Cittadini del mondo di Emanuele Fantini e Silvia Pochettino
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Nasce in Italia la “Carta di qualità dell’educazione per una cittadinanza mondiale”, concertata tra associazioni, ong e autorità locali
Cittadini del mondo Le sfide della sostenibilità e dell’integrazione, in una fase di tagli nella scuola, richiedono un salto di qualità nei percorsi di educazione allo sviluppo. In diverse regioni italiane si passa da progetti spot a un lavoro in rete per animare l’intero territorio. Facendo nascere “sistemi locali” di Eas, con una forte dimensione europea. Fare sistema, coinvolgere il territorio, raccogliere la sfida della complessità. E’ il mantra che si ripete sempre più frequentemente nelle strategie e nei progetti di educazione allo sviluppo sostenibile, alla pace, alla cittadinanza globale, ai diritti umani, all’intercultura. Il rischio è che restino sussurri travolti dal frastuono di una comunicazione politica che ricorre ormai quasi esclusivamente al modello televisivo del format, come osservato dal sociologo Edmondo Berselli. I governi costruiscono il loro messaggio secondo formule mediatiche e semplificatrici, a uso e consumo di un’opinione pubblica ormai ridotta a pubblico televisivo. In Francia, il divieto al burqa, senza approfondire le contraddizioni e il malessere che sotto di esso spesso si celano, è diventato il totem con cui coprire il fiasco del dibattito sull’identità nazionale, lanciato l’anno scorso in pompa magna da Sarkozy. In Italia i clandestini sono tutti criminali, i rumeni violenti, i dipendenti pubblici fannulloni, e i pericoli maggiori sono la conquista islamica o l’invasione africana, innescate dalla bomba demografica. A scuola il format è completato dal ritorno al maestro unico, voto in condotta, e dal tetto agli studenti stranieri per classe. Una “semplificazione” che ribalta le linee guida adottate dal Ministero dell’istruzione nel 2007 con il documento “Cultura, scuola, persona” che proponevano una “elaborazione dei saperi necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, come premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e planetaria”.
Immobilismo ministeriale… L’obiettivo è ambizioso, ma il sistema scolastico appare sempre più debole e meno attrezzato per raggiungerlo. «Da un lato il Ministero propone nuove linee guida sull’educazione allo sviluppo sostenibile, dall’altro ridimensiona l’insegnamento della geografia, una delle materie chiave per questi temi. Questa disciplina sparisce dagli istituti professionali e tecnici, tranne nell’indirizzo economico del biennio e turistico nel triennio, mentre nei licei viene accorpata a storia. Si creano raggruppamenti tra discipline senza un preciso disegno pedagogico, ma con il solo obiettivo di tagliare i costi riducendo le ore di insegnamento» denuncia Cristiano Giorda, docente di didattica della geografia presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Torino. Di fronte a questi scenari, i tradizionali interventi nelle scuole per sensibilizzare su pace, ambiente, diritti umani e sviluppo rischiano di ridursi a piccoli fregi di una costruzione sempre più pericolante. Quali appigli restano per chi intende promuovere percorsi educativi di qualità, in grado di rispondere alla complessità e alle contraddizioni delle sfide poste dalla globalizzazione? Pochi sembra offrirne il Ministero affari esteri: nelle Linee guida della cooperazione italiana 2009-2011, l’educazione allo sviluppo è solo citata all’interno del capitolo dedicato alle ong. Di fatto viene delegata a queste ultime, ma senza un piano nazionale coerente.
… e dinamismo regionale Qualcosa sembra muoversi invece a livello regionale, anche in seguito al riconoscimento europeo degli enti locali quali attori della cooperazione e dell’educazione allo sviluppo. Nell’anno 2007/08 regioni, province e comuni italiani si sono aggiudicati più della metà dei fondi stanziati dalla Commissione europea per le attività di educazione allo sviluppo promosse dalle autorità locali dei paesi membri.
