tra i 18 e i 30 anni) sono ospitati all’interno di appartamenti di proprietà della parrocchia. Il progetto è attivo da due anni, durante i quali sono passate 20 persone (7 a Botticino Sera 13 a Botticino Mattina). Attualmente i ragazzi ospitati sono 10 provenienti da vari paesi: Ghana, Gambia, Nigeria, Pakistan, Mali, Afghanistan e Liberia. Durante la giornata hanno il tempo strutturato dalla scuola di italiano e cultura italiana presso la sede della cooperativa che si trova a Brescia. Qui gli operatori sociali, dopo aver valutato il livello di italiano

raggiunto e raggiungibile, lavorano per ricercare corsi di formazione professionali e tirocini di inserimento lavorativo, nel tentativo di portare all’autonomia economico- abitativa queste persone, nel minor tempo possibile. I progetti hanno infatti una durata di 6 mesi a partire dal giorno in cui viene riconosciuta una protezione internazionale (umanitaria, sussidiaria, asilo politico). Per alcuni questo tempo è sufficiente per costruire un nuovo progetto di vita, poiché dotati di risorse provenienti da un ambiente culturale in cui hanno avuto una possibilità di istruzione e di cure mediche. Per altri i traumi e le violenze subiti nel paese di origine e durante il viaggio verso l’Italia, rendono questo tempo sufficiente soltanto ad un accompagnamento psicologico e sanitario. Al termine dei 6 mesi, durante i quali si pianifica anche l’uscita dal progetto SPRAR, qualcuno decide di tornare nel proprio paese d’origine, qualcun altro trova un lavoro e una soluzione abitativa restando sul territorio, altri si trasferiscono in altre città o in altre nazioni, in cerca di nuove opportunità. L’uscita dal progetto rappresenta la fine dell’accoglienza e l’inizio della vita autonoma, un cambio di registro per le vite precarie di questi individui sul quale la comunità fa la differenza. Stefano Gagliardi Operatore sociale per la Cooperativa sociale K-pax ONLUS

SEMINARISTI NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINO DURANTE L’ESTATE Quella passata nelle parrocchie di Botticino questa estate, è stata una esperienza molto gradita. Con gioia ed entusiasmo, abbiamo passato un’estate, pur essendo impegnativa, tempi indimenticabili per la nostra fede, e il nostro cammino vocazionale specialmente nell’ambito della pastorale giovanile. Dalle bellissime terre donde veniamo, ci prepariamo ad una missione certo non facile ma bella, quella di portare il vangelo nel mondo e trasmettere Gesù a tutte le persone. Attraverso gli studi teologici che stiamo portando avanti, cerchiamo di vivere pastoralmente ciò che impariamo. E stato il leitmotiv della nostra esperienza durante l’estate. Attraverso le attività del Grest, abbiamo scoperto, sviluppato e arricchito insieme ai bambini e animatori, il senso del creato. Prendendo lo spunto sul tema dell’anno “ Detto fatto”, abbiamo riflettuto sui quattro elementi che compongono l’universo : la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, rispettivamente simbolo della gioia e virtù seminate, della vita, della relazione e della collaborazione. Parlare con i bimbi, ma anche con loro animatori di questi elementi, è stata una dimensione importante in quanto ci siamo esercitati, ognuno a scoprire i suoi doti per metterli alla disposizione degli amici per un mondo futuro sano. Anche noi che abbiamo avuto modo di spiegare questi temi, abbiamo imparato a contemplare la bellezza dell’universo. “Alzati, va' e non temere”, è stato il tema su cui abbiamo riflettuto con i giovani ai campi e non meno importante quando si ha in vista il ruolo che deve giocare la gio- Dieudonné MUKENDI ventù nel mondo odierno. Dare uno stimolo ai nostri giovani ad avere coraggio nelle R.D. del Congo scelte di vita, affidando sempre nel Signore e far loro scoprire l’importanza che riveste una scelta ben fatta per il futuro, è stato l’obiettivo. Noi stessi, consapevoli dei problemi che vivono, abbiamo cercato di trasmetterle la nostra stessa esperienza, la nostra stessa vita per costruire insieme come giovani, il futuro della nostra chiesa e dell’umanità. Il cammino della fede fruttifica quando viene vissuto nella dinamica della comunità. L’opportunità che abbiamo avuto con i ragazzi è stata proficua per noi, e speriamo anche per loro, in quanto abbiamo fatto un camino di fede insieme. Ogni volta che abbiamo pregato, condiviso il pasto, e giocato insieme, è stato un passo per la crescita e la maturazione nel cammino cristiano. Lo scambio di idee e i vari momenti di ascolto Jacques KASSIFA Benin che abbiamo avuto modo di vivere, ci hanno aiutato a crescere nel nostro cammino vocazionale ma allo stesso momento ha incoraggiato i nostri giovani ad aver più coraggio e andare avanti nelle scelte.

Joachim BADJI Senegal

Denny GEORGES India 46

47


CRONACA DI UN SOGNO DIVENTATO REALTA’ gruppo "mai senza l'altro"

E

ra da tempo che il nostro gruppo accarezzava un sogno: portare i “nostri ragazzi” e le loro famiglie a Roma dal Santo Padre Papa Francesco. “Come facciamo, come potremmo viaggiare e spostare le carrozzelle, non sarà troppo pesante e affaticante?...”- e tanti interrogativi sorgevano man mano che l’idea si rafforzava in noi. Parliamo con don Raffaele che in breve tempo ci aiuta a decidere. A lui la parte organizzativa per quanto riguarda il viaggio e i trasferimenti nella città di Roma e ovviamente la parte più emozionante cioè incontrare Papa Francesco durante l’udienza generale in piazza San Pietro . Lunedì 2 ottobre, puntualissimi, si parte alla volta della nostra capitale; emozionati e segretamente preoccupati che tutto vada per il meglio. Osservando i volti di tutti gli amici che occupano il pulman, si notano espressioni molto diverse, chi guarda verso la strada, chi sorride, chi diverte i più giovani, chi ha la fronte corrugata, però una cosa accomuna tutti ed è una grande domanda: ”Come sarà l’incontro?”. Con questa carica il viaggio continua. La nostra presidente saluta tutti, poi una breve riflessione e preghiera guidata da don Raffaele che ci invita ad offrire a Dio Padre le nostre giornate che vivremo insieme confidando nella Sua protezione e nel Suo amore. Il viaggio prosegue tranquillo dando spazio e attenzione ai nostri amici; c’è un bel clima, nel gruppo ci sono tante personalità; chi prende il microfono con disinvoltura raccontando barzellette a raffica, chi non lascia mai i ragazzi da soli, chi è pronto senza far rumore a dare una mano, chi provvede che sia tutto a posto…. ce n’è per tutti. Arriviamo grazie all’abilità del nostro autista verso

