Inside Lombardia maggio

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magazine mensile / distribuzione gratuita in lo mbardia / anno iv / n. 4 / MAGGIO 2 0 0 9 / w w w . i n s i d el o m b a r d i a . i t

n. 4 / MAGGIO 2009

il terremoto in abruzzo la domotica è nel dna degli italiani intervista a fabrizio frigeni curare il tumore al seno

costantino rocca COME VIVERE DI EMOZIONI


Gioiello-Scultura

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Marco Ravasi

e ditoriale

cari lettori inside lombardia anno IV / n. 4 www.insidelombardia.it _____________________________________________________

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ncora una volta il nostro Paese ha dovuto fare i conti con un’altra tragedia. Il terremoto in Abruzzo è stato devastante e l’evoluzione raggiunta dei mezzi di informazione (web in testa) ha potuto farci rendere conto con immediatezza quale fosse la portata della catastrofe. Le due facce contrapposte della tragedia si sono subito mostrate: da una parte la generosità di tanti anonimi volontari che si sono subito prodigati nell’organizzare gli aiuti e dall’altra la piaga dello sciacallaggio, gente senza scrupoli e senza dignità pronta a trarre vantaggio dal dolore altrui. Per nostra fortuna a prevalere è stata la solidarietà, che ha coinvolto istituzioni pubbliche e privati cittadini e ha permesso che la macchina dei soccorsi scattasse sin dagli attimi successivi la scossa notturna del 6 aprile, quella che ha prodotto i maggiori danni. Purtroppo tantissime persone hanno perso la vita e molta gente ha perso una casa dove vivere, ma dopo l’immenso dolore è già tempo di farci venire il dubbio se una catastrofe di tale portata si potesse in qualche modo prevenire. A quanto pare nel tempo molte sono state le incurie, troppe le costruzioni erette fuori norma e tante le leggi non scrupolosamente applicate. Il perché di ciò è una domanda alla quale, quando l’emergenza sarà arginata, occorrerà che le istituzioni preposte diano una risposta perché in futuro non si debba più assistere a tutte quelle scene strazianti alle quali nessuno si potrà mai abituare. Adesso è il momento di stare a fianco del popolo abruzzese e dare concretamente una mano perché chiunque può fare qualcosa, anche un piccolo gesto può essere un grande aiuto.

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lombardia in pillole

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cose, fatti e persone

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la SCOSSA IMPROVVISA IN ABRUZZO

terremoto

COSTANTINO ROCCA

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IL SEGRETO DEL MIO SUCCESSO

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denaro, sviluppo e crescita

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CONCRETIZZARE L’IDEA DI UN PROGETTO

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sguardo sul mondo

INCUBATORE

DOMOTICA

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è ORA NEL DNA DEGLI ITALIANI

IL CATTIVO DESIGN

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s ommario

n. 4 / mAGGIO 2009

LA CAFFETTIERA DEL MASOCHISTA

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s ommario

DA IT BAGS A IT SHOES PER COLPA DELLA CRISI

SIMBOLOGIA

LINGUAGGI CHE S’INTRECCIANO

FABRIZIO FRIGENI

LA MUSICA è IN CONTINUA CRESCITA

EUROPEI “AZZURRI”

VANESSA E TANIA VOLANO ALTO 6

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UNA MODA CHE PRENDE MANO

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alsazia

la regione al di là della riva

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LOMBARDIA IN PILLOLE COSE, FATTI E PERSONE

____________________________________________________________________________________________ NOVITÀ, PREMIAZIONI, APPROFONDIMENTI. LA REGIONE LOMBARDIA PROTAGONISTA SU PIÙ FRONTI: DAL SOCIALE ALLA SALUTE TOCCANDO I TEMI ECONOMICI CHE CI AFFLIGGONO LE INIZIATIVE SOLIDALI DELLA REGIONE LOMBARDIA IN FAVORE delL’ABRUZZO, COLPITO DAL TERREMOTO

In Lombardia nel 2008 1,5 mld recupero evasione, +15%

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azione di contrasto all’evasione fiscale condotta nel 2008 dall’Agenzia delle Entrate in Lombardia ha portato al recupero di 1 miliardo e 507 milioni di Euro, circa il 15% in più rispetto al 2007. Lo afferma una nota della stessa Agenzia. In particolare, 848 milioni (+31% rispetto al 2007) derivano dai versamenti diretti dei contribuenti e 659 milioni da cosiddetti ‘ruoli’. L’attività di accertamento in senso stretto ha prodotto incassi per 914 milioni di Euro (+45%), suddivisi fra i 655 milioni derivanti da versamenti eseguiti dai contribuenti (a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza, conciliazione, controllo formale 36 ter) e 259 milioni iscritti a ruolo. Gli accertamenti relativi a Imposte Dirette, Iva e Irap in Lombardia sono stati 85.200, con un incremento del 23% rispetto allo scorso anno e hanno portato a una maggiore imposta accertata di circa 4 miliardi e 760 milioni di Euro (+18% rispetto al 2007).

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ANZIANI: Lombardia, da luglio 2.500 nuovi posti letto in rsa

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a Regione Lombardia metterà a disposizione dal prossimo luglio 2.500 nuovi posti letto accreditati nelle strutture sanitarie per anziani. Ad annunciarlo il presidente Roberto Formigoni, al termine della seduta di Giunta che ha approvato la delibera proposta dall’assessore regionale alla Famiglia e Solidarietà sociale Giulio Boscagli insieme al collega della Sanità Luciano Bresciani. Grazie a questo provvedimento aumenteranno i posti letto per gli anziani over 75 nelle RSA lombarde, ovvero nelle Residenze Sanitario Assistenziali. Dal primo luglio, infatti, all’offerta già oggi erogata dal Pirellone (56 mila posti letto) se ne aggiungeranno altri 2.500, per un impegno complessivo di spesa di circa 900 milioni di Euro nei prossimi due anni. «Da sola la Lombardia – ha precisato Formigoni –

offre un numero di posti letto che è più della metà di quelli offerti in tutta Italia. Raggiungiamo cioè quell’indice di 7 posti letto per 100 ultra 75enni che è stato stabilito dal nostro piano socio sanitario

regionale». Un dato che, secondo il governatore lombardo, dimostra come «il welfare lombardo sia capace di rispondere ai bisogni, come quello degli anziani non autosufficienti».


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uattro milioni e mezzo di Euro per l’attuazione di progetti riguardanti lo sviluppo della mobilità ciclistica in Lombardia. Il via libera è venuto da parte della Commissione Bilancio, presieduta da Fabrizio Cecchetti (Lega Nord), che ha votato la norma finanziaria riguardo uno specifico progetto di legge approvato poco dopo all’unanimità dalla Commissione Territorio presieduta da Giovanni Bordoni (Fi–Pdl). «La norma approvata – ha commentato Cecchetti – riguarda i progetti che potranno essere realizzati già nel corso di quest’anno. L’obiettivo è quello di creare una rete diffusa di percorsi sicuri, consentendo l’utilizzo della bicicletta come mezzo alternativo all’auto e sviluppare in questo modo una politica turistica fondata sull’uso delle due ruote». «Il progetto di legge – ha aggiunto il Presidente della Commissione Territorio Bordoni (Forza Italia–Pdl) – maturato con il consenso e il supporto di tutti gli assessorati interessati, istituisce uno strumento legislativo al passo coi tempi, che risponde all’interesse sempre più diffuso tra la gente del mezzo ciclistico» Il progetto di legge nasce dalla premessa che la bicicletta può contribuire a migliorare il traffico e l’ambiente urbano, rispondendo alla necessità di una politica integrata della mobilità che prevede la creazione di piste e corsie ciclabili protette, parcheggi per le due ruote e la promozione della intermodalità (treno+bici; bus+ bici). Le nuove norme prevedono inoltre la realizzazione di un programma regionale, che sarà aggiornato ogni tre anni e recepisce il principio del cicloturismo, ossia l’uso della bicicletta per valenza turistica che assume particolare rilevanza in una Regione

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come la nostra che vanta percorsi tra le montagne o lungo i laghi. Soddisfazione è stata espressa anche dal relatore del provvedimento, Stefano Tosi (Pd): «Abbiamo approvato una norma che definisce gli strumenti necessari per una corretta e ade-

guata programmazione ciclistica sia urbana che extra urbana. È stato importante approvare compatti un documento che integra l’uso della bicicletta nella politica della mobilità, creando una rete ciclabile regionale consistente».

Dalla regione 75mila Euro per la funivia Ponte a Varese

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n contributo straordinario di oltre 75.000 Euro è stato assegnato dall’assessorato alle Infrastrutture e Mobilità della Regione Lombardia per la manutenzione della funivia Ponte di Piero–Monteviasco nel Comune di Curiglia con Monteviasco, in provincia di Varese. L’impianto è l’unico collegamento tra Curi-

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4,5 mln di Euro per piste ciclabili

glia Ponte di Piero e Monteviasco poiché nessun altro mezzo di trasporto pubblico locale raggiunge le due località. La funivia necessita della revisione speciale che, per Decreto Ministeriale, deve essere effettuata ogni 5 anni. «Ho ritenuto indispensabile – ha detto l’assessore alle Infrastrutture e Mobilità, Raffaele Cattaneo – sostene-

re con un significativo contributo questo fondamentale intervento di manutenzione per un’infrastruttura così importante per questo territorio. Ciò vuole essere un ulteriore segno di attenzione anche a quelle strutture e a quei servizi che garantiscono il trasporto pubblico, come le funivie e la navigazione dei laghi».


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Regione Lombardia vara piano da 316 mln di Euro

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el 2009 la Regione Lombardia finanzierà programmi e interventi nel settore abitativo per 316 mln di Euro, di cui 79 sono la parte che il piano casa nazionale destina alla Lombardia. I provvedimenti sono stati approvati dalla Giunta regionale e completano il piano regionale per l’edilizia residenziale pubblica, già approvato dal Consiglio regionale, che con il recupero di 83 mln derivanti da economia e nuove risorse, incrementa i fondi a propria disposizione passando da 561

a 644 mln di Euro. Il pacchetto casa per il 2009 prevede 102 mln per i fondi a sostegno degli affitti, 51 mln in pagamento nel 2008 e altrettanti stanziati per il 2009, 47 mln per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa, 22 mln per la realizzazione di 350 alloggi a canone sociale, 14 mln per la costruzione di alloggi a canone convenzionato, oltre a 52 mln per la riqualificazione di 500 alloggi nelle varie province lombarde. I 79 mln del piano casa nazionale serviranno per realizzare, attraverso il co-

mune e l’Aler, 1.147 nuovi alloggi. Nel 2008 sono state 70mila le famiglie che hanno beneficiato del fondo per il sostegno degli affitti e la Regione prevede per il prossimo triennio questo numero possa salire a 210mila. Quanto all’acquisto o alla ristrutturazione della prima casa, il bando prevede un contributo di 6mila Euro a fondo perduto per le giovani coppie o per i genitori soli con uno o più figli a carico che non superino un reddito di 35mila Euro.

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areu Lombardia, allestito posto medico presso stazione L’Aquila

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Azienda Regionale Emergenza e Urgenza (AREU) della Lombardia ha accolto la richiesta della Direzione di comando e controllo della Protezione Civile di attrezzare un secondo Posto medi-

co avanzato (Pma) presso la stazione ferroviaria dell’Aquila. L’equipe dell’AREU si è trasferita presso la stazione ferroviaria con 6 mezzi e 14 operatori dopo aver ricevuto formalmente l’incarico di istituire il Pma. La

struttura è posizionata in un piazzale adiacente ai binari laterali della stazione, dove sono collocati tre treni cuccetta messi a disposizione dalle Ferrovie dello Stato per la popolazione e capaci di ospitare fino a 980 persone. Questa soluzione rimarrà operativa per un lungo periodo, precisa AREU Lombardia. Circa 720 persone usufruiscono durante la notte di questo campo. è sempre operativa un’auto–medica a supporto del 118.


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ono arrivate in Abruzzo le due colonne di soccorso coordinate dalla Protezione Civile provenienti dalla Lombardia ed è già stato montato metà del campo che potrà ospitare circa 700 persone in 70 tende pneumatiche riscaldate e illuminate, complete di brandine. Sono circa 250 tra tecnici, specialisti e volontari delle associazioni arrivati a Bazzino di Monticchio (5 chilometri da L’Aquila) dove si sta montando la tendopoli e il campo base della Regione Lombardia. Verrà destinata in un’altra zona la cucina da campo in grado di fornire 1800 pasti all’ora, dato che a Monticchio sarà operativa una struttura più piccola, fornita dagli Alpini. Nel campo base sono stati organizzati anche presidi medici dell’AREU e sono stati formati due equipaggi disponibili per il 118 di L’Aquila. Sono rimasti in Lombardia pronti a partire 20 tecnici (7 del Comune e 13 del Politecnico) per le verifiche statiche degli edifici e altre 460 persone rimangono a disposizione per le attività di soccorso.

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TERREMOTO: da volontari Lombardia tendopoli per 700 persone

11 Le iniziative di solidarietà dalla Lombardia

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on si fermano le iniziative di solidarietà lombarde a favore dei terremotati abruzzesi. Il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, ha organizzato un incontro con i sindaci della provincia «per definire un ordine di grandezza economico finanziario che possa sovvenzionare uno o più progetti proposti dai comuni». Intanto, la Federazione Lombarda del Credito Cooperativo Italiano ha aderito alla raccolta fondi in favore delle vittime: le 47 BCC della Lombardia hanno costituito un plafond di 1 milione di Euro, che andranno nel conto corrente istituito presso Iccrea Banca:

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Lodi ha avviato una raccolta fondi e si sta attivando insieme alla Federazione Lombarda per l’invio di generi alimentari d’emergenza messi a disposizione da imprese agricole, cooperative e agroalimentari. L’intestazione, per chi volesse contribuire alla raccolta fondi è: Federazione Interprovinciale Coldiretti di Milano e Lodi ‘Pro terremotati dell’Abruzzo, Monte Dei Paschi di Siena Spa filiale n: 2787 di Milano codice Iban: IT 58 A 01030 01796 000001135808

Ccn:32000 Codice Iban: IT 28 Q 08000 03200 000800032000

Intestato a: Federcasse causale: Il Credito Cooperativo per l’Abruzzo

Anche la Coldiretti di Milano e

Atei e agnostici dell’Uaar propongono invece di destinare l’otto per mille dello Stato alle popolazioni colpite dal terremoto.


focus

terremoto

la forte SCOSSA IN ABRUZZO

____________________________________________________________________________________________ LA CRONACA IL RACCONTO DI UNA TRAGEDIA CHE HA COLPITO L’ITALIA INTERA LE ASSOCIAZIONI GIA’ PRONTE AL LAVORO DI RIPRISTINO DI UNA CITTA’ CHE VUOLE RITORNARE ALLA LUCE

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ancavano pochi minuti alle 3:30 del mattino, di una notte già animata da diverse scosse sismiche di intensità sempre più elevata, ma non considerate tali da far scattare allarmi. Mancavano poche ore al suono di molte sveglie, probabilmente, ed alle prime avvisaglie, la gente, non percependo nessun segnale, è tornata a letto, pensando al lavoro o alle faccende che l’aspettavano la mattinata successiva. E invece alle 3:30 è arrivata la scossa: una scossa fortissima, di magnitudo 6,30 Richter, tra gli 8 e i 9 gradi della scala Mercalli. Epicentro del terremoto il paese di Castelnuovo: la forza della calamità è stata però in grado di distruggere anche diversi edifici a L’Aquila. Addirittura, il movimento della terra è stato avvertito nelle regioni limitrofe, nel Lazio e nelle Marche. La gente si è riversata in strada come poteva, con quel che aveva: qualcuno è riuscito a scendere le scale, qualcuno è uscito da un buco causato dal sisma, qualcun altro dalle finestre rotte. Atri sono rimasti sotto le macerie. A distanza di qualche ora, all’arrivo dei soccorsi, c’erano già 27 morti accertati. Poi il bilancio è salito a 40. La gente, dapprima riversatasi in strada, ha cominciato ad organizzarsi come poteva, con l’aiuto della protezione civile: alcune chiese sopravvissute alla scossa sono state trasformate in ospedali da campo provvisori, mentre le prime luci del mattino disegnavano un frastagliato panorama di macerie e cumuli di pietre, a L’Aquila. “La tragedia più grave del nostro mil-

lennio” secondo Bertolaso. Confusione, solo tanta confusione: il disorientamento dovuto al non avere più un tetto sopra la testa, la conta di chi mancava, l’arrivo di aiuti da tutta Italia, l’insinuarsi delle polemiche. Alle 14:30 il numero dei morti accertati era salito a 92, alle 17:00 se ne contavano già un centinaio, mentre 100.000 erano gli sfollati; il 9 aprile si parla di 267 morti accertate, ma pare manchino ancora 20 o 30 persone. Continuano i soccorsi, continuano le scosse: nella giornata del 9 aprile se ne registrano tre, di magnitudo 4,3, 5,1 e 4,2 gradi. Il 10 aprile si sono svolti i solenni funerali di stato per le 278 vittime del

terremoto, a cui partecipano tutte le autorità civili e militari. L’11 aprile il bilancio si allunga di ulteriori ritrovamenti, arrivando a chiudersi a quota 293 vittime. Il 12 aprile, Pasqua, si sospendono le ricerche: secondo la protezione civile, che in quest’occasione si è mossa come un’unica ed efficiente macchina, non c’è più nessuno sotto le macerie e se qualcuno c’è ancora, di certo, non è vivo. La Pasqua a L’Aquila si passa in una tendopoli, mentre si pianifica la “fase 2”, quella della ricostruzione di una città, che secondo gli stessi abitanti, “non è, fu”. [Elena Peracchi]


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i sprecano i fiori ed i saluti per le vittime del terremoto. Famiglie trovate raccolte nella stanza da letto dei genitori, figli trovati vivi per il sacrificio della madre, che ha fatto loro da scudo. Si sprecano e si sciolgono nelle lacrime dei giorni a venire i ricordi legati a chi al terremoto non è sopravvissuto. Ci sono le storie dei ragazzi della Casa dello Studente, ci sono le storie chiuse nelle bare scure ed inquadrate nelle lunghe dirette televisive. Ci sono le vicende di chi da quell’inferno è riuscito ad uscire e che, a mani nude, ha scavato per tentare di far sì che qualcun altro rivedesse la luce del sole. C’è la storia di Alice Dal Brollo, studentessa bergamasca con la passione per la danza che a L’Aquila era andata per studiare e che quella notte aveva messo le scarpe vicino

al letto, pronta a scappare. Iscritta al primo anno di università non ce l’ha fatta, quella terra che secondo lei stessa continuava a tremare da

focus

Le vittime

giorni, l’ha inghiottita e con lei s’è portata via altre quasi 300 persone.

