TEME 1-2/2022

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TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE

BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA

PIERO FIDANZA

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E CONSIGLIO DI STATO ALBERTO RICCIO

LA RIFORMA TERZO SETTORE ANNALISA DAMELE

LE PROROGHE CONTRATTUALI IN AMBITO SANITARIO: LO STATO DELL’ARTE

ISSN 1723-9338

VINCENZO RIPELLINO

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sommario gennaio-febbraio 2022

editoriale

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La Pandemia siamo noi

articoli gestione 4

Le proroghe contrattuali in ambito sanitario: lo stato dell’arte il terzo settore

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La Riforma Terzo settore casellario informatico

12 Casellario informatico, uno strumento ormai imprescindibile per fare acquisti intelligenza artificiale 17 Intelligenza artificiale e Consiglio di Stato normazione 22 Senza la conoscenza effettiva non si ricorre: note in tema di accesso agli atti e di tutela della riservatezza nelle gare d’appalto partenariato pubblico-privato nel PNRR

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26 Partenariato pubblico-privato in sanità. Il coraggio delle scelte normazione 29 La clausola sociale non ha effetto automatico e rigidamente escludente Covid 19

Errata corrige Su Teme numero 11-12/2021 a pagina 38 è stato pubblicato l’articolo relativo al VII corso di formazione FARE con un alcuni refusi. Il Titolo esatto e gli autori sono: “Provveditorato-Economato: un nuovo possibile ruolo aziendale e una visione strategica da interpretare”

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Tutor: Calogero Calandra Irene Bini - ASUR MARCHE - Jesi (Ancona) Raffaella Casti - ATS SARDEGNA - Cagliari Maria Alessandra De Virgiliis - ATS SARDEGNA - Cagliari Giacomo Neri - AOU SENESE - Siena Mario Russo - ATS SARDEGNA - Sassari Costantino Saccheddu - ATS SARDEGNA - Nuoro Gigliola Ventura - ATS SARDEGNA - Carbonia

39 L’estensione dell’obbligo vaccinale e di quelli previsti dal DL 44/2021 agli operatori della Sanità: alcune riflessioni sul Decreto Legge n. 172 del 26/11/2021 pubbliche gare 45 Value-based procurement: progetto pilota - gara reti sintetiche

gli esperti rispondono 47 Sul soccorso istruttorio a seguito dell’aggiudicazione 48 focus

Le foto all’interno sono di Andrea Leonardi Andrea Leonardi vive e lavora a Roma, svolge da trent’anni attività di grafico, elaborazione fotografica e consulenza nelle arti grafiche. In questo numero scorci di cielo con nuvole suggestive.

Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338 Organo ufficiale della FARE Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità

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editoriale Maria Luigia Barone - Presidente A.L.E.

La Pandemia siamo noi

I

l fenomeno pandemico da SARS Covid-19, che dai primi mesi del 2020 è stato registrato sugli schermi dell’evidenza medico-scientifica e che, progressivamente, con impatto e in tempi differenti, ha praticamente coinvolto tutti i paesi del mondo, sta dimostrando la sua pervicace resistenza anche in questi primi mesi del 2022, con “ondate” di ritorno su cui ancora oggi non è facile fare previsione e avere una adeguata gestione da parte delle organizzazioni sanitarie, sia sotto il profilo clinico sia sotto il profilo organizzativo. L’insorgere e lo sviluppo del fenomeno ha colpito, sconvolto ed anche stimolato, e continua a farlo, a) l’ambito della ricerca e della produzione farmaceutica, che si è organizzata meglio e più velocemente di tutti per farvi fronte, b) il sistema politico responsabile della regolamentazione della vita sociale ed economica, c) l’ambito della vita privata e pubblica di tutti i cittadini, d) i modelli organizzativi dei sistemi sanitari nazionali e locali di tutti i paesi. Il tentativo di “normalizzazione” in corso non si può dire che stia segnando un risultato positivo. Alla data odierna non può considerarsi “normalizzato” alcunché. I molteplici differenti sistemi sanitari regionali italiani, e le singole aziende sanitarie si trovano ancora ad affrontare ciclicamente e con cadenza quadrimestrale, dopo due anni pieni di emergenza, momenti di crisi nella gestione del fenomeno e nel garantire le prestazioni LEA, tali da non poter esimere alcun livello della politica e dell’amministrazione pubblica dall’interrogarsi seriamente sull’urgenza di pensare, progettare e attuare modelli organizzativi diversi e, a parere della scrivente, al momento non ancora chiari nel disegno e ancora più incerti nell’attuazione. Non può trascurarsi, peraltro, il gravissimo e drammatico impaccio del sistema sanitario nel rispondere alle necessità sanitarie improcrastinabili di malati oncologici e cronici e di cittadini bisognosi di prestazioni d’urgenza. I grandi macro temi all’attenzione, coerenti anche con l’attuazione dei progetti afferenti alla Missione 6 del PNRR, rimangono 1) il potenziamento reale ed efficace della medicina territoriale ed una evoluta integrazione ospedale/territorio, 2) la riprogettazione del modello organizzativo ospedaliero orientata alla massima capacità di rimodulare rapidamente spazi e risorse umane destinati alla prevenzione (vaccini/ tamponi), cura e assistenza e 3) la progettazione e realizzazione di sistemi informativi integrati idonei a garantire il funzionamento e coordinamento dei due precedenti ambienti. Anche la funzione degli acquisti all’interno delle aziende sanitarie deve ripensare il proprio ruolo e l’orientamento del proprio contributo nell’ambito del quadro delle priorità sopra indicate. Alla data odierna i professionisti del settore acquisti si trovano ad affrontare, con un livello di improvvisazione più rodato ma non troppo distante da quello della prima ora di fine febbraio 2020, le repentine disattivazioni e attivazioni di reparti, centri vaccinali e punti tamponi, con relative necessità di approvvigionamento di “spazi, dotazioni e personale (?!)”, non proprio collocati all’interno di un modello organizzativo consapevole della necessità di modificare il proprio storico impianto a garanzia del bene salute di tutti i cittadini e con un livello di gestione integrata delle informazioni e dei dati non distante dal sistema amanuense. Tutti i professionisti della funzione acquisti, più che mai in questo momento, prima e indipendentemente dalle riforme complessive sistemiche e aziendali che da essi direttamente non dipendono, hanno il difficile compito di impegnarsi profondamente nella revisione e razionalizzazione dei processi interni delle proprie unità organizzative con l’occhio rivolto agli obiettivi di vera riforma culturale e organizzativa da attuare al proprio interno.

