Eallaigamma Metodi di quadratura
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[…] e chi indovini solo alcune delle conseguenze insite in ogni profondo sospetto, qualcosa dei brividi e delle paure dell'isolamento cui è condannato chiunque sia affetto da una assoluta diversità di sguardo, capirà anche quanto spesso io, per riposarmi di me stesso, quasi per dimenticare anche solo brevemente me stesso, abbia cercato un rifugio qualunque – in una qualche ammirazione, o ostilità, o scientificità, o leggerezza o stupidità; e anche perché io, quando non trovavo ciò di cui avevo bisogno, dovessi per forza procurarmelo artificialmente, falsificandolo, inventandolo […] F. Nietzsche Umano, troppo umano - prefazione
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Qual è ‘l geometra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova... Dante Paradiso canto XXXIII
Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò la trascendenza di π chiudendo definitivamente la questione della quadratura del cerchio.
«noi siamo una razza divina [...]e possediamo il potere di creare»1 Julius Dedekind, in una lettera a Weber del 1888
1 Paolo Zillini, La ribellione del numero, Adelphi 1985 p.15 “citato in J. Cavaillès, Le problème du fondement des mathématiques, Paris 1938
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1. come Dio comanda...è il numero che conta oppure dalla fonda emerge il pelo più vistoso sulla lingua la varietà della musica, l'osso che infilza la mano libera?
2. la luce dello spettro come l'oro dentro un morso. Per il nero vale al più l'aspetto l'appropriazione indebita di spazio.
3. per un cane sciolto l'educazione di un collare a strangolo. Sono rimasta dentro il dubbio fuori dal tempio, all'angelo
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Per esempio metti in conto (non l'annuncio) questo è un tondo liscio specchio, non ancora podio vetro, ferro, legno, semmai sostegno per un momento al quotidiano affacciarsi dello spasimo un posto dove poi contamino e il dubbio si rivela umano tronco al primo giro.
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Il pensiero una foglia di fico ma piÚ spessa, sovrapposta. Ne togli una imposta ma non c’è verso del nudo di trovare il pensiero primitivo.
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Pensa. Non voglio pensare. Tutto poi sopravviene nel lampo di secoli furibondi dei lati di chi spinge la ruota col soffio e vivo è l’intoppo che parte dal dente fa sputare sangue, martella la testa costretta a stare diritta. Nel lampo come una cresta per dare l'idea; crescere invano.
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Sostanzia piano. Dentro la mela rossa del rogo la polpa protetta dalla buccia il seme che raspa si accuccia nella camera d’aria stupefatta crogiola l’alveo di un fiume. Anche senza tecnologia il dente preme conficca il seme al centro di un moto circolare. Da qui produce il rumore, l’attitudine a stormire ogni canzone fra bene / male che nel ritornello va / viene.
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In un tempo, che è poi il tempo dell'incontro con il sÊ piÚ anonimo quando lo scopri morbido prima e dopo, nel pantano, il viso piÚ vicino si trascina dietro un faccia a faccia alato scoprendo in agguato chi di poi tramuta l'ala in un colpo che segnala: ora via l'illusione tutta cortesia che la materia tiene iniettando nelle vene una qualche forma di conservazione (viva, so tremare) la luce uscendo agita piume di pavone stringe il pettine dei raggi tutto insieme.
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di questa sudditanza di ombre vive che si spostano nei fori frammentari difficili le finalità spirituali o i righi più espressivi. Il bianco è una summa di colori screpolati alcuni, altri più omogenei la forza impositiva viene dai materiali e intorno dalle nubi.
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non meno calmo il luogo con un colpo di sonno toglie il respiro e abitare la risonanza del muro quando filtra ciò che tace in disparte la testa inaudita sulle mappe che stride forte. Dove la polvere muove le sue frecce le voci riaperte, senza piÚ punte da latte.