il centro di Roma ,il cupolone si vede in lontananza e possiamo finalmente dire che il nostro sogno sta diventando realtà. Accompagnati in Santa Maria Maggiore per celebrare insieme la Santa Messa, ci raccogliamo in preghiera nella cappella laterale dedicata alla Vergine Maria. Sull’altare è esposta un’immagine della Madonna ”Salvezza del popolo romano”, un’opera di epoca bizantina che la tradizione attribuisce a San Luca. Dopo la messa tutti col naso all’insù a contemplare le bellezze di questa basilica. Il nostro viaggio continua, ci inoltriamo a piedi tra il traffico romano e la nostra comitiva suscita interesse e curiosità; i romani sono abituati a vedere fiumi di turisti che si muovono e intralciano ma rimangono stupiti e incuriositi vedendo numerose carrozzine condotte da un gruppo di persone sorridenti e impegnate a districarsi tra viuzze , automobili e attraversamenti. I giorni proseguono non senza fatica perché il programma è intenso e vogliamo visitare i luoghi significativi della città: Piazza di Spagna, Trinità dei Monti, Fontana di Trevi, Piazza Navona, San Paolo fuori le Mura, San Giovanni in Laterano, Piazza San Pietro e la Basilica. Don Raffaele ci guida con dimestichezza e ci aiuta ad avere vie preferenziali per creare meno disagio ai nostri ragazzi. Il clima è proprio di grande amicizia, in questi momenti si creano nuove conoscenze, si scoprono confidenze, i nostri cuori si allargano, ci ascoltiamo e poniamo attenzione a chi è nel bisogno. Durante la visita in San Giovanni Laterano una ragazza del gruppo vedendo la bellezza della basilica riflette ad alta voce lasciando ammirati chi le è accanto :”Tutto quello che ho visto è molto bello, ma anche noi che ne

48

facciamo parte di questa bellezza siamo arte, quindi anche la disabilità è parte dell’arte!” Che sensibilità! Ultimo giorno, mercoledì 4 ottobre, emozionati ed entusiasti ci si alza presto. Arrivati in Piazza San Pietro, le persone in carrozzella con i famigliari e gli accompagnatori prendono il posto davanti alla scalinata da dove il Santo Padre prenderà la parola per l’udienza generale . Momenti emozionanti, il nostro striscione è in evidenza ed è grande gioia poter sentire la carezza del Papa. Quando la papamobile con il Santo Padre entra nella piazza un boato ed un applauso si alza ed Egli saluta tutti, fa il giro della piazza per essere vicino ai numerosi fedeli presenti. Il tema della riflessione di Papa Francesco è “LA SPERANZA CRISTIANA”. Al termine della Catechesi , dopo aver salutato i prelati a lui vicini, scende e si dirige verso lo spazio che condividiamo con altre famiglie e bambini ammalati. Che emozione vederlo così vicino, passa davanti ad ognuno di noi per un saluto personale, ci accarezza, ci dà la mano e ascolta con calma ciò che esce dalle nostre labbra anche se non sempre riusciamo ad esprimere ciò che stiamo provando dentro di noi ….. e Lui sorride. Si fa Padre accogliente che lascia una traccia importante e amorevole nel cuore di tutti noi chiedendoci di ricordarlo nella preghiera. Occhi che luccicano, sorrisi scomposti, lacrime che non si trattengono e desiderio di abbracciarci. Le voci si susseguono, i racconti si amplificano ma la cosa che più colpisce è sentir ripetere: ”E’ proprio vero che sa trasmettere amore e pace!” E’ quasi ora del rientro e una sensazione di serenità è entrata in noi. Questo ci dà la forza e la convinzione per continuare a vivere e condividere questa esperienza di gruppo anche davanti a inevitabili difficoltà. Un grazie grande a tutti i nostri ragazzi che sono stati bravissimi. Ognuno è tornato a casa arricchito e pronto a impegnarsi nell’attività del gruppo dando il meglio di sé. Il desiderio che ci accomuna è rendere sereni i ragazzi e le loro famiglie in quegli scampoli di tempo che possiamo loro donare rendendoci servitori come ci ha ricordato di esserlo Papa Francesco nella riflessione della giornata. “ ... Com’è bello pensare che si è annunciatori della resurrezione di Gesù non solamente a parole, ma con i fatti e con la testimonianza della vita!... Gesù vuole testimoni: persone che propagano speranza con il loro modo di accogliere, di sorridere, di amare …” Approfittiamo di questo spazio per augurare a tutta la comunità un Natale sereno, ma soprattutto ricco di speranza e di amore, perché nelle nostre famiglie si viva il messaggio di Gesù. Gruppo MAI SENZA L’ALTRO

49


Scuola don Orione

SCUOLA PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie

via Don Orione 1 Botticino Sera

“CONOSCERE I PROBLEMI EDUCATIVI MEDIANTE LA LORO SOLUZIONE” (problem solving)

Parrocchie, Servizi sociali, scuola Don Orione insieme per riflettere sul ruolo educativo di genitori e insegnanti. Parrocchie di Botticino Come è possibile agire in termini educativi su una realtà che ci appare sempre più problematica, come è possibile intervenire su alcuni comportamenti tanto al “limite” da farci perdere la speranza in un cambiamento? Ce lo ha spiegato il dott. Ferri, psicopedagogista e psicoterapeuta, nelle tre serate, appena concluse, del primo modulo di incontri formativi per famiglie, che a gennaio ci proporrà un secondo approccio alle tematiche care a noi genitori ed insegnanti: come possiamo essere efficaci nel nostro ruolo? Se si vuole conoscere bisogna imparare ad agire in modo adeguato, dando risposte coerenti a domande ben formulate Diversamente si rischia di trasformare una situazione di normalità in un problema, che altro non è che un blocco, il risultato di tentate soluzioni sbagliate reiterate nel tempo. In altri termini non esistono i problemi, solo soluzioni sbagliate che mettiamo in atto continuamente nella convinzione che queste siano le uniche possibili. Riflettere sui vari tipi di modelli ci può aiutare a capire come interveniamo di fronte a situazioni che definiamo “problema”: siamo autoritari, deleganti, intermittenti, sacrificanti, democratici permissivi, iperprotettivi, procediamo per tentativi ed errori, ma la validità del nostro intervento si misura sui RISULTATI ottenuti. Non otteniamo nulla nonostante tutti i nostri sforzi? Bè, allora forse è tempo di cambiare. Cambiare punto di vista può aiutare a trovare la soluzione, anche se la modalità ci sembrasse paradossale: per vincere le paure, le ansie, i blocchi non servono grandi discorsi, tentativi per con50