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gestione Annalisa Damele - S.C. Approvvigionamento e Gestione Risorse - Ospedali Galliera di Genova

Le proroghe contrattuali in ambito sanitario: lo stato dell’arte

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a disciplina delle modalità di estensione della validità dei contratti pubblici si è dipanata nel tempo attraverso diversi interventi normativi che via via hanno sempre più limitato la discrezionalità dell’Amministrazione. 1. Originariamente l’art. 6, comma 2, della legge 24.12.1993, n. 537 vietava, a pena di nullità, il solo rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni, consentendo, nella sua versione originaria, che “… entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione” (ultimo periodo). Era consentito, quindi, rinnovare il contratto con un determinato fornitore previa motivazione circa l’economicità del medesimo rapporto e, correlativamente, le ragioni di pubblico interesse sottese a tale decisione. Peraltro, la disposizione si riferiva al rinnovo e non già alla proroga, e, quindi, consentiva una nuova negoziazione con il fornitore uscente per dar vita ad un nuovo e diverso rapporto contrattuale, laddove la proroga consiste, invece, in una mera postergazione temporanea degli effetti di un contratto a condizioni invariate. É evidente che la previsione era figlia di una sensibilità normativa circa la tutela della concorrenza e della trasparenza diversa da quella che, come vedremo, permea l’attuale assetto. 2. La legge 18.04.2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004) ha soppresso l’ultimo periodo del sopra citato art. 6, comma 2 della legge n. 537/1993 disponendo, altresì, che “I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre

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novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge” (art. 23)1. Ecco, quindi, che nel 2005 è stato stralciato il riferimento alla possibilità di procedere al rinnovo, seppur espresso, dei contratti pubblici introducendo, al contempo, la facoltà di proroga tecnica nelle more dell’affidamento dei nuovi contratti. 3. Il d.lgs. 12.04.2006, n. 163 ha, poi, abrogato l’art. 6 della legge n. 537/1993, riproducendo peraltro il divieto di rinnovo tacito dei contratti all’art. 57, comma 7. Il Codice del 2006, inoltre, recependo i principi comunitari, all’art. 2, comma 1, ha espressamente riconosciuto che “l’affidamento deve […] rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”, il che ha portato ad escludere – in via generale – la possibilità di procedere ad affidamenti senza gara, quali sono sia la proroga di un contratto, sia, a maggior ragione, il rinnovo dello stesso2. Lo stesso Codice del 2006, peraltro, prevedeva, al citato art. 57, la possibilità di utilizzare la procedura negoziata senza pubblicazione di bando “per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’art. 28”. Il che, pur a fronte delle condizioni richieste, di fatto si traduceva in

Secondo l’ANAC il termine di sei mesi individuato nella predetta norma è tuttora applicabile: nella deliberazione n. 384 del 17 aprile 2018, l’Autorità ha rilevato, infatti, che il riferimento legislativo è esistente e non ha cessato di produrre i propri effetti essendo la sua rilevanza “è notevole, perché costituisce il risultato di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese per violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato CE ad opera della normativa nazionale”. 2 ANAC ha ribadito più volte il divieto generale di proroga e rinnovo dei contratti in quanto integranti “una fattispecie di affidamento senza gara, con violazione dei principi comunitari di libera concorrenza e parità di trattamento, enunciati dall’art. 2 comma 2 del d.lgs. 163/2006, oggi art. 30 comma 1 del d.lgs. 50/2016” (delibera n. 304 del 1°.04.2020).


gestione un rinnovo del rapporto contrattuale in capo al fornitore uscente. Analogamente per le forniture l’art. 57, comma 3, lett. b) stabiliva l’esperibilità della procedura negoziata senza bando “nel caso di consegne complementari effettuate dal fornitore originario e destinate al rinnovo parziale di forniture o di impianti di uso corrente o all’ampliamento di forniture o impianti esistenti, qualora il cambiamento di fornitore obbligherebbe la stazione appaltante ad acquistare materiali con caratteristiche tecniche differenti, il cui impiego o la cui manutenzione comporterebbero incompatibilità o difficoltà tecniche sproporzionate; la durata di tali contratti e dei contratti rinnovabili non può comunque di regola superare i tre anni”. 4. Attualmente il d.lgs. n. 50/2016 ha previsto un’ipotesi specifica di proroga dei contratti disciplinandola come un’opzione di quest’ultimi. In particolare, l’art. 106, comma 11 del d.lgs. n. 50/2016 dispone che “La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante”. Il rispetto dei principi di trasparenza e concorrenzialità è in tal modo rispettato, da un lato, dalla espressa temporaneità della postergazione degli effetti del contratto (“La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente”) e, dall’altro lato, dalla previsione nel bando dell’opzione di proroga. Il Codice dei contratti pubblici, peraltro, all’art. 35, comma 4, nel disciplinare le modalità di calcolo del valore di un affidamento, fa riferimento all’importo massimo stimato “ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi”. Sennonché, del rinnovo il medesimo Codice non fa espressa menzione. Se, infatti, la previgente disciplina della procedura negoziata senza bando (art. 57, d.lgs. n. 163/2006) vietava

espressamente il rinnovo tacito dei contratti pubblici, l’attuale normativa (art. 63) non contiene più tale riferimento, dal quale era astrattamente possibile inferire la possibilità di rinnovi espressi. Rimane, per vero, la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza bando sia per le consegne complementari di forniture “qualora il cambiamento di fornitore obblighi l’amministrazione aggiudicatrice ad acquistare forniture con caratteristiche tecniche differenti, il cui impiego o la cui manutenzione comporterebbero incompatibilità o difficoltà tecniche sproporzionate” (art. 63, comma 3, lett. b) sia per la ripetizione di servizi e lavori analoghi “a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo una procedura di cui all’articolo 59, comma 1. Il progetto a base di gara indica l’entità di eventuali lavori o servizi complementari e le condizioni alle quali essi verranno aggiudicati” a condizione che “La possibilità di avvalersi della procedura prevista dal presente articolo è indicata sin dall’avvio del confronto competitivo nella prima operazione e l’importo totale previsto per la prosecuzione dei lavori o della prestazione dei servizi è computato per la determinazione del valore globale dell’appalto, ai fini dell’applicazione delle soglie di cui all’articolo 35, comma 1. Il ricorso a questa procedura è limitato al triennio successivo alla stipulazione del contratto dell’appalto iniziale” (art. 63, comma 5).