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la lotta per un tozzo di creta da rivestire con la pelle d'oca con la battuta di dita che possa instaurare il respiro. Ciò che udiamo dal fondo impero sovrasta la stazza di un mondo che fluttua Quando la grafia si smorza la paura che i cardini d'arpa non aprano i suoni per il vicino al limite che non passi nessuno.
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incomincia all'alba, dentro il letto pauroso il giro d'occhio scaricato dal ticchettio di fiato che radica il muro. Finisco il pensiero sogna l'uomo cosĂŹ senza, anche l'ombra reincarna un'intossicazione di luce. Fuori continua a sbattere rose, ma nella stanza la nostalgia si calma e incollata al muro emerge il limite spaziale della mano. Solo un lungo lenzuolo fa il giro e il capello di lei se non l'avesse buttato ma sotto il rubinetto passa tutto il tempo nell'eternitĂ del getto.
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[incipit in piccolo vano] anche fidate sotto le piccole tegole dei propri spazi vitali provi la paura dei piedi prima dei territori, quando i vermi dei suoni increspano il terreno e l'ascolto continuo non ha sollievo, nemmeno il passo lascia il tamburo.
sfiorando la profusione dello scrivere il clitoride di lettere per nulla conserte ti punge la piccola serpe e lievemente il piacere di fissare la morte nel bianco di pagine.
oppure con il tremore dell'inguine scuotere il dosso, fornire il pretesto di dividere il frutto piĂš basso di una veritĂ dolorosa o della vuota sorpresa di essere al vaglio. Ăˆ bello esistere conficcata nel panico un colpo mai tolto che finisce di moltiplicarsi nel corpo una consecutio di spazio.
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[b/n che la forma vigile sostanzia] il nero che scivola dalle mani nelle congestioni rimane increspato di sentieri quasi vivi che si accodano e poi dietro prendono a tirare su lo strascico.
Se ti pieghi stanca viene incontro l'ombra in un capogiro che inonda come un occhio eccessivo tenuto al palo, mentre il tuo nel lucchetto apre di scatto la varianza di un'isola e la possibilitĂ di raggiungerla.
questo specchio rende fede la sostanza e quel che piĂš conta reintegra la luce figurata e avvinta che cade rilasciando spore dalle ovaie il segno tramandato dagli oggetti bianco/nero oscillante fra equinozi.
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[ostie (continue riprese)]
Il corpo notturno è un pane che lievita caldo e prende forza dall'aria. Nel dormiveglia si arricchisce di nuovi dettagli. Non solo irraggiano morbidi anche la crosta protegge i quaderni fasciando i piÚ gelidi, le figure impossibili e la ferita che nella buca va per strapparsi.
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che nessun corpo in assenza di vento. Dai righi scritti sul bianco, fino dal collo i polsi dormienti che tornano indietro e su per la vita vagamente imperlati. Ecchimosi colmano i vuoti spandendo i fiocchi e dentro il sintomo dei pioppi la strada che insorge picchia direttamente nelle tempie.
quasi pi첫 importante del cibo il foglio desolatamente chiaro, e poi percosso dal nero dal vento furioso che pianta il segno in una fila di alberi per poi sradicarli, o spingerli presto o tardi il potere arriva alle punte e le dita smettono di essere fredde.
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[sistema venoso] Viene prima il dorso, poi il flusso elastico che naviga la mano. Sarebbe più opportuno alzarla vedere la sua faglia tingersi di lato, il sangue dietro che dispone il cielo. Ma intanto è buono, ogni dito è sopportabile. Così diviso dalle acque fonde, in vista larghe.
La timidezza delle albe sulle stagioni impervie fa aprire le tende e le domande, quante montagne come birilli all'orizzonte, puntare il sole una o più volte frastornando il margine, il colpo che scende. Non capire le forme e nemmeno chi vince giù per le scale di aria, sola in bellezza la mano appena messa in tasca spaesata di ginestra.
