Città dei Mille - ottobre/novembre 2015

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ISSN 1826-1426

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REMO MORZENTI PELLEGRINI

INTERVISTE: Oreste Castagna Salvatore Gangone Francesco Valesini

OTTOBRE / NOVEMBRE 2015

Anno 18 - N°5 Ottobre/Novembre 2015 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO In caso di mancato recapito si restituisca a: Città dei Mille - via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo, che si impegna a pagare la relativa tassa. Euro 3,00







Edito riale

Editoriale

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iamo su un Freccia Rossa. Nel senso che stiamo correndo verso nuove mete, e non ci si può fermare. L’espressione l’ha usata il nuovo rettore dell’Università di Bergamo, Remo Morzenti Pellegrini, nell’intervista che fa anche da cover story per il numero di Città dei Mille che avete tra le mani. Si riferisce, evidentemente, al percorso di un ateneo che sotto la guida del suo predecessore Stefano Paleari ha fatto enormi passi in avanti in termini di attrattività, integrazione sul territorio, internazionalizzazione, innovazione. I dati delle immatricolazioni lo confermano: più 10 per cento rispetto allo scorso anno. «Oggi siamo sulla mappa come un ateneo di medie dimensioni – fa notare Morzenti Pellegrini -: veleggiamo verso i 16mila e il nostro obiettivo e di arrivare a 20mila, se continuiamo così. Possiamo adesso, più serenamente, pensare alla qualità». La corsa verso nuove mete passa anche dal Comune, con l’assessore Valesini che doverosamente rimarca l’importanza degli interventi negli ex Riuniti e alla Montelungo. Senza dimenticare lo stadio, che tra 5 anni potrebbe passare nelle mani dell’Atalanta: «Ottima la soluzione di ristrutturare l'attuale impianto, puntando anche alla riqualificazione del quartiere. Inoltre ridimensiona gli investimenti, cosa che oggi va tenuta presente, e evita nuova edificazione». Per chiudere in bellezza questa corsa al rilancio della città, ricordo che dal 2 ottobre al 17 gennaio la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea ospita un’importante retrospettiva dedicata al genio che ha attraversato uno dei periodi storico-artistici più intensi del ‘900: Kazimir Malevič. Un altro punto d’onore per Bergamo. Buona lettura!

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di Claudio Gualdi



La mia

rubrica

Non è un Paese per libri

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he in Italia si legga sempre di meno ce lo ricordano ogni anno le indagini Istat che, a partire dal 2010, registrano un costante calo di lettori. Con qualche eccezione: per esempio il pubblico femminile “tiene” e sono in lieve aumento gli e-book (che, se sommati ai libri, riportano il totale a stime meno disastrose). Ma nel complesso l’italiano, che poco leggeva, legge ancor meno. E legge meno anche d’estate: quest’anno il caldo tropicale è stata la causa del calo di ogni desiderio, anche di quello legato alla lettura. Se i lettori “forti”, cioè quelli che leggono più di un libro al mese, non hanno subito flessioni, gli altri – i deboli - hanno dedicato ancor meno tempo ai libri. Spesso la scarsa propensione alla lettura è il sintomo di una complessiva disaffezione per il “consumo” culturale: soffrono non solo le librerie ma in genere tutte le occasioni di accesso al bene culturale. Il che rende il problema ancora più proccupante. Musei, siti archeologici, mostre godono di un’affluenza decente solo in alcune grandi città italiane o in occasione di eventi eccezionali, per il resto sonnecchiano in un sonno premortuario. Eppure l’Italia a lungo è stata la culla delle più importanti imprese culturali. Proveremo a cercare di mettere in luce (mi piacerebbe scrivere “risolvere”, ma così non è) questa situazione che non ci fa onore.

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di Emanuela Lanfranco e.lanfranco@inwind.it


Approfondimento

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“Compiti estivi”: ma di cosa stiamo parlando?

uando i miei “quattro” lettori avranno in mano questo articolo, il trauma dei compiti delle vacanze sarà già passato. Il che bene dimostra quanto questo problema sia un falso problema, uno dei molti di cui la moderna pedagogia ci sovraccarica: anche solo per il fatto che le vacanze passano velocemente, velocemente è bene inserire la questione in un quadro più ampio. Così parlare dei “compiti delle vacanze” (curiosa la contraddizione di termini presente in questa locuzione) può diventare un pretesto, qualcosa a partire dal quale ampliare il discorso. Che tocca il rapporto genitori-bambini- scuola. Un

triangolo più pericoloso di quello delle Bermude! La scelta, avvenuta in questi ultimi anni, di mettere l’infanzia al centro delle preoccupazioni del mondo adulto se da una parte segnala correttamente la necessità di dare importanza ai temi educativi, dall’altra genera il pericolo di un’eccessiva enfatizzazione e di un aumento dell’ansia. Insomma se un tempo l’educazione era esclusivamente assegnata al buon senso, con tutti i rischi di superficialità che ne derivavano, oggi l’infanzia è spesso messa sotto i riflettori dell’opinione pubblica per questioni peraltro irrilevanti. Il tutto di nuovo a discapito dei bambini, i quali, per

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di Emanuela Lanfranco

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fortuna, riescono poi a ricreare una loro autonomia rispetto alle spinte ansiogene di genitori e di nonni. Anche a proposito di questi “benedetti?” compiti si ha la sensazione che siano proprio i genitori i primi a rendere ancora più gravoso l’impegno dei bambini, sollecitandoli da subito alla prestazione che invece sarebbe meglio intendere come una graduale preparazione al rientro scolastico. Gioverebbe invece esercitare anche su questo terreno un patto educativo che sia utile all’autonomia e perciò alla crescita degli studenti, di qualsiasi età siano. I compiti sono un “compito” dei bambini e solo nel caso diventino qualcosa di “insopportabile”, cioè non gestibile dal bambino, toccherà al genitore farsene carico. Non per sostituirsi nell’esecuzione di quanto gli viene richiesto ma prendendosi invece la responsabilità di segnalare all’insegnante le difficoltà incontrate o venendo incontro, da genitore,

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alla soluzione di eventuali problemi che il bambino dimostra di non sapere risolvere. Incontrare i bambini anche in questo loro misurarsi con le difficoltà può essere, soprattutto nel tempo condiviso dell’estate, un modo per osservarli all’opera e conoscerli meglio nella calma che l’atmosfera delle ferie dovrebbe garantire. Semmai il compito del genitore sarà quello di costruire tempi e spazi adatti al rinforzo estivo: per esempio favorendo il lavoro in gruppo, inventando nell’agenda giornaliera spazi in cui il gioco e il “lavoro” trovino un equilibrio “sopportabile”. Creare dei gruppetti di studio con i compagni vecchi e magari introdurre anche nuovi amici, acquisiti nelle vacanza, può essere un concreto aiuto che la supervisione di un adulto fornisce ai piccoli. Spingere i più grandi ad aiutare a superare le difficoltà dei più piccoli può diventare un’occasione di scambio di esperienze, una palestra di “mutuo soccorso”.

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Si tratta allora di imparare a sostituire ai pronunciamenti netti che semplicemente condannano o assolvono le pratiche educative un comportamento capace di valutare volta per volta un loro possibile uso “intelligente”, cioè capace di valutare obiettivi e risorse oltre che criticità. Basterebbe guardare al compito come a un gioco serio, come lo sono peraltro tutti i giochi, ma capace di pause, differimenti, alleggerimenti e finanche sospensioni. E’ bene ricordarsi che i compiti delle vacanze sono pur sempre parte di quel tempo “vacante” di cui periodicamente grandi e bambini hanno bisogno. Insomma queste brevi e quasi scontate considerazioni possono essere utili come indicazioni per tutto l’anno scolastico: di nuovo si tratta di costruire con cura un rapporto che, quello sì, avrebbe bisogno di molti “pensieri”: ma a fare i genitori nessuno insegna. Peccato!


Sommario Città dei Mille - anno 18 n. 5 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001 Editore: Edicom S.r.l. cittadeimille@ediberg.it www.ediberg.it

Editoriale La mia rubrica Approfondimento

Direzione e Redazione: Via Madonna della Neve, 24 Bergamo Tel. 035 35 91 011 Fax 035 35 91 117 info@cittadeimille.com www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Claudio Gualdi Direttore editoriale: Emanuela Lanfranco Redazione: Fabio Cuminetti Abbonamenti: 035 35 91 011 segreteria@ediberg.it 1 anno - 27 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg) Pubblicità: Tel. 035 35 91 158

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«eredito un gioiello di ateneo»

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interviste

L'università, inaugurato l'anno accademico Da Giuliana per la «Cena del cuore» IV Trofeo Cosberg-Despe-Plastic Food Film Fest ZZZleepandGo:letto e relax low cost all'Aeroporto di Bergamo

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vip & news

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in Vetrina

La Banca d'Italia si apre alla città Oreste Castagna: 30 anni di Rai «Stadio, partita che va chiusa»

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interviste

Luberg Golf Cucina Motori Hair Style Arte Spiritualità Poesia Cinema

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rubriche

Giovanni XXIII, il parroco del mondo Malika Ayane in concerto al Creberg Altri Percorsi, inaugurazione il 23 ottobre Malevič, grande mostra alla Gamec

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cultura

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Inter vista

«Eredito un gioiello di ateneo»

Remo Morzenti Pellegrini è il nuovo rettore dell’Università di Bergamo. «Le prospettive finanziarie sono solide, la reputazione è buona e i dati sulle immatricolazioni sono in controtendenza nazionale: più dieci per cento»

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’Università di Bergamo ha un nuovo rettore. Si tratta di Remo Morzenti Pellegrini, 47 anni, già prorettore e direttore del Dipartimento di Giurispridenza: succede a Stefano Paleari, sotto la cui guida - dal 2009 al mese scorso - l’ateneo ha fatto molti passi in avanti sia in termini di sinergie sul territorio che di numero di iscritti. L’abbiamo incontrato, fresco di elezione. Partiamo dal suo predecessore: Paleari. Con cui ha un ottimo rapporto. Sono stati sei anni straordinari, sotto la sua guida. È un fuoriclasse. Sono fortunato, perché eredito un gioiello di ateneo. Al quale abbiamo dato tutti le migliori

attenzioni, certo, ma lui ha aperto delle strade nuove. Nei primi tre anni abbiamo consolidato i cosiddetti fondamentali quali la didattica e la ricerca, abbiamo introdotto l'internazionalizzazione; nei successivi tre anni abbiamo capitalizzato queste iniziative con lui alla presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. Bergamo esce rinvigorita, insomma. I dati delle immatricolazioni lo confermano: più 10 per cento rispetto allo scorso anno. Abbiamo rimesso a posto il sottofinanziamento: nel 2009 la nostra lamentela era questa. Oggi, dopo aver regolato i costi standard, visto che il finanziamento

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di Emanuela Lanfranco

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è regolato in base a quanto si è efficienti, abbiamo ribaltato la situazione. Le prospettive finanziarie, al presente, sono solide, la reputazione è buona e i dati sulle immatricolazioni sono in controtendenza nazionale. Bergamo oggi è attrattiva. E al passaggio di testimone c'erano 54 rettori. Esatto, il che vuol dire l'intera università italiana. Un tributo di onore e di stima. Oggi siamo sulla mappa come un ateneo di medie dimensione, con un numero sufficiente di studenti: veleggiamo verso i 16mila e il nostro obiettivo e di arrivare a 20mila, se continuiamo così. Possiamo adesso, più serenamente, pensare alla qualità. Ovvero? Lavorare sulla didattica: che non ci siamo sovraffollamenti, in primis, quindi che ci sia un rapporto docenti/studenti equilibrato. Che si possano sperimentare formule didattiche innovative. Che si possa puntare su una ricerca di ottimo livello: non ci può essere buona didattica senza ricerca. È il naturale proseguimento di un percorso di sei anni

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in cui siamo cresciuti in tutti i parametri: la classifica delle università più social, per citare l'ultimo, ci vede in testa. Inoltre la nostra istituzione è vissuta con grande spirito di appartenenza dalla comunità bergamasca: un motivo di soddisfazione per me, visto che in questi sei anni, come prorettore, avevo delega ai rapporti con il territorio. Ora ha una grande responsabilità. Assolutamente sì. Senza dimenticare che noi, oltre alla didattica e alla ricerca, abbiamo una terza missione: l'impatto di un ateneo nella società. Non è stato uno slogan quando mi sono permesso di dire che «non sento solo una responsabilità accademica, ma sociale»: il nostro ateneo, oggi, si è trasformato da una torre d'avorio a un osservatorio della società. Siamo coinvolti a vario titolo nel dibattito sociale, come per la consulenza sulla possibile fusione tra Sea e Sacbo. Lavoriamo con gli ospedali. Fungiamo da ambasciata culturale, come per la visita del presidente dell'Uganda. Un compito gravoso, ma anche un grande prestigio.

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Sono ovviamente contento di questa elezione. E onorato. Ma anche preoccupato. Una sorta di medaglia con tre facce. Perché se a Milano ci sono più rettori, e anche a Brescia ce ne sono due, a Bergamo di rettore ce n'è uno. E con un peso che una volta non aveva. Si parlava di sottofinanziamento, di difficoltà per la realizzazione del campus. Oggi il campus è la città. Partiamo da Sant'Agostino, dove restituiamo alla città la chiesa, come aula magna e spazio espositivo. Poi c'è il complesso attiguo. Quindi il collegio Baroni, che ci verrà consegnato a maggio-giugno dell'anno prossimo. Fino ad arrivare alla caserma Montelungo. L'università genera un asse culturale che ricollega un pezzo di città, in sostanza. L'attrattività passa anche da questo? Sicuramente. Siamo attrattivi perché adattivi, in linea generale: siamo stati capaci di dare delle risposte efficaci, a 360 gradi. Nella didattica, ad esempio, raccogliamo i frutti dell'internazionalizzazione introdotta da Paleari: oggi abbiamo interi corsi di laurea in inglese, e continueremo ad averli,


ma si può fare di più. La nuova prospettiva, infatti, è quella di mandare degli studenti all'estero non solo con l'Erasmus, ma per fare un percorso d'eccellenza specialistico di 4-6 settimane in un'università straniera, finanziati dall'ateneo. Mi sento più fortunato rispetto a Paleari sei anni fa, perché le strade sono già state aperte. Ora non resta che percorrerle con prospettive sempre nuove. I suoi obbiettivi, a parte la continuità? In sei anni abbiamo attuato la riforma Gelmini, che ha rivoluzionato l'università italiana. L'impatto sugli atenei è stato dirompente. Abbiamo trasferito docenti da un dipartimento all'altro, perché abbiamo dovuto chiudere le facoltà. Prima della riforma c'erano le facoltà che si occupavano di didattica, e i dipartimenti di ricerca. Le funzioni sono state accorpate nei dipartimenti. Ora bisogna attuare l'ultima fase di questa riforma, riequilibrando le differenze di valori di ricerca tra dipartimenti. Il nostro ateneo ha un vantaggio competitivo, sulla qualità, che è indubbio: è generalista, perché convivono discipline e corsi di laurea diversi.