vincere che non esiste ciò che in questo momento è percepito come problema. Basta scegliere la soluzione più semplice che sempre appare come la più difficile, lasciarsi cioè immergere nel problema fino in fondo, inseguendo la logica del proibire per ottenere. Ecco il segreto: destrutturare le nostre certezze, che ci spingono a cercare una soluzione contrapponendoci al problema; il conflitto è funzionale, se bene usato. Inoltre la soluzione si trova nella reciprocità, cercando alleanze, non esasperando i contrasti. Una delle alleanze più importanti è quella tra scuola e famiglia. Occorre però che i genitori considerino la scuola una risorsa, non un ambiente penalizzante, dove i ragazzi devono sempre e solo trovare consensi in nome di un individualismo esasperato. Si cresce anche e soprattutto se qualcuno ci fa notare gli errori, se ci viene prospettato il bene comune come fine e il senso di responsabilità come mezzo per essere cittadini consapevoli, capaci di relazioni significative, senza avere la pretesa che la realtà si adegui al nostro modo di intenderla. Educare allora significa mettere in atto tutte quelle strategie che permettano di “vincere senza combattere” facendo sperimentare ai nostri figli/alunni la possibilità di superare le loro difficoltà grazie alla fatica. Sarà proprio questo ad aumentare la loro autostima perché non esiste apprendimento senza errore. Sarebbe bello ritrovarci tutti a gennaio, sperimentando nel frattempo alcune delle strategie suggerite, perché per cambiare bisogna apprendere e per apprendere occorre necessariamente cambiare. Qualora qualcuno desiderasse un confronto diretto col dott. Ferri, potrà rivolgersi all’assessore ai servizi sociali per il recapito telefonico. Busi Domenica Gli incontri riprenderanno in gennaio presso la sede della Biblioteca in piazza IV novembre a Botticino Sera

SCUOLA PARROCCHIALE DON ORIONE

Il perchè di una scelta

SERVIZI - Servizio prescuola dalle 7.30 con vigilanza - Servizio doposcuola: Primaria 16.00-17.30, Secondaria 14.40-16.30 - Servizio mensa con cucina interna - Collocazione scuola in un contesto tranquillo e salubre, lontano dal traffico cittadino - Servizio libri in prestito gratuito per la scuola secondaria

OFFERTA FORMATIVA - Progettazione verticale continuità tra primaria e secondaria

Scuole Don Orione Botticino Sera

- progetto LIFE SKILLS percorso di prevenzione con UST

Via Don Luigi Orione,1

- potenziamento linguistico: più ore alla primaria di inglese - studio lingue inglese, tedesco, latino alla secondaria

030 2691141

- insegnanti specialisti, alla primaria di inglese, Motoria, Musica - laboratorio teatrale - settimana bianca come momento di socializzazione con le famiglie - classi poco numerose - didattica laboratoriale -lezioni individuali extracurricolari di musica (pianoforte- chitarra) - attività corale curricolare - corsi pomeridiani di attività sportiva: danza classica e moderna, karate,…. - Possibilità di lezioni di recupero - Dote Scuola regione Lombardia - Borse di studio della Diocesi di Brescia - Rette contenute e possibili personalizzazioni 51

scuoladonorione Scuoladonorione segreteria.donorione@ botticino.it www.scuoledonorione.it


Estate 2017: Attività estive Botticino - Estate 2017: Attività estive Botticino - Estate 2017: Attività estive Botticino - Estate 2017: Attività estive Botticino

GREST: E' SEMPRE UNA BELLA ESPERIENZA...! I

l grest è sempre un’esperienza di valore inestimabile che riempie di vita e relazione i nostri oratori. Racconta la profonda volontà e l’attenzione che le comunità cristiane rivolgono alla cura e alla crescita dei bambini e ragazzi, permettendo loro di creare legami di amicizia e fiducia con i più grandi. E così anche quest’anno un numeroso gruppo di animatori adolescenti (circa 65) delle nostre parrocchie si è messo a disposizione dei piccoli (circa 260), insieme ai seminaristi che hanno accompagnato le esperienze estive a Botticino. Nei mesi precedenti si sono succeduti incontri di formazione e poi di progettazione, accanto a momenti di lavoro più pratico, per far sì che il tema proposto dalla Diocesi potesse essere trasmesso al meglio anche ai ragazzi. E così… “DETTOFATTO!”. L’attenzione educativa del grest è stata tutta rivolta al creato come opera meravigliosa che nasce dalla parola di Dio ed è donata all’uomo perché ne diventi il custode. Non si tratta quindi di possedere e conquistare ciò che ci circonda, ma di rispettarlo ed entrare in relazione con esso per riconoscerci creatura tra le creature. A fare da filo conduttore durante le varie settimane sono stati i quattro elementi primordiali di tutto l’universo. I ragazzi hanno scoperto che sono mescolati in modo perfetto dentro il creato e plasmano tutte le creature: terra per sperimentare l’origine e il fondamento, acqua per tornare all’essenzialità, aria

per scoprirsi bisognosi dell’altro e infine fuoco per alimentare di passione le nostre comunità e il mondo in cui viviamo. Giochi, balli, canti e attività laboratoriali hanno coinvolto grandi e piccoli in questa avventura del grest, che li ha messi in gioco e ha permesso di fare un passo avanti nella loro crescita. Perchè nella comunione con gli altri si cresce, nella disponibilità ad accogliersi, ascoltarsi, superare le piccole difficoltà o litigi, nel fare esperienza che in tutto questo Gesù ci è accanto… E anche la comunità, attraverso i genitori e adulti volontari, è stata accanto nel tenere puliti gli ambienti, nel prestare servizio alla mensa o durante la merenda al bar. E’ stata significativa anche la presenza dei seminaristi che si stanno preparando al sacerdozio a Roma: ci hanno fatto respirare un’aria di Chiesa dove tutti hanno molto di prezioso da dare e comunicare agli altri, pur proveniendo da esperienze e luoghi diversi del mondo.