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La vivacità e pluralità delle azioni sul territorio sembra confermata anche dalla ricerca-azione “Verso un sistema nazionale per l’Educazione allo sviluppo”, promossa da cinque ong italiane (Acra, Cisv, Cospe, Ltm, Ucodep) e realizzata con le Associazioni regionali (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Campania) delle ong italiane. «Abbiamo scelto lo strumento della ricerca-azione perché l’obiettivo non era semplicemente quello di indagare le differenti rappresentazioni dell’educazione allo sviluppo da parte degli attori che vi sono coinvolti a livello regionale, ma anche quello di creare e rafforzare reti e relazioni sul territorio attorno ad alcuni principi di qualità condivisi (vedi box a fondo pagina)» spiega Giovanni Borgarello, pedagogista di Pracatinat scpa, che ha curato l’impostazione metodologica della ricerca mutuando in parte tecniche e strumenti da un percorso simile intrapreso a partire dal 2000 dal mondo dell’educazione ambientale. La ricerca-azione ha permesso di registrare consenso attorno alla necessità di percorsi educativi che riflettano la complessità delle problematiche, a partire dal coinvolgimento di una pluralità di attori: non più interventi spot di poche ore nelle classi, ma iniziative in cui la scuola si apre e dialoga in maniera continuativa con i vari soggetti del territorio.
Il ministero propone nuove linee sull’educazione allo sviluppo sostenibile ma ridimensiona l’insegnamento della geografia, una delle materie chiave per questi temi La Carta di qualità Le ong che hanno partecipato al progetto “Verso un sistema nazionale di Educazione allo Sviluppo” hanno animato nelle rispettive regioni un confronto sui principi e gli indicatori di qualità nei percorsi educativi. Il risultato è un documento programmatico attorno a cui ci si propone di consolidare reti e sistemi territoriali, per orientare la progettazione, la realizzazione e la valutazione comune di nuove iniziative, secondo i seguenti principi: L’educazione per una cittadinanza mondiale - rende protagoniste le persone del loro percorso di crescita e consapevolezza; - promuove l’integrazione dei saperi e delle metodologie, per costruire nuove conoscenze; - permette di comprendere e vedere le connessioni esistenti sui grandi problemi che la comunità internazionale deve affrontare per uno sviluppo umano e sostenibile; - mette in contatto i territori e le persone del Nord e del Sud del mondo per un apprendimento reciproco e per instaurare relazioni di cooperazione e scambio; - incoraggia ad agire come cittadini, a livello individuale e collettivo, per operare cambiamenti; - cerca di influenzare le politiche economiche, sociali e ambientali nazionali e internazionali, affinché siano più giuste, sostenibili e basate sul rispetto dei diritti umani. Il testo integrale del documento e altri materiali della ricerca-azione sono disponibili sul sito della Piattaforma italiana di educazione allo sviluppo: http://www.educazioneallosviluppo.net/sistemaeas.htm
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Eas e cooperazione decentrata «La riflessione che negli ultimi anni ha permesso di specificare natura e mandato della cooperazione decentrata ha chiarito come la dimensione educativa ne rappresenti una parte integrante e indispensabile. La cooperazione decentrata, mettendo in relazione comunità locali del Nord con quelle del Sud, diventa essa stessa un percorso educativo, grazie all’apprendimento reciproco che nasce dalla possibilità di lavorare insieme. E’ tutto il territorio che si educa allo sviluppo, non solo la scuola» osserva Giorgio Garelli, funzionario del settore Affari internazionali della Regione Piemonte. «Perciò non basta più una sensibilizzazione generica, ma occorrono proposte coordinate con i progetti di cooperazione delle varie collettività locali. Quindi a ogni progetto che finanziamo come Regione chiediamo di destinare una percentuale delle risorse ad attività di sensibilizzazione ed educazione in Piemonte». Iniziative di questo tipo richiedono però la pazienza e la costanza di un lavoro coordinato sul territorio. La maggioranza dei soggetti coinvolti nella ricerca-azione si ritiene solo parzialmente soddisfatta dalle reti e dai sistemi esistenti oggi per l’educazione allo sviluppo e ripone grandi aspettative nel suo sviluppo futuro. «Con il progetto “Dalle Alpi al Sahel”, cofinanziato dalla Commissione europea e realizzato in partenariato con la Regione francese Rhône-Alpes, abbiamo scelto di rafforzare l’integrazione tra educazione allo sviluppo, educazione ambientale e cooperazione decentrata» continua Giorgio Garelli. «Da questo punto di vista, le esperienze passate di cooperazione tra parchi piemontesi e parchi africani ci hanno insegnato che lo sviluppo sostenibile è un tema particolarmente efficace: i problemi superano i confini geografici, ma anche quelli tra discipline e com-
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petenze tecniche, obbligando comunità locali e realtà territoriali a ricercare soluzioni comuni al loro interno e con altri territori. Cooperare tra attori differenti, come comuni, scuole, ong, settori dell’amministrazione pubblica (affari internazionali, istruzione, ambiente) non è facile, ma in questo caso è stato favorito dal fatto che tutti hanno colto un limite nella loro azione e hanno trovato metodologie condivise per lavorare a uno strumento concreto che aiuti a progettare meglio insegnanti, funzionari e operatori delle ong».