A fronte di questa apparente complessità, non resta che metterla a frutto. Come? La parola d'ordine è multidisciplinarietà. Esempio: abbiamo aperto un corso di laurea in Tecnologia della salute. Ci aspettavamo un centinaio di iscritti, ne sono arrivati 164, ed è un grande esempio di come far fruttare la multidisciplinarietà. È incardinato in ingegneria, ma vi convivono discipline mediche, sociologiche, giuridiche, psicologiche. Abbiamo messo a regime un corso di laurea trasversale e innovativo, unico in Italia, pensando di muoverci nell'ambito della salute anche senza avere un dipartimento di medicina. In questi sei anni ho cambiato totalmente la mia visione dell'università. Prima pensavo fosse giusto specializzarsi; ma il privilegio che ho avuto, come prorettore, di dialogare con discipline diverse, colleghi di settori diversi, ascoltando le esigenze del territorio, mi ha fatto comprendere il valore aggiunto della trasversalità. E per avere una buona didattica multidisciplinare bisogna puntare sulla ricerca multidisciplinare.

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La vostra offerta piace anche agli studenti che arrivano da fuori provincia: sono più di un terzo. Vengono a Bergamo, appunto, perché ci sono percorsi di laurea innovativi e attrattivi, più vicini al mondo del lavoro. Dovremmo anche cambiare il modo di fare orientamento: noi andiamo a intercettare gli studenti dell'ultimo anno delle superiori, quando sono già bombardati da proposte. Sulla base di quanto visto in altri atenei, quali Oxford e Cambridge, si può pensare a una filiera formativa permanente, con gli studenti di terza o quarta che vengano in università per delle iniziative formative, magari estive, che possano coinvolgerli. Poi ovviamente ci deve essere l'orientamento all'ingresso in ateneo, durante, e anche dopo, quando non sono più studenti. Interessante in questo senso anche la Luberg, l'Associazione Laureati Università di Bergamo. Assolutamente, perché rinsalda l'orgoglio di appartenere a un'università che si ricorda di chi ne è stato studente.

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La disoccupazione giovanile è alta. Come si invoglia uno studente delle superiori a proseguire gli studi, con l'incertezza del futuro? Dobbiamo puntare, a maggior ragione in un territorio ricco di cambiamenti, a essere un punto di riferimento, inteso come radicamento della conoscenza, che sia di garanzia per le famiglie. Nonostante le trasformazioni territoriali e le aziende che si spostano. Quando pensiamo a un nuovo corso di studio, o alla trasformazione di uno già esistente, pensiamo alle famiglie, a quello che si aspettano da noi, e di conseguenza anche al mercato. Ora parliamo un attimo di lei. Sono di Clusone, sposato con due figli, Angelica (12 anni) e Leonardo (14). Hanno capito l’importanza di questa mission? La stanno vivendo con molta serenità. Erano abituati a sentirmi parlare di università, e a vedermi parlare di Costituzione nelle loro scuole, cosa di cui si sono anche vergognati un po’. Ho cercato di spiegare che sarò più occupato, in futuro, ma che il tempo che dedicherò a loro sarà breve ma intenso. Hanno capito, ma semplicemente mi hanno chiesto di non andare più a parlare nelle loro scuole (sorride). Ho fatto questa scelta anche grazie alla serenità della mia situazione famigliare. Come ha percepito il ritiro degli altri due candidati alla nomina? È stato un segno importante. Chi si candida per il posto di rettore qui, con le sfide che ciò implica, ha coraggio, quindi vanno ringraziati. Quello accaduto nella ultime settimane appartiene alla normale dialettica accademica. Non è invece frequente che ci sia il ritiro. La loro scelta di responsabilità istituzionale depone a favore loro e dell'ateneo: abbiamo dato l'immagine di una comunità accademica coesa, pur con tutte le comprensibili differenze all'interno. Alcuni colleghi mi hanno detto: "Siamo su un Freccia Rossa". Nel senso che stiamo correndo verso nuove mete, e non ci si può fermare. Per usare un'altra metafora simile, siamo una nave attrezzata per il diporto, ma in un mare in tempesta: c'è grande competizione, non solo con gli altri atenei lombardi e nazionali, ma anche internazionali. Abbiamo studenti che arrivano da città estere collegate a Bergamo da voli low cost. Da qui l'idea della residenzialità con la Montelungo. Un'idea che va in due direzioni. Primo, quello di dare definitiva copertura alle residenze per gli studenti. Secondo, avere uno spazio aggregativo: sicuramente un impianto sportivo, ma non solo. L'attrattività ne guadagnerebbe. Basta vedere cosa succede alle città universitarie non solo come punto di vista storico, ma di servizio. Penso ad Heidelberg, grande più o meno come Bergamo. Una città è davvero universitaria quando gli studenti ci vivono. Come la considerano i suoi studenti? Per anni ho tenuto l'unico corso giuridico di Scienze della formazione, ed ero visto un po' come lo spauracchio. La cosa si è attenuata quando ho tenuto i miei corsi a Giurisprudenza. Ora insegno Istituzioni di diritto pubblico qui in ateneo e Diritto amministrativo presso il corso degli allievi ufficiali dell’Accademia nazionale della Guardia di Finanza.

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Lei dove vive? A Clusone. Ma dovrò trasferirmi. L'accoglienza della notizia in paese è stata ottima. Una signora anziana che non conosco mi ha detto: «lei è la seconda persona di Clusone

che va a Bergamo per ricoprire ruoli di primo piano dopo Simoncini, sindaco. Il suo ruolo è fondamentale, perché dall’università dipende il futuro delle nuove generazioni». Mi ha fatto un'enorme piacere. E ho capito ancora

Remo Morzenti Pellegrini

meglio la responsabilità sociale che questo ruolo comporta. L'appellativo «magnifico» ha senso solo se rapportato all'esempio che si dà agli altri, fondamentale in un'istituzione formativa. Altrimenti non conta nulla.

locali della Lombardia. Tuttora è il rappresentante designato dalla Conferenza dei Rettori della Università italiane in seno al Comitato di Sorveglianza POR “Fondo Sociale Europeo” e “Fondo Europeo di Sviluppo Regionale” Programmazione 2014-2020 della Regione Lombardia. E’ poi membro del Consiglio di amministrazione e del Comitato di indirizzo della “Fondazione Bergamo nella storia” e Vice presidente del Consiglio direttivo dell’International Center for Competitiveness Studies in the Aviation Industry – ICCSAI. E’ membro della Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo e del Comitato di redazione della Rivista “Diritto e processo amministrativo”. L’attività scientifica si è recentemente sviluppata, in ambito giuridico, su diverse linee direttrici, soprattutto riguardanti il tema dei diritti sociali. Dapprima indagando il sistema nazionale di istruzione, per il quale ha pubblicato diversi lavori monografici che lo hanno portato anche a collaborare, quale esperto, con i Ministri dell’Istruzione Fioroni e Giannini. Quest’ultimo lo ha infatti nominato, nel 2014, membro della commissione ministeriale “cantiere docenti”, che ha poi dato il via al recente provvedimento “La Buona scuola”. In particolare, il prof. Morzenti Pellegrini ha indagato per la prima volta il tema dell’Autonomia scolastica nella sua dimensione policentrica. In un secondo tempo ha deciso di intraprendere un approfondimento utile per indagare la mutata prospettiva in cui, nell'ambito dell'ordinamento comunitario, sta venendo a collocarsi l'universo dei servizi sociali e, in particolar modo, il processo di “contaminazione” dei servizi sociali con i principi relativi alla libertà di concorrenza, soprattutto in ordine alle nuove modalità organizzative e gestionali. Si è poi occupato scientificamente del tema delle società pubbliche, con riferimento particolare allo specifico tema dell’affidamento diretto dei servizi pubblici locali. L’attività di ricerca attualmente in corso è rivolta, in particolare, ai temi legati all’higher education, in particolare con riferimento alla nuova governance degli Atenei italiani all’indomani dell’approvazione della “riforma Gelmini” anche in visione comparata rispetto ai sistemi europei. L’ultima sua pubblicazione, a riguardo, per i tipi del Mulino, ha proprio come titolo: L'evoluzione della normativa universitaria nei paesi europei. Analisi comparata e osservazioni in tema di governance sistemica e istituzionale. Da quest’anno accademico, infine, è il titolare della cattedra di Diritto amministrativo presso il corso degli allievi ufficiali dell’Accademia nazionale della Guardia di finanza.

Bergamasco, di Clusone, 47 anni, sposato, 2 figli, Remo Morzenti Pellegrini si laurea nell’Università degli studi di Bergamo nel 1994, discutendo una tesi in Diritto amministrativo sulla normativa degli appalti pubblici in ambito nazionale e comunitario. In Università entra nel 1995, prima come assistente, presso l’allora Dipartimento di Scienze giuridiche della Facoltà di Economia e commercio - alle cattedre di diritto amministrativo, diritto pubblico, diritto pubblico dell’economia e diritto regionale - poi come ricercatore e in seguito quale professore. Tra gli altri è stato, alla fine degli anni ’90, uno degli ultimi collaboratori del Prof. Serio Galeotti, uno dei più eminenti costituzionalisti italiani, già rettore del nostro Ateneo nel 1974. Dopo una breve esperienza dirigenziale nella Pubblica amministrazione, diviene Ricercatore nel 2003 in Istituzioni di diritto pubblico e nel 2005 Professore associato in Diritto amministrativo, infine Professore ordinario, sempre di diritto amministrativo, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo. Nell’Ateneo bergamasco ha svolti numerosi ruoli di vertice, prima quale membro del Senato accademico, poi per 2 mandati quale membro del Consiglio di amministrazione. E’ stato Prorettore negli ultimi 6 anni, a fianco del Rettore Paleari, con delega ai rapporti con Enti ed Istituzioni pubbliche del territorio e membro della Giunta di Ateneo. Nel giugno di quest’anno è stato infine eletto Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo. E’ membro del Collegio dei docenti del Dottorato in “Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea” e del Collegio docenti del Dottorato “Istituzioni e impresa: valore, regole e responsabilità sociale-business and law”. E’ stato Direttore vicario del Dipartimento di Scienze della persona, Direttore vicario del Centro di Ateneo “Centro Studi sul Territorio – Lelio Pagani”, nonchè Direttore di numerosi Corsi di perfezionamento e Master universitari. E’ stato membro della Cattedra UNESCO in “Diritti dell'uomo ed etica della cooperazione internazionale” e recentemente, su designazione della Conferenza dei Rettori della Lombardia, è stato Presidente della commissione per la formazione dell’elenco degli idonei alla nomina di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo delle aziende sanitarie pubbliche lombarde. Sempre su designazione della Conferenza dei Rettori della Lombardia è stato nominato nel Consiglio delle autonomie

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Università, inaugurato l'anno accademico

'ultima uscita ufficiale del rettore Stefano Paleari, a cui succede il neoeletto Remo Morzenti Pellegrini, si è avuta in occasione di una giornata destinata a rimanere a lungo nella memoria della città. L'inaugurazione del nuovo Anno accademico dell’Università degli Studi di Bergamo, lo scorso 21 settembre, ha visto la restituzione alla città di un monumento di grande pregio: l’ex chiesa di Sant’Agostino trasformata, dopo un complesso restauro, nella nuova aula magna dell’Ateneo. Ma potrà ospitare anche altri tipi di iniziative aperte alla cittadinanza, quali esposizioni e spettacoli. Eccezionale la partecipazione dei rappresentanti istituzionali e delle massime cariche degli altri atenei italiani: c'erano 54 rettori, segno che Bergamo conta

sempre di più nel panorama nazionale. E del resto Paleari è stato per due anni presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Ospite d'onore il rettore dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Ivano Dionigi, che ha tenuto la lectio magistralis dal titolo “La Res publica: una vocazione di pochi o un dovere di tutti?”. Stefano Paleari, nella sua relazione di saluto, ha augurato di cuore ogni successo e ogni bene al suo successore. Si è poi soffermato su alcuni dei temi più attuali del dibattito nazionale: dalla necessità di una nuova idea di Europa, all'importanza di investimenti nei settori strategici del Paese. Con particolare attenzione verso i giovani, "oggi spesso dimenticati e maltrattati". E poi la dedica alla comunità bergamasca:

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"Il fare fatica, talvolta anche la fatica di rispettare la legge, è il migliore esercizio del dovere e l’anima di ogni organizzazione". e.l.

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Da Giuliana per la «Cena del cuore»

Più di 300 persone hanno partecipato alla cena, che si è conclusa con la lotteria. Un modo per dare la possibilità di onorare ancora di più la finalità della serata: il ricavato va alla cura di bambini nati con malformazioni cardiache

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n via Broseta, ancora una volta, la tavola è stata imbandita con la migliore solidarietà, quella della Bergamo generosa. Giovedì 17 settembre, da Giuliana, l’Osteria D’Ambrosio, è andata infatti in scena «La cena del cuore». L’evento, fortemente voluto dalla Fondazione Mission Bambini, devolve il ricavato alla cura dei bambini nati con malformazioni cardiache. La Fondazione organizza infatti periodiche missioni umanitarie in Paesi come la Cambogia, l’Uganda e l’Uzbekistan, a cui partecipano come volontari anche alcuni medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Presenti alla serata Roby Facchinetti e il

dottor Paolo Ferrazzi, direttore dell’International Heart School di Bergamo, grandi amici e sostenitori della Fondazione. E Giuliana, titolare dell’Osteria, sempre sensibile, generosa e attenta a problematiche che vedono persone in difficoltà. Più di 1.400 i bambini cardiopatici che sono stati salvati dal 2005 ad oggi, e l’obiettivo della Fondazione Cuore di Bimbi sono altri 250 bambini da salvare nel 2015: questi i risultati presentati dal presidente della Fondazione Goffredo Modena. Più di trecento persone hanno partecipato alla cena, che si è conclusa con la lotteria. Un modo per dare la possibilità

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di onorare ancora di più la finalità della serata. Mission Bambini è una fondazione italiana nata nel 2000 con il nome di «aiutare i bambini». Ha lo scopo di dare un aiuto concreto ai bambini poveri, ammalati, senza istruzione o che hanno subito violenze fisiche e morali. e.l.