La solidarietà

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a mattina del 6 aprile l’Italia ha appreso della nuova tragedia. Sconcertata ed allibita, però, non c’è certo persa d’animo ed ha mostrato, come spesso avviene in queste circostanze, la sua solidarietà all’Abruzzo. Da tutto il Paese, infatti, sono arrivate risorse umane, volontari nei vari corpi di protezione civile o soccorso per aiutare gli sfollati e dare una speranza ai dispersi. Il 9 aprile a L’Aquila c’erano 8.500 soccorritori tra vigili del fuoco, militari, forze dell’ordine e volontari, organizzati in 5 centri operativi. Molti di questi ultimi sono persone che hanno un lavoro e che per l’emergenza hanno chiesto giorni di ferie o aspettativa. Segnali posi-

tivi anche da chi in Abruzzo non c’è potuto andare: da tutta Italia, infatti, con il passare dei giorni sono arrivate diverse donazioni, monetarie o di beni di prima necessità. Tutte le comunità si sono mobilitate per raccogliere cibo, vestiti e coperte, anche in vista delle previsioni di maltempo sulla zona. Addirittura, le autorità hanno chiesto il blocco degli invii di materiale già a poca distanza dalla Pasqua: secondo il Ministro degli Interni Maroni “non solo le raccolte di cibo e vestiti hanno soddisfatto celermente la richiesta, ma anche quelle di sangue per i feriti”. Anche su Facebook, il portale che ormai fa notizia e da incubatore di dati, i gruppi per il terremoto: il più numeroso conta più di 400.000

iscritti. Creati per sostenere e mettere in rete un dolore provato non direttamente, ma talmente forte ed acuto da essere dimostrato. In parecchi casi, i newsgroup sono stati anche utilizzati per scambiarsi esperienze o consigli per ottimizzare i propri aiuti verso le zone terremotate. Diversi anche, purtroppo, i gruppi intitolati alle vittime del terremoto, ai ragazzi della Casa dello Studente, sgretolatasi sotto le scosse: per dare un saluto, un ultimo addio, per esprimere la rabbia ed il risentimento di sapere che anche a 20 anni puoi morire, schiacciato sotto le pareti in cui fino a quel momento avevi fatto crescere i tuoi sogni.

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L’ombra del domani

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ella città de L’Aquila si pensa a pianificare ed a ricostruire, ma, passata l’emergenza e con lo spegnersi dei riflettori sulla vicenda, tutti si comincia a chiedersi il perché di una simile tragedia, perché non la si è potuta evitare. E nascono le prima polemiche. La prima in assoluto quella delle persone che si chiedevano se il terremoto fosse prevedibile, a distanza di diversi giorni in cui le scosse non abbandonavano la vita quotidiana degli aquilani. Poi ci si è cominciati a domandare quanto si fosse fatto per prevenire tutto questo: come può un Palazzo di Giustizia, un Ospedale, costato allo Stato milioni di Euro e terminato in 20 anni, crollare come un castello di carta al primo pugno sotto al tavolo? Sono tanti i quesiti che ora i sopravvissuti si pongono, a distanza di pochi giorni dal disastro. Bombardati dalle inchieste e dai giornalisti, spesso criticati per il ruolo ricoperto e l’atteggiamento avuto in quelle terre. In rete alcuni video documentano come alcuni di essi intralciassero addirittura il lavoro dei soccorritori, mentre i commenti si sono sprecati per la dichiarazione della giornalista del TG1 che dopo aver lanciato il servizio sui terremotati ha elencato lo share ottenuto dal canale nazionale nelle diverse edizioni speciali sul sisma. Pare che, ad oggi, una casa su due sia inagibile: il 53% circa degli aquilani potrà tornare nelle proprie abitazioni, gli altri dovranno rimanere nelle tende. E per la tragedia la politica si mobilita, senza pochi attriti. Torna alla ribalta infatti il tema del referendum sulla legge elettorale: per risparmiare soldi, da destinarsi poi alle emergenze, l’opposizione chiede che si svolga nello stesso giorno delle elezioni europee, la Lega Nord sostiene ci siano vincoli costituzionali che non lo permettono. Il sindaco de L’Aquila ha dichiarato

che si deve pianificare in fretta, considerando che “in città i caloriferi si accendono già dalla metà di settembre”. Bisogna quindi lavorare l’estate perché risulta impensabile lasciare gente senza casa per troppo tempo e in queste condizioni. Certo, la domanda che ora rimane aperta è se, allo spegnersi dei riflettori, l’attenzione e la sensibilità di persone e governo rimarranno tali da permettere una ricostruzione efficace. In Irpinia i paesi interessati dal

sisma sono ancora in fase di costruzione e nessuno sa di preciso che fine abbiano fatto i fondi stanziati, una volta arrivati sul territorio; a Messina, a distanza di 101 anni, la gente vive ancora nelle baraccopoli costruite per dare una dimora “temporanea” ai terremotati. Questa volta è stato diverso, pare che l’attenzione sia stata veramente più alta. Sarà la volta buona per imparare la lezione, senza necessariamente perdere dei figli o dei parenti?

L’Aquila continua a volare: iniezione di fiducia dei tifosi atalantini

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oldi raccolti, soldi recapitati. Alcuni esponenti della Curva Nord si sono recati in Abruzzo per consegnare il ricavato della lotteria che martedì ha messo in palio 25 magliette dei giocatori atalantini per raccogliere fondi a sostegno delle popolazioni colpite dal terremoto. In totale gli ultras hanno donato 18 mila e 700 Euro:

15 mila solo grazie all’acquisto dei biglietti della lotteria. I rimanenti 3700 Euro sono stati donati da mister Del Neri, il centro di coordinamento del Club Amici dell’Atalanta e dall’associazione calcio Brusaporto. I soldi sono stati donati alla Congregazione della Misericordia di San Benedetto dei Marsi, paese natale di Domenico Morfeo.

«Queste iniziative sono d’incoraggiamento per tutti coloro che sono stati colpiti da questa tragedia – commenta un miracolato intervenuto alla manifestazione –. Tutto questo dà morale ad andare avanti e lottare. E’ bello vedere tutta questa gente pronta a fare qualcosa: un grazie a tutti quelli che hanno voluto partecipare a questa iniziativa».


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i n tervista

Costantino rocca

IL SEGRETO DEL MIO SUCCESSO

____________________________________________________________________________________________ «LA VERA DIFFICOLTA’ E’ CONFERMARSI SEMPRE A CERTI LIVELLI: L’UMILTA’ NON DEVE MAI MANCARE»

«N

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on è solo questione di cuore e passione, il golf sa dare emozioni e allo stesso tempo forti scosse di vita: attraverso questa disciplina ho imparato ad apprezzare ancor di più le cose che mi sono vicino, la natura e la semplicità». Costantino Rocca, incontrato in esclusiva per “Inside Lombardia” sulle rive del lago di Garda, in quel di Desenzano, racconta piacevolmente le sensazioni più belle di una carriera favolosa che lo proietta tra i migliori sportivi italiani di tutti i tempi, nel golf è il numero uno e rappresenta in maniera eccezionale i colori azzurri. «E’ per me un onore e un motivo di orgoglio esser considerato così dalla gente, dai media e da tutti insomma, forse il mio nome è più conosciuto all’estero dove questa disciplina è più seguita – confida –. Quando sono sul green è come se fossi a casa e il bello di questo sport è la sua longevità: non ha età e fin che la mente e il corpo lo permet-

tono non ci sono ostacoli tra la mazza e la pallina». Lo sport è vita, la spensieratezza dona energia a chi come Rocca non perde occasione per liberare la mente nei più suggestivi circuiti di golf. Nelle sue parole il campione bergamasco vuole rendere ancora più prezioso e speciale il valore e l’unicità di un colpo vincente, quello che trattiene il fiato fin quando la pallina termina la propria corsa in buca. «L’importante non è vincere un torneo, ma confermarsi. L’umiltà e lo spirito agonistico non devono mancare di certo, ma solo la serenità verso il golf può determinare tanti successi – racconta –. Ho visto molti giocatori “bruciarsi” perché si fa presto a perdere le staffe: senza questi ingredienti, che poi sono il dna della mia vita anche fuori dal campo, non sarei arrivato nei professionisti e a girare il mondo». Chi ha stile fa il salto di qualità, il golf lo insegna. Essere unici e originali ha

il suo valore, lo stile non lo s’inventa ma lo si può ricercare nel movimento tecnico dei propri avversari. «Chi pensa di esser arrivato ha smesso di esser concorrenziale e vincente – spiega –. E’ un sport individuale e, come tutte le discipline di questo genere, vince il carattere e la convinzione di credere sempre nei propri mezzi, anche nei momenti più difficili. Il bello del golf è che la sfida non è contro un avversario specifico, ma contro il campo». Costantino Rocca, primo e unico campione italiano a partecipare alla Ryder Cup in ben 3 edizioni, unico italiano ad aver battuto Tiger Woods in una gara individuale nella Ryder Cup 1997 a Valderrama, autore di uno storico hole–in–one a Oak Hill´s nella Ryder Cup 1995. Numeri che già parlano da soli. «Woods? Woods è Woods, anche quando è stato fermo perché la sua immagine è tale che se ne parla ugualmente. E’ rientrato a pieno ritmo e saranno infuriati gli avversari che per un po’ di tempo hanno giocato per la vittoria, ora dovranno tornare ad accontentarsi di gareggiare per il secondo posto – serenamente commenta Rocca –. Nutro sempre grande rispetto per ciascun avversario, che si chiami Woods a quello meno blasonato». Perché un ragazzo dovrebbe giocare a golf? E’ forse una domanda che in tanti si sono posti e la risposta è semplice. «E’ una lezione di vita questo sport perché ti insegna il rispetto per la natura e per l’essere umano, ovvero l’avversario. Negli ultimi anni ci sono stati molti progressi in termini d’iscrizioni ai club e di nuovi giocatori, su questo non ci sono dubbi, ma ci vorranno cinque–dieci anni ancora per


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costantino rocca

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ostantino Rocca (Bergamo, 4 dicembre 1956) è un golfista italiano. Vanta 5 vittorie nell’European Tour, ottenute tra il 1993 ed il 1999, tra le quali spicca il trionfo nel Volvo PGA Championship del 1996. Storico anche il suo 2° posto al British Open del 1995, in cui fu sconfitto solo al play–off dallo statunitense John Daly sull’Old Course di St. Andrews, il “tempio” del golf. Il colpo dalla strada sulla 71° buca e il lunghissimo putt imbucato sulla 72° ed ultima buca dei giri regolari sono ancora oggi ricordati dagli appassionati di tutto il mondo. Fu il primo italiano a giocare per l’Europa nella Ryder Cup e rimane il solo italiano ad aver avuto questo merito. Ha al suo attivo tre partecipazioni alla Ryder Cup (1993, 1995, 1997): di questo torneo, memorabili sono l’Hole–in–one ottenuto nel 1995 e la sua vittoria nel singolo contro Tiger Woods nell’edizione del 1997 in Spagna. È toccato poi a Costantino Rocca raccontare di quando, da ragazzo, scavalcava le recinzioni per giocare a golf di notte, munito di pila e tondini di ferro. Il bergamasco Costantino Rocca, miglior golfista italiano di tutti i tempi.

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Vittorie nell’European Tour 1993 – Open de Lyon, Peugeot

Open de France 1996 – Volvo PGA Championship 1997 – Canon European Masters 1999 – West of Ireland Golf Classic

Altre Vittorie da professionista 1984 – National Omnium 1985 – Enichem Open, National Omnium 1986 – Pinetina Open, Nationa Omnium 1987 – Index Open, National Omnium 1988 – Rolex Pro–Am, National Omnium 1989 – National Omnium

Gare a squadre Ryder Cup – ‘93, ‘95, ‘97 Alfred Dunhill Cup – ‘86, ‘87, ‘89, ‘91, ‘92, ‘96, ‘99 World Cup – ‘88, ‘90, ‘91, ‘92, ‘93, ‘94, ‘95, ‘96, ‘98, ‘99 Hennessy Cognac Cup – ‘84 Europcar Cup – ‘88

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sto modo il proprio subconscio non ha modo di iniziare a “lavorare contro se stesso” inducendo paure e confusione. Capita spesso di giocare alcune volte sopra le capacità medie fornendo performance assolute. In questi casi si dice, in inglese, che il giocatore ha raggiunto “the zone”, uno stato di grazia dove concentrazione e disattenzione si fondono e si alternano al meglio. Al riguardo della potenza, la stessa è frutto senz’altro di allenamento dei muscoli specifici ma soprattutto del fatto che i professionisti riescono a non “fermare” il movimento all’impatto ma, al contrario, ad attraversare con la testa del bastone lo spazio dove si trova la palla come se la stessa non esistesse, con tutto il corpo che si muove con armonia verso il target e la fine del movimento. Questo è il vero segreto della potenza. Anche persone meno potenti fisicamente, come per esempio le professioniste del tour femminile, ma dotate di talento, tecnica e velocità, possono raggiungere distanze siderali. Naturalmente, negli ultimi anni, questo si è accentuato grazie alla tecnologia di cui sono frutto gli attuali bastoni e, soprattutto, le palline». Rispetto ad altri sport, il golf può essere praticato ad alti livelli fino ad età avanzata. Rocca ha maturato la la scelta di passare al Senior Tour. «Arrivati ai 50 anni, anche se in buona forma bisogna fare una scelta. Nel tour europeo non mi ritengo più competitivo come un tempo mentre nel senior tour ho sicuramente qualche possibilità in più e ci proverò con tutte le mie forze e ho sempre grandi stimoli. Nel golf ci vuole una buona preparazione alle spalle; ma se non si ama quello che si fa, non si avrà mai il coraggio e la forza di perseverare e andare avanti anche di fronte alle sconfitte che possono presentarsi. Sbagliare fa parte della nostra vita. Sbagliare un putt alla 18esima buca per il birdie della vittoria penso che nessuno lo faccia di proposito – rassicura –. Bisogna cercare sempre di analizzare tutti i motivi che hanno portato a quel risultato in modo da trarne beneficio per le prossime occasioni. L’importante è crearsi tante opportunità, come nel golf nella quotidianità di tutti i giorni». Il golf non ha età, anche per diventare dei grandi giocatori. «Ho visto giocatori con un hcp basso e non più in giovane età. A mio parere iniziare a giocare a golf a 30 o a 50 anni non crea problemi se alle spalle ci sono altri sport praticati e se fisicamente non si hanno grossi problemi. Anzi, con la pratica costante, esperienza e tempo per giocare, si può arrivare tranquillamente a buoni livelli».

