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Il mondo carni e le grandi superfici
Carlo Meo, sociologo dei consumi ed esperto di comportamenti e strategie di acquisto e vendita, fondatore di Marketing&Trade
La distribuzione moderna ha subito evoluzioni e cambiamenti nel corso degli anni, anche nel segmento delle carni: il negozio di prossimità affianca il mondo dei grandi volumi, che resta leader di mercato, e assistiamo a fenomeni di consumo importanti ed evidenti
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Il mondo della carne e la distribuzione moderna hanno una relazione vecchia come il mondo: si va dall’amore, direi la nascita di alcune catene regionali italiane come logica evoluzione di negozianti e commercianti di carne, allo scontro frontale di fine anni Novanta tra commercio tradizionale e grandi superfici che avrebbero, il condizionale è d’obbligo, monopolizzato il mercato.
Oggi il contesto del mercato stesso è fortemente cambiato: quella che una volta era la modernità delle grandi superfici è diventato conservatorismo, le insegne che guadagnano (come possiamo osservare dall’analisi annuale di Mediobanca) sono poche, il negozio tradizionale è tornato di gran moda mentre gli ipermercati chiudono, il discount impazza facendosi largo tra le debolezze degli altri formati/insegne. È, però, indubbio che, se ci riferiamo ai volumi di vendita, la grande distribuzione è, e sarà sempre, il leader di mercato.
Quali sono i fenomeni di consumo più importanti ed evidenti del mondo post Covid:
• La frequentazione per i consumatori di più canali, formati e insegna. Ogni persona frequenta più di 3 insegne. Chiamatela infedeltà se volete, anche se il concetto di fedeltà è sempre stato un tema caro al commercio, mentre il consumatore è infedele per natura e va dove gli conviene.
• Il 60% degli italiani va al supermercato (o
Il mondo food è ormai polarizzato tra un target di mercato che fa del food cultura, esperienza e stile di vita e una “pancia” del mercato a cui per cultura e non solo per vincoli economici, non interessa nulla del “food esperienziale” simili) più di tre volte al giorno. Siccome non si fa più la spesa - il carrello pieno per fare “stock” nel frigo e nella dispensa - le persone oggi hanno esigenze di pranzo, cena e riassortimento. Esigenze che sorgono all’ultimo minuto.
• Se non si fa più la spesa…gli scontrini medi crollano. Oggi lo scontrino di un super è uguale a quello di un iper, e può anche darsi che un supermercato di prossimità abbia lo scontrino più alto!
• Le percorrenze nelle “corsie”, quelle dove c’è la pasta, i biscotti e lo shampoo è crollata del 30%, perché oggi il successo e le vendite di un negozio si basano sui prodotti freschi. Una buona notizia per la carne. Gli altri prodotti si comprano quando servono (non tutti i giorni) e quando sono “antipatici” (per il peso e l’ingombro) o pianificabili (perché come la carta igienica devo comprarla settimanalmente) quindi li ordino on-line e me li faccio portare a casa.
• Il fresco ha un grande successo che sia carne, pesce, frutta e verdura, ecc..Ci aiuta a trovare una soluzione di pasto quotidiana che vada incontro all’esigenza di scelta dell’ultimo momento basata sulle nostre voglie e sulla necessità di non fare scorta. Il fresco appare anche “più sano” proprio perché fresco…Ma, questo “fresco” è carico di significati contemporanei, di uno story telling che parte dal buono della tradizione e si evolve verso le necessità del cliente urbano, come l’avvento del brand su un prodotto che non lo ha mai avuto (le mele Pink Lady, i Gamberi di Mazara del Vallo, la carne della provenienza/consorzio), la considerazione che i prodotti e i fenomeni di consumo sono globali (pensate al successo del prodotto “crudo”, la tartare di carne o di pesce).
• In un mondo dove “consumare” più che “comprare” è il tema di riferimento per i clienti, negozio tradizionale, grande distribuzione e canale horeca sono un tutt’uno agli occhi del consumatore. Solo che al supermercato mi annoio e poi devo cu-
I cinare a casa, al ristorante mi diverto, dal macellaio imparo qualcosa e mi gratifico nell’acquisto.
• Le proteine sono di gran moda, mentre un tempo non se le filava nessuno rispetto ai carboidrati. Bene ancora per la carne, anche se ormai i consumatori hanno scoperto che le proteine si trovano anche nei legumi oppure che addirittura il pane, carboidrato per antonomasia, è diventato “proteico”.