52

campi estivi in valdaone

Anche quest'anno è stata offerta ai nostri ragazzi la possibilità di trascorrere alcuni giorni in montagna, in Valdaone. Per tre settimane preadolescenti e adolescenti hanno vissuto un'esperienza di condivisione, gioco, amicizia, riflessione a partire dal tema proposto per il campo: "Alzati, va' e non temere". Per i preadolescenti questi giorni sono stati come un allenamento alle "olimpiadi della vita", per riscoprire se stessi con i propri doni e risorse, certi che siamo tutti amati da Dio, il nostro "mister" che ci è accanto e ci incoraggia ad andare avanti e a tenere duro anche nelle difficoltà. Ogni giornata, attraverso le varie discipline sportive, l'ascolto di una parabola e le testimonianze dei "campioni", ha offerto la possibilità di confrontarsi con se stessi e gli amici, imparando ad apprezzare lo stile di vita proposto dal Vangelo, per essere persone libere e dare una mano al mondo. Oltre al sentirsi immersi nella natura con i suoi ruscelli, cascate, sentieri e più su le stelle, sarebbero tanti i momenti da ricordare: i canti e balli sui ritmi africani dei seminaristi, i giochi, le riflessioni e le attività di gruppo, la visita alla centrale elettrica, il profumo del formaggio di malga, la fatica della salita, il falò di sera… e infine l’accensione della fiamma olimpica e il momento conclusivo con la messa e il pranzo insieme ai genitori. I ragazzi, noi animatori, i volontari della cucina, i genitori, don Raffaele: è stato un bel lavoro di squadra organizzare queste olimpiadi! Poi si è svolto il campo per gli adolescenti. Ecco la testimonianza di uno di loro. Un viaggio, sia fuori che dentro. Lunghe chiacchierate e canti al chiaro di luna, camminate tra stupende valli ed imponenti montagne, attimi di preghiera e di silenzio, giornate passate nel più bell’abbraccio che si possa avere, quello della natura. Nuove amicizie, nuovi amori, nuove emozioni, nuove esperienze: questo per i ragazzi e le ragazze del 2001 e del 2000 è stato il quarto anno al Campo Estivo Parrocchiale in Val Daone. Sono stati, come ogni anno, sette giorni che non scorderemo mai. Abbiamo imparato, ascoltato, parlato, cercato, trovato, vissuto tra i muri della malga Boazzo e tra le migliaia di alberi di una delle più bella valli del Trentino. Ci siamo commossi al calar del sole dietro l’orizzonte lontano del lago e ci siamo esaltati durante le buie notti insonni, dove a farci compagni c’erano solo le stelle. Ora quando chiudo gli occhi sento ancora, in sottofondo, l’eco di quei giorni. Il silenzio nella cappella, le migliaia di voci perse nella foresta, le risate dei miei compagni di stanza e tutto, tutto sembra avere più senso. Paolo Guzzoni 53


USO BOTTICINO Con le festività natalizie finiscono le attività calcistiche i bambini dell’ U.S.O. BOTTICINO. Quest’anno siamo impegnati con bambine e bambini nati nel 2010 e 2011 e per molti di loro è la prima volta che si approcciano al calcio. La prima parte della stagione che si conclude con la pausa invernale è adibita ad allenamenti settimanali,alla ripresa dell’attività disputeranno anche un campionato ANSPI. Un pensiero anche per i bambini dell’asilo che si avvicinano al mondo del calcio con grande entusiasmo. Un doveroso ringraziamento agli allenatori che seguono gli atleti con passione e competenza. Un ringraziamento ai genitori che con la loro costante presenza e aiuto ci permettono di svolgere al meglio il nostro compito. Con la presente l’U.S.O. BOTTICINO augura a tutta l’UNITA’ PASTORALE un BUON NATALE e un Felice Anno Nuovo. Il Presidente Stefano Franchini

Presepio San Gallo 33° edizione Puntuale come ogni Natale torna anche quest’anno il presepio del gruppo dell’oratorio di San Gallo. L’appuntamento ormai divenuto un classico si rinnova da ben 33 anni e propone l’evento della nascita di Gesù in un’ambientazione sempre nuova, diversa dalle precedenti. I volontari giovani e meno giovani, infatti, unendo gesso, polistirolo e colori a fantasia e tanta voglia di fare, tutti ingredienti irrinunciabili, hanno dato vita ad un’ambientazione particolare tipica che ricorda il vicino borgo Rezzato... Naturalmente punto centrale del presepio è la natività, ma con essa si vuole rendere omaggio e mettere in evidenza alcuni tratti della storia locale, dei suoi abitanti, della loro laboriosità, caparbietà e della loro Fede ... Grazie al consueto ausilio dei personaggi in movimento, della colonna sonora con oltre dieci punti voce e dell’alternarsi del giorno e della notte, accompagnati anche da fenomeni meteorologici quali pioggia, neve e nebbia, il mistero che si rivela con umiltà potrà essere vissuto da quanti accorreranno in una scenografia quasi reale. Per informazioni: www.sangallopresepio.it

PRESEPIO APERTO FESTIVI dal 25 dicembre al 21 gennaio 10.00 -12.00 e 14.30 - 19.00 FERIALI fino al 5 gennaio 14.00 - 17.00

Dumper’s Christmas La stagione 2017/2018 è giunta al giro di boa e la Dumper si conferma squadra solida e compatta che occupa le posizioni di vertice del proprio girone Top Lega Anspi. Lo scorso anno calcistico si è concluso alla grande, con la vittoria del torneo regionale a Montichiari e la qualificazione per le finali nazionali di Bellaria; non è mai facile trovare nuovi stimoli, ma la squadra di Mauro Boifava sembra determinata a non deludere le aspettative dei propri tifosi. Tutta la società per il sesto anno consecutivo ha deciso di festeggiare il Natale con i propri tifosi, organizzando una grande festa alla quale è invitata tutta la comunità: l’evento è fissato per il giorno 16 di Dicembre presso il teatro dell’oratorio di Botticino Mattina, con una cena a base di spiedo e polenta; non mancheranno assolutamente la tradizionale tombola natalizia con ricchi premi, l’open bar gestito dal 10 Genio e i set dei DJ ufficiali Dumper Andrea Zanetti e Andrea Spranzi. Buon Natale a tutti e sempre forza Dumper! 54

Rivivere la Natività nella quotidianità A SAN GALLO DI BOTTICINO IL MUSEO ETNOGRAFICO DIVENTA PRESEPIOVIVENTE