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IV Trofeo Cosberg-Despe-Plastic

Gianluigi Viscardi, Giuseppe Panseri e Gianangelo Cattaneo, titolari delle aziende sponsor, hanno dato vita anche in questa occasione a una fantastica giornata sul green di uno dei più prestigiosi campi golfistici italiani

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opo il grande successo delle precedenti manifestazioni, il 29 giugno si è svolto al Golf Club Bergamo “l’Albenza”, il IV Trofeo Cosberg-Despe-Plastik. Gianluigi Viscardi, Giuseppe Panseri e Gianangelo Cattaneo, titolari delle aziende sponsor, hanno dato vita anche in questa occasione a una fantastica giornata sul green di uno dei più prestigiosi campi golfistici italiani. Numerosi i team par tecipanti che quest’anno ha visto iscritti un gran numero di giovani giocatori, la speranza

futura di questo splendido sport. A fine gara la premiazione ai vincitori e, ai non vincitori, premi estratti a sorte, offerti dagli sponsor. La classifica per la prima categoria: 1° netto con colpi 69 Giassi Gianmarco; 1° lordo con colpi 75 Capitanio Nicholas; 2° netto con colpi 71 Rendina Claudia; 3° netto con colpi 73 Foschetti Grancesco. Seconda categoria: 1° netto con colpi 69 Fontana Nicola; 2° netto con colpi 71 Monorchio Vincenzo; 3° netto con colpi 75 Solari Mario. Terza categoria: 1° netto con punti 40 Bonfanti M. Cristina; 2° netto con punti

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40 Fontana Guido; 3° netto con punti 37 Stefana Mauro (Gardagolf ); 1° lady con punti 35 Guana Chiara – Mia; 1° senior con punti 36 Vavassori Ivano; 1° master con punti 35 Catalfamo Francesco; Driving Contest M con metri 279 Magno Filippo; Driving Contest F con metri 215 Giuliani Laura; Nearest to the pin M con metri 0 Giassi Gianmarco; Nearest to the pin F con metri 1,99 Palmeri Laura. Con la cena di gala si è conclusa la giornata con una promessa: l’appuntamento all’anno prossimo. e.l.

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www.ristorantegio.it



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Food Film Fest

i è conclusa la seconda edizione di Food Film Fest, il Festival Internazionale, promosso dall’Associazione Montagna Italia e dalla Camera di Commercio di Bergamo, che ha portato nel cuore della Città di Bergamo i sapori, le tradizioni, le culture e le ricette di tutto il mondo attraverso la settima arte, il cinema. Tanti eventi hanno arricchito la kermesse, sostenuta da UBI-Banca Popolare di Bergamo: al Quadriportico del Sentierone e presso la DOMUS Bergamo il Festival ha regalato al pubblico incontri, proiezioni, laboratori del gusto, convegni, laboratori per bambini e degustazioni. Fondamentale il contributo di diverse realtà del territorio, da Slow Food a Coldiretti, da Parco dei Colli di Bergamo a Bergamo Mercati, ma anche Il Crea-Mac,

Centro di Ricerca per la Maiscultura, l'Orto Botanico L. Rota, sezione di Astino Valle della Biodiversità, il Progetto Forme, Campagna Amica, la Mediateca Provinciale, il Club Soroptimist di Treviglio, il Centro GISED, la Galleria Quarenghicinquanta e per concludere lo Studio Bozzetto che ha raccontato il progetto EXPO SHOW, realizzato per Disney Channel con la mascotte di Expo 2015. L a C e r i m o n i a d i Pre m i a z i o n e d e l Concorso cinematografico, presentata dal Direttore Artistico Luca Cavadini ha decretato i film vincitori tra gli oltre 100 film giunti da tutto il mondo. I 22 finalisti sono stati proiettati al Quadriportico nel corso delle serate di fronte ad un numeroso pubblico, mentre altri 30 film fuori concorso hanno colmato di colori, profumi e storie legate al mondo

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del Food il prezioso cortile del Monastero di Astino. Location d’eccezione il Cortile della Camera di Commercio che ha ospitato tutte le sere “Cinemenù”, un collage di scene di film cult dedicate al cibo e curiosi spot storici di marchi alimentari, in collaborazione con la Cineteca di Milano. Ecco i vincitori del concorso cinematografico: un ex aequo per la categoria DOC che ha visto al primo posto Daily Lydia di Marco Zuin (Italia, 2014) e Himself he cooks di Valerie Berteau (Belgio, 2011). Vincitore della categoria ANIMAZIONE Castillo Y el armado di Pedro Harres (Brasile, 2014). Premio Speciale della Giuria L'universo è un pasto gratis di Fabio Maiorino (Italia, 2013). Si ringrazia Engel&Völkers-Bergamo

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VIP

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ZZZleepandGo: letto e relax low cost all’Aeroporto di Bergamo

’Aeroporto di Bergamo dà spazio al riposo e al sonno in una vera e propria mini lounge appartata e protetta da privacy assoluta. I passeggeri che vogliano dormire qualche ora in attesa del volo, in qualsiasi momento del giorno e della notte, potranno rivolgersi a «ZZZleepandGo», il modulo abitativo concepito come una camera insonorizzata con letto, scrivania per lavorare, deposito bagagli, free wifi, schermo con orario dei voli sempre aggiornato, dotazione di prese usb e 220V. Gli ideatori di ZZZleepandGo sono tre giovani: Alberto Porzio, laureato in Scienze Politiche che si occupa della parte amministrativa d’impresa, l’ingegnere Matteo Anthony Destantini responsabile commerciale e Nicolas Montonati, architetto, il quale si è occupato di progettare le camere secondo un concept che richiama il classico spazio offerto dal vagone letto in treno ma in forma decisamente più ergonomica e confortevole. ZZZleepandGo lancia dall’Aeroporto di Bergamo il nuovo format di ospitalità fast&cheap, che si può anche prenotare

anche da remoto oltre che direttamente in aerostazione usando una apposita App o il computer, e pagando con carta di credito, di debito o prepagata. Costo del servizio: 8 euro la prima ora, 7 euro per ogni ora successiva. Le lenzuola si cambiano in automatico all'arrivo di un nuovo ospite, e l'abitacolo è ogni volta igienizzato e profumato. Un servizio esclusivo a costi contenuti. L’ideale per chi, per esempio, ha prenotato un volo che parte all’alba e ha necessità di presentarsi al gate 40 minuti prima dell’imbarco: con ZZZleepandGo ha la possibilità di dormire, essere svegliato in tempo utile e mettersi in viaggio perfettamente riposato. Tutti, comunque, hanno la possibilità di concedersi un periodo di relax durante l’attesa del volo, per recuperare le energie. I moduli abitativi, espressione di un format di hospitality fast&cheap di livello tecnologico avanzato, sono a disposizione dei passeggeri 24 ore su 24. L’ambiente interno è costantemente sanificato e l’aria è mantenuta fresca e pulita attraverso un sistema automatico di diffusione di ioni ossidanti

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naturali che elimina gli odori sgradevoli. La soluzione di riposo e relax offerta da ZZZleepandGo prevede anche la cromoterarapia, con la possibilità di godere di luci e colori rilassanti all’interno dell’ambiente riservato. Al momento di entrare nel modulo abitativo ZZZleepandGo, il sistema aziona il meccanismo di sostituzione automatica delle lenzuola, igienizzazione e ventilazione. ZZZleepandGo ha sviluppato una App iOS/ Android che l’utente può scaricare e installare gratuitamente sul proprio smartphone o tablet per creare e gestire il proprio account, accedere alla cronologia di fatturazione ed effettuare nuove prenotazioni. Nel caso in cui l’utente non abbia scaricato la App, la registrazione può avvenire attraverso il sito web oppure direttamente sul device posizionato sulla parete esterna dei moduli. Al momento di uscire dalla stanza, il cliente seleziona l’opzione “checkout” sul device esterno e il sistema calcolerà l’intervallo tra check-in e check-out, applicando la tariffa corrispondente e inviando la fatturazione all’indirizzo email del cliente. e.l.

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Inter vista

La Banca d’Italia si apre alla città

Numerose le iniziative per l’immissione della nuova banconota da 20 euro. Il direttore Salvatore Gangone: «È il taglio più diffuso e il più falsificato. Novità? Una finestra in cui si vede l'effige di Europa da entrambi i lati»

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un punto di riferimento imprescindibile del centro cittadino. Per l’architettura dell’edificio, con i suoi stilemi neoquattrocenteschi, e per la funzione quasi sacrale, per l’economia nazionale, che ha rappresentato negli anni. Costruito tra il 1912 e il 1914, il palazzo della Banca d’Italia di Bergamo, è stato realizzato nell’ambito del progetto urbanistico dell’architetto Piacentini per sistemare l’area dell’ex fiera di Sant’Alessandro. Molto interessante l’utilizzo del ceppo di Poltragno per la decorazione esterna. A seguito della riorganizzazione del servizio della banca centrale nazionale nell’area Euro, la filiale è ormai specializzata (dal 2010) unicamente

nel trattamento del contante, ma il fascino che si respira nelle stanze e nei corridoi è rimasto intatto. Abbiamo parlato dell’evoluzione della banca centrale, di quanto ciò comporta e dei risvolti socio-culturali implicati con l’attuale direttore, il dottor Salvatore Gangone. Partiamo dalle basi: cos’è la Banca d’Italia? È la banca centrale della Repubblica italiana. Un istituto di diritto pubblico, regolato da norme nazionali ed europee. È parte integrante dell’Eurosistema, composto dalle banche centrali nazionali (Bcn) dell’area dell’euro e dalla Banca centrale europea. L’Eurosistema e le banche centrali degli

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di Fabio Cuminetti

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Stati membri dell’Unione europea che non hanno adottato l’euro compongono il Sistema europeo di banche centrali (Sebc). In materia di supervisione, la Banca d’Italia è l’autorità nazionale competente nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico sulle banche. Ci spieghi meglio quali funzioni le sono attribuite. Autorità monetaria nell’ambito del Sebc; vigilanza in campo bancario e finanziario; autorità di supervisione sui mercati rilevanti per la politica monetaria e di sorveglianza sul sistema dei pagamenti, istituto di emissione e stabilimento industriale per la produzione di banconote; tesoriere dello Stato e gestore di servizi, strumenti e sistemi di pagamento, a livello europeo e nazionale; centro statistico

per i fenomeni creditizi e valutari; istituto di ricerca in materia economica e finanziaria. È indipendente? Sì, l’assetto funzionale e di governo della banca riflette l’esigenza di tutelarne rigorosamente l’indipendenza da condizionamenti esterni, presupposto essenziale per svolgere con efficacia l’azione istituzionale. L’istituto rende conto del suo operato al Governo, al Parlamento e ai cittadini attraverso la diffusione di dati e notizie sull’attività istituzionale e sull’impiego delle risorse. La contabilità della banca è però sottoposta a verifica di revisori esterni. All’interno dell’istituto opera l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (Uif ), che svolge funzioni di analisi finanziaria in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del

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finanziamento del terrorismo internazionale. Nel 2005 è stata avviata la riforma della Banca d’Italia, e la rete di filiali sul territorio è ancora in fase di riassetto. Il piano prevede, nei prossimo tre anni, il potenziamento dei compiti istituzionali presso le filiali di maggiore dimensione, l’accentramento di 3 divisioni distaccate di vigilanza e la chiusura di 19 succursali con operatività ormai ridotta. Alla fine del 2018 la rete sarà costituita da 39 filiali, tra cui Bergamo, rispetto alle 58 attuali (erano 97 nel 2007). Veniamo a Bergamo, che dal 2010 è specializzata nel trattamento del contante. Esatto. Fino a quel momento era invece una filiale ad ampia operatività, ovvero svolgeva tutte le funzioni dell’istituto di

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emissione, che ora sono state riorganizzate con un diverso campo d’azione e con diversi profili. C’erano i servizi all’utenza: casse, tesoreria, cambio banconote. Al piano superiore attività amministrative, vigilanza sulle banche, ricerca economica. Ci parli dell’attuale specializzazione. È collegata alla funzione di emissione di Euro. Qui non stampiamo direttamente le banconote, ma ci occupiamo della loro immissione sul mercato e della distruzione degli esemplari non più idonei alla circolazione. Per la gestione del contante abbiamo a che fare direttamente con le banche e le poste, ma anche e soprattutto con società di servizi che svolgono presso di noi le principali operazioni di introito, esito e cambio banconote per conto degli istituti di

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credito. Su queste società di servizi la Banca d’Italia svolge un’azione di normazione e di controllo ispettivo. Sanzionatorio, in qualche caso. In quali casi? Queste società non hanno la professionalità tipica del mondo bancario, quindi hanno bisogno di darsi un'organizzazione che preveda rigidi controlli interni: su questo fronte devono perfezionarsi. Devono garantire trasparenza e correttezza delle procedure nel ricevere il denaro, esempio dalla grande distribuzione, nel selezionare gli esemplari e nel reimmetterli in circolazione. Devono portare in Banca d'Italia o le eccedenze che le banche ritengono di dover versare sui loro conti di gestione, o gli esemplari logori, che noi esaminiamo e successivamente distrug-

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giamo. O rimettiamo in circolazione. E ricevono banconote «fresche». Sì, fresche di stampa o verificate dalle nostre macchine selezionatrici. Fisicamente, dunque, nella vostra filiale c'è un grande quantitativo di contante. I volumi sono significativi, certo. Ma per motivi di sicurezza non posso dire quanto. Conti che abbiamo dei macchinari che in teoria sono in grado di selezionare fino a 40mila biglietti all'ora. L'analisi economica e la rilevazione statistica locale è in mano alla sede regionale di Milano, giusto? Sì, ma la vicinanza al territorio che la Banca d'Italia ha mantenuto tra i suoi valori e la forte scolarizzazione del personale assunto soprattutto negli ultimi tempi fa sì che


Milano si avvalga, come valore aggiunto, del nostro aiuto sul territorio bergamasco. Si tratta di fare interviste a campione alle aziende, ricevere i dati e metterli a disposizione, con un apposito database alla Sede di Milano, che predispone, tra l’altro, le note congiunturali regionali. Alcune volte le abbiamo anche presentate ufficialmente a Bergamo. Le banconote false sono facilmente individuabili? Quelle sospette ci vengono presentate direttamente dal sistema bancario, quindi il primo filtro viene fatto a quel livello. Arrivano banconote false talvolta molto ben fatte, anche se conoscere gli elementi di sicurezza insiti nei biglietti permette sempre di individuarle. Queste conoscenze cerchiamo di diffonderle tra i cittadini, un po' arricchendo la cultura di base dei ragazzi, attraverso le scuole e l'educazione finanziaria, e un po' rivolvendoci direttamente agli adulti. In quali occasioni? L'introduzione di nuove banconote, ad esempio. Abbiamo cominciato il rinnovo delle serie con 5 e 10 euro; quest'anno, dal 25 novembre, tocca al 20. In prossimità di queste emissioni, facciamo opera di divulgazione delle caratteristiche della banconota in ogni modo possibile. L'anno scorso per il 10 euro partecipammo ad Arketipos, a

BergamoScienza, alla Millegradini, alla Fiera Campionaria. Quest'anno saremo ancora a BergamoScienza, iniziativa che apprezzo particolarmente, con dei laboratori per illustrare la tecnologia che sta alla base della banconota. Insistiamo sulle caratteristiche di sicurezza, insegnando come riconoscere le banconote false. Metteremo anche in funzione le macchine che usiamo per selezionare le banconote. Come si riconosce un falso? Innanzitutto bisogna toccare attentamente, percependo al tatto la ruvidità della carta, fatta di fibra di cotone, e la calcografia, ovvero le lineette sulla bande laterali e sui simboli centrali. Poi c'è il filo di sicurezza, e l'ologramma con inchiostro variabile, che diventa verde smeraldo muovendo la banconota. I falsari si sono avvicinati agli originali, ma il pubblico attento si accorge della differenza. Novità del 20 euro? Una speciale finestra, attraverso la quale si vede l'effige di Europa da entrambi i lati. Del resto è il taglio più diffuso e anche il più falsificato, il 20 euro, e meritava maggiori aspetti di sicurezza. Per il 5 e il 10 si era badato invece a salvaguardare la durata nel tempo. Per far conoscere il 20 euro, la Banca d'Italia nel mese che precede il 25 novembre ha programmato le "Giornate della banconota": apriremo alle scuole la