La sfida di istituire sistemi permanenti Un’esperienza analoga è in corso nelle Marche. «Dal 2004 la Regione adotta piani triennali per le attività di cooperazione decentrata ed educazione allo sviluppo» racconta Natalino Barbizzi, funzionario del Settore cooperazione internazionale della Regione Marche. «Attraverso un progetto finanziato dalla Commissione europea, stiamo ora cercando di istituire un sistema territoriale permanente di solidarietà internazionale e cooperazione decentrata e una rete regionale per l’educazione allo sviluppo per migliorare la qualità delle nostre azioni. L’idea è quella di realizzare un percorso di ricerca e formazione destinato a enti locali, ong e associazioni, per confrontarsi con altre esperienze nazionali ed europee. Ma anche con i paesi partner delle
Ci sono tante forme e modalità per fare rete. Ma in tutti i casi si parte dal fatto relazionale: un gruppo di persone che si scambiano qualcosa
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nostre iniziative di cooperazione decentrata: vogliamo capire come viene declinata l’educazione allo sviluppo in paesi come l’Albania e l’Argentina, che negli ultimi anni hanno vissuto in maniera particolarmente turbolenta gli alti e bassi dello sviluppo e della globalizzazione». Ma che cosa occorre fare concretamente affinché il lavoro di rete si traduca in maggiore qualità dei percorsi educativi? «Ci sono tante forme e modalità per fare rete. Ma in tutti i casi si parte dal fatto relazionale: un gruppo di persone che si scambiano qualcosa. Occorre quindi curare anche il livello affettivo ed emozionale. Un lavoro faticoso che richiede tempo ed energie» sottolinea Giovanni Borgarello. «E’ essenziale partire da problemi percepiti come comuni per definire un quadro di riferimento condiviso e rispondere alla domanda sul come e perché si vuole lavorare insieme. Poi viene la definizione di un insieme di indicatori di qualità per chiarire le modalità con cui si intende collaborare e valutare il proprio operato. Ricerca e valutazione sono processi essenziali: riflettere su ciò che si fa insieme permette alla rete di esistere in quanto tale e di sviluppare un linguaggio comune». Linguaggio che in molti casi sembra ancora mancare: «Gli operatori delle ong che lavorano nelle scuole conoscono bene i temi dello sviluppo e della globalizzazione, ma devono integrare competenze pedagogiche» osserva Cristiano Giorda. Nelle facoltà di Scienze della formazione mancano corsi di laurea o insegnamenti per formare queste figure. Ma anche per gli insegnanti, soprattutto a livello di scuola media e superiore, non sono più previsti momenti obbligatori e comuni di formazione e aggiornamento». A conferma che la promozione di un’educazione allo sviluppo di qualità non può prescindere da
In Europa: strategie nazionali e valutazione tra pari Dal 2001, il Global education network Europe (Gene) funziona come rete tra ministeri e agenzie governative dei 14 paesi europei che si sono dotati di una strategia nazionale per l’educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale. Altri otto paesi sono al lavoro per formularla, ma tra questi non c’è l’Italia. Obiettivo di Gene è quello di appoggiare i governi nazionali per il miglioramento della qualità e dell’impatto delle iniziative di educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale, attraverso un sistema di valutazione tra pari (“peer review”) delle rispettive strategie nazionali, che dal 2005 stimola il confronto tra esperienze e la promozione di orientamenti comuni. «Queste strategie nazionali sono il risultato di un processo di confronto e convergenza tra soggetti differenti - governo, scuola, enti locali, società civile - attorno a una visione comune, politiche coerenti e priorità condivise» spiega Anna Rita Debellis di Ucodep. «Ciò favorisce anche l’istituzionalizzazione delle varie iniziative, come in Galles dove l’educazione alla cittadinanza globale è stata inserita trasversalmente nei curricula scolastici e nel sistema nazionale di valutazione. E’ una garanzia non solo di maggior visibilità e risorse, ma soprattutto di quella continuità nel lungo periodo indispensabile per costruire percorsi educativi efficaci e di qualità». www.gene.eu