L’obbligo per gli Enti sanitari nazionali di approvvigionarsi necessariamente a livello centralizzato/aggregato per molte categorie di beni e servizi crea una impasse rilevante in quanto accade soventemente che le convenzioni centralizzate siano scadute e la gara per il nuovo affidamento delle medesime si protragga per lungo tempo

La disciplina delle proroghe con particolare riferimento agli acquisti relativi alle categorie merceologiche per cui vi è l’obbligo di approvvigionamento tramite Soggetto Aggregatore o Consip L’art. 9, comma 3 bis del d.l. 24.04.2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, in legge 23.06.2014, n. 89), stabilisce che “le Amministrazioni pubbliche obbligate a ricorrere a Consip o altri soggetti aggregatori ai sensi del comma 3 possono procedere, qualora non siano disponibili i relativi contratti di Consip o dei soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 e in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi

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gestione

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durata e misura strettamente necessaria”.3 Si tratta dei c.d. contratti ponte, per i quali, in ogni caso, occorre bandire apposita procedura, con le necessarie tempistiche e la messa in campo di un impegno organizzativo gestionale il più delle volte sproporzionato rispetto alla natura transitoria dell’affidamento. L’art. 1, comma 550 della legge n. 208/2015 stabilisce che “I singoli contratti relativi alle categorie merceologiche individuate dal decreto di cui al comma 548, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere prorogati oltre la data di attivazione del contratto aggiudicato dalla centrale di committenza individuata ai sensi dei commi da 548 a 552. Le proroghe disposte in violazione della presente disposizione sono nulle e costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”. Dalla disposizione è stata inferita la prorogabilità dei contratti in essere in attesa dell’aggiudicazione regionale. Peraltro, ciò vale per i contratti conclusi nel 2015, mentre per le convenzioni regionali stipulate successivamente la previsione non può che essere applicata in via estensiva al fine di assicurare la continuità dell’attività assistenziale. Il che determina evidenti criticità in quanto è assai discutibile dare applicazione estensiva ad una disposizione, come quella in questione, di natura eccezionale, a maggior ragione a fronte della sanzione di nullità prevista dalla disposizione citata4. Da ultimo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, unitamente al Ministero della Salute, hanno fornito indicazioni agli Enti del Servizio Sanitario Nazionale (nota del 19.02.2016 prot. 20518) specificando che per le categorie merceologiche per cui vi è l’obbligo di approvvigionamento tramite Soggetto Aggregatore o Consip l’ente del Servizio Sanitario Nazionale verifica in primo luogo la presenza di iniziative attive (ad esempio convenzioni) alle quali aderire presso il Soggetto Aggregatore di riferimento o presso Consip. In mancanza di iniziative attive, se il Soggetto Aggregatore di riferimento ha in programma un’iniziativa che tuttavia è in fase di avvio e comunque non è ancora

perfezionata, è possibile ricorrere a varie fattispecie: a) stipula di un “contratto ponte” ai sensi dell’(allora vigente) art. 57 comma 2, lett. c) del d.lgs. 163/2006 (procedura negoziata senza pubblicazione di bando) per lo stretto tempo necessario all’avvenuta attivazione del contratto da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o Consip, eventualmente inserendo clausola di autotutela che consenta di risolvere il contratto anticipatamente; b) stipula di un “contratto ponte”, nel caso in cui il contratto in scadenza lo avesse previsto, ai sensi dell’art. 57 comma 5 lett. b) del d.lgs. 163/2006 per la ripetizione di servizi analoghi, per lo stretto tempo necessario all’avvenuta attivazione del contratto da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o Consip, eventualmente inserendo clausola di autotutela che consenta di risolvere il contratto anticipatamente; c) proroga del contratto, nel caso in cui vi sia espressa previsione nel bando di gara iniziale (con procedura aperta o ristretta) e nei termini in esso disciplinati, e comunque non oltre la data di attivazione del contratto da parte del Soggetto Aggregatore di riferimento o di Consip. É stato, quindi, riconosciuto – proprio alla luce dell’obbligo che le singole Amministrazioni hanno di aderire alle convenzioni centralizzate – un qualche margine di discrezionalità in capo agli enti del Servizio Sanitario Nazionale per individuare la modalità di approvvigionamento del servizio di loro diretta pertinenza, nelle more del perfezionamento delle procedure di gara da parte dei Soggetti Aggregatori. Peraltro, tra le soluzioni ipotizzabili è stata espressamente menzionata anche la proroga, purché essa sia prevista già negli atti di gara quale opzione esperibile da parte della Stazione appaltante. La situazione attuale degli approvvigionamenti sanitari nelle categorie merceologiche per cui vi è l’obbligo di approvvigionamento tramite Soggetto Aggregatore o Consip. Le delibere ANAC n. 576 e n. 591 del 28.07.2021 Fermo il quadro delineato sub a) e b) allo stato attuale l’obbligo per gli Enti Sanitari Nazionali di approvvigionarsi necessariamente a livello centralizzato/aggregato per molte categorie – fondamentali – di beni e servizi5 crea un impasse

3 Sui contratti ponte si veda la recente sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III quater, 3.11.2020, n. 11304. 4 Al riguardo, peraltro, si registra una sentenza del T.A.R. Marche, Sez. I, 12.10.2020, n. 584 che ha “minimizzato” la nullità comminata dalla disposizione, rilevando che “la disinvolta introduzione di fattispecie di nullità contrattuali (le quali sono più che altro finalizzate a minacciare i dirigenti pubblici di sanzioni disciplinari e/o contabili) non appare un’opzione giuridicamente valida”; ciò in quanto “laddove la nullità sia vista quale sanzione finalizzata alla tutela della concorrenza, nemmeno il diritto comunitario esige che l’eventuale violazione delle regole in materia di evidenza pubblica sia sanzionata negli ordinamenti degli Stati membri con la nullità (e questo è tanto vero che anche le direttive appalti e ricorsi legittimano la previsione di termini decadenziali per l’impugnazione degli atti di gara” ed inoltre “perché, considerato che le proroghe e i rinnovi dei contratti pubblici sono pur sempre funzionali al perseguimento delle finalità istituzionali delle amministrazioni interessate ...la nullità costituisce sanzione che potrebbe porsi in conflitto logico con il principio costituzionale di buon andamento della P.A., nonché eccessivamente penalizzante anche per l’appaltatore privato che abbia in buona fede confidato sulla validità della proroga o del rinnovo”. Il che sembra costituire, più che altro, una condivisibile presa d’atto della complessità della situazione in cui versano le Amministrazioni, soprattutto quelle sanitarie che si trovano nell’oggettiva impossibilità di interrompere l’attività assistenziale e, quindi, optano per l’estensione della durata dei contratti in attesa dell’aggiudicazione delle procedure centralizzate. 5 Si tratta di farmaci, vaccini, stent, protesi d’anca, ausili per incontinenza, medicazioni generali, defibrillatori, pacemakers, aghi e siringhe,