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filiale nei giorni della settimana. Verranno anche mostrati i bozzetti fatti in occasione del concorso per studenti "Inventiamo una banconota", vinto – nella prima edizione - dal liceo Manzù di Bergamo. Quanti biglietti falsi sono stati intercettati nel 2014? Centosettantamila, in Italia. Poca cosa se si considera che in Italia circolano banconote per 142,2 miliardi di euro, e che in totale sono stati stampati 82 miliardi di banconote di Euro. Torniamo all'educazione finanziaria. Prevista dal Protocollo d’intesa Banca d’Italia Miur del 2007, rientra a pieno titolo in quell’impegno di responsabilità sociale che da tempo alcune banche centrali dell’Eurosistema hanno assunto come obiettivo. In virtù di tale Protocollo, svolgiamo un ciclo di incontri - su materie che vanno dalla moneta al sistema bancario e finanziario alla stabilità dei prezzi – rivolto essenzialmente ai docenti, non direttamente gli studenti. Formiamo i formatori. L'educazione finanziaria è affidata essenzialmente alla sede regionale che, grazie anche alla professionalità del personale presente nelle filiali periferiche e al fine di avvicinare meglio e di più la popolazione scolastica, viene svolta anche con l’ausilio delle altre filiali presenti in regione, coordinate dalla filiale capoluogo. Con le "Giornate della banconota" aprite il palazzo al pubblico. Ma non è la prima volta. Infatti. Quando ci siamo resi conto del valore di questo edificio, che ha pure una discreta collezione di opere d'arte al suo interno, l'abbiamo aperto alle giornate del Fai. In quell'occasione una geologa dell'ateneo ha tenuto una conferenza sulla tipologia delle pietre di cui è fatto l'edificio. Di estrema qualità anche la cancellata: abbiamo fatto dipingere quella attorno al giardino e restaurare quella che dà sulle scale. C'è anche una leggenda sulla cancellata: durante l'occupazione nazista, per timore che venisse requisito il ferro per farne armi, il direttore la fece sostituire momentaneamente con una di legno. Nel giardino c’è infine una statua dello scultore bergamasco Aiolfi che rappresenta il ratto di Europa. Lei vive a Bergamo? Ho in Bergamo un alloggio che occupo durante la settimana; la mia famiglia risiede a Milano. E il venerdì sera ci ritroviamo a casa.

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Oreste Castagna: 30 anni di Rai

Da «Cartoni Magici» con Elisabetta Gardini nel 1985 fino ai successi odierni su YoYo e Gulp: «Gipo è diventato il personaggio di punta dei canali per ragazzi»

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utti i bambini lo amano. Perché in trent’anni di Rai ha contribuito a rivoluzionare la programmazione per ragazzi partendo da un fertile territorio creativo, fatto di manualità e invenzioni, che attinge al miglior teatro di settore. E ora, a 56 anni, ha coronato un sogno: diventare papà. Ed è raggiante. Oreste Castagna, in arte Gipo, si racconta. Partiamo dall’inizio: che scuola hai fatto? Il perito elettronico, assolutamente costretto dal papà, visto che non c'entra niente con la mia vocazione. L'inclinazione alla recitazione viene invece da mia madre. Una volta diplomato mi sono iscritto all'università, passando alle discipline umanistiche:

Lingue e letterature straniere, optando per russo e inglese. Ma ho fatto un esame in quattro anni. Quale? Storia del teatro, con un docente speciale: Benvenuto Cuminetti. L'università mi è servita come palestra per questo mestiere: facevo spettacolini. Per mantenermi vendevo panini alle studentesse fighette: al mattino compravo tre etti di crudo, il pane e facevo i soldi. Poi mi son messo a vendere di tutto e di più. Un giorno io e Pietro Ghislandi ci siamo imbattuti nella scuola di Teatro delle Grazie, diretta da Umberto Verdoni. Una cosa magica. C'era quel sapore, una volta, dell'avventura

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di Emanuela Lanfranco

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e della gloria. Ci siamo iscritti e l'abbiamo frequentata. E come è diventata una professione? Un giorno Umberto mi disse: perché non provi a fare questo mestiere? Io per guadagnare qualcosa stavo facendo lavori tipo il guardiano della capanna di Gesù Bambino, sul Sentierone, e ho accettato. Abbiamo messo assieme un gruppo di cabaret, "Quelli del Bunker", e Verdoni lavorava con noi. Lui, tra l'altro, è stato il primo in assoluto a portare il teatro per ragazzi a Bergamo. Avete cominciato a fare spettacoli nei locali. Sì, nelle discoteche soprattutto. Ci ha preso in agenzia Lorenzo Suraci, che poi ha dato vita a Rtl. Una sera ci becca Marangoni, mitico impresario di Grillo, Faletti, etc. Lì è nato un po' tutto. Eravamo bravini e ci hanno mandato da Zuzzurro e Gaspare, per cui scrivevamo i testi. Con i nostri spettacoli facevamo cose gloriose, tipo partire in quattro in Cinquecento e andare in giro per l'Italia. Matti. Un giorno facciamo uno spettacolo all'Adso da Melk, in Città Alta, e fra il pubblico c'è Bruno Bozzetto, che continuava a ridere come un matto. Cosa vi ha detto? «Guardate che domani c'è un provino a Roma per un programma». Con Pietro prendiamo la famosa Cinquecento, ci avremo impiegato duecento ore ma siamo arrivati. La cosa tenera è che davanti al cavallo di via Mazzini, nelle aiuole, facevamo le prove con la gente che rideva. Facciamo il provino, con noi che non capivamo più niente per l'emozione di girare tra telecamere e studi televisivi. C’era anche Elisabetta Gardini. I cameramen ridevano, che è sempre un buon segno, e il regista ci disse: ci vedremo presto. Però noi non ci si credeva. Andiamo a casa con quella forza della vita che solo i giovani hanno. Due giorni dopo ci chiama Gabriella Carlucci, che all'epoca era in redazione, e ci disse: vi hanno preso per un programma. Che hanno era? Il 1985. Ci prendono, e la prima domanda mia è stata: ci date da mangiare? Sì, e da dormire? Pure? Noi eravamo abituati ai divani delle discoteche, quindi questo era lusso. E la macchina? No, venite in aereo. Poi la Carlucci aggiunge il classico «volete del tempo per pensarci?». Figurarsi, abbiamo accettato subito. Ci facevamo voler bene, eravamo dei ragazzotti semplici. Abbiamo

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fatto tre edizioni di «Cartoni Magici», con direzione artistica di Bruno Bozzetto e sigle di Paul McCartney, per un totale di circa mille puntate. C'era anche Elisabetta Gardini. Ci mandavano a far le riprese nelle varie sedi Rai: Cagliari e Milano, oltre a Roma. Lì incontravi grandi personaggi. Tipo? Nilla Pizzi, per esempio. Alla fine di questo ciclo ci hanno offerto di fare tre film sui carabinieri, con Laurenti, che abbiamo rifiutato. Siamo tornati a casa, ed è stato l'errore della nostra vita: quei film ci avrebbero preparato a fare altro. Poi cos'è successo? Pietro ha preso la sua strada e io ho fatto un ciclo di «Sereno variabile» con le interviste impossibili: Garibaldi, Mazzini, San Francesco. Interpretavo i personaggi. Lì è cominciata la mia ascesa. Per caso mi sono ritrovato nella tivù per bambini, perché il nostro cabaret, un po’ volgarotto, non era stato apprezzato per la televisione. Ho cominciato subito a fare «L’albero azzurro» come voce di Dodò. Era il 1990. È stato un momento magico della mia vita, perché in quel contenitore si ritrovarono molti grandi intellettuali italiani: il programma l’ha voluto direttamente Enzo Biagi, che ha radunato una serie di grandi autori. Perché Biagi? Era un grande nonno, in Rai. Comandava, intellettualmente, e continuava a dire che mancava una vera tivù per i ragazzi. Hanno chiamato tutti i migliori professionisti del teatro del settore. Il programma ha ricevuto anche la benedizioni di Munari. Per quanto hai fatto Dodò? Dieci anni, in corso Sempione, a Milano. Una vita. Poi a un certo momento il caso ha voluto che è mancato un personaggio: così è partito Gipo. Lì è stata la svolta, nel 2000. È diventato il personaggio di punta dei canali per ragazzi come Rai YoYo e Rai Gulp. Il nostro direttore si chiama Massimo Liofredi, bravissimo, ex direttore di Raidue. Gipo pian piano è cresciuto e cresciuto: ora conduco «L'albero azzurro», un programma mio che si chiama «Le storie di Gipo» e «Buongiorno YoYo». Tre programmi di punta, in sostanza, e l’anno prossimo ci sarà lo stesso ciclo. Con me scrive Silvia Barbieri. Come vanno gli ascolti? Rai YoYo fa dei numeri mostruosi, è il canale per bambini più amato in Italia, e premia-

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tissimo in Europa. La notizia fresca è che un mese fa ho preso un premio importantissimo direttamente dalla Presidenze della Repubblica e dal Moige, Movimento Italiano Genitori: Miglior Programma Europeo per l'infanzia, conferito da Pupi Avati. Siete presenti anche all'Expo. Ogni giorno facciamo una sfilata-spettacolo per i bambini. Siamo anche stati chiamati dal Papa per fare la festa della famiglia, la festa dei nonni, la festa del papà. Un grande onore. Lui è molto attento a questi programmi, e ci ha scelto proprio per la nostra valenza formativa. Hai mai lavorato per Mediaset? Mai, neppure una volta. Altro? Abbiamo tantissime collaborazioni, come con lo Zecchino d’Oro. E nel frattempo proseguo con la mia carriera teatrale, e con la fiera Lilliput. Ecco, parliamo del teatro. Porto sempre in scena il ciclo di Oscar Wilde: «Il Principe Felice», «Il gigante egoista» e «L'usignolo e la rosa», tre fiabe meravigliose. Faccio le solite tournèe, con esibizioni anche per fini solidali, come per Emergency. Parliamo della tua esperienza alla Versiliana. C'è stata una vicenda pazzesca che nessuno conosce: i bambini di Stazzema. I nazisti uccisero tutti i bambini di un villaggio vicino a Massa Carrara. Ogni anno, per ricordare l'eccidio, viene fatta una manifestazione internazionale che si chiama "I colori della pace". Quest'anno ci hanno chiamato per raccogliere fondi per i problemi legati al mondo dell'infanzia. E con le nuove tecnologie? Beh, abbiamo iniziato un'attività web importante con Toquinho: si tratta di creare delle attività legate alle sue canzoni. Altre novità? Per restare nella Bergamasca, sto collaborando con la E-venti. Stiamo curando molto l'area nonni, portando i bambini e le scuole negli ospizi. Ho fondato con Elisabetta Lanfranchi un'associazione che si chiama Edufactory, che si occupa proprio di attività culturali per l'infanzia. Veniamo alla vita privata. Sei diventato papà di recente: come si chiama tuo figlio? Francesco Noosale, che in dialetto Udu, nigeriano, vuol dire affidato a Dio. Mia


moglie si chiama Benedetta, è appunto nigeriana, e ha 34 anni. Sta iniziando anche lei a fare questo lavoro, di animazione per i bambini. L'ho conosciuta a Bergamo. La cosa mi ha cambiato tantissimo: diventare papà è così. Certo, ho già 56 anni, quindi ho calcolato che non vedrò mio figlio in

tutti gli stadi della sua vita. Una bella sfida. Ne avevo voglia. Andarlo a prendere all'asilo, riscoprire il mondo con lui, portarlo agli spettacoli. Una bella vita. Lo vedi che cresce curioso e pieno di stimoli, in mezzo a un sacco di gente, con gli attori che se

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lo passano uno con l'altro. E lui continua a ridere. Ha un bel carattere. Sì. è curioso e pacifico. Osserva attentamente. Del resto il teatro è pieno di colori. E mia moglie mi segue sempre. Insomma, è un momento di grande felicità.

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«Stadio, partita che va chiusa»

L’assessore Valesini: «Ottima la soluzione di ristrutturare l’attuale impianto, puntando sulla riqualificazione del quartiere». «Bergamo non vuole edifici alti: da amministratore accetto il sentimento prevalente in città»

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na città che cambia. Impianti produttivi che si svuotano in attesa di nuovi usi, servizi che variano per l'accrescersi di alcune necessità generate da turismo e progresso tecnologico, un mercato immobiliare in crisi da troppi anni, l'Amministrazione pubblica alle prese con un patrimonio da valorizzare e far fruttare. Con i soldi a disposizione che sono sempre meno. Sono alcune delle sfide con cui si confronta Francesco Valesini, ora assessore a riqualificazione urbana, edilizia pubblica e privata, patrimonio immobiliare, in precedenza presidente dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Bergamo. Partiamo dal corso urbanistico di

Bergamo fino all'insediamento della vostra Giunta: cosa andava bene, e cosa no? I fenomeni della trasformazione della città non hanno un unico responsabile. Sono complessi, con molte variabili in campo, che vedono un ruolo importante da parte dell'Amministrazione pubblica, ma anche dei soggetti privati, degli istituti di credito, delle condizioni demografiche ed economiche del sistema Paese. La crisi epocale che stiamo vivendo, soprattutto, ha condizionato il ragionamento sulle condizioni per la trasformazione della città in questi anni. Ciò che forse negli anni passati è mancato è che quel poco su cui si poteva ragionare doveva avere una guida più determinata,

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di Fabio Cuminetti

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più convinta, più trainante. Una mancanza che stiamo cercando di colmare. Qualche esempio concreto? Il modo con cui è stato gestito l'accordo con Cassa Depositi e Prestiti è un esempio di come comunque ci si è messi al tavolo volendo assecondare sì i progetti e le giuste aspettative di quella società, ma tutelando gli interessi della città. Non solo dunque facilitando la trasformazione degli ospedali per accogliere la sede dell'Accademia della Guardia di Finanza, ma anche mettendo in campo un progetto di riqualificazione come quello della Montelungo partendo da una destinazione pubblica, qual è quello dell'U-

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niversità, e facendolo avendo chiaro il fatto che questi interventi sono ben bilanciati su Bergamo, sia a ovest che a est. Che tempi potrebbe avere la riqualificazione degli ex Riuniti? Gli interventi sono due. Il primo dovrebbe arrivare a risolversi per la fine 2017-inizio 2018, il secondo step che si pone come orizzonte il 2021, data in cui dovrebbe entrare pienamente a regime tutto il complesso dell'Accademia. Cosa se ne farà della vecchia sede? E' di proprietà di un fondo privato. Si apre un progetto residenziale che, nella sua realizzabilità, andrà misurato con le condizioni