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una crescita dell’intero sistema scolastico del paese - anche attraverso la sua apertura al territorio - e dalla necessaria alleanza tra tutti i soggetti che condividono questo obiettivo. All’interno della rete il ruolo delle ong appare meno scontato e più fluido rispetto a quello di scuole, comuni o università: portatori di esperienze ormai decennali di cooperazione ed educazione in Italia e nel Sud del mondo? Professionisti del progetto, che mettono a disposizione la loro familiarità con i bandi europei? Mediatori tra attori e territori di paesi differenti? Portavoce di quella parte della società più sensibile ai temi dello sviluppo e della giustizia internazionale? Il chiarimento è necessario, il dibattito aperto.
Il dossier è stato realizzato nell’ambito del progetto “Construire un developpement possible” DCI-NSA ED/2008/153-805
Gli operatori delle ong che lavorano nelle scuole conoscono i temi dello sviluppo, ma devono integrare competenze pedagogiche. Mancano corsi di laurea ad hoc Visti dai vicini: sistemi regionali a confronto «Siamo rimasti colpiti dal fatto che nelle scuole elementari italiane ci siano due o più insegnanti per classe. Al di là dell’educazione allo sviluppo, ciò permette dinamiche interessanti e multidisciplinari. E’ un peccato cancellare tutto questo con la nuova riforma. Inoltre ci ha sorpreso la collaborazione tra attori tecnici come i parchi e le scuole su temi non solo ambientali, ma anche legati alla solidarietà internazionale». Sono alcune delle osservazioni di Corinne Lajarge, del Résacop (Réseau Rhône-Alpes d’appui à la coopération internationale), alla fine del primo anno di lavoro del progetto “Dalle Alpi al Sahel” in partenariato tra Regione Piemonte e Regione Rhône-Alpes. Attivo da sedici anni, Résacop ha lo statuto di “raggruppamento di interesse pubblico”, ovvero di una rete regionale di attori pubblici (Stato, enti locali, università) e privati (ong, associazioni) che scelgono di lavorare insieme su un programma condiviso e con un duplice obiettivo: accompagnare gli attori della cooperazione e dell’educazione allo sviluppo, e metterli in rete sul territorio. «Il rapporto con la scuola è favorito dall’esistenza, dal 1985, di circolari e indicazioni ministeriali che sollecitano gli insegnanti a trattare in classe i temi della solidarietà internazionale e dello sviluppo sostenibile. Il punto debole di questa strategia è la carenza per i docenti di occasioni di formazione e approfondimento su questi temi. Molti professori vorrebbero lavorare con gli studenti, ma non hanno accesso a strumenti pedagogici o soggetti del territorio in grado di aiutarli. D’altra parte, ong e associazioni che si occupano di educazione allo sviluppo conoscono bene i temi e le strategie internazionali ma hanno scarsa familiarità con il funzionamento del mondo della scuola, proponendo attività poco integrate nei programmi e adatte ai vincoli scolastici. Con il progetto “Dalle Alpi al Sahel” speriamo di trovare nuove chiavi di collaborazione tra scuole, associazioni e collettività locali». www.resacoop.org http://agora.regione.piemonte.it/attivita/progetti
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