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e tutto accumulato senza furore cieco in modo che l'autunno esploda lento il solo impeto volendo all'annuncio di un paese diradato dove il fuoco che lucertola le foglie invade il tunnel, gettando le parole dalle lingue con la stessa mano pensando che al dorso è appiccicato il cielo al palmo lo specchio nero di un macchiaiolo.
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P. Lovisolo
L'importanza di scegliere
Ovalia
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[tondi]
A neve ferma con il lago sulla faccia una rigiditĂ di carpa impressa all'amo. Forse piĂš caldo scendere un buco nero percuotendo il suono con la punta della lingua nell'apparenza di una formula, vaga l'orbita
a chiedergli della libertĂ risponde con un gesto traccia un cerchio per riprodurre la teoria dell'urto sei fuori o dentro, spazio, la mano di un pazzo legata agli spaghi di un diario, affini.
Il pettirosso lampeggia un moto d'aria, solleva la soglia del gelo. Prendo allora la mano e la metto sul vetro, rimane il calore afferrato per gioco, per sbaglio. il battito sveglio prima di tornare nel vaso.
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l'autostrada un ramo di Natale su e giĂš un'intermittenza di lucine poi un fondo d'anello cresciuto al labirinto si torna o scappa via dall'intimo non la velocitĂ , fa fede il mondo ma nessun angelo va spalancando. Il vuoto tronco, l'attimo ninnolo.
Che nel freddo l'indugio si fa piÚ rosso anima o corpo, conta alla fine chi ti ha scaldato. Perciò il respiro esce piumato e le fibre muscolari nei brividi dei punti cardinali, aprono alla leggerezza degli uccelli. Intorno il rincalzo degli inverni, la terra al massimo sui pattini.
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sb'attenti [natura] Giro la montagna che risuona di valanghe. Può farla da padrone, il mio passo cane segue vagola di neve (il bianco fiore cade con molta compostezza). Sono fatta bestia nel mentre che scodinzola, ridotta dallo sforzo che quando l'universo curva di scatto l'esilio coatto vibra, mi attanaglia, mi sbalza dalla culla. [urbana] Indietro a cancellare orme, il segno che perde e che sconvolge il nulla con l'istinto, la facoltà del predatore. Eppure il verde punta sulle aiuole, un tram tiene le rotaie con l'ombra di mezzo, vira sul serio costringe a chiudere un occhio, poi ad aprirlo.
[selettiva] Rubo al sonno. D'altra parte quando sono vigile mi arrendo ad ogni ineludibile momento le sbarre si annidano, a quanto pare immagino.
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[involucri 3]
Di che mi afferra dentro la gabbia da che i movimenti sulla sbarra correndo dietro ai corpi celesti non hanno equinozi mimano le ogive dei proiettili al minimo i lacci.
Le notti dormono accanto con quel minimo dispendio che occorre per tirare le coperte e sotto un paio di mimetiche le sabbie del sonno entrano negli occhi. Fra respiri frusti la tenda in voluta coi soffitti.
Ti fermi fra le sue gambe come fra le cose forse anche pensi alle trappole posate da bambino. Niente di nuovo, il nocciolo tiene prigioniero come il filo di acciaio, lo sguardo anche l'obiettivo.
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[in circolatorio] Dopotutto non c'è patto che leghi alla struttura di qualsiasi accidente nella strada il traffico si spinge a pochi cerchi in quadratura che dirsi geometria la posta in gioco è attribuire all'estro matematico la scusa della collezione di farfalle un vieni qui d'ambiente per trovarsi gente alle sbarre intercostali il vuoto si nasconde agli animali che attira nelle buche e di trappole biografiche lascia fuori il grido perduto nel sollievo del moccolo di sangue qualcosa che cola meglio di niente.