gestione rilevante in quanto accade soventemente che le convenzioni centralizzate siano scadute e la gara per il nuovo affidamento delle medesime si protragga per lungo tempo. Ecco, quindi, che si pone agli enti sanitari il problema della gestione del periodo compreso tra la scadenza delle precedenti convenzioni non più rinnovabili e l’aggiudicazione della gara centralizzata. La soluzione percorsa, per lo più, è quella della proroga degli effetti del contratto nelle more della stipula delle nuove convenzioni regionali o di Consip in quanto, trattandosi di beni e servizi di elevatissimo importo e altrettanto elevata complessità tecnica, l’affidamento di contratti ponte comporterebbe tempistiche ed un impegno organizzativo del tutto sproporzionato rispetto all’esigenza di assicurare la temporanea continuità della prestazione in attesa dell’individuazione dell’aggiudicatario centralizzato. ANAC, con deliberazioni n. 576 e n. 591 del 28.07.2021, è tornata ad occuparsi della questione formulando rilievi che, ad avviso di chi scrive, denotano un certo grado di “comprensione” della difficile situazione nella quale versano gli enti sanitari. In particolare, l’Autorità si è pronunciata su fattispecie nelle quali gli enti sanitari interessati avevano prorogato contratti in essere (manutenzione delle apparecchiature medicali e servizio di noleggio, ricondizionamento e logistica dei dispositivi tessili per le sale operatorie), pur in mancanza di specifiche previsioni contrattuali al riguardo, a causa del protrarsi delle gare centralizzate per l’affidamento delle medesime prestazioni e tenuto conto della necessità di non interrompere lo svolgimento delle prestazioni. In effetti, ciascuna delle Amministrazioni interessate ha fornito puntuale motivazione circa l’impossibilità di espletare gare ponte sia per le tempistiche che ciò avrebbe comporta-

to, sia per le evidenti difficoltà tecniche legate al particolare tipo dei servizi in questione. A conclusione dell’istruttoria ANAC – pur, si ripete, in mancanza dei presupposti richiesti dalle previsioni richiamate sub a) – ha ritenuto “non irragionevole” la scelta delle Amministrazioni di prorogare i contratti in essere in quanto dette proroghe, sinteticamente: - sono giustificate dal prolungarsi della gara centralizzata; - prevedono una clausola di recesso anticipato non appena fossero state stipulate le convenzioni aggregate; - di fatto, non si sono protratte oltre l’attivazione del contratto da parte del soggetto aggregatore. Conseguentemente, la medesima Autorità si è limitata dare atto di quanto sopra, senza esperire ulteriori iniziative nei confronti delle Amministrazioni interessate. Conclusioni La posizione dell’Autorità appare senz’altro condivisibile e conduce ad una riflessione. L’attuale assetto normativo richiamato sub a) e b) dovrebbe essere oggetto di un radicale ripensamento alla luce delle effettive esigenze delle Amministrazioni del settore sanitario. In particolare, sarebbe auspicabile l’introduzione di una disciplina che – dando legittimazione definitiva alla pratica diffusa – consentisse la proroga della validità di contratti aventi ad oggetto prestazioni ricomprese in gare centralizzate già avviate. Non sembra, infatti, che ciò determinerebbe una violazione dei principi di libera concorrenza e parità irragionevole e sproporzionata rispetto alla necessità di assicurare la continuità delle prestazioni assistenziali.

servizi di gestione delle apparecchiature elettromedicali, servizi di pulizia e ristorazione, di smaltimento rifiuti, ecc

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il terzo settore Alberto Riccio - Presidente collegio sindacale della FARE

La Riforma Terzo settore

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a Riforma Terzo settore con il D. Lgs n. 117 del 3 luglio 2017 e ss.mm., che ha introdotto un vero proprio Codice del Terzo Settore (abbreviato in CTS) si è avviata a traguardare una ulteriore importante fase. Dal 24 novembre 2021 gli enti no profit possono presentare domanda, per la tanto attesa iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUNTS). Il RUNTS, istituito con DM 15/09/2021 n. 106, è una piattaforma digitale, un registro pubblicamente consultabile, ed è sostanzialmente assimilabile al Registro Imprese delle società tenuto dalle Camere di Commercio È necessario che gli Enti, già in fase di iscrizione, siano dotati di: 1) PEC (Posta Elettronica Certificata) intestata all’ente; 2) Firma digitale del legale rappresentante; 3) SPID del legale rappresentante; 4) Sito Web (per rendicontazione 5 per mille, contributi ricevuti, ecc.) Alla domanda di iscrizione, che deve esser inviata dal legale rappresentante (non sono ammessi intermediari), devono essere allegati: a) Atto costitutivo (o autodichiarazione di insussistenza o irrecuperabilità) b) Statuto registrato presso l’Agenzia delle Entrate c) Ultimi due bilanci consuntivi approvati più copie verbali dell’assemblea di approvazione d) Dichiarazione di affiliazione ad una rete associativa rilasciata dal legale rappresentante della rete Nella domanda di iscrizione si dovranno fornire alcune informazioni di ordine generale, tra cui: • La sezione del RUNTS cui ci si vuole iscrivere, (le sezioni del RUNTS sono sette: a) Organizzazioni di volontariato – b) Associazioni di promozione sociale – c) enti filantropici – d) Imprese sociali, incluse le cooperative sociali – e) Reti associative – f) Società di mutuo soccorso – g) Altri enti del Terzo settore, (art. 46 D. Lgs 117/2017);

• Un indirizzo PEC e almeno un contatto telefonico più eventuale sito internet; • La data di costituzione dell’ente; • Le attività di interesse generale, di cui all’art. 5 D. Lgs 117/2017, esercitate; • La previsione dell’esercizio di eventuali attività diverse art. 6 D. Lgs 117/2017; • Generalità del legale rappresentante e degli altri membri dell’organo sociale con particolari poteri; • L’eventuale dichiarazione di accreditamento del 5 per mille ai sensi del D. Lgs 111/2017; • La dichiarazione di presunzione di commercialità o meno ai sensi dell’art. 79, comma 5, D. Lgs 117/2017; Per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e le Associazioni di Promozione Sociale (APS): il numero dei soci o associati e volontari iscritti al registro; Per le OdV e APS già iscritte nei registri regionali e/o provinciali, la trasmigrazione al RUNTS avverrà in via automatica, entro i tempi determinati. Prima di presentare domanda di Iscrizione gli enti no profit, dovranno verificare se le finalità statutarie sono ricomprese o conformi alle attività di interesse generale di cui all’art. 5, lettere da a) a z) del D. Lgs 117/2017 e, se del caso apportare modificare e integrazioni allo Statuto, anche secondo l’art. 21 del CTS. I maggiori vantaggi e agevolazioni degli Enti che si registrano sono di tipo attrattivo fiscale (i benefattori che elargiscono, donano somme, possono dedurre dal proprio reddito imponibile o detrarre dalle imposte in sede di dichiarazione dei redditi) e gli Enti possono partecipare alla distribuzione del 5 per mille. A fronte di tali agevolazioni ci sono obblighi e responsabilità (depositare al RUNTS il bilancio entro il 30 giugno, oltre agli obblighi di depositare altri atti e comunicazioni, in caso di omissione sono previste sanzioni a carico degli amministratori).