Il presepio vivente di San Gallo si ripropone per la sesta edizione ,dopo aver vinto nel 2015 e nel 2016 il primo premio del concorso nazionale presepi, indetto dal Movimento Cristiano Lavoratori. La sacra rappresentazione del “Castelliere ai Cap “ assume anche un significato particolare perchè è il Museo etnografico che prende vita con tutti gli strumenti di lavoro tipici della tradizione locale e della civiltà contadina. Una quarantina di figuranti, provenienti da paesi diversi, sono impegnati a far rivivere la natività nella quotidianità della vita sociale, domestica o lavorativa d'altri tempi, in quel clima di solidale convivenza che caratterizzava la vita umile e schietta delle nostre contrade. Faranno da corona alla Sacra Famiglia i figuranti intenti allo svolgimento di lavori scomparsi quali: il “molèta”, la bachicoltrice, lo spazzacamino, il carradore, la ”sgarzina”, il canestraio e gli sgranatori. Le scene saranno animate anche dai giocatori della mòrra e da gruppi di bambini che faranno rivivere l'emozione dei giochi di una volta. Il presepe viene proposto in un ambiente di rara suggestione; tra strutture rinascimentali e vedute paesaggistiche che spaziano dal monte Maddalena alla pianura, dal lago di Garda agli Appennini. Quest'anno è stato ulteriormente ampliato il percorso con l'aggiunta di nuovi spazi e ambientazioni, sempre fedeli alla tradizione storica locale e rispettosi degli aspetti naturalistici tipici del territorio. Si segnala la partecipazione di vari gruppi musicali: il fisarmonicista, i pastorelli musicanti, le bande di Rezzato e Botticino, gli zampognari e i cantori diretti dal maestro Francesco Lazzarini. Gli appuntamenti per rivivere la magia della Natività nel presepio sono fissati nei giorni 25 e 26 dicembre 2017; 1, 6 e 7 gennaio 2018 dalle ore 17 alle 19, presso l'azienda agrituristica “Il Castelliere ai Cap”, in via Maddalena 5 a San Gallo di Botticino. Per i visitatori sono previsti il parcheggio in località Trinità e il percorso a piedi lungo via Maddalena. 55


C

ustodisci e proteggi, Signore,

questa vita rinata

dall'acqua del Battesimo

Battesimi Botticino Sera 23 aprile 2017

e questi coniugi cristiani nel tuo amore

Battesimi Botticino Mattina 2 luglio 2017

anniversari matrimonio 1 ottobre 2017

Battesimi e Rinnovo promesse Botticino Sera, 4 giugno 2017

anniversari matrimonio 10 settembre 2017

Battesimi Botticino Mattina, 23 settembre 2017

"Che la Parola di Dio guidi i tuoi passi, e il cammino della vostra famiglia." Battesimi Botticino Sera, 22 ottobre 2017

Battesimi Botticino Sera, 8 dicembre 2017 Battesimi Botticino Sera, 24 settembre2017

56

Botticino M. - Consegna Bibbia 19 novembre 2017 57

Botticino M. - Consegna Bibbia 3 dicembre 2017


Da Santiago di Compostela a Fatima Pellegrinaggio dell’Unità Pastorale

V

Si interroga Dante ne “La Vita Nova”: <Peregrini chi sono? Peregrini si possono intendere in due modi: in uno largo e in uno stretto; in largo in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria, in uno stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di S. Jacopo di Compostela o chi a Roma va a chiamarsi Romei>. Nei pellegrinaggi il cristiano è chiamato ad un percorso personale: quello che gli vien chiesto, prima di tutto è di fare una scelta e di incamminarsi in una certa direzione. Dio ti dice di percorrere la tua strada in libertà; lui ti cammina a fianco e alla fine del viaggio, là, ti aspetta. Numerosi i botticinesi che hanno risposto all’invito dell’Unità Pastorale, guidati da don Raffaele, dal diacono Pietro a compiere il viaggio – pellegrinaggio a Compostela prima, a Fatima poi, nel centenario delle apparizioni: luoghi significativi per un’esperienza cristiana coinvolgente, in particolare il secondo ove si sono verificati avvenimenti che hanno svelato i segni dei tempi del XX secolo, percepiti dalle persone più semplici e dai cuori più aperti, che hanno intravisto negli interventi mariani l’attivo coinvolgimento del soprannaturale nelle faticose vicende umane di un secolo terribile segnato da due guerre mondiali e dall’aspro confronto di ideologie totalitarie. L’incantevole e fantastica visione delle Alpi – la piramide del Cervino e il gran-

de massiccio del Monte Bianco sullo sfondo – e l’arida distesa della meseta spagnola, color ocra, ci accompagnano nel lungo trasferimento verso Lisbona. Lentamente plana l’aereo quasi per farci ammirare più a lungo possibile la magnifica visione della città, l’immenso bacino del Tago, la colossale statua del Cristo Re che sembra accoglierci in un grande abbraccio. È una visione di sogno, stagliata contro un cielo azzurro splendente. Ha scritto il massimo poeta portoghese Fernando Pessoa: <se fossi Dio fermerei il Sole sopra Lisbona>, abbagliato dalla visione raffinata della sua città. Ma non è tempo di sosta, a Lisbona torneremo alla fine del viaggio. Si corre subito veloci nella pianura dell’Estremadura in un contesto naturale suggestivo: grandi boschi di eucalipti, terra ricca di vestigia storiche, monasteri, castelli. Breve la sosta nel caratteristico villaggio medioevale di Obidos, un tempo accampamento romano, poi fortezza araba. La bella stradina principale, fiancheggiata da bianche casette ricoperte di gerani ci porta all’imponente fortezza dalla quale si gode uno spettacolare panorama sull’intero Portogallo centrale; rabbrividente il giro di ronda sulle antiche mura! Il possente respiro dell’atlantico ci avvolge a Nazarè, caratteristico villaggio di pescatori: per un attimo siamo coinvolti anche noi nella processione coloratissima di S. Antonio che si svolge ogni 13 giugno.: festa di canti, luci, costumi di antica tradizione. È l’anima popolare portoghese che si esprime in una religiosità sentita e genuina. Sui lontani scogli, avvolti da nebbie sottili le onde si 58