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del mercato. Parliamo invece della Montelungo. Stiamo completando le fasi del concorso internazionale. Ora si è chiusa la prima fase e a fine novembre ci sarà l'esito con il vincitore. Per i primi del 2016 dovremmo arrivare a sottoscrivere l'accordo di programma che andrà a sancire la definitiva cessione dell'ex caserma al Comune - è della Cassa Depositi e Prestiti - e definire poi i rapporti tra Comune e Università. A seguire, la definizione dei passi successivi e l'apertura del cantiere nel 2017: lì entriamo però in logiche di investimenti che riguardano l'Università, che faremo di tutto per mettere nelle migliori


condizioni per agire. Del resto l'Università, se ha sottoscritto quell'accordo con impegni ben precisi, non l'ha fatto di certo a caso. In occasione della sua elezioni a presidente dell'Ordine degli Architetti, nel 2012, aveva espresso dei dubbi sulla qualità dei lavori di ristrutturazione della Carrara. Si è ricreduto? Penso di non dire niente di nuovo se faccio notare che i lavori di ristrutturazione esterna hanno avuto qualche problema e anche qualche intoppo: lo dimostra la durata del cantiere. Devo dire che i lavori fatti all'interno, di allestimento e poi di carattere museografico, per la straordinaria ricchezza della collezione pittorica, hanno ampiamente saputo superare alcuni limiti dell'esterno. Faccio notare che, nella mia critica, mi riferivo non tanto al fronte sulla

piazza, che è stato un intervento di restauro filologico vero e proprio, ma a quello verso l'Accademia di Belle Arti, quindi con un impatto più limitato. Da quel lato sono stati inseriti dei volumi nuovi, come quello delle scale, non all'altezza dell'importanza dell'edificio e dell'istituzione. Tutto ciò, ripeto, è stato ampiamente compensato da quanto fatto successivamente. E tornare a visitare quella collezione, al di là di ogni dato architettonico, ci ha fatto capire quale ricchezza straordinaria sia per la città l'Accademia Carrara. E' in costruzione il nuovo Palaghiaccio nell'area ex Gres, tra via San Bernardino e la circonvallazione: quando sarà pronto? Innanzitutto ricordo che si tratta di un servizio privato, su area privata, convenzionato a uso pubblico. L'area è di proprietà

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di Italcementi, che ha voluto festeggiare i suoi 150 anni di storia con un'opera a servizio della cittadinanza. L'intenzione della società era di arrivare all'apertura a ottobre ma, come spesso succede sulle aree dismesse, si è andati incontro a problemi relativi alla bonifica, di primaria importanza. La partenza degli scavi è partita in ritardo, ma per fine anno l'opera dovrebbe essere inaugurata. Stadio: è stato rinnovato il contratto d'affitto, con opzione per l'acquisto da parte dell'Atalanta tra 5 anni. Sarà un'ottima soluzione nel momento in cui la vedremo realizzata. La città ha bisogno di chiudere questa partita che va avanti da 25 anni. La tendenza di questi anni, con stadi che vanno a ridurre i posti a sedere, migliorandone però la visibilità,

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mi sembra che consenta di pensare come sia una buonissima soluzione ristrutturare l'attuale impianto, puntando anche alla riqualificazione del quartiere. Inoltre ridimensiona gli investimenti, cosa che oggi va tenuta presente, e evita nuova edificazione. La società procederà all'acquisto, dunque? Nelle ultime dichiarazioni ho visto il presidente Percassi determinato come solo lui sa essere. Da parte nostra vogliamo far arrivare un segnale molto chiaro di piena disponibilità rispetto alla ristrutturazione. La vendita, però, dovrà necessariamente passare da una gara di evidenza pubblica. Le opzione per spostare lo stadio fuori dai confini comunali, o comunque in periferia, sono sfumate. Sì, anche perché richiedono investimenti oggi poco probabili. E poi è maturata una sensibilità diversa rispetto ad alcuni temi, come il consumo di suolo. È vero che si può immaginare all'interno di un'area dismessa, ma si tratta di un impianto che

richiederebbe poi urbanizzazioni pesanti, impattanti e costose. E' soddisfatto della nuova veste del piazzale della stazione? Penso sia un buon progetto, costato 300mila euro al Comune, a fronte dei 5 milioni del progetto precedente di riqualificazione. L'obiettivo che ci eravamo posti, ovvero quello di completare e migliorare quel senso di anomia, di qualcosa di non risolto, con la fontana che sembrava piombata lì per caso, senza un minimo di gerarchia. C'era spaesamento. Con tutta una serie di paletti non indifferenti - senza demolizioni, incrementando il verde -, credo che il progetto abbia centrato il bersaglio. Manca l'ultima parte: il padiglione che ospiterà lo Iat. E' un elemento importante perché tridimensionale, mentre oggi la piazza ha ancora una lettura quasi bidimensionale, con il grande abbraccio assicurato dalle vasche di verde attorno alla fontana. Ora ci sono polemiche per la frequenta-

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zione della piazza. Non si può chiedere all'architettura di risolvere questo genere di questioni. Posso dire che è stata implementata l'illuminazione, ma altri problemi annessi sono di natura più complessa. Non si può pensare a uno spazio tipo "ora d'aria": piatto, controllato, ben presidiato. La città non si può costruire secondo questa logica. Veniamo all'altezza dei palazzi: Bergamo di grattacieli non ne vuol sapere. Io credo che l'edificio alto sia un elemento della città contemporanea, quindi da architetto mi verrebbe da dire che non se ne può prescindere. Poi, certamente, bisogna considerare aspetti culturali e di rispetto dello skyline, che possono rendere più o meno opportuno realizzare un edificio di questo genere. Ha anche degli effetti benefici, però, perché in una città molto satura come Bergamo, con 3mila abitanti per kmq, ha il pregio di liberare del suolo a terra. Un amministratore deve però saper accettare il sentimento di una città, che ha espresso in maniera prevalente il desiderio di non veder realizzati edifici più alti di sei-sette piani, soprattutto quando si va ad impallare la vista di Città Alta. Vero che in generale è l'Italia a non accettare di buon grado la costruzione di grattacieli. Anche a Milano, l'intervento in zona Garibaldi-Isola, pur parlando di una città metropolitana, è stato molto criticato. A me sembra oggi che Milano abbia acquistato una dimensione più cosmopolita attraverso questo intervento, complessivamente ben gestito. Lei è sposato? Sì, con due bambine, una di 11 anni e l'altra di 9. Dove vive? Nella prima parte di via Corridoni, zona Esselunga. Cosa le piace fare nel tempo libero, se ne ha? Premetto che continuo a lavorare, anche se in questo anno e mezzo in studio mi hanno visto molto poco, perché occuparsi di cose così significative per la città, come quelle concernenti il mio assessorato, mi rende difficile tornare a concentrarmi su altro. Nel tempo libero, quando non mi lascio assorbire dal divano, faccio sport: scio da sempre, e vado in bici. Tre anni fa ne ho presa una da corsa, ma quest'anno l'ho usata molto poco.

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I migliori talenti del 2015

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i terrà il 25 novembre prossimo la cerimonia di premiazione Luberg, nel corso della quale verranno conferiti i riconoscimenti ai migliori talenti dell'anno. Il 2015 ha rappresentato per l'associazione dei Laureati dell'Università di Bergamo un anno fondamentale per lo sviluppo del network relazionale e per la visibilità raggiunta attraverso le numerose attività promosse sul territorio. Anche quest'anno, in occasione della tradizionale cerimonia di premiazione, saranno nominati il laureato e i neolaureati dell'anno e verranno premiati i vincitori del concorso "Diventa imprenditore" e del concorso letterario 2015. CONCORSO DIVENTA IMPRENDITORE Il 21 ottobre prossimo, presso il C.LUB LUBERG di Palazzo del Monte, saranno premiate le migliori idee imprenditoriali per l'ambito "Servizi" che interessa le tematiche "Cultura/Turismo" e "Marketing/Comunicazione". Il concorso Diventa Imprenditore, realizzato con la collaborazione del Gruppo Lombardo dei Cavalieri del Lavoro, ha raccolto e valorizzato le proposte più innovative dei giovani imprenditori. Il concorso è stato infatti organizzato con lo scopo di valorizzare l'originalità, l'ambizione e l'intraprendenza delle nuove generazioni e contribuire quindi

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al rinascimento socio-economico della società. In occasione della cerimonia di premiazione di novembre sarà identificato il giovane imprenditore la cui idea sarà supportata dal Comitato Tecnico Scientifico dell'associazione nella ricerca di eventuali soci o finanziatori e nell'assistenza per la realizzazione del progetto. CONCORSO LETTERARIO Il concorso letterario, che lo scorso anno ha raccolto una nutrita adesione di partecipanti, è stato rinnovato anche nel 2015 per dare la possibilità a studenti e laureati dell'università di Bergamo di esprimere le proprie doti artistiche ed intellettuali. Il concorso si rivolge infatti ai soci LUBERG, ai laureati e agli studenti di tutti i dipartimenti dell’università di Bergamo che abbiano una storia da raccontare e desiderino confrontarsi con i docenti dell'ateneo cittadino. La giuria selezionerà una rosa di finalisti e, tra questi, identificherà i tre vincitori. I racconti dei finalisti saranno pubblicati in un volume edito da Sestante Edizioni. Ai vincitori verrà corrisposto un premio in denaro rispettivamente di 1.000 Euro al primo classificato, 500 Euro al secondo classificato e 250 Euro al terzo classificato. LAUREATO DELL'ANNO Sin dalla sua costituzione LUBERG ha posto nel suo programma di individuare e premiare un laureato encomiabile dell’U-

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niversità di Bergamo. L’assegnazione del premio alla carriera per il laureato dell’anno sarà effettuata tra i laureati che hanno raggiunto eccellenti traguardi professionali, distinguendosi per capacità e intraprendenza nei campi dell’industria, del commercio, della finanza, della Pubblica Amministrazione o del mondo Accademico. Le precedenti edizioni hanno visto l'assegnazione del riconoscimento a Maria Pia Locatelli, nel 2009, a Nino Di Paolo, nel 2010, a Massimo Von Wunster nel 2011, a Giovanna Ricuperati nel 2012 e a Filippo Stefanini nel 2013. NEOLAUREATI DELL'ANNO Il titolo di neolaureato dell'anno sarà conferito a tutti gli studenti (un laureato del dipartimento) che si sono distinti per un curriculum studiorum particolarmente brillante, per i risultati conseguiti nel corso di laurea, per l’originalità, per il rigore scientifico della tesi o per i tempi di conseguimento della laurea medesima. Lo scorso anno sono stati insigniti del premio neolaureato dell’anno gli studenti Mario Porzio (Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi), Martina Bruni (Lingue, letterature straniere e comunicazione), Michela Previtali (Giurisprudenza), Mario Carrara (Lettere e filosofia), Enrico Bacis (Ingegneria), Laura Celsi (Scienze umane e sociali).


*Golf di Mario Ugo Pasini Maestro di golf

L'etichetta del golf

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el golf, la parola”Etichetta” non deve far pensare a qualcosa di duro e rigido, ma a un insieme di comportamenti e azioni che ogni giocatore deve avere nei confronti del campo, degli altri giocatori e di sè stesso. Il rispetto dell'etichetta da parte di ogni giocatore permette a tutti di godere a pieno del percorso e/o della gara: con un minimo di attenzione si può imparare facilmente e dovrebbe diventare naturale per tutti. Sono da sempre convinto che, nel voler essere giocatori completi, la buona etichetta è importante quanto saper colpire la palla o conoscere le regole del golf. Rispettare il percorso significa mantenerlo in ordine e in buone condizioni. Se ogni giocatore fa la sua parte per quanto gli compete, il gioco sul campo avrà un'impatto meno negativo. Le principali azioni che il giocatore deve fare per rispettare il campo devono far sì che il tappeto erboso mantenga delle buone condizioni anche dopo aver giocato il colpo, i bunker siano giocabili per tutti e i green regolari. Praticamente se le zolle fatte con i bastoni vengono rimesse a posto schiacciandole con il piede, i bunker vengono rastrellati per livellare la sabbia dove si è giocato e calpestato, i segni lasciati dall'impatto della palla sul green vengono riparati, si è fatto tutto il necessario per rispettare l'etichetta e quindi il campo. Curare il campo è sicuramente importante, altrettanto lo è comportarsi bene

durante le fasi di gioco, non comportarsi bene può infastidire gli altri giocatori e magari rovinare la giornata a sè stessi. È buona norma rispettare il turno di gioco: sul tee di partenza deve giocare per primo il giocatore che ha fatto meno colpi nella buca precedente, mentre per tutti gli altri colpi deve giocare chi è più lontano dalla buca. Unica deroga viene fatta nel caso si sia vicini e si possa ”facilmente” finire la buca, chiedendo al giocatore che in quel momento ha il turno di gioco di poter chiudere. Se non si vuole infastidire chi sta giocando il colpo, sul tee di partenza ci si deve posizionare sempre a lato o dietro al giocatore, lontani quattro cinque metri, in modo da essere fuori dal suo campo visivo, stando fermi e in silenzio. Lungo la buca non ci si può posizionare tra la palla e il bersaglio. Sul green si deve evitare di posizionarsi sul prolungamento della linea del put oltre la buca. Il golf non è sicuramente una disciplina da giocare di corsa, ma neanche troppo lenta. Essere lenti può infastidire gli altri giocatori e far accumulare inutili ritardi, quindi il cercare di stare al passo con il team giova a tutti. Posizionare la sacca nelle vicinanze della palla permette di essere pronti al gioco, nelle vicinanze del green posizionarla all'uscita della buca verso la partenza successiva lo fa liberare più velocemente. Anche marcare lo score sul tee di partenza successivo fa risparmiare tempo. Un'altro modo per risparmiare tempo è quello di sfruttare i tempi morti, evitando

di disturbare chi sta giocando, scegliere il bastone o guardare la linea del put per essere pronti al gioco non guasta mai. Spesso ci si rilassa perchè il team che ci segue non è subito dietro di noi: ricordiamoci che il posto giusto sul campo è ”appena dietro al team che ci precede, non appena davanti al team che ci segue”! Se il team che segue è più veloce o si sta cercando una palla, lasciamolo passare. L'attenzione verso gli altri giocatori deve essere anche quella di mantenerli al sicuro dal contatto con una palla che sta volando fuori dalla linea scelta, avvisare gridando “fore” deve essere un obbligo quando una palla sta volando verso qualcuno o verso un punto cieco. Altra cosa molto gradita a qualsiasi giocatore è quando un compagno di gara dà un'aiuto nel cercare una palla che è finita in una zona del campo non visibile o che non si trova più. Infine, evitare, camminando sul green, di calpestare la linea della palla di un altro giocatore mantiene la superficie del terreno (normalmente più mordida) uniforme, permettendo alla palla di rotolare in maniera più regolare. Se siete giocatori esperti, facendo attenzione a questi suggerimenti, renderete la vostra giornata sul campo e quella dei vostri compagni di gara piacevole e tranquilla, mantenendo il campo in ordine, mentre se siete giocatori principianti abituatevi il più presto possibile a comportarvi correttamente verso i compagni di gioco, il campo e voi stessi.