I maggiori vantaggi e agevolazioni degli Enti che si registrano al RUNTS sono di tipo attrattivo fiscale (i benefattori che donano somme, possono dedurre dal proprio reddito imponibile o detrarre dalle imposte in sede di dichiarazione dei redditi) e gli Enti possono partecipare alla distribuzione del 5 per mille


il terzo settore Specifichiamo meglio agevolazioni e adempimenti. Principali Agevolazioni e Opportunità dell’iscrizione al RUNTS (gli articoli citati si riferiscono al D, Lgs 117/2017 ovvero CTS) 1) Maggiore attrazione di donazioni ed erogazioni liberali da parte di terzi. Il contribuente, per le erogazioni liberali in denaro tracciabili a favore degli E.t.s. potrà detrarre dall’Irpef un importo pari al 30% dell’onere sostenuto per un importo complessivo non superiore ai 30mila euro; solo per le Odv la percentuale aumenta al 35%. in alternativa, le liberalità erogate a favore degli E.t.s., da persone fisiche o da società, sono deducibili dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore nel limite del 10% del reddito complessivo netto (art. 83); 2) Si entra di diritto nella distribuzione del 5 per mille (d, lgs 3/07/2017 n. 111); 3) Coinvolgimento degli E.t.s. da parte delle pubbliche amministrazioni, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e di accreditamento, nelle attività di servizio (art. 55). Sono previste anche convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e le Odv e Aps. Sono forme di coinvolgimento e di partenariato nei confronti degli E.t.s., che traducono in concreto il principio di sussidiarietà e di “cittadinanza attiva”; principi che riprenderemo dopo; 4) Imposta di registro in misura fissa per l’acquisto di immobili, esenzione Imu, esenzione o riduzione di tributi comunali e dell’Irap, esenzione dall’imposta di bollo, sugli intrattenimenti e dalle tasse sulle concessioni governative (art. 82); 5) Social bonus - credito d’imposta del 65% delle erogazioni liberali in favore di E.t.s. su progetti di utilizzo di immobili pubblici o confiscati (art. 81) Relativi Principali Obblighi e Adempimenti 1) Iscrizione al RUNTS come argomentato poc’anzi (art. 8 DM 106/2020 e art. 46 CTS). Il registro dovrebbe organizzarsi su base regionale e si struttura in 7 sezioni. Gli E.t.s. sono obbligati ad inviare, nei termini, al RUNTS i provvedimenti più significativi quali: l’approvazione del rendiconto entro il 30 giugno, la nomina e i poteri degli amministratori, le modifiche dello statuto, ecc. Tali comunicazioni possono essere trasmesse da intermediari autorizzati. 2) Tenuta dei seguenti libri sociali obbligatori (art. 15): a) Libro degli associati, b) Libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, c) Libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’organo amministrativo, dell’organo di controllo (ove esistente) e di eventuali altri organi sociali.

3) Responsabilità dei membri del Consiglio direttivo (art. 28) Tale articolo fa esplicito rinvio agli articoli del codice civile (inseriti tra l’art. 2392 e 2407) che disciplinano la responsabilità degli amministratori delle spa, verso la società, i soci, i creditori sociali, ecc. Sono inoltre previste sanzioni a carico degli amministratori che omettono di depositare gli atti al RUNTS, in caso di indiretta distribuzione di utili. 4) Non si possono distribuire utili ne avanzi di gestione Attenzione all’art. 8, che detta norme su quali operazioni sono da considerarsi in ogni caso distribuzione di utili. In particolare il comma 3, lett. c), prevede che siano considerate distribuzione indiretta di utili “l’acquisto di beni e servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale”. Il che significa, ad esempio, che, per acquisti di importo rilevante, è opportuno e consigliabile chiedere più preventivi e se si dovesse scegliere un preventivo di costo superiore ad altri, occorrerebbe motivarlo bene. Son espressamente previste a carico del legale rappresentante sanzioni per la violazione del divieto di distribuzione indiretta di utili, all’indebita devoluzione del patrimonio senza l’autorizzazione degli uffici del RUNTS, alla mancata comunicazione della perdita della natura non commerciale da parte dell’ente, l’utilizzo illegittimo degli acronimi di ETS, APS e OdV. 5) Bilancio/Rendiconto – Regime Contabile/Fiscale Con il Dm 5 marzo 2020 sono stati approvati i modelli di bilancio. Il modello di rendiconto che sarà presumibilmente maggiormente usato, per gli E.t.s con entrate inferiori a 220 mila euro, riflette il mod. d – rendiconto per cassa. in caso di superamento di tale soglia, è obbligatoriamente previsto la predisposizione di un bilancio di competenza con stato patrimoniale (mod. a), rendiconto gestionale (mod. b) e relazione di missione (mod. c) (dm citato).il bilancio sociale o di missione è obbligatorio se le entrate superano un milione di euro (art. 14). OdV, APS e Onlus, devono già applicare per il 2021 le regole sulla redazione del bilancio, secondo i nuovi modelli (nota n. 19740 del29/12/2021 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali) 6) Gli E.t.s. possono, per le attività commerciali svolte, applicare il regime forfetario per la determinazione del reddito d’impresa, ovvero applicare all’ammontare dei ricavi, per le attività svolte con modalità commerciali, un coefficiente di redditività (per prestazione di servizi: ricavi fino a 130 mila euro, coefficiente 7% – oltre fino a 300 mila, coefficiente 10% ,….) (art. 80). particolari maggiori agevolazioni sono previste