• Arrivando a qualche conclusione si potrebbe dire che, rispetto al singolo atto di acquisto, si compra di meno ma con migliore qualità e, alla fine, con più frequenza. Il negozio di prossimità, intendendo come prossimità dal luogo in cui ti trovi (lavoro, casa, intrattenimento, ecc.), è l’ideale per un consumatore di questo tipo. Non a caso i tentativi più evoluti di nuovi format delle insegne si concentrano sulla prossimità: Get Go (Prendi e Vai) di Tesco o Carrefour 10/10 (dieci secondi per scegliere, dieci secondi per pagare). Insieme alla prossimità, ecco comparire anche il negozio-destination: come Eataly (o simili) e il negozio tradizionale-moderno (la macelleria premium con anche eventualmente somministrazione).
• Tiriamo una riga finale: la grande distribuzione non è più leader di modernità ed innovazione nel mondo del food. Resistono i volumi di vendita (neanche i margini) in un mondo però che premia la qualità del prodotto e dell’esperienza.
Una precisazione al contesto descritto: il mondo food è ormai polarizzato (come tanti altri settori della nostra vita) tra un target di mercato che fa del food cultura, esperienza e stile di vita e una “pancia” del mercato, assolutamente rispettabile e dignitosa, a cui ancora una volta, per cultura e non solo per vincoli economici, non interessa nulla del “food esperienziale”. Compra la qualunque, non è interessata a provenienza, qualità, taglio della carne. Anzi la carne, ed è così, è un vassoio
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servizio, valore del brand, ecc). Detto in altro modo non basta avere la carne migliore del mondo se non sai venderla.
di fettine che al supermercato può costare meno di una confezione di biscotti.
Tornando alla carne e ai suoi operatori di settore, come si esce da una situazione in cui la grande distribuzione non è più leader concettuale di mercato? In cui non fa più tendenza? Dove volumi e prezzi “bassi” sono l’unico obiettivo? Dove la carne viene ancora considerata un settore “difficile”?
Oggi qualità o premiumness nella carne come in altri settori è un concetto che si basa su due facce della stessa medaglia: gli asset materiali del prodotto e quelli immateriali
Se fai il commerciante e qualche cosa non va è probabile che devi ripartire dall’assortimento, dai prodotti venduti. I consumi si sono evoluti, come abbiamo visto, e la percezione della carne di conseguenza. Vale per la carne ma vale anche per l’intero negozio della distribuzione moderna che non risponde più alle esigenze di consumo contemporanee. La carne come altri prodotti/momenti di acquisto rientra in quei consumi legati alla memoria, cultura e socialità della gente definiti “mainstream” ma che devono essere aggiornati alla contemporaneità, facendoli diventare “aspirazionali”. Pensate a cosa è successo a pizza e panettone, ma anche al salmone, alla farina, a un frutto piuttosto anonimo fino a poco tempo fa, l’avocado. Oppure ancora a riti come l’aperitivo o la prima colazione…La tecnica di marketing è sempre la stessa: se hai un prodotto con grande memoria e penetrazione nei consumatori lo puoi trasformare in un prodotto aspirazionale, con conseguente aumento dei prezzi e dei margini. E se volete riportare il tema alla qualità o al “premium”, parola abusata ma che è il risultato di quel processo di remix che parte dalla tradizione per evolvere verso l’innovazione, vi devo dire che oggi qualità o premiumness nella carne come in altri settori è un concetto che si basa su due facce della stessa medaglia: gli asset materiali del prodotto (qualità, origine, ecc) e quelli immateriali (sensorialità, story telling,
E ancora, se dobbiamo parlare di assortimento per la grande distribuzione: oggi i prodotti vengono vissuti, vedi sopra, dai consumatori come concetti che uniscono componenti materiali e immateriali. Ecco quindi che possiamo parlare di prodotti “soluzione”, prodotti “esperienza” e prodotti “egoistici”. Dal punto di vista “materiale” possiamo considerare lo stesso prodotto che, in contesti diversi, gioca ruoli diversi: prendiamo l’hamburger, prodotto soluzione per eccellenza (compro e lo sbatto in padella), ma lo stesso può essere un prodotto esperienziale (mi faccio un cheese burger premium con gli ingredienti “giusti”), oppure è il “mio” hamburger, una scelta moderna e consapevole, non inorridite, mi compro un hamburger plant based. Non è poi neanche vero che, alla fine, gli aspetti materiali siano uguali: forse solo l’idea; alla fine, la forma “fisica” è uguale nei diversi casi, l’hamburgher soluzione non ha provenienza e pesa 90 gr, quello esperienziale ha una sua provenienza e ne pesa dai 150 ai 200, quello plant based non è importante quanto pesa, è una forma e basta (perché in realtà è più importante il suo concetto).
Infine, sempre parlando di assortimento, come grande distribuzione come intendete posizionarvi nel percorso from farm (dall’allevamento) to fork (alla tavola): volete presidiare tutto il percorso o specializzarvi in una parte dello stesso?
Nei prossimi articoli affronteremo tutti questi temi proponendo soluzioni utili alle insegne, ai commercianti, ai produttori e agli allevatori.