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[conche]
E poi tradotto su di un riflesso al cromo in un trafilo guizzi deforme nĂŠ ti sorregge la ricomposizione delle gambe. Passi lo sguardo urgente di un moto di luce che ti appunta e perde.
l'alta marea di nebbie batte sulla fronte il bunker, il bunker, vatti a nascondere. Strisciare a margine ogni pelo non serve nĂŠ il manico di scopa del pollice. Strano momento, giallo alle corde prendi l'istante tirato di sole un tunnel -Dio- prima di svanire.
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il tratto fuori margine, anche divertente. Passando la cornice non si può che apprendere: insopprimibile la bocca che ti sta di fronte la realtà che crogiola piena di nausee.
D'altronde regolare l'ombra per interi periodi non rimane nel campo delle ipotesi sviluppa una resistenza al sole. Compare in sovraesposizione, il tempo di dividersi sottile su intricate dorsali ragnatele oltre la siepe, in tutte le sante mattine attraversate.
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]Andare fuori[
Ma l'ombra si appioppa alla cittĂ lombarda mettendo mano al giorno estivo che si vorrebbe tutto fuorchĂŠ semibuio. Allora il sogno, come uno scolaro prova a rifare l'azzurro. Chi passa non si accorge dell'equivoco e turbina per strada a qualunque ora. Talvolta ignora di fuggire la premura delle pupille verso la strana luce e le proprie stanze fermate per inciso talaltra rimane volontariamente indietro preso, straziato dal vissuto.
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[Andare dentro]
per questo già prossimi come tanti pidocchi infestiamo la crosta sottile. Più spazio non fa sapere cose più grandi. Quanto ai giorni si scavano i rantoli, finché l'ansia che svuota tira il fiato. Ma con l'andare il creato non versa appassito e appena estratto dal fuoco colma il viso e il buco della radice in preda all'ignoto.
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[ perimetro ] del vassoio Seduto dentro l'occhio, ruota il piatto fino ad esserne centro. L'uomo metafisico non è solo del filosofo e il chiaroscuro pizzica il granaio della forma. Forse la pianta alla terraferma.
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Se muovo un passo l'ombra attorno a me sconfina, quasi m'accerchia e mi tenta al gioco. (Forse che il dado è speso in sei momenti a lato, altro è sulla bilancia peso, altro mero scopo) Certo vince ora che il mezzogiorno è chiuso al sagomarsi grigio del gesto che lo scuote e quale via nell'aria di febbraio se tutto è rete quale giro in tondo se su ogni individuo muove d'azzardo.
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[coazioni a ripetere]
Il tempo, il tempo di una luce collettiva tirata dalla luna a mo' di corda o droga un disco di luna che tampona di fondo l'ematoma al bordo della strada. Dal dolore l'esistenza rovescia la fruttiera, un'onda la foglia della lingua così aprendo una maniglia i limoni sparsi intorno senza suono.
Tocca, tocca, niente di nuovo. Dove covi da solo rimane il caldo sul cuscino e il segno della testa contro il muro come se avessi appena tolto un quadro. Per miglior agio passano “nessun dorma” alla radio (“tu pure, o Principessa”) e quasi con sollievo ti chiedi il motivo, sì, dell'ombra sull'intonaco: una promo?
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CosÏ i tramonti portano la luce fratturata come legna da ardere. Il mondo si ottunde, non è solo dentro / fuori spetta ai bagliori agitare le ombre fra gli arti dei vivi l'occhio si spande dai tizzoni e il segnale brucia. Di neve questa carta aiuta, ma il tutto nero sotto crepita picchia sulle mani. In ogni buco la scrittura ruba ai cani.
nel mio tempo di stanotte, mentre crescevo fra parole lontane dal ronzio che hanno i morti, quando fai finta di non conoscerli e ti cercano atterriti di venire persi o confusi con i rami; quanto piĂš nei respiri mi avvicinavo ai lupi, lo sguardo sui miei capelli avvinghiati alla testa come a una fortezza, la brace ancora stretta ho cacciato la lettura dalle braccia.
