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Colori e aromi da Leggenda
Inebriante, avvolgente e simbolo di vitalità è l’aroma di un buon caffè. Curioso pensare che la sua scoperta sia legata allo strano comporta- mento di alcune capre. Narra una leggenda che nella regione di Kaffa– Etiopia - un gregge iniziò a essere irrequieto e più vivace del solito dopo aver brucato in un particolare cespuglio ricco di bacche. Khaldi, un pastore locale, decise di assaggiare i frutti di quel cespuglio e si rese conto dell’effetto eccitante che questi
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promuovevano. Incuriosito, portò quei frutti ai monaci del tempio ma l’Imam non approvò e li scagliò nel fuoco. Bruciando, i frutti emanarono un particolare aroma che richiamò l’attenzione dei monaci i quali presero le bacche abbrustolite, le pestarono e le misero in infusione nell’acqua. Scoprirono così una bevanda che li aiutava a stare svegli durante le notti di preghiera, dando origine alla bevanda che ancora oggi è tra le più apprezzate al mondo.
La leggenda del toro ubriaco di Torino
In tempi remoti, lungo le sponde del fiume Padus (quello che oggi chiamiamo Po), sorgeva un villaggio di capanne abitato da abili allevatori di tori. Il villaggio era costantemente sotto la minaccia di un feroce e mal vagio drago che viveva nei boschi vicini. Invano gli abitanti del villaggio cercarono di combattere la creatura alata e alla fine decisero di ricorrere a uno stratagemma: combattere la bestia con un’altra bestia. Scelsero il più forte tra i loro tori, uno sprezzante esemplare dal manto rosso, e, per renderlo ancora più sprezzante, decisero di fargli ingerire una forte quantità di un potente vino misto ad acqua. Il toro, ubriaco e incurante della superiorità del drago, si scagliò all’attacco. Fu una battaglia senza esclusione di colpi e, pur ferito mor talmente, il toro ebbe la meglio e il drago fu sconfitto. Gli abitanti erano così orgogliosi della vittoria che, per sdebitarsi con il prode animale - che morì durante i festeggiamenti -, assursero il toro a loro simbolo e chiamarono il loro villaggio Torino.
La leggenda dei colori del lago di Carezza
Si narra che nelle profondità del lago di Carezza vivesse la bellissima ninfa Ondina. Ondina era schiva, ma aveva una voce così dolce e suadente tanto da ammaliare con il suo canto i viandanti che passavano per la zona. Anche lo stregone del monte Latemar fu rapito dal soave canto della ninfa e, una volta vista, anche della sua bellezza, tanto da innamorarsene perdutamente.
Lo stregone fece di tutto per aggraziarsi la bella ninfa ma senza alcun successo. Essendo schiva, ogni volta che qualcuno si avvicinava la ninfa spariva tra le acque del lago. Disperato, lo stregone decise di chiedere consiglio alla strega del Catinaccio la quale escogitò un piano. Lo stregone doveva travestirsi da venditore di pietre preziose e con quelle gemme creare un arcobaleno: il più bello mai visto, dal Catinaccio al Latemar.
La ninfa, stupita da tale spettacolo, si sarebbe avvicinata alla riva per ammirarlo da vicino ed ecco che lo stregone avrebbe potuto attirarla a sé con il luccichio delle pietre preziose. Entusiasta, lo stregone creò il più bell’arcobaleno che fosse mai apparso sui monti. Ondina, come previsto, si avvicinò alla riva del lago davanti a tale inaspettato spettacolo ma il maldestro stregone si dimenticò di travestirsi, quindi si fece riconoscere subito. Alla vista dello stregone, la ninfa si rituffò nel lago senza mai più apparire. Straziato, il malcapitato distrusse quel meraviglioso arcobaleno, buttò le gemme nel lago e sparì a sua volta. Quelle gemme che un giorno davano i colori a quel magico arcobaleno, oggi donano dei magici colori a questo magnifico lago.