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Vegetale o sintetica?
Se ne parla molto in questo periodo, con cognizione o meno, per questo vogliamo fare il punto su un argomento tanto discusso - le alternative alla carne - con l’aiuto e la testimonianza di esperti del campo
“Un nuovo studio getta luce sulle abitudini alimentari dei Neanderthal, un popolo con una dieta molto controversa. Le analisi condotte su un molare di uomo di Neanderthal iberico fa pensare che quest’ominide e il suo gruppo fossero principalmente carnivori”. Parte da questa notizia la relazione della dott.ssa Franca Braga, esperta di mercati alimentari, al convegno Meat.it organizzato da Qualyfood a Cremona Fiere e analizza i recenti interventi mediatici a proposito di alternative alla carne e abitudini alimentari della popolazione mondiale.
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Il primo tema, molto discusso, riguarda la cosiddetta “carne coltivata”: infatti, con un pronunciamento, non ancora in via definitiva, la Food and Drug Administration ha inviato un primo consenso ai nugget di pollo coltivato di Upside Foods, la start up californiana fondata nel 2014 col nome di Memphis Meat. La decisione potrebbe aprire le porte del
CARNE SINTETICA, LA POSIZIONE DI SLOW FOOD
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, commentando il primo via libera negli Stati Uniti alla carne coltivata ha affermato: «Secondo chi sta sperimentando la carne sintetica per l’immissione sul mercato, innanzitutto americano, ma presto europeo e mondiale, è il cibo del futuro. Lo sarebbe per il suo valore etico, visto che eviterebbe la macellazione di animali, ma anche ambientale, perché consentirebbe di fare a meno degli allevamenti. Etica e ambiente ne accompagnano la narrazione. Ma a ben guardare sembra più l’affare del futuro per un bel po’ di gruppi finanziari e multinazionali. Il rischio evidente è che il cibo, diventato una commodity, una merce di scambio sui grandi mercati internazionali come tante altre, diventi oggetto di una deriva tecnologica che lo priva di qualunque significato culturale, del legame con i territori e con le comunità che ci vivono, con i loro saperi e tradizioni».
A breve la UE affronterà le decisioni in merito alla produzione e all’etichettatura. Se sarà possibile definire in etichetta i prodotti da agricoltura cellulare con termini quali “carne” o “hamburger” o “bistecca”, la confusione sul mercato sarà totale.
Secondo la posizione di Slow Food, il marketing sbrigativo a favore della carne coltivata e dei sostituti della carne ottenuti da cellule vegetali, potrebbero colpire non solo l’allevamento industrializzato ma anche gli allevatori sostenibili e virtuosi, più fragili, già penalizzati dal mercato e poco sostenuti delle istituzioni.
A cura della redazione
mercato statunitense alle aziende che stanno facendo ricerca a proposito di agricoltura cellulare.
L’argomento interessa tutti gli Stati, anche in Europa e nel resto del mondo. In Italia, Coldiretti ha lanciato petizioni orientate a raccogliere firme contro il cibo sintetico; d’altro canto, la Commissione Europea ha approvato la raccolta di firme da parte di un gruppo chiamato End the Slaughter Age, finalizzato a spostare i sussidi della PAC oggi assegnati alla zootecnia su progetti di agricoltura cellulare e prodotti a base vegetale; infine, hanno fatto scalpore le notizie che la città olandese di Haarlem vieterà la pubblicità di carne e la Nuova Zelanda istituirà una tassa sulle flatulenze di mucche e pecore per protesta contro le emissioni serra.
Sembra, insomma, che le opinioni e le abitudini della popolazione mondiale e dei suoi governanti siano orientate verso un minore consumo di prodotti di origine animale o decisamente vegetali per non dire addirittura sintetici. Gli scopi sono comprensibili, i metodi di attuazione forse non esattamente condivisibili.
Tra gli esempi che la dott.ssa Braga ha citato, sembra particolarmente interessante lo studio rivelato dall’Osservatorio Immagino
GS1 Italy del 2021 da cui si evince come le etichette dei prodotti siano in grado di raccontare i consumi degli italiani, misurare i fenomeni di consumo emergenti e identificare i segmenti di popolazione che li determinano. Secondo la ricerca, cresce la domanda di prodotti vegetariani e bio e i claim che si riferiscono all’area tematica del rispetto degli animali risultano più efficaci di altri: sulle etichette di quasi 2.884 prodotti (2,3% del paniere totale) sono stati individuati claim riferiti al rispetto degli animali per un valore delle vendite superiore a 1,5 miliardi di euro, in crescita del +5,7%rispetto all’anno precedente.