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[oralia]
prima il lieto amare, appartenendo al nome nelle pieghe della luce, nel fischio del mattino poi il vuoto piĂš importuno, un rebus per il piede e per questo amplificato come su foglio di giornale. Scuotere le parole, gettare via il pane.
Che per la mia bocca sulla tua bocca incontro il tempo che ci ha diviso, il bordo passato nello zucchero. Da lĂŹ attraversi tutto mentre soffio, mentre perbene invecchio. Ma dalla tua lingua nessun segnale di arresto altro il suono di organo fitto, di chiave nel mazzo.
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oppure il silenzio. Perché lì non c'è ghiaccio ma la realtà... prendi un chicco che smuove e dibatte il confine e cresce fra i denti come fra la neve così le parole contadine con i favori delle lune arano il terreno. Qualcosa di arcano. Ma il grido... trema sul grilletto, attende nella bocca, in nero.
dal buio al buio la parola in una squama il mare intimo che ingoia anche il pesce rosso del mio tacco e, senza sforzo, le caldane di luce alle finestre che si vogliono accostare le bocche dove appartarsi a far l'amore ma che in burrasche tolgono il respiro spezza breve la voce che sprofonda, anche il male.
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[boscosità proclive]
stare dietro le montagne il margine del sole la luce che si stacca con fatica dalle pietre. Appena accade la vita vi aderisce e più in basso le mani mansuete.
al lupo al lupo nemmeno il vento suona il filo spinato nella testa intanto il belato si immola, raduna interra lo spazio, continua.
Nessuna faina esce dalla capigliatura ciò che fuga la radura e lì si snoda è in una bolla di vetro un tanto al fiato quando rivela al convitato un sottogola bianco su cui il dito preme per istinto
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Dentro il sottobosco, la lingua dei nativi al servizio un ragno di spazio per lineette di sonno. Vietato attraversare è il monito che tutela il suolo. Per questo il grido in caduta libera diventa sotterraneo. Succede anche il contrario la bocca muove i fili dell'erbario.
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[acqua acqua]
Semmai nelle ore senz'alberi viene da scrivere le piogge che si lasciano correre dal tampone di etere. Alza il muso l'adesione umbratile alla folata di luce ma sono poche le grafie d'acqua accerchiate piĂš i colpi di spugne, le osmosi di terre che impregnano squame.
la pioggia continua cosĂŹ abituale che non senti che ha smesso di strillare precipitando dal balcone. Forse tendi all'amore che lo fa piĂš lentamente alle mani allungate a poche volte.
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ma chiedere d'acqua a nubi di polvere per attaccarsi alla vita in modo quotidiano. Pensa 'ogni goccia un ticchettio da cui non mi separo' e la materia di cui fai il pieno sciolta nel cranio.
da qui nell'infuriare del muro l'acqua dà capogiro. tolto il cielo nessun Dio è leggero spariscono anche le scritture. questa è la pressione un lavorio di righe come topi, se non di secoli.
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[Leggi tante domande]
La giornata si spacca come il libro più amato lungo la costola. Non l'ho mai gettato dalla finestra ma nemmeno è servito fermare le pagine. Più di un segno è imprendibile puro scintillio, teneramente estraneo altro zampillo di una lettura il dito che segna quanto profondo il gioco della fontana.
metà libro e i fogli che distogli per diversi anni dai gesti estremi. Girevoli per porte dalle mille sensazioni. A capo ricominci ti sembra di avere tutti i ganci ma poi sbagli. Fissi un titolo. Chi può sapere l'impaziente dopo e il granello varie volte.
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fra pagine ormai fredde, anche fra lingue morte cerchi la gioia del versante quando il sole nasce sempre e lancia le sue corde. A tal punto le ali sovrapposte del libro, minimamente numerate. Fino dove può giungere la luce 'tirala fuori' direbbe Socrate.