scagliano rabbiose nell’eterna lotta gigantesca degli elementi naturali. La vuota vastità dell’Oceano fa affiorare alla memoria e alla mente i sommi versi leopardiani: “tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare” (da l’Infinito vv 14-15). Ecco Coimbra, felice immersione nella storia e nella cultura portoghese: città d’impronta araba, tutta scalinate, vie e stretti vicoli. Stupefatti e ammirati da tanta magnificenza sostiamo nella grande piazza, sulla quale si affacciano il Palazzo Reale e l’università, tra le più antiche d’Europa. In religioso silenzio percorriamo il dedalo delle sue sale: alle pareti ritratti di Re, seriosi vescovi, principi. Ci accoglie la prestigiosa biblioteca di fama mondiale, ricca di un milione di manoscritti, incunaboli, pergamene; è un vero paradiso per gli appassionati ricercatori. Qui è conservata l’edizione prima de “I Lusiadi” di Camoes del 1572, massimo cantore delle imprese dei navigatori portoghesi, narra la guida. Con una certa emozione e animo sospeso entriamo nel monastero di Santa Cruz, nel quale visse e morì nel 2005 Suor Lucia, la veggente di Fatima, che sola ebbe il privilegio di parlare con la Signora del Rosario. Ci lasciamo avvincere dal salmodiare delle monache carmelitane, invisibili dietro la grande grata, in un’atmosfera di medioevale spiritualità che ti avvolge quasi a rapirti. E’ uno dei momenti più intensi dell’intero pellegrinaggio. Sull’antico “cammino” solitari pellegrini, alcuni con bordone e bisaccia in abbigliamento medioevale, ci anticipano l’arrivo a St. Jago di Compostela, luogo della sepoltura del corpo dell’apostolo Giacomo i cui resti furono qui trasportati dopo la decapitazione subita nel 44 dopo Cristo in Palestina ad opera di Erode.

Sepoltura per secoli dimenticata poi rintracciata nell’anno 813 d.C. grazie a luci simili a stelle (Compostela campo delle stelle), che hanno indicato il luogo dei resti mortali di S. Giacomo. Quasi timorosi entriamo nell’immensa Basilica, nella semioscurità delle navate, mescolati ai tanti pellegrini che avevano compiuto il vero cammino di 780 km dai Pirenei a qui. Solenne la messa, concelebrante anche Don Raffaele; stupefacente il rito del Botafumeiro, il grande turibolo. Momenti da tutti attesi, mescolati ai profumi degli aromi che si diffondono dopo i tanti kilogrammi di incenso e carbone che sono stati introdotti nel turibolo, attorno al quale armeggiano gli otto inservienti in cappa rossa. Tirano le corde e lo fanno volare fin quasi ai soffitti delle due navate a più di 20 metri dal suolo. Le volute di incenso volteggiano nell’aria, girano su se stesse, si attorcigliano, diventano sempre più sottili e infine svaniscono. Spettacolo e momento che rievocano l’atmosfera delle celebrazioni nelle cattedrali dell’Europa medioevale. Percorriamo lentamente l’immensa spianata di Fatima; la cerchia dei portici sembra voler accoglierci in un grande abbraccio: è il momento dell’incontro personale con la Signora del Rosario, così la Madonna si manifestò a Lucia. Nella minuscola cappella e d’innanzi alla piccola statua si è subito immersi in una particolare atmosfera: nasce subito uno spontaneo dialogo interiore con una Presenza soprannaturale. Si va subito con la mente a quel lampo, a quella grande luce, a quel piccolo leccio, dal quale la “Bella Signora” – così la descrisse Lucia – disse: <Non abbiate paura, io non vi faccio del male>. Nella processione serale, l’improvviso spuntare qua e là nel buio di tanti piccoli punti luminosi che in breve si moltipli-

cano diventando un vero fiume di fuoco ed il saluto di migliaia di fazzoletti bianchi per un personale saluto alla Madonna creano partecipazione intensa, momento interiore mai provato, ricordo incancellabile nella memoria del pellegrino. Si fa presente e pressante il messaggio di Fatima: pregate perché tutti gli uomini seguano la strada del Vangelo e non cadano nel peccato. È il messaggio a tutti gli uomini, ben sintetizzato dalle parole di Benedetto XVI: <Mi è grato pensare a Fatima come scuola di fede con la Vergine Maria come maestra: lì Lei ha eretto la sua cattedra, come insegnare ai piccoli veggenti Lucia, Francesco e Giacinta e poi alle moltitudini le verità eterne e l’arte di credere, pregare e amare>. Pensare, pregare per scoprire il senso della vita. Pregare e credere per non farsi rubare la speranza che sembra essere una delle vittime illustri del nichilismo e del relativismo contemporaneo e per non cadere nel pessimismo e nella disperazione. Questo il vero messaggio della Signora del Rosario! Sulla via di Lisbona una sosta breve a Sintra, l’”Eden in terra” secondo i portoghesi che amano dire: <Sintra, dove la terra finisce e il mare comincia>. Palazzi fiabeschi, splendidi giardini, paesaggio straordinariamente incantevole. In lontananza l’Oceano e il pensiero corre alle minuscole caravelle dei grandi navigatori che affrontarono mari sconosciuti percorrendoli in lungo e in largo: Vasco da Gama, Magellano, Cabral. Di nuovo Lisbona, città viva e spettacolare nel suo anfiteatro di colline, colorata come le lontane terre che l’hanno resa ricca. Abbagliante la meraviglia del monastero dos Jeronimos, perla unica nel 59

suo genere: una sinfonia di pinnacoli, volte gotiche a crociera, sottili pilastri che sembrano svanire nelle trame delle nervature, bifore meravigliose. Come un miraggio che sorga dalle acque dell’Oceano la torre di Belem, arabeggiante, una fuga di merlature e balconcini. È una visione da “Mille e una notte!”. Una sorpresa per molti la visita alla chiesa di S. Antonio, che racchiude la casa natale del Santo; visitiamo la minuscola stanzetta ove egli nacque. Santo “italiano” certo, sepolto a Padova, ma qui trascorse la giovinezza, qui maturò la sua decisione di seguire poi le orme di S. Francesco d’Assisi. Ma è tempo di ritorno; ottima l’assistenza tecnica dell’Agenzia Vadus, un caloroso grazie a Battista, attento organizzatore del gruppo. Con ancora negli occhi il panorama delle Alpi francesi quasi completamente prive di neve, si rulla sulla pista di Malpensa. Dopo l’intensa settimana di condivisione, di nuove conoscenze, di nuove amicizie, di intensi momenti di spiritualità e di fede è tempo del distacco. Qualche abbraccio, strette di mano, promesse di ritrovarsi, commozione nel saluto con alcuni di più stretta amicizia. Anche occhi lucidi nel ricordo dei giorni trascorsi insieme. E se il vero pellegrinaggio cominciasse ora? Giulio Busi e Graziella Giugno 2017