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il terzo settore

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per le Odv (coefficiente di redditività pari all’1%) e Aps (percentuali di redditività pari al 3%) 7) Disposizioni in materia di imposte sui redditi; L’art. 79, oltre a fare rinvio al tuir – d.p.r. 22/12/1986 n. 917 - per quanto non disposto dallo stesso articolo, disciplina le entrate di natura non commerciale (istituzionali) e di natura commerciale. E’ molto difficile da descrivere in poche righe, oltre che di interpretazione non sempre semplice. Da molte parti è stato chiesto che il Ministero chiarisca meglio, con una circolare, l’articolo. 8) Organo di controllo (art. 30) e organo di revisione legale (art. 31) Il primo è obbligatorio se si superano per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti: attivo> a 110 mila euro / entrate> a 220 mila euro / 5 dipendenti. Il secondo se si superano limiti altissimi. 9) Parte della normativa sugli aspetti, contabili, bilanci e fiscali, in particolare sul regime forfetario per le attività commerciali svolte, entrerà in vigore l’anno successivo dell’avvenuta autorizzazione da parte della comunità europea, che dovrà valutare che la normativa italiana non sia considerata un aiuto di stato 10) Reti associative (art. 41) Associano un numero non inferiore a 100 E.t.s. oppure quelle nazionali un numero non inferiore a 500 E.t.s. Svolgono anche attività di monitoraggio sugli E.t.s. associati, nonché attività di controllo, partenariati, ecc. 11) Altri organi di controllo: l’ufficio del RUNTS per il deposito atti e verifica statuti; l’Agenzia delle Entrate per le verifiche fiscali il Ministero del lavoro per le verifiche sul personale, collaboratori, ecc. il mondo no profit raccoglie circa 350 mila enti e assorbe circa 850 mila dipendenti e vari milioni di volontari L’ente no profit che non entra nel RUNTS? Sostanzialmente rimane nell’attuale collocazione, ma bisogna fare maggiore attenzione perché nei programmi dell’amministrazione finanziaria è previsto che una fetta di risorse venga impegnata sui controlli degli enti associativi e fondazioni. Per gli enti fuori dal E.t.s. si applicano gli articoli del codice civile da 14 a 42. In particolare, in tema di responsabilità, l’art 38 cc “obbligazioni” recita testualmente: “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione” In tema di imposizione diretta si applicano gli articoli da

143 a 150 tuir – d.p.r. 917/1986 in tema di Iva soprattutto l’art.4 d.p.r. 633/1972, in tema di statuti l’art. 5 del d.lgs 4/12/1997 n.460. Da ultimo introduciamo l’eventuale scelta della personalità giuridica, obbligatoria per le fondazioni, da parte degli Enti. La personalità giuridica consente alle associazioni di avere un’autonomia patrimoniale perfetta, ovvero si determina la separazione del patrimonio dell’Ente da quello dei soci che agiscono in nome e per conto dell’Ente. Occorre rivolgersi dal notaio che redige lo statuto con atto notarile. Il notaio curerà gli adempimenti per l‘iscrizione al RUNTS e per gli Enti di nuova costituzione, che vogliono rimanerne fuori, gli adempimenti alla iscrizione nei registri prefettizi e/o regionali/provinciali (d.p.r. 361/2000). Per le Onlus c’è un particolare regime, oltre all’obbligo di redigere il bilancio secondo i nuovi modelli, già con l’esercizio 2021. Le Onlus non trasmigreranno in via automatica al RUNTS, potendo iscriversi dal momento della pubblicazione dell’elenco degli enti iscritti all’Anagrafe Regionale Onlus o comunque entro il 31 marzo dell’anno successivo all’autorizzazione UE sui nuovi regimi fiscali. Ritornando brevemente ad alcuni articoli che possono interessare principalmente le aziende sanitarie, ospedaliere e gli enti locali, commentiamo brevemente gli artt. 55-56-57 del CTS: • Art. 55 – in attuazione dei principi di sussidiarietà e altri, le amministrazioni pubbliche assicurano il coinvolgimento attivo degli E.T.S., attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, nel rispetto delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona • Art. 56 – le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere con le OdV e le APS, iscritte da almeno sei mesi nel RUNTS, convenzioni per attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Tali enti sono individuati mediante procedure comparative e le amministrazioni pubbliche devono indicare sui propri siti gli atti di indizione dei procedimenti e i relativi procedimenti finali. Le convenzioni devono avere tutta una serie di disposizioni. • Art. 57 – I servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza possono essere, in via prioritaria, oggetto di affidamento in convenzione alle OdV, iscritte da almeno sei mesi nel RUNTS, aderenti ad una rete associativa (art. 41 CTS), ed accreditate a livello regionale, oltre ad altre condizioni. Lo schema delle nuove linee guida ANAC che erano in pubblica consultazione fino al 15 novembre scorso, per l’affidamento dei servizi sociali, ha confermato la rilevanza delle indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con Decreto n. 72/2021, al fine di guidare la redazione, da


il terzo settore parte delle pubbliche amministrazioni, di specifici regolamenti interni volti a disciplinare le procedure di affidamento dei servizi sociali esclusi dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs 50/2016) e viceversa sottoposti al codice del Terzo settore (D. Lgs. 117/2017). Su questo delicato tema, il Consiglio di Stato aveva già espresso il parere n. 323/2019, pubblicato il 27 dicembre. La Corte Costituzionale, esprimendosi con sentenza 131/2020, originata dal ricorso governativo sulla legge regionale dell’Umbria n. 2/2019, relativa alla disciplina delle cooperative di comunità, ha tracciato una cornice che può essere un punto di riferimento fondamentale, inquadrando le diverse forme di coinvolgimento tra Pubblica Amministrazione ed Enti del Terzo settore, come una delle più significative espressioni del principio di sussidiarietà orizzontale. Su questa tematica, TEME, edizione 9/10.20, aveva già pubblicato un articolo. E’ probabile che tale argomento verrà ancora dibattuto ed è auspicabile che quanto prima si possano chiarire i vari aspetti per dare maggiori certezze al comportamento degli operatori che dovranno predisporre i relativi atti. Breve descrizione dei vari enti che compongono le sezioni del RUNTS • Organizzazioni di Volontariato (OdV) – art 32 CTS – sono associazioni, con almeno sette soci persone fisiche o tre OdV, che svolgono prevalentemente a favore di terzi, attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS, avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati. Il volontario deve svolgere la propria attività in modo non occasionale e deve essere iscritto in un apposito registro (art. 17 CTS). • Associazione di Promozione Sociale (APS) – art. 35 CTS – sono associazioni, con almeno sette soci persone fisiche o tre APS, che svolgono a favore dei propri associati, diloro familiari o di terzi, attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS, avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati. Sulla figura del volontario vale quanto scritto nel paragrafo precedente. • Enti Filantropici – non c’è una disciplina specifica. Dovrebbero avere una configurazione giuridica come fondazione e non dovrebbero svolgere attività, se non quella di natura erogativa • Le imprese sociali sono disciplinate dal D. Lgs. 3 luglio 2017 che ha revisionato la precedente disciplina, devono prevedere forme di coinvolgimento di lavoratori e utenti, i ricavi dell’attività di interesse generale devono essere superiori al 70% rispetto a quelli complessivi (le attività diverse inferiori al 30%), possono beneficiare