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La terra nella stretta nevicata sprigiona l'erba impugnata prima di andare sotto come il possibile osso di un sepolto vivo l'appuntito balbettio che non trova il chiaro né lo scuro, né altro antidoto al venire meno.
che stare sotto, tutto il sangue ridosso al tempo che prende un lacerto del prigioniero lo mostra al giardino sul quale è calato. Succede il bulbo arioso, la libertà di fare fuoco scagli il germoglio come un giocattolo la mano che coglie buca il cesto.
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andando dentro e a fondo, proteso per il ritmo di un bianco, un bianco acido, mentalmente sollevato a parete per il topo che si aggira morde un raggio come fosse oro e nella schiuma serve supporre ad ogni stimolo – risposta chiama. All'apertura del barattolo forzando il tappo, la muffa simula un bosco qualcuno dice libero, ben disposto qualcuno ho paura, sono stato scoperto.
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Paola Lovisolo Roarrr in circle
Strumenta
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[la stanza cinese]2
non fosse altro modo bagnato in un circolo giallino l'occhio navigato faro allontana ombre e le secerne nella paura di incontrarle. Per questo la luce è un motore mobile spinge la faccia delle selve. La stanza ha piÚ di un punto debole ingigantendo la crisalide la lascia perennemente in nuce.
2 rielaborato liberamente; l'argomentazione della Stanza cinese è nell'articolo di Searle "Minds, Brains and Programs
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[l'obiezione di lady Lovelace]3
se enuncio «una macchina fa solo quello che le è stato ordinato» è argomento identico: a una donna è comandato fare. Ma non è la mia obiezione, le biografie non sono tutte nelle tele non predico isterie: io gli arazzi delle foglie li metto nelle macchine e l'imprevedibile (nemmeno la mia morte) a distanza d'anni è ancora degno della mia fronte e della mia mano.
3
Gabriele Lolli, La crisalide e la farfalla – Donne e matematica, Bollati Boringhieri: Ada Lovelace, figlia di Lord Byron, contribuì alla teoria della programmazione della macchina analitica : «la macchina analitica tesse tutti i motivi algebrici che l'immaginazione della mente può concepire». Turing battezzò l'enunciato «una macchina fa solo quello che le è stato ordinato» “obiezione di Lady Lovelace”, ma Ada si era limitata ad enunciarlo, fornendo anzi come replica (valida) l'imprevidibilità dei risultati
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[The Imitation Game] ÂŤMy hair is shingled, and the longest strands are about nine inches long.Âť
il gioco, spesso pedine, schegge di bombe e l'orizzonte vacuo del pollice sul minimo lascito di celluloide Andare alle urne, mettendo le X come firme. Non rimanere indenne, mentre la pelle indossa un guanto di codice.
4 A. M. Turing Computing machinery and intelligence
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mi spulciano contro le piastrelle e non sono ciarle ma lettere dure. In una condizione di torture l'uomo è ancora superiore. Ci sono macchine che prendono colore dal sangue delle vittime ma niente supera le bocche quando lo fanno nero e sputano il grumo.
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poi nel tempo sconvolto senza l'adulto il bambino torna bambino in crescita verso la terra di nessuno con in mano un'arma che sa di giocattolo. Qualcosa ha provato del bene pi첫 piccolo del male sparavano addosso ecco d'insetto, per non finire schiacciato cosa mettere a fuoco.
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Un motivo in piĂš che preme: sopra portiamo ogni colore. Addirittura amore per via di una felicitĂ di tane che senti fuoriuscire e anche fra macerie pulsa, sopravvive. Questo e le mani collettive.
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Puoi pensare nei mesi caricati dalla neve, sotto la crosta che mantiene caldi la lepre e il budello con il piccolo sunto a portata di ingegno. Già caduto il prelievo al colmo della fioritura, dopo che stantia rende vulnerabile il peso del frutto, assimilando un grave ad ogni corpo morto ne spiega la falsa pretesa di salire in alto, lo affianca da un’ombra che scesa, dritta non pesa, costante, non molla la presa.