Intervento alla TORRE CAMPANARIA di Botticino Mattina Opere di consolidamento e restauro conservativo e miglioramento sismico Storia della torre La costruzione della torre campanaria, di impronta neoclassica, ha costituito il completamento del complesso della chiesa dei Santi Faustino e Giovita a Botticino Mattina, edificata negli anni 17401779. Fino a quel momento, era rimasto funzionante il vecchio campanile a due campane della chiesa dei Santi Pietro e Paolo (oggi teatro) che, essendo basso ed angusto, non aveva nessuna corrispondenza architettonica con la nuova chiesa. Anche da qui nasceva la necessità di realizzare un nuovo campanile. I lavori iniziarono nel 1848 con un contratto nel quale, alla ditta Gaffuri di Rezzato, si chiedeva di “… somministrare tutti i marmi delle nostre cave e quelli dei quattro spicchi dei frontali e dei 4 spicchi del fondo delle arcate saranno lastre di corso di Rezzato, ma perfette…”. La costruzione si protraeva parecchi anni con vicende alterne per completarsi nel 1898 dopo che, nel 1882, il Parroco Don Luigi Ardigoni aveva sospeso il suono delle campane del vecchio campanile per timore che le vibrazioni lo potessero far crollare sulla sottostante canonica e che, nel 1897, un violento temporale ne aveva fatto volare il tetto ad una distanza di 150 metri, lasciando così le campane a cielo aperto. Forme di degrado La torre campanaria presenta problematiche sia di natura strutturale, sia di degrado delle superfici esterne in pietra. Le prime sono: 1) Il deterioramento dei profilati di ferro che reggono le voltine di mattoni del piano di calpestio della cella campanaria la cui profonda corrosione, dovuta all’esposizione agli agenti atmosferici, ha consumato buona parte della sezione resistente degli elementi portanti fino al punto di comprometterne la stabilità; 2) L’apertura di due lesioni a croce nella volta di mattoni di copertura della cella campanaria in conseguenza

dell’abbassamento subito dalla parte centrale della volta per l’azione del pesante pilastro di muratura in appoggio su di essa; 3) L’assenza di catene di contrasto delle spinte orizzontali dovute agli archi ed alla volta di copertura della cella campanaria, che sono state probabilmente rimosse in passato, come testimoniano gli spezzoni di ferro fuoriuscenti dall’imposta degli archi; 4) La vulnerabilità sismica, in particolare della cella campanaria, evidenziata da una specifica analisi sismica. I principali fenomeni di degrado delle superfici esterne, totalmente in marmo di Botticino, sono dovuti all’esposizione del monumento agli agenti atmosferici e inquinanti (pioggia, gelo e disgelo, ecc) e agli organismi vegetali e animali, che hanno provocato le fessurazioni della pietra, con conseguenti infiltrazioni e distacchi, l’erosione, l’alveolizzazione, le colature, la colonizzazione biologica, i depositi superficiali, ecc. La parte più interessata dalle fessurazioni è il basamento, sui cui timpani (particolarmente esposti alle intemperie) sono evidenti importanti distacchi di pietra, grandi macchie di umidità e di vegetazione cresciuta in maniera spontanea, colonizzazioni biologiche, conseguente deposito superficiale di materiale e formazione di croste nere. Numerose fessurazioni e distacchi, di minore entità, sono distribuiti su tutte le superfici del campanile. Fenomeni corrosivi interessano le parti in ferro della torre campanaria 60

(parapetti, parafulmine, cunei e zeppe di livellamento dei conci in pietra). Questo quadro è il segno evidente del fatto che, dalla sua realizzazione, oltre centoventi anni fa, l’esterno e la struttura della torre non sono più stati oggetto di manutenzioni fatte in modo organico. Finalità e descrizione dell’intevento ll progetto di consolidamento strutturale e di miglioramento sismico consiste: 1) nella messa in opera di nuovi profilati di acciaio a rinforzo della soletta di calpestio della cella campanaria, che verranno messi sotto quelli esistenti essendo impossibile la loro sostituzione perché sono completamente incassati nei mattoni; 2) Nell’abbassamento dell’altezza del pilastro appoggiato sulla volta di copertura, onde alleggerirla, vista la sua limitata utilità e il suggerimento dato dalla Soprintendenza per questa operazione; 3) Nella messa in opera di catene metalliche alle reni degli archi della cella e alla base dei piedritti, capaci di contrastare totalmente le spinte orizzontali degli elementi arcuati. Questi dispositivi sono costituiti da barre di acciaio zincato con capichiave esterni a piastra nervata, inserite nella struttura muraria in fori realizzati con sonde a sola rotazione per evitare vibrazioni sul corpo di fabbrica. Le catene assolvono sia un compito statico, reso evidente da calcoli di stabilità che hanno dimostrato che le condizioni di stabilità degli archi sono attualmente al limite, che di miglioramento sismico, andando a contrastare alcuni cinematismi (meccanismi di danno) che si possono attivare durante un terremoto. Inoltre, il progetto di conservazione prevede un trattamento passivante di tutti gli elementi metallici per arrestarne il degrado. Per quanto riguarda il restauro conservativo delle superfici esterne sono previsti: - l’inserimento di perni e l’esecuzione di stuccature sulle parti lapidee fessurate al fine di impedirne il distacco e l’infiltrazione di acqua piovana e di umidità atmosferica; - per le colature è prevista una pulitura manuale delle superfici e la successiva applicazione di impacchi composti da polpa di carta seguiti da ripetuti lavaggi con acqua demineralizzata; - per la colonizzazione biologica è prevista l’asportazione dell’attacco mediante applicazione di biocida, lichenicida e diserbante sistemico e successiva rimozione meccanica con ausilio di spazzole e spatoline, seguito da abbondanti risciacqui con acqua demineralizzata a pressione. E’ previsto il trattamento conservativo per la porta di legno d’ingresso e per la trave della cella campanaria.