dell’integrale detassazione degli utili accantonati a riserva e destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio e sono previste detrazioni fiscali per coloro che intendono investire in una società-impresa sociale. • Le Cooperative sociali sono disciplinate dalla L. 8 novembre 1991 n. 381 • Reti associative – art. 41 CTS – che abbiamo già brevemente trattato, sono enti che associano un numero non inferiore a cento ETS o in alternativa almeno venti fondazioni del TS • Società di mutuo soccorso – art. 42 CTS – sono disciplinate dalla L. 15 aprile 1886 n. 3818 e ss.mm. Con il milleproroghe 2022, slitta al 31/12/2022 la scadenza per la trasformazione in APS o in altre Associazioni del Terzo Settore (ETS) (art. 9, comma 1 DL 228/2021) • Altri Enti del Terzo Settore (ETS) – sezione residuale dove dovrebbero confluire la maggior parte degli enti La riforma del Terzo settore coinvolge anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti che svolgono le attività di cui all’art. 5 CTS che adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del CTS. Non sono considerati ETS le amministrazioni pubbliche, le associazioni politiche, i sindacati le associazioni professionali rappresentative delle categorie economiche, le associazioni dei datori di lavoro, nonché gli enti che sono controllati dai suddetti enti Si segnala che, tra l’altro, sono stati abrogate la L. 11 agosto 1991 n. 266 (disciplina OdV) e la L. 7 dicembre 200 n. 383 (disciplina APS) e, a regime, la L. 38/1991, che rimarrà in vigore solo per le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD). Per quanto ampio, il presente articolo non può essere esaustivo, visto che il CTS (D. Lgs 117/2017) consta di ben 104, ma si spera comunque di aver dato una serie di informazioni minime sula riforma del Terzo settore

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casellario informatico Vincenzo Ripellino - Dirigente Amministrativo - Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento

Casellario informatico, uno strumento ormai imprescindibile per fare acquisti

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art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 dispone che l’Autorità Nazionale Anticorruzione gestisce il Casellario Informatico dei contratti di lavori, servizi e forniture, istituito presso l’Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’art. 80 del medesimo decreto. Il Casellario, pertanto, assolve la funzione di strumento informativo della PA che attraverso la consultazione on-line della banca dati oltre a conoscere le “notizie, le informazioni e i dati” che assumo la qualità di debito informativo obbligatorio ha la possibilità di acquisire tutte “le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso”. Senonché, appare del tutto evidente che il legislatore, nella gestione del processo di popolamento dei dati del Casellario, ha voluto ancorare alla gravità dei fatti costituenti le informazioni il livello di conoscibilità delle stesse lasciando ampi margini di discrezionalità alla PA rispetto alle informazioni qualificabili come utili ma non obbligatorie. D’altronde, l’obbligo di comunicare gli eventi più significativi dell’appalto venne introdotto con la legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994 (c.d. legge “Merloni”), la quale, insieme al d.P.R. n. 554/1999, diede un nuovo assetto agli appalti pubblici che, per la prima volta, veniva visto come un procedimento amministrativo da sottoporre costantemente a controllo, anche con l’impiego sempre maggiore dell’in-

formatica. Le tappe fondamentali dell’evoluzione normativa che ha portato all’attuale funzionamento del Casellario informatico sono segnate da un costante tentativo di tenere in equilibrio “l’obbligo informativo” rispetto alla “valutazione discrezionale” delle informazioni ritenute utili dalla pubblica amministrazione. L’Osservatorio dei lavori pubblici, deputato alla raccolta ed elaborazione dei dati concernenti gli appalti di lavori e alla realizzazione di un collegamento informatico tra le amministrazioni, venne introdotto per la prima volta con la richiamata legge quadro (art. 4, comma 10, lettera c), e art. 14, comma 11, L. n. 109/1994) e permise di acquisire informazioni in tempo reale sui lavori pubblici, adempiendo agli oneri di pubblicità/ conoscibilità dei dati raccolti. A tutela del rispetto degli obblighi di comunicazione dei dati, vennero introdotte pesanti sanzioni a carico di tutte le stazioni appaltanti e delle S.O.A. responsabili di omissioni nella trasmissione dei dati relativi agli appalti. Il compito di infliggere le suddette sanzioni venne affidato alla “Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici” seppure con una capacità di visione del settore ancora ridotta in considerazione della mancanza dell’area dei servizi e forniture e degli appalti di minore importo. Con l’abrogazione della cd. legge Merloni e la contestuale entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici del 2006 (d.lgs. n. 163/2006), il sistema di raccolta dati e informazioni dell’Osservatorio subì una prima importante modifica.

L’ANAC è tornata ad intervenire sulla questione della conoscenza delle informazioni e delle modalità attraverso le quali le stesse sono rese disponibili alle stazioni appaltanti fornendo indicazioni in ordine all’avvio del fascicolo virtuale dell’operatore economico


casellario informatico Infatti, il Codice racchiuse in un “unico” testo la disciplina della contrattualistica pubblica avente ad oggetto lavori, servizi e forniture, estendendo a questi ultimi settori gli obblighi di comunicazione all’Autorità, rinominata AVCP “Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture”. L’Osservatorio cambiò nome, divenendo “Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (art. 7 del d.lgs. n. 163/2006), e venne completato con l’istituzione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) che andò ad integrarsi con il nuovo Casellario informatico. Nel Casellario confluirono tutte le informazioni relative agli appalti – comprese le annotazioni a carico degli operatori economici riguardanti le risoluzioni contrattuali, la mancata comprova dei requisiti di partecipazione, le false dichiarazioni, etc. – coinvolgendo anche quelli di minore importo, inizialmente esclusi, purché identificati attraverso un CIG. In questo modo, il Casellario divenne la banca dati nella quale doveva essere riportata ogni notizia ritenuta utile dalle e per le stazioni appaltanti. In tal senso, il discrimine tra obbligatorietà dell’iscrizione ed utilità dell’informazione continuava a rappresentare il vulnus da superare in presenza di fatti che, seppure conosciuti nella fase istruttoria di un procedimento di pubblica evidenza, potevano non risultare direttamente riscontrabili nel Casellario. Al riguardo, fu di fondamentale importanza la determinazione AVCP n. 1 del 10 gennaio 2008 che prese atto dell’ampliamento delle competenze dell’Autorità e stabilì l’impianto generale del Casellario, definendo i primi modelli di comunicazione per fatti afferenti le esclusioni dalle gare o riguardanti la fase di esecuzione (sostituiti in seguito dai moduli allegati al Comunicato del Presidente del 18 dicembre 2013). Il Casellario informatico venne quindi articolato in tre sezioni, contenenti i dati relativi agli operatori economici per l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi. Tuttavia, la completa disciplina del Casellario informatico e delle modalità di funzionamento del relativo sito informatico presso l’Osservatorio si ebbe soltanto nel 2010, con l’entrata in vigore del regolamento di attuazione al Codice, ovvero con l’art. 8 del D.P.R. 207/2010. Poi, nel 2014, l’Autorità di riferimento per l’Osservatorio, la BDNCP e il Casellario divenne l’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione – che prese il posto dell’AVCP, soppressa dal decreto-legge n. 90/2014. Il sistema di informatizzazione e raccolta dei dati da parte dell’Autorità ebbe un’ulteriore evoluzione con il D.lgs. n. 50/2018 e tutt’ora vive una fase di continuo aggiornamento ed ampliamento adattivo che cerca di tenere il passo rispetto alla velocità evolutiva propria dei più moderni sistemi informativi. Peraltro, con la delibera n. 1386 del 21 dicembre

