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Ma il pulito dove va?

Sostenibilità, digitalizzazione, automazione, dati. Ma anche emersione di un settore ancora troppo spesso sottostimato nell’opinione comune. Questi i principali trend su cui riflettere mentre si aprono un nuovo anno e un nuovo decennio. Speriamo il più possibile “puliti”. Ognuno di noi, e non solo i professionisti del settore, è chiamato a giocare un importante ruolo.

Inizia un anno nuovo. Anzi, un decennio nuovo, visto che quella in cui stiamo entrando, pur tra crisi e acciacchi più numerosi del previsto – economicamente parlando, s’intende-, è ormai la terza decade del XXI secolo. Un passaggio importante, dunque.

La “mappa” delle tendenze

Come sempre in questi casi è il momento ideale per tracciare una mappa di dove stiamo andando. Detta in parole più semplici: come si sta muovendo, a livello globale, l’universo del cleaning? Quali sono le tendenze più in evidenza nel settore, e su cosa si investirà nel prossimo futuro? Come si stanno orientando, e come si orienteranno, le case produttrici di macchinari, prodotti, attrezzature, servizi e sistemi per la pulizia professionale, alla luce delle immani sfide planetarie presenti e future? Insomma: dove sta andando il mondo del “pulito” in una società che Bauman definiva – e a ragione – sempre più “liquida”, in cui i valori, i punti di riferimento, i rapporti umani e tutte le apparenti certezze e ci – la parola “pulito” virò di significato nel sentire comune e nella coscienza collettiva, e conobbe un’estensione di senso: se prima ci si riferiva al pulito solo in senso strettamente “tecnico”, da “Mani pulite” in poi il termine ha prepotentemente colonizzato il nostro immaginario con un valore trasversalmente positivo. Un passaggio culturale non da poco, le cui implicazioni sono in parte ancora da indagare. Ecco il “valore assoluto” del pulito di cui tanto si parla: l’idea è che laddove si sia in grado di “costruire” pulizia, si sarà capaci poi di realizzare tutto ciò che ne consegue, nel sistema dei comportamenti, nell’etica, nelle relazioni umane.

di Simone Finotti

punti fermi scivolano e vengono messi in discussione ancora prima che ci si abitui al cambiamento?

Il “pulito”: da termine tecnico a categoria trasversale

Da quasi un quarto di secolo, ormai, GSA segue e monitora con attenzione lo sviluppo di un mercato che, diciamolo, di passi da gigante ne ha fatti tanti in tutti questi anni. Anche dal punto di vista culturale: proprio negli anni ‘90, quando la nostra rivista si accingeva a muovere i suoi primi passi, in Italia – complici gli inquietanti fenomeni che sconvolsero il mondo politico ed economico a partire da un sistema degli appalti inquinato alle radi-

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Il progresso tecnologico

Ma accanto alle questioni culturali e antropologiche, che pure hanno un peso importante nel definire il valore dei concetti, ad essere irrefrenabili nel nostro settore sono state e continuano ad essere le ricadute del progresso tecnologico: le nuove possibilità offerte dalla digitalizzazione spinta, dai big data, dall’automazione, nel quadro di un’accresciuta consapevolezza di tutti gli stakeholder nei confronti di temi come il rispetto ambientale e la sostenibilità a tutto tondo, non potevano non lasciare un profondo segno nelle dinamiche di mercato. E a loro volta indirizzarle.

Sostenibilità, una categoria complessa

Iniziamo proprio dalla sostenibilità, che come ormai abbiamo imparato non è più una questione squisitamente ecologica. Si tratta ormai di una categoria “complessa”, da considerare a trecentosessanta gradi (e d’altra parte già nel 1987 il rapporto Brundtland sullo “sviluppo sostenibile” indicava questa strada). Sostenibilità ambientale, certo. Ma anche economica, sociale, politica. Le aziende, anche perchè condizionate dalla maggiore consapevolezza dei consumatori, stanno via via adottando sistemi più sostenibili. Realizzare prodotti ecofriendly può catturare una fetta importante di mercato: pensiamo ad esempio al trend dei super, iper e ultraconcentrati, che partendo dal cleaning professionale sta finendo per investire anche il comparto domestico. In questo modo l’azienda sostenibile riesce a sua volta a muovere l’opinione pubblica e a conquistare una posizione di primo piano in un mercato sempre più fluido e attento alle tematiche ambientali e sociali. Utilizzando queste leve, le aziende di riferimento del mercato possono inoltre stimolare e coinvolgere i propri fornitori nell’adottare politiche di sviluppo più attente ai temi della sostenibilità: ciò sta avvenendo molto in fretta nel mondo del pulito.