Un'importante opera di prevenzione aggiunta sarà data dalla protezione degli aggetti di gronda della torre con scossaline in piombo, che verranno messe in opera sul cornicione del basamento, su quello della cella campanaria e su quello della terrazza di copertura. QUADRO ECONOMICO La relazione tecnica ha ben descritto il perchè, l'urgenza e la necessità di questo intervento. A seguito di un contributo certo della Fondazione Cariplo all'interno di un progetto di intervento presentato dalle parrocchie di Botticino, il Consiglio degli Affari Economici della Parrocchia di Mattina ha dato il via all'opera. La spesa complessiva ad oggi è di circa € 200.000,00 (comprensivo di alcune voci che riguardano indagini e interventi contenute nella domanda di contributo Cariplo di circa 30.000,00 €). Il contributo della F.Cariplo è di € 80.000,00 su rendicontazione di € 160.000.00. La Curia ha autorizzato la Parrocchia ad aprire un mutuo di € 160.000,00, neccessario per avere liquidità nel pagare le imprese impegnate, che verrà ridotto dal contributo F.Cariplo durante lo stato di avanzamento dei lavori. In occasione del Natale verranno coinvolte le realtà commerciali di Botticino Mattina e i residenti che sono titolari di attività fuori parrocchia. Con il 2018 verranno coinvolte le famiglie di Botticino Mattina con iniziative proprie che verranno illustrate in un incontro, all'inizio di gennaio, aperto a tutta la parrocchia durante il quale verrà presentato in modo dettagliato l'intervento, e il quadro economico. Il C.P.A.E. ringrazia il "comitato per la torre" che con le offerte raccolte e iniziative (libro...) ha contribuito alla spesa iniziale del progetto tecnico. 61


San Gallo

LAVORI IN CORSO

ultimo dell’anno in oratorio

Nonostante l'impegno dei tecnici incaricati e la burocrazia degli organi istituzionali, ai quali necessarimente bisogna fare riferimento, il progetto di intervento alla chiesa parrocchiale, già presentato alla comunità e ai Consigli parrocchiali, subisce ritardi. Speriamo sia imminente l'autorizzazione anche per non perdere il contributo della Fondazione Cariplo assegnato di circa € 40.000,00.

Botticino SERA

CAMPANILE e iniziativa "una pietra per il campanile".

Il restauro conservativo del Campanile è terminato. Grazie alle offerte (€ 24.525,00) e a una erogazione liberale di una ditta (€ 28.000,00) si è raccolto € 52.525,00 pari a 1050 pietre rispetto alle 1417 necessarie. A completamento dell'intervento si procede alla Rimozione di aggiunta funzionale esterna (sgabuzzino ai piedi del campanile sulla via Valverde), autorizzata dalla Sovrintendenza, a completamento degli interventi per la conservazione e valorizzazione del nucleo monumentale più antico. La spesa si rende necessaria anche per ottenere la pienezza del contributo assegnato dalla Fondazione Cariplo "Fa fede il marmo" per la Parrocchia di Botticino Sera.

Botticino Mattina

Il C.P.A.E. della Parrocchia di Botticino Mattina, con la fine dell'anno 2017 intende concludere l'iniziativa "adottiamo le canne dell’organo". All'inizio di dicembre 2017 sono state adottate 917 canne, ne mancano ancora 229. Si confida nella raccolta delle offerte delle buste distribuite nelle famiglie in occasione del Natale. Con il 2018 l'attenzione verrà posta sull'intervento alla Torre campanaria come descitta nella parte finale della pagina precedente.

servizio aiuto nelle sacrestie, pulizia chiese e oratori, servizio bar oratori e cucina, piccoli lavori di manutenzione, servizio nelle attività caritative .... contattare il parroco 3283108944 62

Presso gli oratori la festa dell’ultimo dell’anno

utile feste d’estate nelle parrocchie

Per informazioni e iscrizioni: BOTTICINO MATTINA Sergio 3397312477 e negozi autorizzati

TORNEO STREET SOCCER € 6.538,00 FESTA ORAT. BOTT. MATTINA € 12.940,00 FESTA ASSUNTA BOTT.SERA € 954,00 FESTA PATRONALE SAN GALLO € 11.415,00 FESTA SAN FAUSTINO AL MONTE € 2.948,00 PESCA SAN NICOLA PER ORGANO € 600,00 CODORME’ SAN NICOLA € 1.500,00

SAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 BOTTICINO SERA oratorio tel.0302692094 (per famiglie con bambini 3476351563)

€ 25,00 adulti € 15,00 bambini

PRESSO L’ORATORIO DI BOTTICINO SERA CONTAINER PER RACCOLTA INDUMENTI, ABITI, SCARPE, BORSE TAPPI PLASTICA OLIO USATO

numero verde da numero fisso 800-123958 da cellulare 3462225896 63


GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO

SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratelli ***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni

SAN GALLO MERCOLEDI 20 Celebrazione e confessioni ore 16,00 e 20,00 BOTTICINO MATTINA GIOVEDÌ 21 Celebrazione e confessioni ore 16,00 e 20,00 BOTTICINO SERA VENERDÌ 22 Celebrazione e confessioni ore 16,00 e 20,00 CONFESSIONI INDIVIDUALI a SAN GALLO sabato 23 dicembre dalle 16,30 alle 17,30 a BOTTICINO SERA domenica 24 dicembre dalle 15,00 alle 18,00 a BOTTICINO MATTINA domenica 24 dicembre dalle 15,00 alle 18,00

festività natalizie

***SOLENNITA' DEL SANTO NATALE S.Messa nella vigilia ore 18,00 chiesa Sacra Famiglia

santa Messa nella notte ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 aBotticino Sera - ore 24,00 a Botticino Mattina sante Messe nel giorno come orario festivo. Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina

*** martedì 26 dicembre S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 9,30 - Botticino Sera ore 8,00 e 10,45

*** domenica 31 dicembre: SACRA FAMIGLIA S.MESSE di ringraziamento come orario festivo

***lunedì 1 gennaio 2018 SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE orario S.Messe: A

BOTTICINO SERA ore 10,45 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 9,30 e 17,30

***sabato 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo Bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini (ore 10,00 a San Gallo-ore 10,45 a Sera-ore 17,30 a Mattina)

***domenica 7 gennaio: BATTESIMO DEL SIGNORE come orario festivo. ore 10,45 a Bott. Sera consegna ai genitori dei figli battezzati nel 2017 del “Catechismo dei bambini”

sabato 17 febbraio 2018

Liturgia della Parola e Cresime per le parrocchie Unità Pastorale di Botticino celebrate dal Vescovo Domenico Sigalini Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,30

domenica 18 febbraio 2018 S.Messa di Prima Comunione

ore 9,30 a San Gallo - ore 10,45 a Botticino Sera ore 12,00 a Botticino Mattina


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.