[Lorenzo Casalino]

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avere una situazione simile ad altri paesi più evoluti in questo sport. Lo sviluppo ulteriore è legato al turismo golfistico, finora poco considerato da noi a causa della carenza di impianti. Per non essere frainteso, i campi privati in Italia sono molti e all’avanguardia in quanto a manutenzione rispetto a molti paesi europei e non solo. Quello che manca è l’impiantistica pubblica e quella per chi non vuole gareggiare, ma solo trascorrere il week-end giocando a golf con la famiglia o un amico. Insomma, quella per tutti». La tenacia e la determinazione di Rocca non si ferma sul green, perché in lui è nata una nuova attività, quella di disegnatore di campi. «Si, sono all’inizio di questa nuova avventura e ho già avuto molte richieste – racconta –. Per ora sto lavorando con i miei ingegneri per realizzare un campo a Taormina e uno in Romania. Quando avrò più tempo a disposizione sicuramente mi dedicherò di più a questa attività molto piacevole». A questo progetto si aggiunge quello già all’opera della Costantino Rocca Golf Academy al Golf Club Gerre Losone, in Ticino. «Inizio ad avere buoni riscontri, tanto che siamo in fase di apertura di altri due centri simili in provincia di Lecce – anticipa –. Però dobbiamo ancora perfezionare alcuni meccanismi. L’importante era partire con l’idea giusta, quella di dare spazio a tutti. Il problema è che amo ancora troppo giocare, quindi ho poco tempo da dedicare all’accademia. Il tutto è comunque seguito da persone esperte e appassionate». Come fa un professionista a mantenere la concentrazione così alta per ben quattro giornate quando un amatore fa fatica a tenerla per poche buche? Questo è un altro quesito che anche i più curiosi si sono posti guardando una partita di golf alla tv. Come riesce un professionista a sviluppare tutta la potenza che sprigiona nello swing? «La concentrazione è una cosa fondamentale per noi professionisti di questo magnifico gioco e sport – specifica –. Chiaramente è umanamente impossibile mantenere livelli altissimi di concentrazione per molte ore; vi sono molti metodi e teorie, tra le quali una dice che “il massimo della concentrazione corrisponde al massimo della disattenzione”. Questa teoria in pratica sostiene che per eseguire al meglio un gesto atletico per il quale si studia e ha allenato a livello professionale, l’unica cosa che bisogna fare, tra una performance e la prossima, è spostare la propria attenzione: sul campo da golf, tra un colpo e l’altro, questo si traduce, per esempio, nel contare tutti gli oggetti che vedi di un certo colore, oppure canticchiare (a bassissima voce) un motivetto ripetitivo. In que-

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Tiger WOODS: “Io gioco per vincere tutto”

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d Augusta, Tiger Woods vuole vincere ancora. Che novità. E farlo in grande stile perché lui non ha timori a sentirsi il numero uno. «Mi aspetto sempre di vincere – confida –. Mi spiace, è davvero così, non ho altro da aggiungere». Per quanto riguarda diretti rivali chiude le orecchie il campione. «Ohil Mickelson per il primato nel ranking? Per essere il numero uno bisogna vincere i

tornei in tutto il mondo. Se lo fai, il resto viene da sé». Uno dei suoi grandi punti di forza è la testa, i suoi segreti non hanno grandi spiegazioni. «Per la forza mentale non faccio niente – racconta –, semplicemente mi iscrivo ai tornei pensando sempre di vincerli. Non ho poteri telecinetici – ridacchia –, altrimenti nel corso della carriera avrei impedito ad alcune palline di finire nei laghetti di importanti tornei».

Eldrick “Tiger” Woods

Eldrick Woods, meglio noto come Tiger (Cypress, 30 dicembre 1975), è un celebre golfista statunitense, considerato uno dei più grandi di tutti i tempi. Ha vinto il torneo The Masters nel 1997 a 21 anni e 3 mesi risultando il più giovane vincitore nella storia del torneo. Ha vinto i 4 grandi tornei Majors consecutivamente dallo U.S. Open del 2000 al The Masters del 2001; questa impresa è stata denominata “Tiger Slam”, perché non è stata effettuata “in una stagione”. Eldrick Woods, soprannominato “Tiger” dal padre, iniziò a giocare a golf quasi ancor prima di camminare e ben presto venne ritenuto una sorta di bambino prodigio della specialità. Sotto la guida del padre perfezionò costantemente la sua tecnica e sviluppò un perfetto autocontrollo psicologico, che gli consente di raggiungere la massima concentrazione al momento dell’esecuzione dei colpi. Il suo soprannome “Tiger” è stato anche il soprannome dell’amico vietnamita del padre, Nguyen Phong. Il padre, Earl Woods, era un soldato che combatté nella guerra del Vietnam, un membro dei “Green Beret”. Sua madre, Kultida, viene dalla Thailandia, la moglie, Elin, dalla Svezia. Alla fine del 2006 ha rinnovato il contratto con la Nike. La celebre marca di abbigliamento sportivo sponsorizza Woods dal 1996, anno in cui è diventato giocatore professionista (per una cifra complessiva lorda di oltre 150 milioni di dollari). Il nuovo contratto prevede un compenso superiore a 25 milioni di dollari l’anno, incluse le royalty. Nel 2007 è stato lo sportivo più pagato del mondo con oltre 122 milioni di dollari.


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l golf non è più uno sport per pochi: le manifestazioni sportive che lo promuovono si sono ormai moltiplicate, trovando un pubblico sempre più numeroso di neofiti che ne apprezzano i punti di forza. Parliamo del contatto con la natura, della dinamicità delle competizioni e della condivisione del gioco con gli amici. Perciò, atteso come ogni primavera, è ritornato anche quest’anno l’appuntamento con il golf targato Roncalli Viaggi ed e.20. Dopo i grandi successi ottenuti nelle precedenti, stagioni, anche nel 2009 ha preso il via l’ormai celebre Travel Cup. La manifestazione sportiva rappresenta un evento immancabile per gli appassionati di questo sport, che si sta diffondendo sempre più in Italia e nel mondo, ma anche per coloro che si avvicinano per la prima volta al green. I più prestigiosi golf club del Nord d’Italia faranno da palcoscenico al circuito organizzato dalla nota agenzia di viaggi di Bergamo, che ha fatto dello sport del golf la sua specialità. Il Golf Club cittadino Parco dei Colli, l’esclusivo circolo dell’Albenza, l’elegante Golf e Country Club del Castello di Tolcinasco, l’accogliente Villa Paradiso, il rinnovato Golf Brianza Country Club, ma anche il dinamico Franciacorta, il prezioso golf resort Le Vigne del Barolo, la Cascina Biavasca di Cuneo e il divertente Modena Golf Country Club, saranno le location su cui si affronteranno i partecipanti della manifestazione. «Abbiamo lo stesso innato entusiasmo della prima manifestazione – spiega Manuel Roncalli, titolare della nota agenzia –. Il riscontro e la soddisfazione del pubblico sono stati così forti che per curarne in via esclusiva l’organizzazione e renderla ancora più efficiente abbiamo ritenuto necessario creare una società apposita, la Ego s.r.l., costituita da specialisti del settore. Con grande soddisfazione e orgoglio posso dire che l’edizione di quest’anno è stata preparata e curata nei

minimi dettagli da un team specializzato, che ha lavorato in stretta collaborazione con la società e.20 srl, i cui titolari sono nostri partner nell’iniziativa da due anni. La stessa ha curato in particolare la logistica e la visibilità, con la qualità e la competenza che la contraddistinguono. Una novità dell’edizione 2009 sarà il collegamento radiofonico dai vari campi di golf durante le gare, grazie alla partnership con Radio Number One. Sarà così possibile per gli appassionati ricevere utili informazioni sull’or-

ganizzazione della manifestazione durante la settimana, così come gli aggiornamenti in tempo reale e infine i risultati conseguiti». Il fascino del green toccherà anche la tappa portoghese, in quel di Lisbona che ospiterà la finalissima. «La Travel Cup 2009 – prosegue Roncalli – raccoglierà nella città portoghese di Lisbona l’atto conclusivo nella settimana di Ferragosto cui parteciperanno tutti i vincitori di ogni circuito in programma».

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TRAVEL CUP: riposa la mente e allena il corpo... Ti aspettiamo sul green!

[Lorenzo Casalino]

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DENARO, SVILUPPO E CRESCITA

____________________________________________________________________________________________ PATTI CHIARI, AMICIZIA LUNGA

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egli ultimi anni si sono molto evolute le relazioni esistenti tra cittadini e imprese con gli Istituti di Credito. Se in passato mediamente le persone si fidavano della loro Banca, ultimamente c’è molto più scetticismo verso il mondo creditizio. Per sopperire a questa cosa e far sì che ci sia sempre maggiore trasparenza, è nato da qualche tempo Patti Chiari, un grande progetto di cambiamento per fornire al cittadino strumenti concreti per capire di più e scegliere meglio. Alla maggior parte di noi però manca a volte il tempo per approfondire questi argomenti e vogliamo perciò spiegare ai lettori di cosa essenzialmente si tratta. In sostanza Patti Chiari sviluppa programmi, strumenti e regole per favorire una migliore relazione banca–cliente e per aiutare i cittadini a far scelte consapevoli in materia economico finanziaria. E’ la prima volta che in Europa viene lanciato un progetto così impegnativo, al quale hanno aderito tutte le maggiori banche italiane, anche se ultimamente c’è stata la defezione di alcuni Istituti e l’obiettivo è offrire strumenti semplici e moderni che aiutino a capire meglio i prodotti finanziari La filosofia del progetto è quella quindi di costruire un nuovo tipo di relazione tra le banche e i cittadini, le famiglie e le imprese, basata su una

maggiore fiducia e un dialogo chiaro, comprensibile e trasparente. In questo modo, il marchio Patti Chiari rappresenta l’impegno che le banche stesse hanno preso nei confronti dei loro clienti, allo scopo di fondare un nuovo “patto” con la società ed essere percepite così come imprese che offrono servizi sul mercato. Attualmente il piano d’azione previsto di ABI (Associazione Banche Italiane) prevede nove specifiche iniziative, che sono le seguenti: 1.Obbligazioni strutturate e subordinate: informazioni chiare con lo scopo di rendere l’investitore pienamente consapevole dei rischi degli investimenti finanziari. 2.Criteri di valutazione della capacità di credito delle PMI: per orientare gli imprenditori illustrando i criteri generali con cui le banche valutano la capacità di credito delle piccole e medie imprese. 3.Tempi medi di risposta sul credito alle PMI (Piccole Medie Imprese): pubblicazione del numero di giorni che mediamente una banca impiega per dare una risposta su un prestito, con la possibilità per il cliente di mettere a confronto la velocità di risposta delle diverse Banche. 4.Faro: è un servizio che consente di conoscere gratuitamente, 24 ore su 24, via telefono o via Internet, lo sportello Bancomat più vicino perfet-

tamente funzionante. 5.Conti correnti a confronto: iniziativa che permette di confrontare contenuti e costi dei prodotti di conto corrente delle banche aderenti. 6.Servizio bancario di base: il servizio nasce per soddisfare le esigenze finanziarie di base, per coloro che non possiedono ancora un conto corrente e mette a disposizione un pacchetto di strumenti e servizi essenziali. 7.Tempi certi disponibilità assegni: fa conoscere con precisione i reali tempi di disponibilità delle somme versate con assegni su un conto corrente. 8.Investimenti finanziari a confronto: offerta di strumenti semplici di interazione che aiutano il cliente ad identificare corretti obiettivi di investimento, coerenti con le proprie esigenze economico–finanziarie. 9.Cambio Conto – Come cambiare il conto corrente: fornisce ai clienti informazioni chiare e strumenti utili per semplificare e rendere più efficiente la procedura di chiusura del conto corrente e di trasferimento dei servizi su uno nuovo. In conclusione la Vostra banca di fiducia ha l’obbligo di avere la massima trasparenza nella gestione dei vostri rapporti. [Marco Ravasi]

business

SGUARDO SUL MONDO

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INCUBATORE

CONCRETIZZARE L’IDEA DI UN PROGETTO

____________________________________________________________________________________________ È UN MECCANISMO CHE CONVERTE CIÒ CHE SI VEDE NEL PROPRIO FUTURO, AZIENDALE E PERSONALE, IN UN PROGETTO IL PIÙ A LUNGO CONTINUATIVO POSSIBILE E DI SOSTEGNO ALL’ECONOMIA LOCALE

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i chiama “Incubatore” e, nonostante il nome un po’ particolare, potrebbe rappresentare il sogno per ogni imprenditore. Perché? Perché le buone idee ci sono, il difficile, talvolta, è metterle in pratica. Nel modo corretto. Nell’istante giusto e anche al posto giusto. Ci si gioca molto con le idee, pensandoci e ripensandoci, pesando e soppesando quanto più possibile. Riconoscere una buona idea non è sempre scontato, ma fare in modo che diventi concreta, può essere difficoltoso. Soprattutto in un periodo di crisi come questa, dove l’economia, quando “gira”, “gira” poco e, sicuramente, non a favore di chi vuole iniziare una nuova attività o vuole arricchire il mercato con una proposta interessante. La durata di un’attività dipende molto dai primi passi, anzi, diciamo, che sono proprio i primi passi a determinare gli step successivi. È fondamentale procedere con il piede giusto e a passo lento. È una fase estremamente delicata in cui non è possibile saltare nessun passaggio, anzi bisogna far tesoro delle esperienze positive ma soprattuto di quelle negative. Per poter diventare così all’altezza delle regole di mercato. L’obiettivo dell’Incubatore è di mettere a disposizione delle imprese, per la fase conosciuta come start– up, ovvero il momento notoriamente più delicato, uno spazio attrezzato che comprenda sistemi informatici e di telecomunicazioni, altamente qualificati servizi di consulenza nei campi organizzativi e gestionali. Esistono molti incubatori di idee, al-

cuni si chiamano invece acceleratori d’impresa. La missione è comune. A Bergamo, sito a Brembate Sopra, a due passi dal ponte di San Michele, si trova la struttura dell’Incubatore d’Impresa che rappresenta un ottimo trampolino di lancio per le imprese appena nate. L’Incubatore è una struttura che affianca le imprese nella loro fase di avviamento, un momento molto delicato in cui hanno bisogno delle condizioni adeguate per svilupparsi e necessitano di supporto e assistenza. Di qui la volontà, grazie anche al contributo della Camera di Commercio di Bergamo, di creare un vero e proprio Centro Formativo per la Creazione d’Impresa, perché l’Incubatore è proprio questo, un processo più che una struttura, in cui sviluppare idee, migliorarle, se è necessario, confrontarle e fare in modo che crescano, fino a diventare mature abbastanza da poter entrare, senza paracadute, nel mondo del lavoro. L’Incubatore è situato in un ex– azienda della famiglia Legler, i locali sono stati ottenuti da una ristrutturazione degli edifici, nello stesso complesso trovano oggi posto due fondazioni: la fondazione Legler e la fondazione per la Storia Economica bergamasca che si occupano dell’archiviazione anche per la Camera di Commercio. Tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, la Camera di Commercio ha ristrutturato lo stabile ed ha allestito il centro formativo per la creazione d’impresa; il progetto principale è quello dell’Incubatore d’impresa,


in cui si immettono. Per favorire la nascita di nuove idee imprenditoriali e il loro successivo sviluppo nel tempo Bergamo Formazione – Azienda Speciale della Camera Commercio, da anni mette a disposizione servizi e realizza iniziative che mirano a sostenere la creazione e lo sviluppo delle attività d’impresa. Grazie infatti al supporto nella fase di studio che precede la costituzione dell’attività imprenditoriale, si aumentano le possibilità di sviluppo e il tasso di sopravvivenza delle nuove imprese, con conseguenti riflessi positivi sullo sviluppo dell’economia locale. Spesso si riscontra come l’alto tasso di mortalità precoce delle nuove imprese dipenda essenzialmente da una scarsa programmazione dell’attività e dalla non adeguata valutazione dei costi iniziali per l’apertura di un ufficio e per l’acquisto delle attrezzature necessarie. Nell’Incubatore, l’aspirante imprenditore o il neo imprenditore (attivo

da non più di sei mesi), dopo aver versato un’irrisoria “quota di partecipazione” – che serve più che altro da garanzia per chi ospita e da stimolo per chi è ospitato – può trovare un supporto per gli spazi lavorativi, che sono attrezzati di tutto quanto può essere necessario in un ufficio, grazie ai quali non è costretto a sostenere grossi investimenti iniziali. Vi è inoltre un accompagnamento e formazione per affrontare più serenamente le prime scelte e avviare l’attività desiderata o sviluppare un’attività da poco intrapresa. Nel dettaglio chi entra nell’Incubatore ha delle conoscenze tecniche personali rispetto al progetto che vuole realizzare, ma quello che gli serve è un supporto per fare delle analisi di fattibilità della sua iniziativa, per definirne la forma e per avere un’attività sviluppata nei migliore dei modi con strategie commerciali adeguate. L’azione è rivolta a trasferire strumenti per fare questo una volta

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nato già alla fine del 2001, che prima si trovava in altri locali. Nel centro formativo sono presenti una serie di attività ed il tutto è gestito da Bergamo Formazione, l’azienda dedicata della Camera di Commercio di Bergamo che si occupa di progetti di orientamento, formazione professionale continua e progetti a supporto dell’avvio di nuove imprese o dello sviluppo delle imprese del territorio. Qui sono stati sviluppati ed ampliati tutti i servizi rivolti a neo ed aspiranti imprenditori. L’Incubatore di Impresa è nato nel 2001, ma a fronte di richieste sempre più ampie e di necessità di spazi è stato deciso di allestire la nuova struttura. La crescita dell’imprenditorialità rappresenta uno degli elementi più significativi per lo sviluppo economico–occupazionale di un territorio: le nuove imprese sono infatti portatrici di innovazione e vitalità per ogni sistema economico

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anche usciti dall’Incubatore. L’incubazione varia da uno a due anni, dopodiché vengono seguiti ancora sia in modo informale sia attraverso altri progetti, però l’idea è di trasferire degli strumenti in modo tale che loro poi siano autonomi. Dal 2007 l’Incubatore è suddiviso in 2 sezioni: una parte generica e una tematica dedicata al turismo, che accoglie idee e iniziative imprenditoriali finalizzate alla valorizzazione del territorio provinciale in chiave turistica. L’Incubatore fornisce ai progetti d’impresa selezionati una serie di servizi finalizzati alla progettazione, alla creazione ed all’avvio delle imprese, garantendo una facilitazione logistica, che consiste in una postazione di lavoro in un vasto open space attrezzata ed arredata ad uso ufficio ed ambienti comuni a disposizione di tutti i partecipanti, quali aula formazione e sala riunioni.