*Cucina di Pierangelo Cornaro Chef Patron del Ristorante Colleoni & dell'Angelo (Bergamo)

L’autunno in cucina ha un grande protagonista: il tartufo, re dei tuberi

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alla metà inoltrata di settembre fino a dicembre nelle Langhe Piemontesi, nelle Marche ad Acqualagna, in Toscana, più precisamente a S. Miniato (AR) e in altri centri del Nord e centro Italia, si respira profumo di Tartufo. E in particolare quello del Tartufo bianco pregiato (tuber Magnatum Pico), più elegante e sommesso, sicuramente il top di questa prelibatezza, e quello del Tartufo nero pregiato (Tuber Melanosporum), un poco più tardivo, che trova a Novembre-Gennaio. La differenza tra i tartufi bianchi e quelli neri non sta tanto nel colore, quanto nel sapore che chiaramente ne influenza anche il sapore. Il tartufo nero sa di fogliame autunnale e di cantina, profumi preponderanti di questo periodio dell’anno in cui il sottobosco è ricoperto dalle foglie cadute. Il tartufo nero odora in maniera gradevole, quello bianco, invece ”puzza“ fortemente, ma è un profumo influenzato da molte velate sfumature così da risultare un aroma esaltante.

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Il tartufo nero si mangia sempre cotto e si usa come insaporitore in centinaia di ricette prevalentemente di origine francese (foie gras o nei patè). In Umbria nei pressi di Norcia, sua regione di elezione in Italia, il tartufo nero viene cotto alla brace bollente nappato di salsa al tartufo stesso ottenuta dagli esemplari più piccoli, prima grattuggiati e poi cotti con vino bianco o vino liquoroso, così da risultare uno dei cibi più saporiti, più semplici e più caro del mondo. Il tartufo bianco si serve solo crudo. Ha un gusto così forte da influenzare le papille gustative. Naturalmente sto parlando dei tartufi d’Alba o comunque italiani. Generalmente lo si consuma dopo averlo tagliato a scagliette sottili con il suo strumento apposito l’affettatartufi. Le lamelle di questa prelibatezza si adagiano su tagliolini, risotti, fondute di formaggio, carpaccio di fassona e uova, piatto principe dell’accostamento con il tartufo bianco. Per i francesi il tartufo nero del Perigord è il massimo. Per un italiano non c’è niente

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di meglio del Tartufo Bianco d’Alba. La stagione ottimale per il tartufo bianco è Ottobre-Novembre. Si cercano nei boschi oppure nelle radure a ridosso dei vigneti tra Piante di nocciolo, faggio,quercia e leccio, con cani addestratissimi, la maggior parte meticci, che però vengono contesi dai cercatori a suon di migliaia di euro. Il tartufo bianco in cucina si usa generalmente a temperatura ambiente. Lo si monda accuratamente, si spazzola a secco o si lava con vino bianco. Va affettato sottilmente ed aggiunto ad una qualsiasi pietanza che renderà squisita, divenenvi l’assoluto protagonista come nel casio di: risotto mantecato in bianco, tagliolini (nelle Langhe Tajerin) all’uovo con burro e parmigiano, fondute di formaggio Piemontesi, immerso nella bagna cauda, in aggiunta alle salse di cacciagione da penna (fagiano, beccaccia, pernice ecc...). Il tartufo d’Alba dona dignità anche a piatti come: costolette alla Milanese, filetto di manzo e naturalmente trionfo dei trionfi sulle uova cucinate in tante maniere (affogate con fonduta, all’occhio di bue con polenta, strapazzate cremose e chi più ne ha più ne metta). Il tartufo bianco, se affettato su piatti freddi (carpaccio, carne cruda all’Albese, carpaccio di capriolo), dovrà rigorosamente venire affettato a fettine più consistenti ed aggiunto sul piatto stesso dal commensale con l’apposito strumento. Il tartufo d’Alba è un grande fine pasto se afettato in abbondanza sui morbidi formaggi delle Langhe (Toma di Murazzano,Toma della Val Belbo ecc...).



*Motori Saul Mariani

Nuova Bmw X1: multi-talento urbano, piacere di guida senza limiti

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viluppata sulla piattaforma della Serie 2, la nuova generazione della Bmw X1 è proposta per la prima volta con la trazione anteriore, in luogo della posteriore, riguardo le versioni d’accesso. Ovviamente non potevano mancare le configurazioni a trazione integrale. Quest’ultima, l’ormai famosa Xdrive Bmw, è abbinata a motori trasversali e non più longitudinali, a pieno beneficio dello spazio a bordo. Senza ombra di dubbio la nuova Bmw X1 è esteticamente molto più azzeccata rispetto alla prima edizione. In dettaglio, il frontale è aggressivo grazie al “doppio rene” assai esteso, mentre le fiancate sono “muscolose” e presentano un accenno di X6 che non guasta affatto. Anche la parte posteriore è ben proporzionata e il design dei gruppi ottici è l’unico indizio circa l’appartenenza del modello alla famiglia Bmw Serie 2. Rispetto all’omonima progenitrice, la nuova Bmw X1 è cresciuta in altezza (più 53 mm) così da migliorare l’abitabilità. A tale riguardo, infatti, la posizione di seduta è nettamente rialzata (anteriore più 36 mm, posteriore più 64 mm) ottimizzando la visibilità. Nella zona posteriore, lo spazio per le gambe è cresciuto di 37 mm con l’equipaggiamento di serie e fino a 66 mm con l’optional divanetto posteriore regolabile. Il volume del bagagliaio è di 505 litri, superando il valore del modello precedente di 85 litri. Ripiegando lo schienale del divanetto posteriore, divisibile di serie nel rapporto

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40:20:40 e, a richiesta, regolabile anche in inclinazione, il volume del bagagliaio è ampliabile fino a 1.550 litri. Infine, per elevare ulteriormente la praticità, sono disponibili a richiesta lo schienale del sedile del passeggero ribaltabile e il divanetto posteriore regolabile di 13 cm in direzione longitudinale. Un altro sensibile passo avanti della nuova Bmw X1 rispetto alla generazione precedente, si riferisce alla qualità percepita. Questione di materiali morbidi al tatto anche in zone dove “non cade l’occhio”, nonché di particolari come le guide di scorrimento dei sedili anteriori ricoperte, citando due esempi lampanti. Infine, il design degli interni combina il tipico orientamento verso il pilota del cockpit, in perfetto stile Bmw, con tocchi stilistici

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inediti. Quanto ai motori, sono tutti turbocompressi, hanno potenze comprese tra 150 e 231 CV, a cui corrispondono consumi medi nel ciclo combinato da 4,1 a 6,4 litri per 100 km (109-149 g/ km di CO2). Più specificamente, vi è un 2.0 a benzina erogante 192 CV o 231 CV, mentre il 2.0 diesel sviluppa 150, 190, oppure 231 CV. Quest’ultimo nella variante con due turbocompressori. Infine, la trazione integrale si basa su un differenziale centrale a lamelle, mentre l’unico cambio disponibile è l’eccellente automatico a 8 rapporti. Le versioni con cambio manuale, abbinate alla trazione anteriore, arriveranno in un secondo momento dal lancio e verteranno sui 3 cilindri 1.5 turbo: ciclo otto a benzina da 136 CV e diesel da 116 CV.


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*Hair Style Laura e Ferruccio Galessi Hair stylist

Le tendenze del prossimo inverno

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'estate è solo un lontano ricordo. L'inverno si avvicina ed è arrivato il momento di darci un taglio e perchè no, cambiare totalmente look. Per tutta l'estate i nostri capelli sono stati esposti ai raggi del sole, all'acqua salata, al cloro della piscina... Hanno in un certo modo sofferto ed è proprio per questo che molte donne sentono la voglia, ma soprattutto l'esigenza, di rinnovarsi, nutrire e rinforzare i propri capelli con trattamenti ad hoc. Ma vediamo nel dettaglio quali saranno le tendenze che la faranno da padrone il prossimo autunno/inverno. Partiamo dal capello lungo. Bellissimo da vedere, ma difficile da curare e gestire. Senza ombra di dubbio, in questo caso, le scalature saranno le vere protagoniste, soprattutto per tutte quelle donne che vogliono ottenere un effetto vaporoso o meglio voluminoso. Tale effetto può essere accentuato anche grazie a piccoli ciuffi scalati e perchè no, anche con lunghe frange da portare da un lato o dall'altro del viso. Per quanto riguarda il capello corto invece, amato soprattutto da tutte coloro che hanno poco tempo da dedicare ai capelli e alla cura della persona, la sfilatura può essere una idea vincente per creare un volume naturale. Se si parla invece di colore e sfumature non mancano di certo le idee, anzi vi si apre un vero e proprio mondo, ci si può sbizzarrire in ogni modo. Sono sempre

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più numerose le celebrità di casa nostra e quelle oltreoceano che calcano il tappeto rosso con una chioma biondo platino che in questo momento è tra le tonalità più amate dalle grandi strar, anche maschili. Un colore d'effetto, adatto a tutte coloro che vogliono darsi un tono e stupire con stile. Questa gradazione di colore è ideale per tutte quelle che sentono l'esigenza di stravolgere il proprio look, anche se, devo ammetterlo, bisogna avere un carattere forte e deciso per portarlo con disinvoltura. Se parliamo di biondo, non possiamo trascurare l'ice blonde, adatto soprattutto a tutte coloro che hanno una carnagione pallida. Chiome biondo platino, o ancor più chiare, possono essere accompagnate da tonalità color pastello, come rosa o lavanda, studiate apposta per essere mixate con quelle biondo platino. Se invece volete un effetto più delicato, basterà applicare il colore solo su alcune ciocche o sulle punte... in questo modo la pelle risulterà più luminosa. Un'ottimo modo per riscaldare le fredde giornate invernali che stanno per arrivare. Ma il vero colpo di scena è il ritorno agli anni settanta, a quello stile ribelle e indisciplinato. Come raggiungerlo? Basta ricorrere al rosso rame. Caldo e sensuale, andrà ad arricchire le lunghe capigliature o anche le mezze lunghezze. In natura sappiate che è difficile incontrare una donna che abbia

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questo colore di capelli. Sarà forse per questo che la prossima stagione, il rosso ramato, tornerà ad essere protagonista. Per tutte quelle che invece non sono ancora pronte ad un cambiamento radicale, ci sono le sfumature dei marroni, con sovrapposizione dei nocciola, che regalano riflessi caldi che ricordano molto la donna mediterranea. Ma non siate timorose... i cambiamenti non devono farvi paura e se utilizzate prodotti validi, professionali, non correte alcun rischio... i vostri capelli sono al sicuro e non si rovineranno di certo perché fate una tinta o applicate un colore. L'importante è prendersene sempre cura, perchè sono la nostra immagine, il nostro biglietto da visita. Care donne, preparatevi dunque a stravolgere il vostro look.. e questo inverno non basterà un semplice colpo di spazzola o una messa in piega per farlo.


*Arte Mario Donizetti

Nuova tecnica per nuovi contenuti

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e novità tecniche sono determinanti per la trasmissione di nuovi e importanti contenuti. E come possa avvenire questo è detto brevemente: per tecnica non intendo la meccanica del dipingere, ma intendo il modo di usare la meccanica che modifica la tecnica la quale, così modificata, caratterizza nuovi contenuti. Sempre che, per “contenuti”, non si intendano tesi filosofiche (che appartengono alla sfera del comportamento morale) . I “contenuti” d’arte appartengono alla sfera delle perfezioni di una forma che sta in relazione di analogia ad una forma reale. I sette dipinti dei vizi capitali realizzati con il mio nuovo metodo del pastello encaustizzato hanno incontrato interesse. Ho comunicato tutti i particolari della trasformazione del classico pastello da tecnica fragile a tecnica di livello ( come quelle della tempera a tuorlo d’uovo, dell’encausto, dell’affresco ) anche a mezzo del sito internet www.donizettimuseoscuola.it . Questa divulgazione on line delle tecniche è realizzata anche attraverso filmati doppiati in lingua inglese. E ho riscontri che le nuove tecniche risultano di pratica utilità per le nuove generazioni. Quando sarà chiarito che ogni contenuto non può essere trasmesso senza forma tecnica, ossia che la forma non può che essere in rapporto di analogia con la forma della funzione di natura, le tecniche riassurgeranno a misura del bello artistico e, per questo, sarà nuova rinascenza.

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*Spiritualità don Giambattista Boffi Direttore Centro missionario diocesano

Giubileo: tempo di Dio

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iconsegnare la terra e l’uomo al mistero di Dio, sperimentare il dono della creazione e respirare la profondità della libertà: così il giubileo prende forma nella storia del popolo ebraico e attraversa il tempo fino a noi con Gesù di Nazareth, il compimento dell’ “anno di grazia del Signore”. Riconsegnare l’uomo all’esperienza dell’incontro con Gesù, con il racconto di parole e segni che hanno rivoluzionato il mondo, con la forza di un messaggio incontenibile e profondamente umano, nella riconciliazione tra il quotidiano e l’eterno, il particolare e l’universale. Riconsegnare l’uomo alla fede: questa la proposta che si manifesta nel tema della misericordia, così urgentemente necessario. Il rischio di esasperare la tecnica, assolutizzare il profitto, sfruttare le relazioni e tanto altro ancora sembra negare la possibilità di una convivenza umana dignitosa per ciascuno, libera e positiva per ogni popolo. E’ davanti alla complessa situazione del mondo che il Giubileo dice la sua positività e offre la capacità di guardare avanti, oltre la nube oscura di quella crisi che da qualche tempo si manifesta in tante precarietà e violenze. Ne soffre il singolo che sempre di più è schiacciato dalla voracità e ambiguità delle proposte, ne accusa i colpi la società civile che vede tramontare ideali di democrazia e buon governo nella cupidigia di chi si è

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accalappiato un posto di potere, ne soffre l’istituzione impelagata nella burocrazia e il carrierismo, sembra non ci sia scampo neppure per la famiglia. E la Chiesa, la Chiesa alla ricerca di un paradigma di azione pastorale pronto a dialogare con l’uomo e il mondo? L’impegno di un restyling non è sufficiente. Non si tratta di “esteriorità”, di accomodare qualcosa. Nella storia si perdono le contraddizioni più grandi. La freschezza dell’annuncio del Vangelo connivente talvolta con lo sfruttamento dell’espansione coloniale, ha dato anche frutti di santità e di vita, ha segnato il cammino di popoli e generazioni, ma nello stesso tempo ha ingabbiato la fede in istituzioni legate più all’interesse del tempo che all’annuncio dell’Eterno. Il Giubileo si affaccia alla soglia del mondo e della Chiesa come una provocazione. Accogliamolo così. Non puo’ che farci bene, credenti e no. “Agli uomini di buona volontà” è affidata la cura dell’uomo. Non importa da dove viene, diceva papa Giovanni, incrociando uomini di diversa provenienza, ciò che importa è “dove va”. Solo così, oltre ogni differenza di colore e cultura, storia e possibilità, il volto dell’uomo appare in tutta la sua luce e manifesta quel desiderio di “umanità” che ciascuno è chiamato a realizzare in sé per il bene dell’altro. Dove crede di andare un mondo organizzato dalla violenza? Dove si illude di abitare un uomo che costruisce muri e

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barriere? Come pensa di farcela chi crede di bastare a sé stesso? Lasciato a sè stesso l’uomo si abbandona all’individualismo e si lascia mangiare dal suo stomaco, dai bisogni più irrazionali, dall’ansia di sopravvivere. C’è un bene che abita ogni situazione della vita: il futuro. Quello che vai a costruire nel dare il meglio di quello che sei e di cui tutti sono capaci nella misura in cui combattono compromessi e intrugli, scappatoie e surrogati. Prendersi in mano: potrebbe essere questa la proposta “laica” del Giubileo? La luce della fede non fa che rendere più intensa questa consapevolezza per condurla al “martirio”. Sulla soglia del Giubileo la nostra Chiesa diocesana riceverà il dono della beatificazione di don Alessandro Dordi, prete diocesano crudelmente ucciso il 25 agosto 1991 a Santa, in Perù. Aveva scelto di custodire i poveri dalla strumentalizzazione dell’ideologia e dalla cupidigia dei violenti. Ha pagato con la vita la libertà e la non violenza. C’è un teologia del quotidiano che chiede piccoli e gioiosi martirii, si chiama testimonianza di fede e vita. Continuamente richiama il tempo di Dio dentro il quale viviamo. E, per favore, senza inutili paure!