L’ultimo Rapporto Coop, inoltre, analizza la nuova cultura del cibo in seguito alla pandemia e ai cambiamenti climatici. Nell’ultimo anno, il 52% dei consumatori italiani ha cambiato le sue abitudini (1 italiano su 2) e mangia in modo più equilibrato; il 26% di essi sta eliminando o riducendo il consumo di carne. Allo stesso tempo, agli italiani piacciono le novità e se il 29% predilige ancora la dieta mediterranea, il 18% non ha alcun stile alimentare e il 53% rientra nella fascia denominata “identitari” ovvero coloro che prediligono stili alimentari alternativi a partire dal biologico fino al vegano: biologico 18% climatariano (consuma cibi di stagione per ridurre le emissioni) 15% reducetariano (riduce il consumo di carne)
13% no carbs (limita il consumo di carne) 7% flexetariano (no alla carne, si al pesce) 7% iperproteico 6% vegetariano 6% vegano 3%
È evidente, in questo contesto, che ambiente e salute sono gli elementi che determinano il futuro del cibo (o il cibo del futuro). Il 2030, data della transizione, è vicino. È in atto una sorta di food revolution che, secondo l’Ufficio Studi Coop, indica che 33 milioni di italiani sono pronti a veder cambiare il cibo sulla propria tavola entro il 2030. In particolare sono 5 i cibi che entreranno nella dieta umana tingendola di verde:
• alimenti a base vegetale, con il sapore della carne 33%
• alimenti a base di alghe (spirulina, clorofilla ecc.) 28%
• alimenti a base di farina di insetti 26%
• alimenti a base di semi iperproteiche 23%
• alimenti a base di cane coltivata 22%
Gli Italiani restano alla ricerca di proteine nella loro dieta ma quelle vegetali crescono più di quelle animali; inoltre, sono convinti che le proteine alternative facciano bene all’ambiente. Per questo i prodotti a base vegetale riscuotono consenso anche tra una larga fascia di popolazione non necessariamente “vegetariana”.
La potenzialità degli alimenti alternativi alla carne è dimostrata anche da un recente studio realizzato dalla multinazionale del packaging Amcor tramite Mintel. Nel biennio 2020-2021 i consumatori in tutto il mondo hanno comprato meno carne e più alimenti vegetali. In Italia la tendenza a diminuire la carne sale a +42% e in USA e Germania al 37%. Il fattore è dovuto essenzialmente a 3 motivi: sostenibilità salute prezzo.
Dati da valutare e analizzare; se consideriamo infatti il reale consumo pro-capite di carne degli Italiani rispetto ai dati di consumo apparente disponibili dalle relazioni FAO e Ismea possiamo notare un divario effettivo:
• dati FAO – Ismea: 1 Italiano consuma annualmente 237 g di carne al giorno (tutti i tipi di carne)
• consumo reale pro-capite: 104 g al giorno di carne, pari a 726 g alla settimana e 38 kg l’anno.
Quali sono dunque le alternative alla carne?
1. insetti
2. carne coltivata
3. carni plant based.
Secondo uno studio di Altroconsumo condotto su 15 burger vegetali – plant based risulta che si tratta di:
• cibi altamente trasformati
• hanno lunghe liste di ingredienti
• spesso hanno contenuti decisamente elevati di sale
• alcuni hanno tenori alti di acidi grassi salturi.
Le carni sintetiche, dal canto loro, rappresentano un enorme business in cui molti investitori credono: entro il 2030 il business arriverà a 25 miliardi di dollari. Una ricerca della società McKinsley&Company afferma che nel 2020, nonostante la pandemia, il business della bistecca sintetica ha attirato circa 350 milioni di dollari di investimenti e all’inizio del 2022 era già a 250 milioni. Investire nella carne sintetica potrebbe essere l’affare del momento. C’è un ma, ed è la percezione del consumatore, colui che alla fine dice l’ultima parola. Secondo il CREA infatti, e grazie a un’indagine di mercato su una popolazione tra i 30 e i 59 anni residente nel Lazio e con un titolo di studio elevato (soprattutto donne), il 90% si dichiara onnivoro, il 5% vegetariano, l’1% vegano. Infine, in merito a fonti proteiche alternative, lontane dalle nostre abitudini culturali e alimentari, la diffidenza è ancora molto evidente: il 30% degli intervistati assaggerebbe gli insetti (se farina di insetti e non insetto intero) e solo il 25% la carne sintetica.