È previsto anche un servizio di prima assistenza, tutoraggio e formazione, sotto forma di seminari, corsi in aula e a distanza e consulenze personalizzate. Infine un supporto promozionale, realizzato attraverso la partecipazione a manifestazioni fieristiche, stampa, brochure informative e spazio nelle pagine del sito Internet dell’Incubatore. Alla fine di tutto questo percorso di formazione si crea una vasta rete di collegamenti. Il discorso della rete è importante perché l’Incubatore è un’istituzione collegata a tante altre, sia pubbliche che private, per le aziende incubate è molto immediato e facile accedere a questa rete di servizi; conoscerla prima di tutto e poi accedere. Un’altra cosa importante è la rete che si crea internamente, cioè il fatto di condividere degli spazi e vivere dei problemi, ed a volte delle soluzioni, diventa un vantaggio indiretto

molto forte che non sta scritto in un progetto, in nessun bando, in nessuna cosa, ma è quello che alla fine di ogni anno le aziende e le persone che escono dall’Incubatore raccontano. A volte uno diventa il primo cliente dell’altro o il primo partner commerciale dell’altro. E questo può essere solamente un valore aggiunto ad una situazione che già di per sé è speciale. Dal 2007 è stata inserita una sezione tematica dedicata alla valorizzazione del territorio provinciale in chiave turistica e quindi da lì sono aumentate di nuovo le sinergie. Nel 2007 c’erano 8 o 9 iniziative che si occupavano di turismo, nel 2008 con sette di queste imprese è stata programmata una sorta di aggregazione, l’Incubatore le supporta nella formalizzazione di legami, progetti comuni che erano già naturalmente in qualche modo nati. Sinergie che nascono autonomamente e poi vengono supportate con azioni di co–marketing, di consulenza, di messa in relazione, di facilitazione all’accesso di finanziamenti pubblici legate ad aggregazioni di questo tipo. L’Incubatore da’ un suggerimento, una mano, un dato, un’informazione nel momento giusto, tutto li. Per chi decide di accedere all’Incubatore, chiamiamoli pure ironicamente “incubati”, c’è la massima libertà nel gestire l’iniziativa, vengono offerti una serie di servizi e possono essere utilizzati o meno, possono decidere, alla fine di tutto l’iter di avviare l’impresa o meno. Potrebbero anche uscire dopo 12 mesi ed abbandonare il progetto, perché l’obiettivo finale degli incubatori non è quello di costituire più imprese possibili, ma fare sì che quelle che si costituiscono siano effettivamente in grado di affrontare il mercato. Poche ma buone insomma. L’Incubatore è il concretizzarsi di un’idea, proprio come intendevano gli antichi greci inserendo nell’”idea” il concetto di vedere, vedere avanti verso il domani. Per trasformare un’astrazione in materia, pratica e anche fatica. È un meccanismo che converte ciò che si vede nel proprio futuro, aziendale e personale, in un progetto il più a lungo continuativo possibile e di sostegno e spunto all’economia locale. Il 75% delle aziende passate negli edifici dell’Incubatore d’Impresa di Bergamo è tutt’ora in attività. Se questa non è una buona idea… [Elisa Capitanio]



tecnologia

DOMOTICA

è ORA NEL DNA DEGLI ITALIANI

____________________________________________________________________________________________ I SERVIZI OFFERTI POSSONO PORTARE, SE INTEGRATI TRA LORO, AD UNA SEMPLIFICAZIONE DELLA VITA IN CASA

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a sempre ciò che non conosciamo ci intimorisce. Qualcuno di voi ricorderà sicuramente film in cui case all’avanguardia diventavano trappole e automobili particolarmente moderne si tramutano in gabbie assassine. Sono solo alcuni dei soggetti preferiti dagli sceneggiatori che, in questo modo, hanno interpretato la voglia di nuovo e la contestuale paura. Ora ovviamente le case automatizzate non sono più un sogno fantascientifico, ma un traguardo tagliato da diversi anni, in continua crescita e con un trend di tutto rispetto. La domotica, infatti, si avvale di un sistema di controllo centralizzato, in grado di inviare comandi a funzioni basilari dell’appartamento, come l’impianto elettrico o di riscaldamento. Oggi, con un solo messaggio o un codice digitati sul telefono cellulare si può avviare il riscaldamento della casa in montagna, arrivando con un ambiente già confortevole a disposizione. Ma non solo: la domotica, tecnologia che si occupa per l’appunto dell’automazione della casa in ogni suo singolo aspetto, prevede anche il controllo degli ambienti, ed avverte con allarmi di diversa natura in caso di allagamento o presenza di gas nelle varie stanze. I sistemi di comunicazione utilizzati sono molteplici: i servizi vengono attivati da messaggi vocali o scritti o tramite la selezione su uno schermo touch screen che semplifica le condizioni domestiche di quel preciso momento attraverso una legenda


composta da colori o da tag, vale a dire categorie per cui si vogliono instaurare scenari specifici. In questo senso, la domotica può risultare anche la soluzione per la gestione domestica da parte di anziani o disabili. Ovviamente nulla vieta il controllo attraverso una mail o attraverso un sito web, sul cui server sono memorizzate tutte le informazioni inserite nel profilo dell’abitazione. I servizi offerti dalla domotica possono portare ovviamente, se integrati tra loro, ad una semplificazione della vita in casa. Il funzionamento coordinato e studiato di elettrodomestici, riscaldamento ed acqua, per esempio, garantisce un sicuro risparmio energetico ed un monitoraggio continuativo sull’utilizzo dell’energia. Senza considerare la semplicità dovuta al mercato di utenti non professionisti cui la domotica è aperta, garantita da interfacce “user friendly” e dalla generica sicurezza delle automazioni inserite. L’alta tecnologia permette poi un funzionamento piuttosto continuativo nel tempo ed un’affidabilità notevole per cui, nel momento di guasti, il server centrale elabora specifici tabulati sull’origine dell’errore alla base della momentanea interruzione del servizio. Alcuni esempi degli ambiti in cui la domotica opera sono le accensioni multiple anche automatiche di luci, la centralizzazione dello spegnimento o autospegnimento delle luci quando viene riconosciuta l’assenza di utenti, la riduzione dei campi magnetici nelle stanze in cui

sono presenti utenti, l’isolamento e la protezione automatica in caso di temporale, l’adeguamento del funzionamento in base al tasso di umidità, lo spegnimento automatico del calorifero sotto una finestra aperta, il rilevamento di eventi come fughe di gas, allagamenti e incendi. Ovviamente la domotica prevede che queste caratteristiche siano integrate tra loro per far sì che l’impianto rientri in quest’ultima tecnologia. La domotica attualmente si sta occupando dell’automazione nell’abitazione della gestione dell’ambiente, in termini di microclima presente in ogni singola stanza, della gestione

[Elena Peracchi]

tecnologia

degli apparecchi, della sicurezza e della comunicazione. Com’è facile immaginare, questo settore è comunque in continua e rapida evoluzione. Negli Stati Uniti sta aumentando esponenzialmente il numero di reti telematiche domestiche, ed anche in Europa negli ultimi anni questo trend s’è presentato in netta crescita. In questo modo le onde radio e la rete elettrica potrebbero sfruttare le medesime risorse per gestire in contemporanea diversi dispositivi domestici che, in un futuro prossimo, potrebbero addirittura essere monitorati attraverso la stessa rete internet. Il cambiamento sociale delle nostre comunità, poi, non fa che affermare con forza la necessità di un’automazione domestica maggiore. L’aumento infatti dei single, delle donne in carriera, considerando un innegabile aumento della vita media, porta a pensare che l’abolizione di gesti che finora sono stati considerati alla base della vita quotidiana sia foriera di un risparmio di tempo indubbio, di cui tutti, chi più, chi meno, si è a caccia. Di recente poi è stata introdotta nella domotica la possibilità di cogenerazione (il consumo contemporaneo di energie secondarie) e la trigenerazione (la trasformazione di energia termica in energia referigeratrice), anche in seguito all’approvazione di norme che permettono la generazione autonoma di energia elettrica. Per dirla in una frase: il futuro potrebbe già essere arrivato oggi.

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IL CATTIVO DESIGN

LA CAFFETTIERA DEL MASOCHISTA

____________________________________________________________________________________________ QUANDO L’ESTETICA NON E’ UN SINONIMO DI PRATICITà

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n rompicapo è un passatempo che consiste in un problema o un enigma che mette alla prova l’ingegno di chi è chiamato a risolverlo. Peccato che non tutti gli oggetti che ci circondano rientrino nella categoria. Peccato per i designer, intendo. Perché il designer, ammettiamolo, è un soggetto pericoloso: realizza porte contro cui andiamo a sbattere perché non sono da spingere ma da tirare, ci fa avvitare cose che sono da svitare, agganciare cose che sono da sgan-

ciare, fare tutto e il contrario di tutto. “La Caffettiera del masochista” è un processo contro il cattivo design condotto da Donald Norman, uscito anni fa, quando ancora l’ergonomia consapevole non godeva di molta visibilità ed era limitata alle sedie confortevoli. Nel libro Norman descrive i frequentissimi errori che ogni utente commette nell’usare gli oggetti quotidiani che ci circondano, ma sostiene anche che la causa del rapporto così difficoltoso tra uomo e oggetto, molto spesso, non è un’incapacità

dell’utilizzatore, ma una progettazione poco coerente con il funzionamento della mente umana. Norman ci fa notare come spesso esista un enorme scarto, per questo che si parlava all’inizio di rompicapo, tra il modo di “funzionare” della nostra mente e le capacità che i designer danno per scontate per usare gli oggetti. Errori che tutti noi commettiamo nell’uso di oggetti spesso banali come un telefono o un elettrodomestico, un normalissimo contenitore e tutti gli apparecchi

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tecnologici presenti oggi. Per ogni oggetto, per ogni errore, Norman dimostra come la responsabilità sia invece imputabile ad un cattivo design; non c’è quindi da scoraggiarsi se ogni tanto ci viene da scaraventare per terra un oggetto piuttosto che un altro. Secondo il modello connessionista (un modello delle scienze cognitive che per spiegare il funzionamento della mente si ispira alla struttura del cervello in quanto costituito da reti neurali), il pensiero procede a sbalzi, è fondamentalmente diverso dalla logica, si basa sull’esperienza passata e, proprio per questo, è intimamente legato alla memoria. Norman, oltre che a cercare di descrivere il funzionamento della mente umana, si preoccupa anche di delineare un modello approssimativo della struttura dell’azione, che si articola in 3 stadi principali: la formulazione dello scopo, l’esecuzione dell’azione e la sua successiva valutazione. Norman, muovendo dalle considerazioni sulle caratteristiche della mente umana e sul modello di strutturazione dell’azione, elabora 5 principi di progettazione che dovrebbero facilitare il rapporto uomo/macchina, eliminando quelle difficoltà “aggiunte”, non legate alla natura del compito da svolgere, ma agli strumenti utilizzati, che invece di aiutare ostacolano l’utilizzatore. Come primo punto c’è quello di usare sia la conoscenza presente nel mondo esterno che la conoscenza interiorizzata. Oltre alla conoscenza presente nel mondo esterno (che diminuisce la quantità di cose da ricordare), il progettista si deve rifare anche ad inviti funzionali forniti dagli oggetti stessi, che trasmettono messaggi circa i loro possibili usi, azioni e funzioni (per esempio, una piastra liscia invita a spingere, un contenitore vuoto a riempirlo, etc.) e deve considerare alcuni vincoli d’uso, che servono, invece a limitare le possibilità di azione di tali oggetti. Tra i vincoli che l’autore evidenzia ci sono i vincoli fisici (per esempio: un grosso perno non può entrare in un foro piccolo); quelli semantici che fanno riferimento alla conoscenza della situazione e del mondo; quelli culturali, per cui ogni cultura ha un insieme di azioni permesse nelle situazioni sociali; ed infine i vincoli logici, connessi al mapping naturale, ovvero al rapporto logico tra la disposizione spaziale o funzionale dei componenti e le cose da questi controllate. Il modello concettuale suggerito dall’oggetto deve quindi mediare tra il modello progettuale del progettista e il modello dell’utente.

Al secondo punto c’è: rendere visibili le cose. E’ importante infatti rendere visibili le parti un oggetto, sia sul versante esecutivo di un’azione, in modo che gli utenti sappiano sempre cosa fare e come farlo, sia sul versante valutativo, in modo che sia sempre possibile valutare ciò che si è fatto. È importante inoltre rendere visibili gli elementi giusti, altrimenti le persone si potrebbero creare delle spiegazioni false sul funzionamento dell’oggetto. Di seguito, al terzo punto, semplificare la struttura dei compiti. È importante cercare di ridurre al minimo

la necessità di programmare e di risolvere problemi; il progettista deve prestare la massima attenzione ai limiti della memoria a breve e a lungo termine e i limiti dell’attenzione degli utilizzatori. Ciò può anche comportare per il progettista il necessario cambiamento della natura del compito attraverso una sua ristrutturazione più semplice. Al quarto punto c’è prevedere margini di errore. Il progettista deve partire dal presupposto che qualunque errore è teoricamente possibile, e per questo motivo prevedere sempre un modo per rimediarvi.


ad essi correlati. L’autore illustra la “giungla” della vita moderna fatta di tecnologie sempre più sofisticate ed efficienti che talvolta, anziché lavorare per noi, ci impegnano il doppio rispetto ai meccanismi più semplici del passato. Un’analisi puntigliosa e analiticamente sagace dei difetti pre–confezionati già in fase di design può essere infatti una buona “guida” per riuscire a superare il senso di inadeguatezza che talvolta proviamo di fronte ad apparecchiature e strumenti, costellati di led e bottoni misteriosi. L’autore riesce a condensare in un

volumetto scorrevole e comprensibile, in modo semplice e lineare, l’applicazione empirica di tutte le sue “Leggi teoriche” su designer e utenti – oggetti e loro utilizzo, come se, in un gioco di prestigio, trasformasse le pagine in una cattedra e i lettori in studenti interessati ed attenti. Il decalogo di Norman parte dall’assunto del “Buon Design”, che deve seguire sempre le “Regole del buon progettista”, passa per i “Modelli concettuali”, per giungere alla “Impotenza appresa” dell’utente che si trova alle prese con il “cattivo design” e incolpa se stesso per le difficoltà che

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Come dicono gli inglesi, “last but not least” (ultimo ma non meno importante), in mancanza, meglio standardizzare. Quando un oggetto non può essere progettato senza una certa arbitrarietà l’unica strada percorribile è quella della standardizzazione. Il vantaggio, in questo caso, è che una volta l’utilizzatore ha imparato come si fa, il procedimento rimane sempre quello. La caffettiera del masochista è un insieme di vissuto e di analisi sulla progettazione, realizzazione ed utilizzo di oggetti cosiddetti di “uso quotidiano” e delle consuete situazioni