Indispensabili le sinergie: ciascuno deve “fare il suo”

Non basta però imporre ai propri fornitori determinati standard di comportamento: infatti è indispensabile che si adottino delle forme di cooperazione, di formazione e di coinvolgimento tali da motivare i fornitori ad adottare e a interiorizzare un modo di lavorare più sostenibile. Solo in questo modo sarà possibile avere prodotti in grado di incidere in maniera significativa sull’ambiente e sulla società. Ma attenzione: ad essere chiamati in causa non sono soltanto i professionisti del settore. Ogni cittadino, a ben guardare, ha un importante ruolo da giocare nella partita della sostenibilità. Dall’attenzione alla differenziata a quella verso l’uso della plastica (no monouso, sì alla plastica riciclata), anche il ruolo del singolo, nel suo piccolo, può rivelarsi determinante. E se è vero che le aziende possono fungere, in qualche modo, da opinion leader e da catalizzatrici di comportamenti, è anche vero che l’esempio personale di tutti noi può fare molto. Ciascuno di noi è chiamato a “fare il suo”, con gesti piccoli ma significativi. E forse è ora di rendersi davvero conto, inutili terrorismi a parte, che non esiste un “piano B”.

Sostenibilità, robotica e big data

Del resto, a ben pensarci, non c’è stata fiera importante, negli ultimi 20 anni, in cui il tema della sostenibilità non abbia giocato un ruolo centrale. Se è vero che il pianeta ha attualmente meno di dodici anni a disposizione per cercare di evitare una catastrofe climatica, è innegabile che gli attori del mercato del cleaning, a partire dalle ditte e dai fornitori di servizi di pulizia, devono impegnarsi ad adottare metodi di lavoro sostenibili, che vanno dallo studio di formulati meno impattanti al packaging, dalla gestione dei rifiuti alla pulizia ecologica. L’economia circolare non può aspettare. Forse possono aiutare anche i recenti sviluppi della robotica, altro trend da sottolineare: progressi rapidi e strabilianti, che le aziende che vogliono stare al passo con i tempi devono seguire da vicino e, ove possibile, addirittura prevedere e anticipare.

L’automazione è ormai acquisita (e meno costosa di un tempo)

Ormai anche la “barriera del prezzo”, un tempo fattore scoraggiante, può dirsi abbattuta: laddove le macchine automatiche per la pulizia una volta rappresentavano una soluzione costosa, adesso stanno trovando rapidamente utilizzo in ambienti e settori industriali diversi. Ne abbiamo parlato moltissimo anche su queste pagine: l’avvento dei robot sta già apportando numerosi cambiamenti, anche culturali, in questo settore. Si parla di macchine automatiche sempre più intelligenti, ma anche di controllo remoto, internet delle cose, dispositivi intercomunicanti e così via.

Lavorare coi big data

Alla base di tutto ci sono i big data, che determineranno senza ombra di dubbio il futuro della pulizia. Se fino a non molto tempo fa i dati sembravano rappresentare un “accessorio” non essenziale, oggi un numero sempre maggiore di aziende – anche nel nostro settore – sta scoprendo i dati relativi alle proprie attività e vuole approfondire la questione, capire come usarli al meglio per gestire i propri processi in modo efficace ed efficiente. I dati sono infatti un patrimonio essenziale, perché consentono un monitoraggio e una tracciabilità costanti e continui dell’attività di chi pulisce, utilissimi specie alla luce del fatto che chi opera nelle pulizie, spesso, si trova a lavorare in una pluralità di sedi e cantieri a volte anche molto distanti fra loro. Senza contare la possibilità di crearsi uno “storico” da utilizzare a fini statistici e, soprattutto, per l’ottimizzazione del lavoro successivo. Ecco allora che la possibilità di utilizzare e trattare grandi moli di dati risulta fondamentale. Ed è essa stessa un trend da non sottovalutare.

L’emersione come “sfida assoluta”

Un altro tema, che non riguarda direttamente i produttori ma coinvolge tutto il settore nel suo complesso, è quello dell’emersione: una vera e propria sfida – e lo diciamo senza abusare del termine – assoluta e non procrastinabile, visto che, secondo alcune stime, il settore della pulizia, per quanto tuttora misconosciuto, arriva a coinvolgere direttamente o indirettamente almeno il 5% della popolazione mondiale (circa 300 milioni di individui, insomma, che ogni giorno si pongono la “missione” della pulizia).

Molto resta da fare

Ecco, su questo già tantissimo si sta facendo: pensiamo solo all’azione di associazioni come EFCI e di organizzazioni come il sindacato Unieuropa, a livello europeo, con campagne di sensibilizzazione e di informazione mirate a far conoscere un settore che produce un fatturato di ben 75 miliardi di euro (di cui 20 solo in Italia). Molto, tuttavia, resta ancora da fare per creare conoscenza riguardo a un settore che lavora perlopiù “di notte” (l’80% di questi servizi viene erogato nel buio e nel silenzio…), con una forte componente di manodopera femminile e con contratti part-time; un settore di cui si ignora la presenza ma, paradossalmente, si percepisce immediatamente la mancanza (se non c’è chi pulisce si vede eccome!); un comparto che rappresenta forse uno dei più grandi “laboratori” di integrazione sociale e culturale oggi esistenti nel mondo. Ecco: quella dell’emersione, se non una vera e propria “tendenza” canonicamente intesa, è senza dubbio una scommessa che il prossimo decennio potrebbe offrire l’opportunità di vincere definitivamente.

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