*Poesia Federica Fioravanti

Le mie sensazioni le mie ansie, le mie paure, le mie gioie, la mia crescita... la mia vita.

Navigo Navigo dentro di me, nagli angoli più reconditi per cercare risposte a dubbi e curiosità che svelati mi cambierebbero la vita. Navigo dentro di me per cercare un porto sicuro dove riposare i miei occhi stanchi.

Lasciami andare Lasciami correre fra le isole della vita, senza far rumore perché nessuno se ne accorga. Lasciami correre fra le sensazioni della vita, senza essere travolta da un turbinio attorno a me. Lasciami correre verso il mio IO più profondo senza incastrarmi nelle anse buie del non capire. Lasciami andare Lasciami andare Lascia questa mano sempre presente Lasciami andare, ora, ora lasciami andare. Lasciami assaporare la leggerezza di un respiro impercettibile ma presente. Lasciami percepire la freschezza di un sorriso aperto sul mondo. Lasciami capire veramente come sono io la mia anima, il mio sentire, il mio vivere. Lasciami capire veramente cosa voglio io, io, l’IO mio. Lasciami al mio destino più intimo ad una incognita piena di speranza. Lasciami non ad un volo pindarico ma ad una consapevolezza di ciò che è e che sarà. Lasciami andare Lasciami andare Lascia questa mano sempre presente Lasciami andare, ora, ora lasciami andare

Sensazioni È nell'aria la voglia di provare sensazioni, d'assaporare ciò che ci circonda. Fermati e fatti accogliere Da questo abbraccio unico. Lasciati andare... Ora lasciati andare.

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*Cinema Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare

Pietro Bianchi

Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen

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ll’ultimo festival di Cannes è stato presentato fuori concorso “Irrational man”, il nuovo film di Woody Allen con Joaquin Phoenix, Parker Posey ed Emma Stone. Il protagonista è un professore di filosofia, che ha perso ogni interesse per la vita: lo ritroverà, dopo aver <fatto giustizia> in una triste vicenda, di cui è venuto casualmente a conoscenza. Non è noto lo sviluppo della trama. Certo è che si torna a parlare di delitti e castighi, il che ha rimandato inevitabilmente i primi commentatori a “Match Point”, il fortunatissimo film di Allen del 2005. “Match Point” è stato diretto 16 anni dopo “Crimini e Misfatti” (1989): non si può ragionare del primo se non si conosce il secondo. “Crimini e Misfatti” – tre candidature agli Oscar: regia, sceneggiatura e interprete maschile (Landau, eccellente) - è uno dei migliori film del regista newyorkese, un autentico manifesto dell’Allen-pensiero, un perfetto mix fra dramma e commedia, ricco di riflessioni e di battute: comiche (“L’ultima donna in cui sono stato dentro è la Statua della Libertà”), geniali (Halley/Farrow restituisce a Cliff/Allen una lettera d’amore da lui scritta quando ancora sperava in una loro storia; lui si schermisce e, per mascherare la delusione, conclude: “L’avevo plagiata da James Joyce: ti avranno stupito tutti quei riferimenti a Dublino”), amare (“La felicità umana non faceva parte del disegno della creazione”). Come accennavo, anticipa “Match Point” introducendo a lato della commedia, una trama gialla e drammatica, che il film successivo riprenderà, arricchendola e perfezionandola. Avendo già detto tutto nel film dell’89 e non avendo negli anni cambiato idea, con l’opera del 2005 Allen ha potuto concentrarsi sulla scrittura della storia, più strutturata e credibile (penso, in particolare, alle inevitabili tracce della relazione, che indirizzano l’indagine della polizia), senza deviare su altri ragionamenti; si

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è autoescluso come attore, ha scelto due interpreti dalla forte carica erotica (Jonathan Rhys Meyers e Scarlett Johansson), ha aumentato la tragicità della vicenda, implicando in prima persona il protagonista nel piano delittuoso e aggiungendo un secondo efferato omicidio per mascherare il movente. E ha puntato, infine, sul peso determinante del caso e della fortuna, appena accennato nella precedente opera (“Un pizzico di fortuna è il più brillante dei piani”). Ne è nato, come è noto ai più, un thriller avvincente, con un sorprendente finale, che Allen stesso ha sempre e da subito ritenuto perfettamente riuscito. Anche “Crimini e Misfatti” parla di un delitto, più o meno determinato dallo stesso movente, che rimarrà, come in “Match Point”, impunito. Il protagonista è Judah Rosenthal (Martin Landau), un non più giovane oculista di enorme successo, dedito alla filantropia, un’immagine inappuntabile di marito e padre. Il film si apre con una serata in suo onore, ma mentre il presentatore si protrae in sperticati elogi, lui si mostra imbarazzato e nervoso. Il fatto è che, poco prima della serata, ha intercettato una lettera indirizzata alla moglie dalla sua amante (Anjelica Huston), decisa dopo due anni di vane speranze a rivelare tutto alla rivale. Dolores, l’amante, è ormai fuori controllo, isterica, a suo modo disperata. Judah, ebreo senza fede nonostante una forte educazione religiosa, cerca consiglio da un rabbino suo paziente, ma la situazione sta per precipitare: Dolores, infatti, minaccia di denunciare anche alcune irregolarità finanziarie, che potrebbero macchiare indelebilmente la sua onorabilità. L’oculista a questo punto ne parla con il fratello, vissuto sempre ai margini della legalità, e accetta infine che certi amici di lui risolvano l’incomodo. Dolores verrà uccisa, simulando una rapina, e Judah, dopo iniziali rimorsi e crisi di panico, rimasto impunito (del delitto viene accusato un vagabondo), ripren-

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derà la sua vita come se nulla fosse successo. Parallelamente a questa vicenda se ne snoda un’altra, caratterizzata dai toni più leggeri della commedia. C’è Cliff (Woody Allen), documentarista impegnato e spiantato, in crisi matrimoniale, convinto dalla moglie ad accettare di dirigere un documentario sulla carriera del cognato Lester, un ricchissimo produttore televisivo (Alan Alda), che proprio non sopporta: il classico trombone, pieno di sé e di donne facili, che oltre tutto ha messo gli occhi su Halley, un’inviata della produzione (Mia Farrow), di cui anche Cliff si sta invaghendo. Mentre questa parte della storia si dipana fino all’inevitabile fallimento di Cliff (monta scene non autorizzate, paragonando Lester a Mussolini, e finisce licenziato; Halley accetterà la corte del produttore), il film discute con profondità e levità allo stesso tempo, sotto la garanzia della consueta intelligenza alleniana, di Dio e di religione, di crimini e di punizioni, di legge e di giustizia, di pentimento e di perdono, di amore e di vita coniugale, del mondo dorato dei ricchi e della realtà ben più sporca di tutti i giorni, di autodeterminazione e di etica. Nel nichilismo e nell’ateismo di Allen, in questa esistenza senza Dio e senza senso, l’uomo può porre un argine alla spietatezza del mondo privo di valori solo con le sue scelte morali e solo così può ambire ad una vita dignitosa – se si vuole, cristiana - e a proporre alle future generazioni modelli di comportamento retti. Senza illusioni, senza l’idea di un Dio che tutto vede e che punisce solo i malvagi (il tema della vista è centrale nel film), ma anzi con una presa d’atto che il nostro mondo è pieno di storie agghiaccianti, che il delitto può pagare e che il lieto fine, forse, lo si trova solo al cinema. Tutto discutibile, per carità, ma trovarne di film così pieni di stimoli e di ragionamenti intriganti sull’uomo e, quindi, su noi stessi.


Le vitamine della città Una nuova videoproduzione firmata Teamitalia srl per Bergamo Mercati racconta l’anima viva e brulicante del mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Bergamo, eccellenza del territorio. Ogni sera, mentre la città a poco a poco si assopisce, c’è un luogo di Bergamo che vive un’esistenza segreta, sconosciuta ai più. Al chiarore della luna e dei neon, accompagnata dal rumore dei motori e delle prime, sporadiche voci, inizia l’attività di Bergamo Mercati. Alla sbarra d’ingresso s’accodano camion che portano carichi di frutti succosi e verdure colorate, concentrato di profumi e sapori del mondo. La grande macchina logistica si mette in moto: precisione, efficienza, energia sono le chiavi del successo di questa realtà virtuosa della bergamasca. I numeri sono importanti: secondo solo a quello del capoluogo lombardo, nell’ultimo biennio l’ortomercato cittadino ha movimentato qualcosa come

340.000 tonnellate di merce. Con circa 500 addetti, 20 grossisti, 60 produttori e 1550 acquirenti registrati rappresenta per Bergamo una dispensa ricca, capace di nutrire oltre un milione di persone. “ Bergamo Mercati S.p.A. vuole offrire alla cittadinanza un servizio - dichiara il Presidente Renzo Casati - con l’impegno di renderlo sempre più adeguato alle necessità del consumatore. Per questo, accanto alla evidente funzione commerciale ed economica, non è da trascurare il ruolo sociale che riveste ”. Ecco dunque entrare in gioco il suo ruolo di calmiere dei prezzi, nell’incontro tra domanda e offerta, e l’impegno a tutela dei piccoli negozi di vicinato. 66

Raccontare questo piccolo grande mondo in un video, rappresentarne la complessità, esaltarne i valori. Teamitalia ha raccolto la sfida: “ Non sarebbe stato possibile spiegare a parole la qualità, la freschezza dei prodotti -afferma Claudia Sartirani, produttore esecutivo- e così abbiamo deciso, semplicemente, di lasciare che questi concetti emergessero da soli .” Il quotidiano svolgersi di attività attraverso modalità, tempi e dinamiche, che mettono la professionalità, l’innovazione e la salubrità al centro di ogni azione è stato così racchiuso in un cortometraggio e presentato per la prima volta al pubblico nell’ambito del Food Film Fest, il festival cinematografico dedicato al cibo e all’alimentazione.

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Giovanni XXIII, il parroco del mondo

A cinquant’anni dalla morte di papa Roncalli, oggi santo, il ritratto di un uomo dell’incontro e, insieme, di un diplomatico alla ricerca della pace su Rai 1 per il programma “Italiani”

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na vita da diplomatico durante tutto il Novecento, operando per la pace sui piccoli e grandi scenari del mondo. A 50 anni dalla morte di Papa Giovanni XXIII, il cammino di Papa Roncalli è stato ripercorso dal documentario di Antonia Pillosio “Giovanni XXIII - il parroco del mondo”, in onda venerdì 28 agosto alle 23.30 su Rai 1 per “Italiani”, il programma di Rai Cultura con Paolo Mieli. Angelo Roncalli, oggi Santo per la Chiesa cattolica, è stato un uomo dell’incontro e un diplomatico alla ricerca della pace. «Era un Papa anziano – spiega Paolo Mieli in apertura -, si pensava un Papa di transizione, invece impresse nella Chiesa una svolta davvero rivoluzionaria. Dimostrò una capacità rara di

dialogare con popoli che avevano altre religioni, con Paesi ostici per un missionario cattolico. La capacità di costruire una comunità laddove sembrava quasi impossibile. Sarà il Papa della sorpresa». Giovanni XXIII è stato Papa per meno di cinque anni, questo pontificato breve e di transizione - come lo avevano pensato i cardinali elettori nel conclave del 1958 - rappresenta però uno spartiacque nella storia della Chiesa. Il profilo diplomatico della sua azione, soprattutto per quanto riguarda la questione comunista e la Guerra Fredda, ha un significato particolare per l’incisività che lo ha caratterizzato e perché si fonda su una storia personale di “diplomazia pastorale” e di cultura dell’incontro. Il documentario è costruito sulla base di spunti biogra-

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fici inediti suggeriti in momenti diversi da Don Ezio Bolis, Direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, dal Cardinale L.F. Capovilla, suo segretario personale , dallo studioso Marco Roncalli, pronipote di Papa Giovanni XXIII e dal Cardinal Paul Poupard, testimone di quei momenti. Dopo brevi cenni ai primi, importanti passi del ministero pastorale di Roncalli a fianco del vescovo di Bergamo Mons. Radini Tedeschi, il filmato passa in rassegna la vita di San Giovanni XXIII. L’ampio materiale è stato opportunamente corredato da immagini, fotografie e spezzoni cinematografici provenienti dall’archivio della Fondazione Giovanni XXIII e dai contributi video delle Teche Rai.

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Malika Ayane in concerto al Creberg

Accompagnata da una «superband» di undici elementi, porterà in scena le novità dell’ultimo lavoro discografico «Naif», insieme alle sue canzoni più amate dal pubblico, il 16 ottobre in città

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ccompagnata da una «superband» di undici elementi, Malika Ayane - che ha aperto il suo 2015 conquistando il Premio della Critica al 65esimo Festival di Sanremo e il Disco D’Oro per il brano «Adesso e qui (Nostalgico presente)» tratto dall’ultimo album «Naif» (Sugar Music) - porterà in scena le novità dell’ultimo lavoro discografico insieme alle sue canzoni più amate dal pubblico il 16 ottobre al Creberg Teatro di Bergamo, e non mancheranno alcune sorprese pescate dal suo personale bagaglio musicale, rivisitate con lo stile unico e raffinato di Malika. Scritto e registrato tra Milano, Parigi e Berlino, «Naif» nasce dalla visione artistica di Malika Ayane e dal lavoro di scrittura musicale di uno straordinario

team di autori internazionali e italiani. Tra i primi Shridhar Solanki (già autore di hits per Carrie Underwood, Craig David, Natalie Imbruglia oltre che per diverse serie tv), l’autrice top seller canadese Simon Wilcox e il francese Françoise Villevieille, già metà del duo Elephant e a sua volta autore di hits per artisti del calibro di Vanessa Paradis. Tra i secondi alcuni tra i nomi più promettenti del momento (Giovanni Caccamo che firma il brano sanremese, Antonio Di Martino) accanto ad alcune certezze del nostro songwriting come Matteo Buzzanca, Bungaro, Cesare Chiodo. Insieme a loro, per il lavoro sui testi di Naif, Malika Ayane ha voluto accanto a sé Pacifico, dando un ulteriore seguito a una fortunata collaborazione iniziata

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ormai nel 2008 con «Sospesa» e che questa volta vede l’autore milanese firmare con lei tutte le canzoni dell’album. La produzione è affidata al talento di due straordinari musicisti internazionali come Axel Reinemer & Stefan Leisering, componenti del collettivo di dj e produttori tedeschi con base a Berlino Jazzanova, che hanno dato all’album un suono capace di mescolare pop e jazz, classicità ed elettronica, costruendo un mondo di riferimento per ogni canzone e un sound uniforme e caratteristico per tutto l’album. Malika Ayane è tra i grandi talenti di Sugar Music, l’etichetta indipendente che negli anni ha portato al successo Andrea Bocelli, Negramaro, Elisa, Raphael Gualazzi.