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incontra reiteratamente nel suo utilizzo. L’autore sostiene che un oggetto, affinché sia considerato utile e pratico, debba rispondere a queste caratteristiche: – avere buone affordance, cioè “inviti all’uso” chiari e visibili atti a far capire all’utente a cosa esso serva e come si debba usarlo unitamente a un loro buon mapping; – presentarsi con ottimi “vincoli” visivi atti a fare da “guida” durante la sua individuazione (nel caso di piccole tecnologie connesse all’utilizzo di macchinari complessi, esempio le leve delle frecce di direzione delle autovetture) o mentre lo si adopera; – non possedere “golfi valutativi ed esecutivi” che allontanino il fruitore dal capire a cosa serva l’oggetto (livello valutativo) e come ottenere il risultato voluto (esecutivo); – essere “ergonomico”, comodo ed agevole nel suo utilizzo; – offrire altrettanto indispensabili feed–back per dare all’utilizzatore la certezza di aver ottenuto il risultato voluto. Se si potesse considerare in senso assoluto il mondo reale, si avrebbe perfettamente ragione, ma l’approssimazione relativa dell’uomo che, secondo Miller é “Un elaboratore di informazioni limitato e fallibile” rende tale assunto controvertibile. E’ incredibile come, scorrendo gli argomenti trattati nel saggio, emergano dalla memoria tutte le volte nelle quali, personalmente, ci si è chiesto se l’inventore dell’oggetto che si sta tentando di usare avesse problemi mentali! Ne La caffettiera del masochista, che come biglietto da visita ha in copertina la fotografia di una cuccuma in stile retrò con manico e beccuccio dallo stesso lato, Norman elenca ogni possibile “intoppo” che quotidianamente ci rende difficile l’uso di oggetti che dovrebbero invece essere semplici. Porte, maniglie, telefoni, orologi digitali, interruttori e cucine a gas sono gli obiettivi sui quali questo sagace e puntiglioso studioso si accanisce, a ragione, incurante di bersagliare con critiche pungenti i più quotati designer di fama mondiale quando creano oggetti fini a se stessi, curando più l’estetica e/o l’arte a discapito della funzionalità. Aneddoti grotteschi, nei quali ci si può comodamente ritrovare, servono all’autore per lanciare i suoi strali contro progettisti troppo teorici e poco pratici o contro costruttori che sono costretti ad allegare complicati libretti di istruzioni ad apparecchi che dovrebbero invece potersi adoperare con la sola logica data


[Elisa Capitanio]

La caffettiera del masochista Psicopatologia degli oggetti quotidiani

Autore: Norman Donald A. psicologo e ingegnere statunitense, il suo campo di ricerca è lo studio dell’ergonomia, del design, e più in generale del processo cognitivo umano. Noto per essere uno studioso che si è occupato anche degli aspetti più prettamente pratici ed economici della propria materia di studio (in quanto dirigente per la Apple Computer), nelle sue prime pubblicazioni si occupa prevalentemente dell’usabilità e dei vari aspetti del processo cognitivo, ma nel libro “Le cose che ci fanno intelligenti” espone anche critiche di carattere sociologico verso la società occidentale. Tra gli altri aspetti Norman descrive l’apatia provocata dall’eccessivo utilizzo della televisione e l’incapacità dei musei di proporsi al pubblico in modo accattivante. Nella seconda parte della sua carriera pubblica il noto volume “La caffettiera del masochista”, in cui propone una tagliente critica al design attaccando la scarsa ergonomia della maggioranza delle interfacce e degli strumenti in uso all’uomo. Questo volume lo porta alla ribalta mondiale nel suo settore, ed è causa di accese polemiche da parte di designer e progettisti per le affermazioni tese ad esaltare la funzionalità degli oggetti a scapito della loro gradevolezza estetica. In particolare nei suoi studi fa spesso riferimento all’affordance degli oggetti, che lui intende nell’accezione di autorizzazioni che l’oggetto sembra permettere. Sembra, poiché secondo Norman le proprietà possedute da un oggetto, in particolare di ordine ottico, dipendono da chi osserva l’oggetto. In altre parole chi percepisce un significato ci riesce perché possiede un sistema di raccolta dati che gli consente di ottenerlo. Più tardi, con la pubblicazione di “Emotional design”, rinnega parzialmente le tesi proposte ne “La caffettiera del masochista”, focalizzandosi sugli aspetti più emotivi della cognizione, ed esaltando quegli oggetti progettati per essere sì facilmente utilizzabili, ma anche in grado di coinvolgere emotivamente l’utente. Un oggetto in grado di suscitare emozioni positive nell’utente, in pratica, è progettato meglio di uno effettivamente ergonomico. Data questa teoria, diventa praticamente impossibile concepire una “qualità oggettiva” del design, poiché la storia di ogni individuo rende “piacevolmente emozionanti” (evocativi) determinati strumenti o interfacce a scapito di altri solamente in base alle proprie esperienze soggettive. Norman è anche il promotore del concetto di informatica pervasiva, presentato nel libro The invisible computer (“la tecnologia migliore è quella che non si vede, perché è tanto semplice da usare da diventare trasparente”). Editore: Giunti Editore Traduttore: Noferi G. Prezzo: Euro 9,50

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dall’esperienza di ciascuno. Non dimentica neppure i produttori che, nella ricerca della novità di mercato o per ragioni di concorrenza, ignorano deliberatamente la legge della “Ascensione”, secondo la quale esiste un apice di perfezionamento oltre al quale un oggetto, anziché migliorare, peggiora, regalandoci una molteplicità di funzioni in spazi talmente ridotti che, talvolta, non si riesce a capire come, cosa, quando, chi, perché… Inutile scendere in ulteriori dettagli che toglierebbero al neofita che si approccia a Norman l’emozione della gioiosa sorpresa che spesso spinge alla risata spontanea, durante la lettura de La caffettiera del masochista o a chi riprende in mano il libro stuzzicato da quanto appena detto, certo è che durante un corso di psicologia, in una fredda e noiosa serata invernale, o in una calda vacanza caraibica, la compagnia di questo saggio non può che apportare piacere. Quello che fa la differenza, in sostanza, non è come l’oggetto viene pensato ma come l’utente si approccia. Se un oggetto è facile da usare ma viene usato male, non è un buon oggetto. Il buon uso è determinato da un buon pensiero progettuale di base. Ci sono moltissimi oggetti pensati molto bene sulla carta ma che possono diventare delle piccole trappole… per cui ganci di chiusura di borse che non chiudono ma anzi si aprono, gli odiosissimi cavi delle cuffie per ascoltare la musica che, chissà com’è, ogni volta che vengono riposta in modo ordinate, si scompongono e si ingarbugliano provando la pazienza di chiunque. Mobili da montare. Oggetti da costruire. Basti pensare alla quantità di oggetti che sono stati realizzati per proteggerci da altrettanti oggetti. Oggetti per riporre “cose” affilate, proteggere cose delicate, arrotondare spigoli, ingrandire, rimpicciolire, mettere spazio, ridurre spazio, colorare, decolorare… insomma, tutto e il contrario di tutto. L’uso delle cose, intese come materia, genera la necessità di altri oggetti che ci supportino e confortino. Nulla, in fase progettuale e di sperimentazione può esser dato per scontato. Forse è per questo che, ultimamente sui manuali d’istruzione di lavatrici e microonde è stato inserito di non inserire animali o persone. Perché la fantasia dell’uomo comune, il nostro vicino di casa, giusto per intenderci, potrebbe lasciar interdetto qualunque designer.

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DA IT BAGS A IT SHOES PER COLPA DELLA CRISI

____________________________________________________________________________________________ LE SCARPE DI STAR FIRMATE, MA COSTANO MENO DI BORSE L’OSSESSIONE DELLE BORSE ORMAI È FINITA PER MIUCCIA PRADA, OGGI SI È PASSATI OLTRE: IL TEMPO DELLE SCARPE

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ddio Birkin e Baguette, benvenute Spicy, Victoria, Amy e le altre! Le «it shoes» hanno ormai spodestato le «it bags»: scarpe firmate, alla moda, molto costose e di solito molto alte, almeno 15 centimetri, indossate o dedicate a personalità del mondo dello spettacolo e con una lista d’attesa di mesi. Il «concept» è lo stesso delle borse, le «it bags», ma grazie, o a causa della crisi economica mondiale – secondo il magazine settimanale del quotidiano Le Monde – è sulle calzature che le firme della moda puntano in questo momento: si cambiano più

spesso, se ne vendono di più, sono il punto debole delle donne e soprattutto costano di meno (considerando che per una borsa Birkin di Hermes si parte da 5.000 Euro). «Per le marche si tratta soprattutto di marketing – ha detto l’esperto Thomas Zylberman a Carlin International, agenzia di comunicazione specializzata nella moda – subito riconoscibile la scarpa è diventata il nuovo media delle griffe». Qualche stilista, come Michel Perry, shoes designer per eccellenza – tra le sue fan ci sono Sharon Stone, Cher e Cameron Diaz – ne prepara alcuni modelli a effetto, con tacchi vertiginosi, forme bizzarre, colori e materiali eccentrici, appositamente per la stampa o per le sfilate. Sono in particolare i grandi nomi della moda, secondo Le Monde, che si sono lanciati in questi ultimi anni nell’arte della scarpa: come John Galliano, con i suoi sandali in compensato, voluminosi, molto decorati, che quest’anno propone per Dior un tacco a forma di statuetta africana. O Marc Jacobs: i suoi Spicy sandals tribali e fatti a mano per Louis Vuitton costano circa 1.500 Euro il paio e hanno già conquistato Chloe Sevigny, Heidi Klum, Madonna e Victoria Beckam. A quest’ultima è però Giambattista Valli che ha dedicato le sue Victoria shoes. Le Suri di Calvin Klein riprendono il nome della figlia di Tom Cruise, e le Amy di Jonathan Kelsey, che collabora con la griffe inglese Mulberry, sono le favorite di Amy Winehouse. Per Balenciaga lo stilista Nicolas Ghesquire – dopo le sue scarpe Meccano

– spinge più in là la frontiera dell’uso della scarpa. «Con un dettaglio interessante in periodo di crisi – aggiunge Maud Tarena, a capo del settore delle calzature femminili allo storico grande magazzino Bon Marchè di Parigi – le scarpe firmate costano meno della metà di una borsa della stessa categoria». «L’ossessione delle borse ormai è finita – ha detto anche Miuccia Prada – Oggi si è passati oltre, è il tempo delle scarpe!». O meglio delle «it shoes». [Aurora Bergamini]


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ccordo di licenza firmato tra Roberto Cavalli Spa ed Ittierre Spa in a.s. (Gruppo It Holding). Il marchio Just Cavalli, che nelle ultime presentazioni di pret a porter a Milano non era presente, tornerà dunque a sfilare nel calendario della Camera Nazionale della Moda Italiana già con la collezione primavera–estate 2010. Ad annunciarlo è un comunicato dell’azienda Cavalli, dove si precisa di aver raggiunto con Ittierre Spa un nuovo accordo di licenza in esclusiva in tutto il mondo per la produzione e distribuzione delle collezioni Just Cavalli uomo e donna, abbigliamento, borse, scarpe ed accessori. La licenza avrà durata cinque anni e quindi fino alla produzione della collezione autunno–inverno 2014/2015, inclusa, e prevede la risoluzione delle pendenze relative ai precedenti rapporti di licenza intercorrenti fra il Gruppo It Holding e la Roberto Cavalli Spa. L’accordo definisce le attività per la realizzazione di un piano marketing e di comunicazione per la collezione Just Cavalli nel mondo

e prevede il ritorno di Just Cavalli alle sfilate di Milano. «Just Cavalli – ha detto Roberto Cavalli – ha avuto solo un po’ di febbre, mali di stagione. Adesso,

sanissimo e fortissimo farà molto male a chi sperava il peggio»

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Torna Just Cavalli, firmata nuova licenza con Ittierre

37 Il mondo di Elio Fiorucci in mostra a Carpi

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è tutto il mondo di Elio Fiorucci creato in 40 anni di attività, nella mostra che si svolgerà nel Museo di Carpi, Palazzo dei Pio, dall’8 aprile al 2 giugno. Cura-

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ta da Silvia Cuppini e Andrea De Crescentini, la mostra ripercorre le più importanti tappe che hanno costituito i momenti rivoluzionari dell’universo di Elio Fiorucci attraverso i legami

artistici che lo hanno contraddistinto. Il percorso della mostra va dagli anni ‘70 e ‘80 attraverso gli occhi di Elio Fiorucci e utilizza come chiavi di lettura i suoi legami con la moda, il design, l’arte, la musica, il cinema, la grafica, la fotografia, i luoghi cult. Una serie di opere d’arte, documenti, video, interviste contribuiscono a delineare la storia di un personaggio– icona del made in Italy. L’allestimento della mostra, ideato dall’architetto Roberto Bua, mette in scena i personaggi con i quali Fiorucci è entrato in relazione tra gli anni ‘70 e ‘80, tra i quali: Oliviero Toscani, Mary Quant, Biba, Vivienne Westwood, Brigitte Bardot, Adriano Celentano, Walt Disney, Jean Paul Gaultier, Madonna, Andy Warhol, Keith Haring. Il visitatore attraverserà i principali avvenimenti della cultura degli anni ‘70 ‘80, percependo quanto lo stile di Elio Fiorucci sia stato anticipatore delle tendenze dominanti. Un’ampia galleria fotografica e alcune opere di Haring e Warhol documentano i volti e i luoghi che hanno caratterizzato e determinato l’operato del designer.


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SIMBOLOGIA

LINGUAGGI CHE S’INTRECCIANO

____________________________________________________________________________________________ ECCO LE CULTURE CHE IN IMMAGINI FERME DA MILLENNI CONVIVONO, NONOSTANTE I MOVIMENTI D’OPINIONE O LE LOTTE DI RELIGIONE

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l mistero e l’oscuro, questi gli argomenti da sempre al centro della curiosità popolare. Ciò che non si capisce da sempre è stato oggetto di ricerche o di ricostruzioni, più o meno veritiere persino in una società “tecnologica”, avanzata o disincantata come la nostra. Già, perché la voglia di scoprire in un mondo dove tutto pare raggiunto e soprattutto semplificato, è più che comprensibile. Un mondo dove tutto appare limpido, ma che in realtà ha infinite chiavi di lettura. Per questo motivo non ci si deve stupire nel momento in cui a farla da padrone nelle classifiche di film e libri sono temi come la ricerca di tesori perduti, meglio ancora se attraverso codici o strane iscrizioni. Un linguaggio arcaico, che compenetra alla perfezione il termine dell’arte. L’arte come linguaggio, certo, ma su più livelli, ognuno di essi più profondo, tra cui il più affascinante è senza dubbio quello simbolico. Una simbologia religiosa e popolare, antico retaggio di culture che via via sono andate scomparendo, sostituite lentamente, ma inesorabilmente, da quelle legate alle religioni del libro. Un sussurro che è stato immortalato nel tempo, in quadri e sculture ammirate e quotate. Un sussurro udibile solo a chi nell’opera d’arte cerca anche l’essenza di chi l’ha progettata. È il caso dell’arte rinascimentale: guardando nel profondo di un quadro di Leonardo o di una scultura di Michelangelo si potranno scoprire alcune tracce delle culture passate, rappresentate con emblemi riconoscibili, ma ben amalgamati al contesto.

Sfere, triangoli, sinistra e destra, rose sono solo alcuni degli elementi ereditati dal cosiddetto paganesimo, assorbito per molti aspetti dal cristianesimo e, di conseguenza, rappresentato nelle sue maggiori opere, dall’architettura alla pittura. In una qualsiasi chiesa, se non costruita in anni recenti, guardando in alto, troverete il Rosone che, a prescindere dalle raffigurazioni incastonate nel vetro, richiama chiaramente il simbolo della rosa, che in epoca romana, veniva ap-

poggiata sopra le porte quando nella stanza si svolgeva un incontro importante, intimo o riservato. Vale a dire la descrizione di quanto avviene in chiesa. Lo stesso vale per il triangolo con la punta rivolta verso l’alto, in epoca romana associata all’uomo e in epoca rinascimentale e medievale utilizzato come rappresentazione di Dio. Al contrario, uno dei simboli grafici mai raffigurato in sculture o quadri è quello del pentacolo, la stella a cinque punte inserita nel cerchio. Da sempre associa-


a rte ta al satanismo, non appare in alcuna rappresentazione. In realtà, all’origine il pentacolo rappresentava l’equilibrio, simbolicamente ritratto dal cerchio, tra i cinque elementi, di cui lo spirito occupava la punta della stella rivolta verso l’alto. Ai lati aria ed acqua, alla base quelli più materiali, rappresentati da fuoco e terra. Insomma, una sorta di croce pagana. È pure è curioso evidenziare come le sue proporzioni diano origine al cosiddetto numero d’oro, una cifra identificata come emblema dell’equilibrio nell’antichità, alla base di parecchi e famosi componimenti musicali, come gran parte delle opere prodotte da Debussy, in epoca moderna. La quercia, altresì, è considerata come un elemento negativo, retaggio di una lotta sfrenata alle religioni rurali: se prima, infatti, la quercia era il simbolo della natura, luogo di ritrovo per i vecchi saggi o per le levatrici, dal Medioevo in avanti è stata considerata come luogo maligno, su tutti come ritrovo delle streghe durante i Sabba. Considerate poi per esempio l’uso del bianco e del nero: il nero, nell’antichità associato all’essere femminile, il bianco, al contrario, all’essere maschile. Analizzatene gli utilizzi: chiaramente il nero è il simbolo delle tenebre, il bianco della luce, della purezza e della redenzione. Di bianco ci si sposa per tradizione, di nero ci si veste per un funerale. A voi le conclusioni. Guardatevi intorno e cercate. Anche solo per il gusto di osservare un quadro, una scultura o un affresco e pensare che qualcosa di magico quanto l’evoluzione e la relazione tra culture c’è dietro a quel dipinto. Culture che in immagini ferme da millenni convivono, nonostante i movimenti d’opinione o le lotte di religione.