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Alla fine la mela caduta dal cielo o dalle braccia è stata scossa e il nulla ha tenuto le mani incaprettate ai cieli. Osserva i buoi tiranti su la terra se hanno tempo per la meraviglia. Eppure partendo da una stella si arriva alla luce a particelle amorose seminate nella veglia più totale di contraddizione; si riescono anche ad accendere parole che battono i denti in mezzo alla polvere. Le macchine bruciano, ma conoscono la febbre? 5
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“Deep the apple in the brew Let the Sleeping Death sep trough”
Il 7 giugno 1954 Alan Turing immerse una mela nel cianuro e la morse. Il genio che lanciò al mondo il pomo della discordia (“Può una macchina pensare?”), moriva per una mela avvelenata.
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[instrumenta]
venire per sonno in mezzo agli anni sorti dai brividi come orizzonti pavidi sempre piĂš indietro. Tenere in testa il guscio, passato e ripassato doppiato al fiato di chi si specchia e abbuia. Forse non importa se per una volta sola hai fatto strada, con un compasso che ingrandisce nella tasca, o se per un'inezia la noia fa da padrona. PerchĂŠ quanto vale allora, tornare vivi sgorgando dagli orrori intramuscolo.
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Poi mi dici gli sguardi che appartieni se ai molti testimoni hanno spezzato i mondi accaduti come se fosse oggi che il mare scopre piÚ di tante volte i denti che non è dall'universo che arrivano i barbari.
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perchĂŠ i sensi non sono qui impilabili in una cassetta degli attrezzi bagnati fradici tremano piuttosto, nel lucido a estinguersi sempre piĂš del petto, fra le felci rosse nel vaso d'osso.
il seghetto su un mondo compensato mette a nudo i nervi, non giĂ l'inconscio le linfe che lungo il salice si torcono le alture fragorose da cui tentare il salto
come in un raccogliersi rupestre le stanze dell'osso neve pestato a piĂš riprese dalle clave di un cuore giunto mortale. Capita, nella durata del ghiaccio che preme, la caverna oltre un varco teso, del sangue come un camoscio. Un luogo fuoco, prodigio, impellente al foglio concitato
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Zona cargo, nel ventre assiepato del cavallo l'uomo gira il perno, esiste nitido fino al livello Spancia prima dello scarico.
Già , tirare dritto, il vuoto dell'ossesso è anche vuoto nel cadere piÚ afferrato, senza venti. Gli arti che non toccano, risibili. Tanti pochi utensili.
per la tensione collettiva basta orientare la parola come un ripetitore che la strada echeggia nel teorema. CosĂŹ per la flatulenza della fama strizzare con una pinza ogni ematoma.
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quello che diserta o, preso da panico, soverchia non puoi tenerlo a fiore delle ossa. C'è necessità della corolla esposta (anche nella stazione eretta) di profumo o di una risata di colore. Il vento ha un altro paragone strappa le foglie, ma quello che ti batte in fronte o svuota il filo delle cellule non è arte delle guerre, al massimo qualche lisca di bomba o di satellite.
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PerchĂŠ atterriti non si rimane altrimenti carichi di altri racconti non potremmo corromperli e anche se spogli coprirci le spalle. Del resto le nuvole oltre che fredde hanno voci bianche e sulle panche i vecchi sono inclini a osservare controluce le foglie e i misteri.
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Immagine di copertina P. Lovisolo Qualche possibile attributo tutte le immagini per gentile concessione di Paola Lovisolo che ringrazio
E eallaigamma
lettera E font da http://new.myfonts.com/foundry/Intellecta_Design/
font ellyka_beesantique_handwriting_normal da
http://www.cuttyfruty.com/enhtml/
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