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Altri Percorsi, inaugurazione il 23 ottobre

Ghisalberti: «Ci piace poter ospitare un debutto nazionale "Due donne che ballano" di Veronica Cruciani, che vede in scena per la prima volta insieme Maria Paiato e Arianna Scommegna»

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arà uno spettacolo in omaggio alla Grande Guerra, di e con Mario Perrotta, ad aprire la stagione di prosa di Altri Percorsi del Teatro Donizetti di Bergamo, costituita da sette titoli che insieme propongono una visone originale del teatro contemporaneo, con attori e autori giovani come Marta Cuscunà o stelle come Maria Paiato e Arianna Scommegna, o ancora il ritorno del Teatro del Carretto di Lucca in omaggio a Benvenuto Cuminetti e una rassegna in tre titoli con Cèsar Brie. «È un 'ritorno al futuro' la nuova stagione di Altri Percorsi preparata da Maria Grazia Panigada - dichiara Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura, Turismo ed Expo

del Comune di Bergamo -. Uno sguardo attento alle origini della rassegna, arrivata alla 35esima edizione, per ritrovare quella spinta coraggiosa nel percorrere le strade nuove del teatro ed essere al centro di una rete di proposte che guardano alla ricerca e alla sfida dei linguaggi. Ci piace poter ospitare un debutto nazionale, "Due donne che ballano" di Veronica Cruciani, che vede in scena per la prima volta insieme due straordinarie attrici quali Maria Paiato e Arianna Scommegna. Per il teatro, ospitare le prove di un debutto significa poter convivere con il work in progress di un lavoro; per la città significa invece condividere un momento di produzione culturale che può uscire dai confini di Bergamo. La program-

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a cura della redazione

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mazione nasce anche per dare al Teatro Sociale una nuova centralità e, soprattutto, una linea artistica e una vocazione che ancora non aveva trovato da quando è stato, con lungimiranza, restituito alla sua funzione teatrale. Siamo onorati di ospitare, per la prima volta in Altri Percorsi, Cèsar Brie, a cui dedichiamo una personale con tre spettacoli; ci piace poi aprire la stagione ricordando la Grande Guerra, con uno spettacolo che ha appena debuttato riscuotendo notevole successo di critica e di pubblico». «Negli ultimi anni si è andata spegnendo la volontà iniziale di Benvenuto Cuminetti afferma il direttore artistico Maria Grazia Panigada -, di realizzare con Altri Percorsi una stagione, in parallelo a quella della

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prosa "maggiore", che fosse di ricerca, che fosse un luogo di elaborazione di pensiero e di condivisione per spettatori di generazioni diverse, per giovani pronti a vivere le messinscene non come obbligo scolastico, ma come possibilità di vivere un'esperienza in cui la città riflettere se stessa tramite il teatro. Nel presentare il trentacinquesimo anno di vita di Altri Percorsi c'è tutta l'emozione di una responsabilità e di uno stupore. Il teatro è emozione, l'atto teatrale diviene icona di corpi e voci che rimandano ad altro, ad un mondo interiore che anche nelle mille repliche o ripetizioni non è mai uguale a se stesso perchè ogni volta incontro unico ed irripetibile: di attori, di pubblico... Lo stupore del teatro sta nell'incontro diretto,

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immediato, che non si può rimandare, ma che sempre rievoca un altrove, assenza e presenza al tempo stesso». L'apertura, il 23 ottobre al Sociale, con «Milite ignoto quindicidiciotto», uno spettacolo tratto da «Avanti Sempre» di Nicola Maranesi e da «La Grande Guerra, i diari raccontano», un progetto a cura di Pier Vittorio Buffa e Nicola Maranesi per Gruppo editoriale L'Espresso e Archivio Diaristico Nazionale. Sul palco, solo, intensissimo, Perrotta diventa la solitudine e l'anonimato di quel dolorosissimo tempo di guerra: il milite ignoto. Se c o n d o a p p u n t a m e n t o c o n « D u e donne che ballano» il 24 e 25 novembre. In mezzo a queste novità, un ritorno


antico, «Iliade», da Omero, con la regia di Maria Grazia Cipriani (22 gennaio), le scene e i costumi di Graziano Gregori, una produzione Teatro del Carretto come omaggio a Benvenuto Cuminetti che la volle al Teatro Donizetti 25 anni fa. Quarto appuntamento (8 aprile all’Auditorium di piazza della Libertà), con «La semplicità ingannata» di Marta Cuscunà (co-produzione Centrale Fies e Operaestate Festival Veneto), attriceautrice giovane e talentuosa che presenta una storia di resistenza al femminile, storia di donne, di monache, che rivendicano il diritto di avere un cervello, un

corpo, un’identità propria nella libertà di pensiero e di critica con uno stile che ha un legame con quello del Teatro del Carretto nell’uso del teatro di figura come elemento che fa risuonare l’atto e la voce teatrale ed amplifica lo spazio dove realtà e poesia vibrano all’unisono. «La volontà. Frammenti per Simone Weil» (19 febbraio, produzione di Campo Teatrale e César Brie – spettacolo vincitore del bando “I teatri del sacro” 2014-2015) è il più recente lavoro di Brie, omaggio a Simone Weil, sua compagna di pensieri da diversi anni. «Ero» (23 marzo 2016, produzione Arti e Spettacolo e César

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Brie) è un sincero e profondo percorso nelle origini della propria esistenza, dove gli eventi autobiografici propri dell’autore e delle persone incontrate si fondono per restituirci pezzi di vita, di relazioni in cui possiamo riconoscerci e condividere insieme. La personale chiude con una regia di Brie per il Teatro Presente: in scena «La Mite» (15 aprile), ispirata al racconto omonimo di Fëdor Dostoevskij, scritto prima dei Fratelli Karamazov, ispirato a un fatto di cronaca che lo aveva molto colpito: il suicidio di una ragazza definito dai titoli dei giornali un “suicidio mite”.

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Cult

Malevič, grande mostra alla Gamec

Dal 2 ottobre al 17 gennaio la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea ospita un’importante retrospettiva dedicata al genio che ha attraversato uno dei periodi storico-artistici più intensi del ‘900

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al 2 ottobre a l 17 genna io la Gamec - Galleria d’Ar te Moderna e Contemporanea di Bergamo - ospita un’importante retrospettiva dedicata a Kazimir Malevič (Kiev, 1878 - Leningrado/San Pietroburgo, 1935), figura centrale e insostituibile dell'arte moderna, che ha attraversato uno dei periodi storico-artistici più intensi del Novecento. Curata da Evgenija Petrova - Vice Direttore del Museo Russo di Stato di San Pietroburgo, e Giacinto Di Pietrantonio direttore della GAMeC, coprodotta dalla GAMeC e da GAmm - Giunti Arte mostre musei, in collaborazione con il Museo Russo di Stato di San Pietroburgo, la mostra, unica nel suo genere

per completezza e per l’accurata indagine storico-critica, accoglierà circa 70 opere di Malevič accanto a un nutrito corpus di lavori di importanti esponenti russi, appartenenti ai movimenti artistici di inizio Novecento, oltre a documenti e filmati relativi al periodo storico di riferimento. L’iniziativa si tiene a cento anni dalla nascita del Suprematismo, la più radicale tra le avanguardie storiche del Novecento di cui Malevič è stato fondatore, leader, e maggiore interprete. Dopo la mostra alla Tate di Londra del 2014 - in cui sono state esposte alcune delle opere visibili anche in GAMeC - ad ottobre il museo bergamasco celebra quest'importante ricorrenza, in coincidenza con l'appunta-

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a cura della redazione

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mento della Fondazione Beyeler di Basilea che proporrà la ricostruzione della sala suprematista del 1915. Malevič è internazionalmente considerato parte della triade pioneristica che ha aperto le nuove strade dell’arte del XX secolo: se Picasso ha contribuito maggiormente al rinnovamento della tradizione figurativa e Duchamp di quella concettuale, Malevič è colui che ha dato vita all’egemonia della tradizione dell’arte astratta, ancor oggi determinante. La sua è stata, e continua a essere, una personalità chiave per il secolo scorso, grazie a una produzione complessa, che va oltre il solo lavoro astratto e la nascita del Suprematismo, corrente artistica fondamentale per lo sviluppo dell’arte del XX secolo. Malevič, infatti, è un artista dalle molteplici sfaccettature; dopo un esordio simbolista e neoimpressionista, che riconsiderava le conquiste dell’arte affermatesi a Parigi verso la fine del XIX secolo, ha abbracciato lo sviluppo del Cubofuturismo, movimento che sintetizzava le conquiste del Cubismo francese di Braque e Picasso e del Futurismo italiano di Balla e Boccioni. Il suo è stato un percorso iniziale comune ad altri artisti russi suoi coetanei, quali Kandinskij, con cui partecipò alle prime collettive d’avanguardia. Il percorso espositivo si apre con il periodo simbolista di Malevič, dai dipinti raffiguranti paesaggi con filari di alberi del 1906, al famoso autoritratto con fiocco rosso del 1907, che sembra non ignorare la lezione dei Fauves. Questi lavori saranno messi in relazione con quelli, cronologicamente precedenti, del maestro simbolista Ilija Repin, e con quelli contemporanei di Natalija Gončarova, Imbiancatura della tela (1908), e di Machail Jakovlev, Holy grove (Figure femminili nel giardino. Pregando) (1904-1907). Si continua con un’approfondita sezione relativa agli anni Dieci, all’inizio dei quali – precisamente nel 1913 – Malevič redige, insieme ad altri artisti, il Manifesto del Primo Congresso Futurista. Per la prima volta in Italia, una grande sala accoglierà la riedizione deLa Vittoria sul sole, prima OTT-NOV 2015

opera totale di musica, arte, poesia e teatro, creata da Malevič con Michail Matjusin e Aleksej Krucenych, nella quale sono visibili i germi del Suprematismo, con un primo accenno al Quadrato nero. Tale opera, rappresentata una sola volta nel 1913, è stata filologicamente ricomposta sui disegni originali di Malevič presenti in mostra - sulla musica e sui testi ritrovati negli archivi, dove erano stati sepolti durante gli anni del regime, e sulle poche immagini fotografiche esistenti. A questo periodo appartengono i celebri dipinti, tutti esposti, quali Mucca e violino (1913), Ritratto perfetto di Ivan Kljun (1913), Composizione con La

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Gioconda (1914) e alcuni disegni degli stessi anni messi a confronto con le tele Malorossy (Ukrainians) (1912) di David Burljuk, Ciclista (1913) di Natalia Gončarova e altre ancora. Sono gli anni in cui, in occasione dell’Ultima Mostra Futurista 0.10 del 1915, Malevič lancia il Suprematismo, con l’intenzione di affermare il predominio della pura sensibilità dell’arte che troverà applicazione non solo in pittura, ma anche in architettura e design, soprattutto a livello di sperimentazione e modellistica. In questa sezione si potranno ammirare capolavori come Quadrato Rosso (1915) e i coevi Suprematismo (1915-1916)


o ancora la sua opera più riconosciuta, il Quadrato nero, insieme a Cerchio nero e Croce nera (1923). Gli anni Venti rappresentano un periodo di massima espansione teorica per Malevič, che abbandona “il pennello arruffato per la penna aguzza” per dedicarsi a scritti, appunti, disegni. È in questa decade che sarà concentrato il nucleo suprematista che rivela una ricerca molto più avanzata rispetto a quella che trapela dalle opere di altri colleghi, quali Ritratto di un filosofo. Costruzione cubista (1915) d i L j u b o v ' Po p o v a o Su p r e m a tismo di Ol'ga Rozanova. Saranno esposte, inoltre, alcune icone russe del XIV e XV secolo, che documenteranno quanto Malevič abbia tratto ispirazione da esse. Accanto alle opere pittoriche di Malevič saranno presentati anche esempi della sua produzione legata al design e all’architettura, a testimonianza dell’idea d’arte totale d’avanguardia volta a eliminare i confini tra arte e vita. Tra questi, i plastici Architektony degli anni Venti che trasmettono l’utopia della città futura immaginata all’epoca, le pitture smaltate su porcellana e le tele-progetto per tessuti dal decoro suprematista, che Malevič realizza a partire dal 1919, gli acquerelli Tribuna per oratori e Principio schematico di una pittura murale (1920) e i bozzetti per i vestiti suprematisti (1923). Le opere suprematiste, pur costituendo il nucleo centrale della mostra, non esauriscono l’indagine sull’evoluzione artistica di Malevič, che giunge fino al 1934, un anno prima della sua morte. Il percorso espositivo prosegue infatti investigando altri due periodi, in cui è possibile ravvisare la progressiva stalinizzazione della Russia che sottopose a censura artisti e intellettuali e che li spinse ad abbracciare i dettami del realismo socialista. A questa costrizione Malevič, obbligato a rimanere in Russia, risponde dapprima con un’arte figurativa, accostando geometriche zone di colore volte a formare uomini e donne manichino, memori dei costumi teatrali da lui disegnati nel 1913, e in cui le teste, ovali senza volto, segno dell’annullamento dell’individuo in atto in quegli anni, ricordano in parte i manichini di de Chirico.

Quella di Malevič è una ricerca che non si concede completamente ai dettami del regime; al contrario, il Suprematismo è ancora in molti casi evidente. Un esempio è rappresentato dall’opera Casa rossa (1932), in cui la parete che regge il tetto altro non è se non un rimando al Quadrato rosso. La mostra accoglie, infine, un importante nucleo di opere realizzate nei suoi ultimi anni di vita, composto da una quindicina di oli in cui è possibile vedere come, pur sotto assedio della dittatura, la sua pittura continui a mostrare una

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potenza espressiva innovativa, particolare che appare evidente dalla relazione degli stessi soggetti trattati contemporaneamente da altri artisti, quali Gara (19321933) di Aleksandr Dejneka, Komsomol militarizzato (1932-1933) di Alexander Samochvalov o Fantasia (1925) di Kuzma Petrov-Vodkin. Una forza creatrice e inventiva che appare evidente anche nell’ultima sezione, con il ritorno a un certo “realismo”, i cui temi, in particolare quello della classe operaia e contadina, sono stati al centro della riflessione di Malevič sin dai primi lavori.

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