[Elena Peracchi]

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Un silenzio che si ode ancora

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i concluderà il 3 maggio a Milano la mostra dedicata a Walter Lazzaro, in un anno che in sia memoria ha visto organizzarsi diverse manifestazioni. L’artista, definito da molti come “il metafisico pittore del silenzio”, è stato autore di diverse opere con soggetti figurativi. Evoluta la sua tecnica e la sua percezione Un silenzio che si ode ancora Luogo: Galleria San Lazzaro a Milano Quando: fino al 3 maggio Info: www.gallerialazzaro.it

degli oggetti da immortalare, nel periodo post bellico si concentra sullo studio dello spazio, come sintesi di colore e luce, metafore che ricorrono in continuazione nei suoi dipinti. Morto nel 1989, l’artista era figlio di un insegnante di disegno, famoso soprattutto negli Stati Uniti grazie alla realizzazione di diverse opere sacre. Deportato in un lager, da quel momento le sue intuizioni riguardarono soprattutto l’immagine della sofferenza nei campi di concentramento e l’analisi dei bisogni primari emergenti in queste situazioni. Molteplici le tecniche di pittura, utilizzanti china, carboncino o olio su tela: passerà dalla raffigurazione di oggetti prevalentemente abbandonati, emblema della desolazione vissuta, a nature morte.

I Maestri dell’Avanguardia Russa

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opo le celebrazioni per il centesimo compleanno del Futurismo, questo è l’anno riservato ai festeggiamenti ed alla riscoperta delle avanguardie. È quanto avviene per esempio a Como, nella splendida cornice di Villa Olmo, dove dal 4 aprile al 26 luglio è allestita la mostra dedicata

ai grandi maestri dell’avanguardia Russa, Chagall, Kandinsky e Malevic, che pure per un breve periodo hanno tratto ispirazione e principi proprio dai futuristi italiani. Qui sono state raccolte ben ottanta opere, tra cui si menzionano quadri ad olio, a tempera o semplici disegni, provenienti dai principali musei

russi e da diverse collezioni private. I biglietti, in vendita sul circuito TicketOne, corrispondono a due tariffe: quella intera, pari a 10,50 €, e quella ridotta, riservata ad over 65 e studenti under 26 pari ad un ingresso di 8,50 €.

I Maestri dell’Avanguardia Russa

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Luogo: Villa Olmo a Como Quando: fino al 31 maggio Biglietti: www.ticketone.it

Oggetti Sonori

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mperdibile appuntamento per tutti gli appassionati di design moderno, addetti ai lavori o no. In seguito alla riapertura, la galleria d’arte presenta un rinnovamento inaspettato, che di certo soddisferà anche i più curiosi. Una delle novità di quest’anno senza dubbio la mostra in questione, che Oggetti Sonori Luogo: Triennale Design Museum a Milano Quando: fino al 17 maggio Info: www.triennaledesignmuseum.it Biglietti: www.ticketone.it

prende in esame il ruolo del suono, spesso non considerato, come elemento fondamentale e portante per il design moderno. Le tipologie di suoni che in particolare verranno trattate sono il suono intrinseco alla natura degli oggetti, vale a dire tutti i rumori provocati da un oggetto all’atto del loro utilizzo, il suono inventato dall’uomo, il suono derivante dal funzionamento degli oggetti, soprattutto meccanici o elettronici ed il suono che attira l’attenzione degli esseri umani, come i segnali acustici. Questa dimensione dell’invisibile è quindi esplicitata in percorsi guidati e spiegazioni, a cura di Marco Ferreri e Patrizia Scarzella. L’ingresso è di 9,00 €.



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fABRIZIO FRIGENI

la musica è in continua crescita

____________________________________________________________________________________________ «LA FIERA DI FRANCOFORTE HA ALIMENTATO IL MIO SPIRITO A CREDERE NEL MIO PROGETTO MUSICALE. LA MIA STORIA? MAX PEZZALI E GLI 883 MI HANNO DATO UN’IMPRONTA IMPORTANTE, LE ESPERIENZE CON NUOVI ARTISTI HA SMALIZIATO IL MIO STILE E I MIEI PENSIERI MUSICALI...»

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abrizio Frigeni, un nome di cui sentiremo parlare in futuro. Gli addetti ai lavori già lo conoscono da anni, ma il noto pubblico bergamasco e italiano presto potranno apprezzarne le qualità. Il successo, in questo campo, non viene colto all’improvviso ma dopo una lunga gavetta e un talento che deve essere, in un certo qual modo, coltivato. “Inside Lombardia” lo ha incontrato a Bergamo. «La mia storia è quella di un ragazzo normale che sogna di apparire tra le pagine di una nota rivista musicale e dopo tanti sacrifici ci è riuscito – confida Frigeni –. All’età di 5 anni, incoraggiato da mio padre, ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte: la musica mi è parsa da subito come qualcosa di più che un semplice passatempo. Ricordo che in un tema delle elementari alla domanda “Cosa farai da grande?” ho risposto “Farò il musicista”. Insomma chi l’avrebbe mai detto. Con il pianoforte per i primi 7 anni è andata molto bene ma poi, non riuscendo più ad avanzare di livello, ho iniziato a pensare che forse quello non era lo strumento più adatto a me e quindi decisi di provare con altri strumenti arrivando così alla chitarra, che mi sta regalando tuttora tantissime emozioni, oltre che a soddisfazioni professionali». Il genere musicale si è affinato con gli anni e tutto il suo repertorio professionale è tutto “artigianale”. «Non ho mai preso lezione da nessuno – racconta –. Mio padre, chitarrista professionista negli anni ’60 e ’70, avrebbe potuto darmi qualche dritta ma decisi di fare tutto da solo. Non avendo un insegnante ho deciso di applicare la disciplina del pianoforte allo studio del nuovo strumento, rapportandomi alla


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FABRIZIO FRIGENI

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abrizio Frigeni è nato a Bergamo il 9 Giugno 1976. Pur non avendo vissuto direttamente l’atmosfera degli anni ’60 e ’70, appartiene a quella generazione di chitarristi che ha mosso i primi passi nella musica sulle orme di Jimi Hendrix, Eric Clapton e Ritchie Blackmore. Figlio d’arte (il padre Gino, chitarrista, è stato leader negli anni ’60 del gruppo beat “I Monelli” al fianco di un giovanissimo Roby Facchinetti) nel 1996, a seguito di un incontro con Giorgio Secco, intraprende la carriera di musicista professionista. Nel 1997 e ’98 Fabrizio suona dal vivo ed in televisione con diversi gruppi ed artisti emergenti fra i quali i Madreblu poi, nel 1999, entra a far parte degli 883 di Max Pezzali: un tour invernale ed uno estivo (“Grazie Mille Tour”, “Grazie Mille Summer Tour”), due tour europei (a supporto dello “Stile Libero Tour” di Eros Ramazzotti), un album (“Uno in +”), un singolo (“Come deve Andare”), un videoclip (“La regina del Celebrità”), una compilation (“Top of the Year 2002”), due Greatest Hits (“Love/Life”, “Tutto Max”) e decine di passaggi radio e tv sono i numeri della sua collaborazione con la band, terminata nel 2001. In seguito Fabrizio ha suonato in studio, dal vivo o in tv con Paola & Chiara, Syria, Paolo Meneguzzi, Gianni e Marcella Bella, Riccardo Maffoni, Laura Pausini, Alejandro Sanz, Jasmine & Renato Zero, Francesco Facchinetti, Luca Dirisio, Spagna e Loredana Bertè. Grande appassionato di musica classica ha recentemente realizzato il disco “Past : Part 2” nel quale, assieme all’amico–pianista Davide Rossi e con il contributo di altri noti musicisti del “panorama pop” italiano, si è cimentato nella trascrizione, nell’arrangiamento e nell’esecuzione di alcune delle pagine musicali più importanti dei grandi autori del passato (Vivaldi, Mozart e Beethoven su tutti).

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musica di Hendrix, Blackmore e Van Halen come avevo fatto con quella di Mozart, Beethoven e Chopin: la dovevo fare così e basta, e se qualcosa non veniva bene ricominciavo dall’inizio. In un certo senso credo sia stato un bene per me non aver frequentato un corso di chitarra elettrica. A mio avviso non esistono libri o metodi di insegnamento che potremmo definire “di riferimento”: a volte gli insegnanti di chitarra elettrica sono diplomati in chitarra classica, che però è tutto un altro strumento, altre volte sono jazzisti che quando si trovano davanti un allievo appassionato di rock non sanno dove andare a parare, altri ancora spesso e volentieri sono solo musicisti improvvisati che non hanno cultura classica o jazz. Se si vuole imparare qualcosa nella vita bisogna avere una mente aperta e libera da pregiudizi da un lato, una certa cultura e disciplina dall’altro. C’è un sacco di gente in giro che confonde la tecnica con la velocità per giustificare i propri limiti e lacune. Avere tecnica non significa essere veloci, significa avere padronanza del proprio strumento, avere i giusti mezzi per esprimere in libertà le proprie emozioni». Come si ottiene un buon livello tecnico? Questa è la domanda che tanti, fuori dal settore, si pongono quando ammirano grandi artisti. «Prima di incamminarci dobbiamo comprendere a fondo il nostro obiettivo – spiega Frigeni –. La tecnica è il risultato dell’unione di diversi parametri che un buon esecutore non deve trascurare: suono, intonazione, tocco, precisione. Una volta stabilito il percorso e la meta ci incammineremo un po’ per volta e se dopo un po’ sentiremo le gambe più agili e sciolte potremo aumentare il passo senza fatica». Un passo indietro e Frigeni racconta come è arrivato fin qua. «Dal ’91 al ’95 sono stato il chitarrista della blues band “Dr. Faust and the Coffee House Brothers”, con la quale ho suonato in più di 200 locali e realizzato 2 Cd…In seguito un amico di famiglia ha organizzato un concerto nella mia zona: l’ospite della serata era Giorgio Secco ed io avuto la fortuna di esibirmi con lui. Giorgio cercava qualcuno che lo sostituisse nelle varie bands delle quali faceva parte perchè doveva allontanarsi per un tour, così dopo avermi ascoltato mi ha chiesto il numero di telefono: poco tempo dopo ero inserito nella scena live milanese come sostituto di uno dei migliori chitarristi in circolazione. Dopo qualche ingaggio televisivo con alcuni artisti e gruppi emergenti ho fatto un provino per gli 883, diciamo che quella è stata l’occasione per il grande salto. Ho suonato 3 brani assieme al gruppo ed alla fine qualcuno mi ha detto: “Benvenuto a bordo, qua si sa quando si parte


perché loro hanno preso da un lato la musica classica, dall’altro il rock, ed hanno unito questi due elementi ottenendo come risultato finale ancora il rock mentre io desideravo ottenere qualcosa di diverso: un disco di musica classica suonato con la chitarra elettrica ed altri strumenti più o meno differenti da quelli tradizionalmente utilizzati. Penso di esserci riuscito e il merito è anche di Davide Rossi, mio compagno d’avventure di sempre, che ha creduto in questo progetto “visionario” e lo ha sostenuto fin dall’inizio: il suo pianoforte ha poi contribuito a rendere questo disco meno chitarristico e più equilibrato, musicale. Davide mi ha seguito, e talvolta preceduto, nelle varie collaborazioni degli ultimi dieci anni: dai tempi dei Coffee House Brothers fino ai più recenti i tour con Syria, Meneguzzi e Facchinetti. Ha suonato nell’ultimo cd di Eros». E il futuro? «Per prima cosa desidero promuovere il disco con alcune esibizioni live, occasione ideale per festeggiare il traguardo dei miei “primi” 1000 concerti. Posso solo augurare alle persone di talento di trovarsi pronte e con il biglietto in mano quando il “treno giusto” passerà loro davanti». [Lorenzo Casalino]

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ma non quando si torna…”». Frigeni ha fatto parte della band di Max Pezzali fino al 2001 ed in seguito ha suonato dal vivo ed in studio con altri artisti tra i quali Paola & Chiara, Syria, Paolo Meneguzzi, Francesco Facchinetti, Luca Dirisio, Loredana Bertè. «Rivivo spesso risentendo ciascun disco ogni prova musicale fatta – confida – . “La vita è strana”, dall’album omonimo di Luca Dirisio diciamo che più mi rappresenta a livello musicale nella parte della chitarra». Il discorso con Frigeni poi volge al progetto musicale “Past : Part 2” e a come è nato. «Ero a Vienna con gli 883 – racconta il chitarrista orobico –. Mentre noi della band prendevamo l’aperitivo in un locale, un violinista in mezzo alla strada ha iniziato a suonare un brano di Brahms: in quella magica atmosfera ho realizzato che era giunto il momento di rendere omaggio ai grandi autori del passato che accompagnano da sempre il mio percorso musicale e così, al ritorno dal tour, ho iniziato a trascrivere alcuni brani che Vivaldi, Mozart e Beethoven hanno composto per violino, pianoforte o altri strumenti, promettendomi di inserirli in un disco. Non è stato un esperimento simile a quelli fatti, a partire dagli anni ’70, da Ritchie Blackmore prima e poi dai vari Yngwie Malmsteen, Paul Gilbert

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Successo alla Musikmesse 2009 di Francoforte

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ualità senza compromessi». Il bergamasco Fabrizio Frigeni che è stato Francoforte per la fiera Musikmesse 2009 tenutasi lo scorso 1 aprile fino al 4 aprile ha riscosso un enorme successo. La fiera ha contato ben 400mila presenze nell’ultima giornata aperta al pubblico. Il talento orobico ha così rappresentato l’Italia e l’Europa intera mostrando, in anteprima mondiale, la sua nuova chitarra come testimonial europeo della casa giapponese di strumenti musicali “Bacchus”. Dopo il successo riscosso in questi ultimi anni, il chitarrista è pronto a dare seguito al suo progetto di “musica classifica rivisitata” presentando una chitarra inedita e realizzata appositamente per lui. E’ il terzo italiano di sempre, dopo Dodi Battaglia dei Pooh e il chitarrista Cesareo di Elio e Le Storie Tese, ad avere una chitarra firmata e realizzata da una casa straniera. E’ stata proprio la Bacchus, attraverso l’importatore di strumenti musicali Dario Toma da Parigi, a contattarlo e a volerlo a tutti costi tra le proprie fila. «E’ stato per me un onore poter trasmettere la mia esperienza musicale alla Bacchus – confida Frigeni –. Ritengo che ci siano ancora ampi margini di miglioramento per raggiungere i rispettivi obiettivi pro-

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fessionali, sia da parte mia sia da parte della casa giapponese». Inoltre Frigeni è anche testimonial europeo dell’amplificatore Peavey: i suoi due predecessori sono stati i grandi Eddie Van Halen e Joe Satriani, chitarristi che hanno fatto la storia della musica mondiale.


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vincent cassel: «Sono ingrassato 20 chili per interpretare la parte» Recensione

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Ispirato al romanzo autobiografico di Jacques Mesrine L’Instinct de mort, che scrisse dal carcere poco prima della sua clamorosa evasione, il film di Jean–François Richet segue, con ritmo adrenalinico, l’ascesa di Mesrine da soldato ribelle dell’esercito francese di stanza in Algeria, a spietato criminale nelle strade di Parigi. Il primo di due film, intesi come un unico progetto sul personaggio Mesrine (Cassel), getta le fondamenta di quella che sarebbe diventata una lunga sequenza di atti criminosi, che parte con la scena dell’ “iniziazione” di Mesrine all’efferata violenza, durante un interrogatorio a un prigioniero in Algeria. Assetato di potere e in cerca di denaro facile, Mesrine torna in Francia dove trova tutto a portata di mano. Ad ostacolare i suoi piani, ci sarà però Guido (Depardieu) – il boss a capo della criminalità locale. E dopo l’ incontro di Mesrine con la bella e altrettanto spietata Jeanne Schneider (de France), i due che fanno coppia fissa al pari di Bonnie e Clyde, si gettano in una sequela di rapine a mano armata che li porta da Parigi fino a Montreal.

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a prima parte della pellicola sulla vita di Jacques Mesrin, famoso criminale francese arrivato ad essere considerato il “nemico pubblico numero uno”, è uscita il 13 marzo. La seconda parte ha già raccolto maggior interesse al cinema alla fine di aprile. “Nemico pubblico n. 1 – L’istinto di morte” e “Nemico pubblico n. 1 – L’ora della fuga”. Ecco i titoli delle due sezioni dirette da Jean–François Richet. Il protagonista assoluto è Vincent Cassel, autore forse della sua miglior prova; per la seconda parte è ingrassato di 20 chili. Che idea ti sei fatto di Jacques Mesrine? «La cosa interessantissima risiede nel fatto che ancora oggi non sappiamo con certezza se Mesrine abbia veramente ucciso qualcuno, in quanto, all’interno di un libro che ha scritto dichiara, quaranta omicidi, mentre la polizia gliene attribuisce solo quattro, ma in ogni caso non esistono prove concrete. Comunque, più che un gangster credo fosse un opportunista, uno showman, uno che ha fatto della politica un modo per giustificare la sua violenza, ma non ci credeva veramente». Quali difficoltà hai riscontrato nell’attuare la trasformazione fisica per il ruolo? «In Francia hanno un’immagine molto Anni Settanta di Mesrine, ma in questo primo film la mia trasformazione fisica non si vede molto. Comunque, almeno una volta nel corso della sua carriera un attore deve trasformarsi, ma credo che non lo farò mai più». Ciò che vediamo in questo film è tutto vero? Il libro che Mesrine ha scritto è stato certificato che rac-

contasse la realtà? «No, lui era un gran bugiardo, questo è risaputo – ironicamente dice –. Abbiamo solo preso i suoi due libri e comprato tutti quelli in cui si parla di lui, poi abbiamo fatto dei collegamenti, ma su molte cose non c’è certezza di verità. Comunque, il nostro intento era principalmente quello di fare un film che fosse anche una fotografia della Francia degli anni Sessanta e Settanta, non un documentario, anche perché non sarebbe interessato a nessuno. Per esempio, l’assalto al carcere in Francia c’è stato veramente? «Sì, quello c’è stato veramente, comunque delle cose presenti nel film Mesrine ne ha fatte molte». In Francia come è stato accolto il film? «Magnificamente! Il pubblico lo ha accolto molto bene e io ho avuto belle critiche, poi è stato candidato a dieci César (gli Oscar francesi, ndr)». Questa è la sua migliore interpretazione? «Migliore di “Shrek”? Io non so, faccio il mio lavoro alla stessa maniera. Adesso sono un po’ più vecchio, un po’ più calmo, però la passione c’è sempre. E la sua partecipazione a Sanremo? «San che? Il festival... Sì, scherzavo. E’ andata bene». In Francia lo conoscete il Festival di Sanremo? E’ seguito? «Noi abbiamo il Festival di Cannes, lo conoscete? No, ho capito che Sanremo è di musica, e la musica italiana non è molto esportabile. Come la musica francese, devo dire». [Francesco Lomuscio]


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ue date a Milano per uno dei cantanti e produttori più apprezzati degli ultimi anni. Si tratta di Tiziano Ferro, che dopo i grandi successi che l’hanno portato alla ribalta, osannato dal pubblico e premiato dalla critica, ha cantato di storie d’amore e disagi sociali con un tatto tutto particolare, che gli ha permesso di essere notato quasi da subito. Il tour 2009 prende spunto dall’ultimo lavoro dell’artista, il CD “Alla mia età”, riflessione per il cantante di Latina sul percorso musicale intrapreso finora, con vaste parentesi contemplative sulla società d’oggi. Anello di congiunzione con il resto della sua discografia, l’inconfondibile voce e stile, che ha permesso l’espor-

tazione e l’apprezzamento dei suoi brani anche in Spagna e nei paesi anglosassoni. I prezzi dei biglietti oscillano tra i 34,50 € del parterre ai 57,50 € della tribuna Gold Numerata.

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“Alla mia età”, TIZIANO FERRO ad Assago

Alla mia età Artista: Tiziano Ferro Luogo: Mediolanum Forum ad Assago Quando: lunedì 4 e martedì 5 maggio Info: www.tizianoferro.com Biglietti: www.ticketone.it

SIMPLY RED tornano in Italia

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orna ad esibirsi dal vivo anche in Italia il gruppo britannicco che con il suo pop ha fatto ballare ed incantato diverse generazioni. In scaletta un sunto dei brani inseriti all’interno della raccolta “Greatest Hits”, uscita lo scorso novembre. A distanza di due anni dall’ultimo disco, “Stay”, uscito nel marzo del 2007, e dall’ultiSIMPLY RED Artista: Simply Red Luogo: Teatro degli Arcimboldi a Milano Quando: sabato 16 e domenica 17 maggio Info: www.simplyred.com Biglietti: www.ticketone.it

mo singolo, “The world and you tonight”, uscito nell’ottobre dello stesso anno, la band si ripropone al pubblico con un tour ricco di date e di respiro internazionale. Sul palco si rivivranno le emozioni e le sonorità che hanno permesso al gruppo di Mick Huknall di arrivare alla ribalta e di rimanere sulla cresta dell’onda fin dal 1985. “Siamo stati fortunati a partecipare, è stato un concerto indimenticabile, un’esperienza unica ascoltare la vostra voce forte e marcata”, scrivono due fans che hanno assistito alla data di Los Angeles. Un buon anticipo di quello che sarà lo show sul palco. I biglietti, reperibili sul circuito TicketOne, variano dai 46,00 € della Seconda Galleria Numerata agli 80,00 € della Platea Bassa Numerata.

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Mario Biondi in Live Tour

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ornano le melodie jazz di Mario Biondi, in concerto al Teatro degli Arcimboldi di Milano il 26 maggio. Nobile la causa per l’organizzazione della data: il concerto speciale infatti è intitolato a favore della Onlus “Associazione Malattie del Sangue – AMS” dell’Ospedale “Ca’ Granda” in Nicaragua. Il cantante e compositore, dopo aver fatto un po’ il giro del mondo con le sue musiche intense e la sua voce ammaliatrice, torna dunque finalmente in Italia, cantando e ritrovando i brani in inglese del maestro Carlo Alberto Rossi. I pezzi sono stati interamente arrangiati dall’artista italiano, che ha dato loro quel tocco di soul e jazz che caratterizza tutti i suoi componimenti.

Insieme a lui, sul palco del teatro, ci sarà la Duke Orchestra, che ha già collaborato con Biondi in occasione del suo ultimo album, diretta dal maestro Peppe Vessicchio. I biglietti costano 35,00 € per il settore 5, 45,00 € per il settore 4, 55,00 € per il settore 3, 65,00 € per il settore 2 e 75,00 € per il settore 1. Mario Biondi in Live Tour Artista: Mario Biondi Luogo: Teatro degli Arcimboldi a Milano Quando: lunedì 25 maggio Info: www.mariobiondi.biz Biglietti: www.ticketone.it


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EUROPEI “AZZURRI”

VANESSA E TANIA VOLANO ALTO

____________________________________________________________________________________________ LA GINNASTICA E I TUFFI PROTAGONISTI. VANESSA FERRARI: «HO AVUTO SUBITO LA CERTEZZA DI UN PODIO» LA CAGNOTTO NELL’OLIMPO DELLE GRANDI, IN ACQUA E’ LA REGINETTA ASSOLUTA

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na medaglia d’argento per ricominciare, cacciare i fantasmi del passato e ritrovare fiducia e salute. Vanessa Ferrari riparte da Milano, dagli Europei in casa, che lei, la piccola farfalla cremonese, regina in passato, sognava di disputare con una condizione migliore. Ma il tendine d’Achille che tanto l’ha fat-

ta soffrire nel 2008 condizionandole l’Olimpiade e mettendo a rischio il futuro, pur consentendole di gareggiare, non le ha permesso di essere davvero splendente. Vanessa al Forum si è presa una grande soddisfazione: il secondo posto alle spalle dell’inglese Elisabeth Tweddle nel corpo libero, l’esercizio che più la spaventava per

via del tendine dolorante. «Lei (la Tweddle, ndr) era irraggiungibile – ha detto la Ferrari – ma dopo il mio esercizio ho avuto davvero la certezza di prendere una medaglia». In un attimo tutto il dolore, tutte le ansie dei mesi scorsi, quelli passati senza allenamenti, lontano dalla palestra e con qualche chilo di troppo, sono svaniti. Dimenticati. «Sono felice anche se non posso ancora dire davvero di essere ritornata me stessa. Quando starò meglio, ve lo farò sapere». In un giorno tutto cambia, quello che ieri era nero oggi è bianco. Il sabato difficile con il volteggio della delusione di Vanessa è dimenticato in una domenica che è diventata dolce per la Ferrari. «Pensate, avrei voluto eseguire il mio tsukahara avvitato. L’ho chiesto al mio allenatore Casella e lui mi ha fermata». Il coach non si è fidato di fare eseguire a Vanessa quell’esercizio del periodo d’oro: meglio non correre rischi. Quel tendine che non le dava pace l’ha relegata all’undicesimo posto a Pechino, un successo per un’atleta non al top della condizione Dopo le Olimpiadi si è fermata, la Ferrari, ha cercato nel riposo la cura migliore per guarire e agli Europei milanesi è stata chiamata solo in extremis. Conquistata la medaglia, adesso con un poco di calma, lasciando in disparte le inutili polemiche con la Federazione (Enrico Casella ha accusato anche i medici federali ma quando le cose vanno male è facile prendersela con chiunque) è tempo di ritrovare la serenità e la gioia di andare in palestra.


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l tuffo del trionfo è quello di Tania Cagnotto e di Francesca Dellapè. Unite nel sincronismo del gesto necessario a trionfare in un europeo di tuffi che chiude con l’Italia a quota sette, ma con la Tania nazionale che raggiunge la storia e l’emozione di essere la prima donna in Europa nel trittico delle medaglie d’oro da Hall of Fame. In compagnia, per la versione maschile, del russo Dimitry Sautin. Uno, due, tre. È Cagnotto che detta i tempi dell’entrata in acqua, seguita da una splendida Francesca Dellapè che centra al massimo delle sue capacità la sua prima medaglia internazionale. È un duo affiatato quello delle due azzurre, che regolano all’unisono il rotellone che serve a imprimere flessibilità al trampolino. Quasi uguali l’atleta delle Fiamme Gialle, Tania, e quella dell’Esercito, Francesca. Bionde e sorridenti, il costume azzurro fiammante che contiene in bandierina il tricolore. Perfino la pelle di daino viola – quella che serve ad asciugarsi e quasi a darsi un’identità tuffistica – uguale. Scatta la coppia al via del primo tuffo, inseguono da vicino le tedesche. Ma è un valzer che abbiamo già conosciuto, un valzer danzante sulla tavola che ad ogni entrata in acqua solleva il boato del pubblico. E che pubblico, unito nelle note del tricolore che per la terza volta fanno bella l’Italia e Torino. Sarà a luglio il mondiale di Roma a riproporre questi splendidi atleti, Sacchin, Benedetti, i fratelli romani Marconi, Cagnotto e Dellapè. Ci doveva anche essere qui la risposta italiana all’inglesino fenomeno Tom Daley, quel piccolo baby tuffatore romano di nome Andrea Chiarabini. Ha esordito nel syncro della piattaforma con Francesco Dell’Uomo, tanto per rompere le acque della prima volta. Ma si è fermato per una brutta gastroenterite acuta che l’ha portato in ospedale a Moncalieri, tenuto sotto controllo medico proprio mentre le sue compagne compivano il grande risultato. Ci sarà spazio anche per lui, però, nella nazionale di tuffi che presenteremo ai mondiali.

[Lorenzo Casalino]

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TANIA CAGNOTTO: terzo oro!

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fiat 500 c

Una piccola molto chic

____________________________________________________________________________________________ PER DARE NUOVO SLANCIO AL PROPRIO MERCATO CASA FIAT LANCIA LA VERSIONE CABRIO DELL’AUTO PIù TREND DELL’ANNO

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a qualche tempo è ricomparsa nel panorama automobilistico il remake della mitica 500, ovvero la rivisitazione in chiave moderna della utilitaria che è stata protagonista della storia italiana. Chi di noi non è mai salito sulla simpatica vettura della Fiat? Sfidiamo chiunque a sostenere il contrario. Mancava nella moderna 500 la versione decappottabile, pronipote del

modello lanciato nel 1957, una delle prime vetture scoperte che fosse abbordabile ai più. Ebbene, nell’ultimo Salone Automobilistico svoltosi a Ginevra, ha debuttato in anteprima la nuova Fiat 500 C, che sta per essere lanciata in tutta Europa. Questa originale versione cabriolet rende quindi omaggio alla storia, ma contemporaneamente concen-

tra in un’auto di segmento medio piccolo, categoria dove Fiat è stata per anni regina incontrastata, una serie di soluzioni all’avanguardia nel campo della meccanica e della tecnologia. Le dimensioni sono le stesse del modello di base, cioè 355 centimetri di lunghezza, 165 di larghezza e 149 di altezza, ma aprendo l’innovativa capotte, l’altezza diventa l’infinito del cielo. Al momento anche le motorizzazioni rimangono inalterate: il turbodiesel 1.3 Multijet da 75 CV abbinato ad un cambio meccanico a 5 marce e i due benzina 1.2 da 69 CV e 1.4 da 100 CV, entrambi disponibili con cambio meccanico o robotizzato Dualogic, soluzione quest’ ultima che sta prendendo sempre più piede negli italiani, attratti dalla comodità di utilizzare l’auto senza stancarsi con la frizione. I tre propulsori inoltre si segnalano per la loro generosità, per il temperamento brillante e perché no, per le alte prestazioni, dovute alla sofisticata tecnologia che ha fatto sì che si potesse raggiungere una grande affidabilità, il tutto con un occhio di riguardo per il rispetto dell’ambiente. La ‘chicca’ di questa vettura sta, infatti, nell’innovativo sistema “Start&Stop”, il dispositivo che gestisce lo spegnimento temporaneo del motore e il suo successivo riavviamento. Infatti, quando il veicolo si ferma, mettendo la vettura in folle e rilasciando la frizione, il motore si spegne; per ripartire è sufficiente reinserire la marcia.

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Gli amanti del marchio torinese sicuramente ricordano che già all’inizio degli anni 80 la Fiat proponeva questo sistema (o perlomeno il suo antenato) per una versione della Ritmo denominata Energy Saving. La Fiat 500 C eredita quindi tutte le caratteristiche vincenti della vettura di base come la sicurezza, da considerare al top della categoria, l’abitabilità che offre 4 comodi posti per adulti e un bagagliaio che sfrutta tutti i centimetri per offrire il massimo della capienza. L’accesso a quest’ultimo tra l’altro usufruisce di un ingegnoso sistema di cerniere a parallelogramma, per nulla ‘disturbato’ quando la capotte è totalmente aperta (il cruccio delle vetture scoperte è sempre stato quello di avere il bagagliaio limitato dai sistemi di apertura della capotte). Da notare anche un’altra raffinata particolarità: il terzo stop, obbligatorio per legge e posizionato in cima al lunotto, ‘scivola’ sopra il bagagliaio quando la capotte viene aperta. Quest’ultima è disponibile in 3 colorazioni: avorio, rosso e nero, che possono essere abbinate a numerose tinte di carrozzeria. La Fiat 500 C, la cui struttura nonostante il tetto completamente apribile mantiene le fiancate laterali, è quindi una vettura godibile in qualunque stagione, peculiarità che, unita al gradevolissimo impatto estetico (chi scrive la ritiene bellissima), confermano l’indiscussa leadership di Fiat in questo segmento dove, grazie alle continue innovazioni introdotte, gioca da sempre un ruolo da protagonista. La 500 C concentra in sé altissimi standard in tema di comfort, sicurezza, tecnica e dotazioni, senza rinunciare ad uno stile assolutamente unico ed irripetibile, lo stile italiano. [Marco Ravasi]


Sharon Stone è talmente legata alla sua Fiat 500 che obbliga gli inservienti della sua dimora a lavarla alla perfezione 3 volte al giorno. A quanto riporta il magazine statunitense “Star”, l’attrice hollywoodiana è una vera e propria maniaca dell’igiene. E, in particolare, Sharon Stone pare ci tenga tantissimo alla 500 grigio perla e dalla capote bianco avorio. Gli addetti alle pulizie devono pulirla con pennelli di pelo di martora, in modo da renderla splendente e al contempo non provocare neanche un minuscolo graffio. Nel parco auto di Sharon Stone la Fiat 500 trova posto accanto a vetture del calibro della Bentley Continental e della Lotus Esprit. Ma una cura così approfondita è richiesta dall’attrice americana soltanto per la piccola auto italiana. Cosa abbia fatto scattare questa sorta di colpo di fulmine tra la donna e il “motore” non è lecito saperlo.

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Sharon Stone e la sua 500: la fa lavare 3 volte al giorno!

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TUMORE DEL SENO

NUOVE OPPORTUNITà PER CURARLO

____________________________________________________________________________________________ LA DIAGNOSI PRECOCE DEL TUMORE OFFRE LA POSSIBILITÀ DI RIDURRE AL MINIMO GLI ESITI INVALIDANTI DELLA CHIRURGIA CON MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA e COINVOLGIMENTO DECISIONALE DELLA DONNA: LA RICHIESTA DI CHIRURGIA ONCOPLASTICA È SEMPRE PIÙ CRESCENTE

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l paradigma terapeutico del tumore della mammella è andato modificandosi nel corso degli ultimi anni. Si è passati dal massimo di terapia tollerabile al minimo di terapia necessaria nel nome di una migliore qualità della vita. In

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questa ottica anche la chirurgia si è notevolmente modificata. La diagnosi precoce del tumore, sempre più diffusa, offre la possibilità di ridurre al minimo gli esiti invalidanti della chirurgia con maggiore consapevolezza, coinvolgimento e partecipazione decisionale della donna. Così la richiesta, non solo di chirurgia conservativa, ma di chirurgia oncoplastica è sempre più crescente. Questa branca praticata da chi-

rurghi dedicati coniuga tecniche di chirurgia oncologica a tecniche sofisticate di chirurgia estetica. L’obiettivo della chirurgia oncoplastica è di rimuovere correttamente la neoplasia rispettando o incrementando il risultato cosme-

tico dell’esito chirurgico migliorando, quindi, lo standard della chirurgia senologica. Le tecniche chirurgiche oncoplastiche sono varie: quadrantectomie con centralizzazione della areola, quadrantectomie centrali


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o con rotazione di lembi dermoglandulofasciali; emimastectomie con reimpianti di capezzolo–areola; mastectomie con risparmio cutaneo (Skin Sparing Mastectomy) o mastectomie con risparmio cutaneo e con risparmio del complesso capezzolo–areola (NAC Sparing Mastectomy). La scelta del tipo di intervento è dettata dalle caratteristiche del tumore: l’istotipo, grading, la sede del tumore, le dimensioni, la multifocalità o multicentricità, il corredo recettoriale; importante sono pure le caratteristiche della mammella da operare: il volume, il trofismo e forma, la componente adiposa, il grado di ptosi, precedenti interventi chirurgici o trattamenti radioterapici. Non da ultimo bisogna considerare l’età biologica della paziente, il peso corporeo, le attività socio– relazionali la sua determinazione motivata. La quadrantectomia con centralizzazione dell’areola impedisce il formarsi degli strabismi del complesso capezzolo–areola frequenti dopo semplice quadrantectomia e cosmeticamente poco accettabili. Le quadrantectomie con rimodellamento mediante lembo di rotazione dermo–glandulo–fasciale è ideale nel trattamento dei

57 tumori insorti nei quadranti interni della mammella, ma trova indicazione, anche, nei tumori insorti in ogni quadrante, ma periferici, ove è oncologicamente richiesta un’asportazione ad ampia base con conseguente importante perdita di tessuto mammario. La quadrantectomia centrale trova indicazione nei tumori del settore retroareolare e permette una ricostruzione del profilo mammario di ottima qualità che andrà completata con una ricostruzione successiva del capezzolo e dell’areola. La correzione del seno controlaterale è spesso un’esigenza che permette di eliminare asimmetrie di forma, di volume o di ptosi. Per i casi più avanzati, anche, fino a quattro centimetri di diametro, e con interessamento dei quadranti inferiori, gli interventi di emimastectomia inferiore permettono ottimi rimodellamenti di neomammella con trapianto di cute e capezzolo, la correzione del seno controlaterale è mandataria. Le mastectomie con risparmio cutaneo sono indicate nelle pazienti con mammelle piccole (micromastia) quando una chirurgia conservativa non è resa possibile, così come alternativa alla mastectomia tradizionale, quando la ricerca di

un valore cosmetico è considerato come una meta da raggiungere, quanto la guarigione. Queste tecniche demolitive devono essere completate con un procedimento di ricostruzione immediata con protesi temporanee o definitive. La mastectomia con risparmio cutaneo (Skin Sparing Mastectomy) o NAC Sparing Mastectomy, che si caratterizza per la conservazione del complesso areola–capezzolo e di tutto l’involucro cutaneo, trovano indicazione, sempre più frequente, nella chirurgia precauzionale nei casi con displasie ad elevato rischio oncogenico in soggetti con familiarità per tumori mammari, nei carcinomi lobulari in situ e nei carcinomi intraduttali sempre più frequentemente diagnosticati. Tutto quanto detto, perché la terapia del tumore della mammella non debba più essere sinonimo di mutilazione per la donna e perché la cura del corpo non debba più essere causa di una malattia dell’anima.

[Dr. Carlo Baroni Cliniche Humanitas Gavazzeni]

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FINGER FOOD

UNA MODA CHE PRENDE MANO

____________________________________________________________________________________________ LA POSSIBILITÀ DI MANGIARE CON LE MANI, DI TOCCARE IL CIBO E GUSTARLO FINO ALL’ULTIMA BRICIOLA, DI SENTIRNE IL CALORE O LA CONSISTENZA SULLE DITA, DI PORTARLO ALLA BOCCA SENZA TRAMITI E IMBARAZZI

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nostri tempi sono caratterizzati da una grande frenesia e da una velocità d’azione che causano ritmi di vita pesanti, talvolta difficili da sopportare. Le abitudini sono mutate proprio per poter sostenere il tempo che scorre velocissimo. Abbiamo dovuto adeguarci e questo ha creato spazi e luoghi preposti a soddisfare i nostri bisogni in modo rapido, per non dover perdere troppo tempo. Questa situazione interessa anche uno dei momenti fondamentali della nostra vita quotidiana: l’alimentazione. Il cibo diventa una chiave di lettura per interpretare il problema relativo alla costruzione della soggettività, nel momento in cui, assunto come metafora dell’esistenza e della società più in generale, può diventare uno strumento per controllare il nostro

tempo e il nostro corpo. Si ristabilisce cosi un equilibrio tra ritmi individuali interni e ritmi sociali oltre che un effettivo controllo del nostro corpo, inteso come sviluppo di una maggiore autogestione dei propri sensi. Il ritmo è basato sulla suddivisione del tempo in forme e misure variabili, talvolta regolari e simmetriche altre volte irregolari e asimmetriche. Ogni cosa possiede un suo ritmo. La musica è per eccellenza espressione di un ritmo fatto di suoni. Ma la parola ritmo si applica a situazioni e a contesti più ampli del suo semplice significato. Il ritmo è in natura, nelle diramazioni di una foglia, nelle strisce di una zebra, nel tempo e nel succedersi delle stagioni. È anche azione come nel caso dei movimenti di una ballerina o spazio nel caso di un alternanza di pieni e vuoti in un architettura. C’è ritmo nella vita, e uno fondamentale per la vita dell’uomo: quello del corpo. Quando due ritmi differenti entrano in contatto tra di loro, incontrandosi (o scontrandosi) generano un cambiamento. Questo farà tendere il meno prevaricante verso l’altro. La società contemporanea ci sottopone costantemente a ritmi frenetici e purtroppo siamo noi che dobbiamo adattarci a questi e non il contrario. D’altronde sarebbe utopico. E come tutto ciò che ci circonda, anche il cibo subisce questi cambiamenti: muta con noi, evolve e si trasforma, un po’ per non farci mai mancare niente, un po’ per sperimentare. Nel fast il boccone ci permette un consumo semplice e veloce, di un

cibo di qualità presentato sotto una veste differente. Lo slow approfitta della ricercatezza e della particolarità dei cibi proposti . È la mescolanza di due ritmi, quello fast dei panini e quello slow predicato dagli appassionati del genere. Il finger food. Cibo da mangiare con le dita, letteralmente. Cibo da toccare, cibo da gustare. Il cibo a bocconi nasce dall’idea di riproporre con una nuova veste tutti quei piatti, anche facilmente riproducibili in casa, con ingredienti tipici della tradizione culinaria regionale o familiare. Nel corso degli anni, insieme alla società, si è evoluto ed è profondamente cambiato il modo di mangiare delle persone. La gente a tavola, spesso ci vuole rimanere il meno possibile, ostaggi immaginari di pranzi infiniti e


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sequenze lunghissime di porzioni abbondanti. Le persone sono più dinamiche, quindi, proponendo un cibo a bocconi sarà più facile adeguare la sostanza del cibo alle modalità di consumo. Ecco perciò che le porzioni devono essere più piccole, i piatti più leggeri ma allo stesso tempo appetibili e golosi. Non dei semplici bocconi ma delle vere e proprie unità di ricette riadattate in morsi. Nel momento dell’aperitivo è molto facile trovarsi davanti il finger food. Trattasi di cibo, posto su cucchiaini o piccolissimi piattini, che dovrebbe essere mangiato con le mani. La possibilità di tornare a mangiare con le mani, di toccare il cibo e gustarlo fino all’ultima briciola, di sentirne il calore o la consistenza sulle dita, di portarlo alla bocca senza tramiti ed imbarazzi. Viviana Lapertosa ha scritto un libro interamente dedicato al finger food. Edito dal Gambero Rosso (e chi altro sennò?), in cui si da sfogo alla fantasia, si mescolano tradizioni, ritmi, colori, sapori e voglia di nuovo. Sfogliando il suo libro viene solo l’acquolina in bocca, e non potrebbe essere altrimenti; le fotografie rendono solamente giustizia a ricette altrettanto curate. Tartine, involtini, cucchiaini ripieni di salse, bicchierini colmi di creme, porzioni ‘infinitesimamente piccole’, crostini, quiche, sfoglia che avvolge pasta, riso e verdure. Tutto dall’antipasto al dolce. Ogni pietanza può diventare un boccone, l’importante e rendere tutto piccolo, molto piccolo. Tutto in miniatura appaga certamente la nostra curiosità. La nuova forma di cultura gastronomica, la ricerca del “piccolo” e della “perfezione” fin ai più piccoli dettagli, l’idea di potersi muovere a proprio piacere tra antipasti, primi, secondi, contorni e dolci, ha reso di moda ciò che si è sempre fatto, assaggiare, piluccare e giocare con il cibo. Tutto si può mangiare “finger” esistono in commercio bicchierini e cucchiaini di plastica, piccoli al punto giusto ma capaci di contenere ogni sorta di bontà, da gustare con la vista prima, poi con il tatto e terminare, deliziandosi nel finale, con le papille gustative. Un incontro di gusto in piccole pillole di bontà. Il finger food ci riporta anche, oltre alle dimensioni del cibo, ad un rapporto molto più diretto con ciò che ci nutre. Come faceva l’uomo all’inizio della sua storia, come si fa tuttora in certe zone del mondo. Il finger food è solo un’evoluzione di questi modi di approccio al cibo. È un arricchimento, forse, perché raccoglie secoli e secoli di esperienze. È anche una novità, perché dopo anni di cucchiai,

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coltelli e forchette, finalmente, c’è qualcosa che ci consente, anzi ci invita, a fare quello che avremmo sempre voluto. Si, perché il rapporto con il cibo non è dato solo dal palato, fino o meno, ma valutiamo un piatto per come ci si presenta, cerchiamo di rubarne il profumo. Bene, ora nessuno ci vieta anche di toccarlo. Un po’ più che in un aperitivo però, dove si convive con l’imbarazzo di dove mettere cosa e di come “azzannarlo”. È accattivante poi l’idea di poter realizzare qualunque tipo di cibo, dall’antipasto di tartine, passando per i dolci. Dare sfogo alla fantasia e fare in modo che sia questa il motore per una ricerca sempre più accurata e speciale per quel che mangiamo. La curiosità come punto di partenza, in uno slancio che può ricoprire, senza alcuna limitazione, tutti i nostri desideri, anche quelli nascosti. Viviana Lapertosa ci conduce in un viaggio di gusto che parte dai “cucchiai di pescatrice in zuppa con ricotta forte e semini”, passando per “baccalà in infusione d’olio, con pinoli,

limone e maionese di ceci”, e ancora “cubi di vitello alla milanese con purè di zucca e giardinera veloce”, fino a “mousse al tartufo e foglie di cioccolato”. Se poi vi offrissero uno “sforma tino tutto mele con crema di limone e mele annurche e granita di mele verdi”… non declinate l’invito. Cibi rapidi da preparare (tempi compresi tra i 10 e ei 30 minuti), nonostante i nomi “pomposi”. Insomma, alla portata di tutti. una ricercatezza di sapori, del tutto compattati. Un mangiare facile, dove paradossalmente la sostanza del cibo si adatta alle modalità e ai ritmi del consumo; tutto quanto possa accogliere e trasformare anche il piatto più pesante, banale o dimenticato in un esempio di cibo divertente, magari più leggero, in certi casi anche allusivo ma sempre teso a salvaguardare la cosa più importante, in cucina e nella vita: l’ironia. Quindi, non c’è bisogno di nascondersi dietro un dito… [Elisa Capitanio]


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la regione al di là della riva

____________________________________________________________________________________________ incantevole terra il cui nome deriva dal tedesco e letteralmente significa “abitante dell’altra riva”

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na regione in cui l’accoglienza è di casa e che offre possibilità di svago varie tra loro. È l’Alsazia, regione settentrionale della Francia, al confine con la Germania. La sua terra trasuda storia e ricordi, vissuta e da vivere. Il termine “Alsazia” deriva dal tedesco e letteralmente significa “abitante dell’altra riva”. Ovviamente per i germanici i francesi con i relativi centri abitati occupavano la sponda opposta del fiume Reno, linea di demarcazione su cui sono nate le famose miniere, spunto per anni di conflitti continui tra le due nazioni. Il mix di attrazioni ed ambienti raccolti ed intimi fa dell’Alsazia una meta ideale per tutti i mesi dell’anno, purché ovviamente i visitatori non cerchino ambienti esotici o spiagge bianche. Il fascino di questa regione è da rintracciare anzitutto nei piccoli borghi con la caratteristica architettura domestica fatta di travi a vista in legno, intonaci dai colori tenui e pastellati e dai comignoli che svettano principalmente tra le case di città. Artigianato locale e ristoranti con cucine dai gusti particolari sono uno dei punti di forza anche dei paesi più piccoli, che offrono un’atmosfera particolarmente romantica. Per coloro che invece fossero interessati ad un tour culturale è invece indispensabile almeno una toccata e fuga al castello di Stophanberch (o Staufenberg), famoso fin dal 1100 per l’importanza strategica ricoperta, considerata la sua posizione all’incrocio con le principali vie commerciali, quali quelle dei generi alimentari di base, dell’argento e del sale. Bruciato durante la guerra


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dei Trent’Anni dopo un mese d’assedio da parte delle truppe svedesi, il maniero fu restaurato dal celebre archietto Bodo Ebhart, esperto nell’ambito delle fortificazioni e profondo conoscitore dell’epoca medievale. I lavori di sistemazione ebbero inizio nel 1900 e terminarono definitivamente nel 1918. In quell’anno il maniero apparteneva alla corona tedesca, il cui obiettivo era quello di renderlo un museo medievale. Nel 1919, con il trattato di Versailles, il castello tornò invece ad essere di proprietà francese. Immancabile tappa del tour alsaziano è rappresentata poi dalla visita a Strasburgo, la capitale della Regione, il cui centro storico è noto anche come “Grand Ile”, dal 1988 patrimonio dell’umanità. Qui i monumenti d’interesse culturale non si contano. Tra i principali, ci sono l’orologio astronomico, nella cattedrale, restaurato da Jean Baptiste ed in grado di riprodurre alla perfezione il meccanismo degli equinozi. La stessa cattedrale di Notre Dame è un’opera ad architettura gotica, la cui guglia arriva a 142 metri d’altezza. Tra una passeggiata nella Petite France, quartiere della città, e l’ammirazione dei diversi ponti nel centro, ci si potrebbe fermare per qualche ora ad ammirare il Museo dell’Opera di Notre Dame, contenente tesori risalenti al 1400 circa. Numerosi poi sono i palazzi, dall’aria medievale e misteriosa: tra questi, il palazzo del Reno ed il palazzo dei Rohan. Non solo arte, come comunemente intesa, ma anche botanica e scienza: per gli amanti del genere, infatti, imperdibili potrebbero essere visite alla Città Giardino, costruita agli inizi del XX secolo o a “Le Vaisseau”, spazio riservato alla scoperta scientifica. La regione non offre certo particolari attrattive per chi volesse intrattenersi in scalate o arrampicate, ma ciò non significa che le bellezze naturali alsaziane non siano di rilievo. Da menzionare, infatti, il Grand Ballon, la cima più alta della regione che però raggiunge solo i 1424 metri di quota. Per questo motivo, anche la cima si presenta come ricca di fauna e flora, ottima per lunghe passeggiate o trekking. Da qui, i turisti potranno ammirare le cime delle Alpi ed il Monte Bianco, oltre che diversi resti delle tribù che nell’era avanti Cristo lì vi si sono stanziate, tra cui i Celti, ultimi prima del dominio dei romani. E proprio da quest’altura, un visitatore potrebbe guardare oltralpe e scrutando l’orizzonte, magari alla fine del proprio soggiorno, valutare ne davvero ne è valsa la pena. [Elena Peracchi]

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