2016 e annesso Comunicato del Presidente, l’ANAC ha modificato la struttura del Casellario adottando un diverso criterio di suddivisione (tuttora vigente) riferito ai soggetti cui è consentito l’accesso (area “A” pubblica, area “B” riservata alle Stazioni appaltanti e alle S.O.A., nonché area “C” in cui sono raccolti gli ulteriori dati utili sia all’implementazione del sistema del rating di impresa sia allo svolgimento dell’attività di vigilanza e controllo). Come detto, in atto, il Codice (art. 213, comma 8) stabilisce che l’Autorità gestisce la Banca Dati Nazionale dei contratti pubblici, nella quale confluiscono, oltre alle informazioni acquisite per competenza tramite i propri sistemi informatizzati, tutte le informazioni contenute nelle banche dati esistenti, anche a livello territoriale, onde garantire accessibilità unificata, trasparenza, pubblicità e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi a essa prodromiche e successive. La stessa Autorità stabilisce le modalità di funzionamento dell’Osservatorio (comprendenti le informazioni obbligatorie, i termini e le forme di comunicazione) e applica le sanzioni amministrative pecuniarie mediante apposito Regolamento, nel rispetto del principio del contradditorio e della partecipazione al procedimento (comma 13 del prefato art. 213). Sanzioni che, in linea con la previgente disciplina, sono disposte nei confronti del soggetto che ometta, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni richieste ovvero fornisce informazioni non veritiere. Nel 2018 l’Autorità Nazionale Anticorruzione è tornata ad intervenire nella disciplina del “Casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” con l’adozione del Regolamento di cui alla delibera n. 533 del 6 giugno 2018 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 148 del 28 giugno 2018. Successivamente, è stato ulteriormente modificato con decisione del Consiglio del 29 luglio 2020 ed è in vigore, nella versione aggiornata, dall’11 settembre 2020 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 settembre 2020). Le principali novità riguardano l’introduzione delle annotazioni in ordine alle misure cautelari personali applicate dall’Autorità giudiziaria nell’ambito dei reati di cui all’art. 80, comma 1, d.lgs. 50/2016, nei confronti di persone fisiche che rivestono, all’interno degli operatori economici, ruoli rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 3 del medesimo d.lgs. 50/2016. Tale modifica ha quindi ampliato il ventaglio di informazioni che devono essere iscritte nel Casellario e, tra l’altro e in particolare, all’art. 8, comma 2 – nella sezione “B” ad accesso riservato alle s.a. e alle S.O.A. – “contiene: a) Le notizie, le informazioni e i dati concernenti i provvedimenti di esclusione dalla partecipazione alle procedure d’appalto o di concessione e di revoca dell’aggiudicazione per la presenza di uno dei motivi di esclusione di cui

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all’art. 80 del codice, che consolidano il grave illecito professionale posto in essere nello svolgimento della procedura di gara od altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o affidabilità dell’operatore economico; b)le notizie, le informazioni e i dati emersi nel corso di esecuzione dei contratti pubblici, relativi a: i) provvedimenti di risoluzione del contratto per grave inadempimento, anche se contestati in giudizio; ii) provvedimenti di applicazione delle penali o altri provvedimenti di condanna al risarcimento del danno o sanzioni di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1 % del suo importo; iii) altri comportamenti sintomatici di persistenti carenze professionali. c) le comunicazioni effettuate dalle Autorità Giudiziarie competenti in merito all’applicazione di misure cautelari nell’ambito di procedimenti per l’accertamento di reati correlati allo svolgimento dell’attività di impresa, comunque rientranti nell’elenco di cui all’art. 80, co. 1, del codice, nei confronti di persone fisiche che rivestono, all’interno degli o.e., ruoli rilevanti ai sensi dell’art. 80, co. 3, del codice.” Conseguentemente, il Casellario è divenuto il “contenitore” di tutte le informazioni relative agli operatori economici che operano con le stazioni appaltanti pubbliche al fine di potere valutare gli eventuali motivi di esclusione previsti dall’art. 80 del Codice con una doppia fun-

zione, quella generale, di ausilio alle singole stazioni appaltanti nella scelta del contraente, e, quella particolare, di consentire all’Autorità di svolgere le attività di vigilanza e controllo degli appalti. In ogni caso, prima della pubblicazione sul Casellario, ogni annotazione è comunicata all’o.e. interessato (art. 3) tramite P.E.C. o tramite procedura on-line accessibile dal sito dell’Autorità (art. 5) al fine di consentire l’attivazione di un procedimento di tutela in contraddittorio (art. 14). L’annotazione riguardante l’esclusione di un’impresa da una gara, ad esempio, può avere efficacia interdittiva automatica e quindi impedire, per un periodo di tempo – individuato da ANAC – la partecipazione alle gare, come nel caso di false dichiarazioni rese in gara. Ma l’annotazione può anche non avere efficacia interdittiva automatica, in tale caso, lo scopo dell’annotazione è quello di offrire alle Stazioni Appaltanti informazioni utili al fine di stabilire se l’operatore economico è – in quel momento – affidabile o meno e consentire alle amministrazioni di decidere, di volta in volta, se ammettere o escludere l’operatore dalla gara o di risoluzioni contrattuali conseguenti a violazioni di legge. Peraltro, l’ultima modifica apportata alla struttura del Casellario Informatico evidenzia che la ratio della sua tenuta è quella di offrire alle Stazioni Appaltanti “una fotografia” aggiornata della situazione in cui si trovano gli operatori economici nel momento in cui partecipano ad una procedura di pubblica evidenza. La rilevanza dell’iscri-


casellario informatico zione nel Casellario è assolutamente intuitiva per le annotazioni aventi efficacia interdittiva automatica, come nel caso di annotazione per falsa dichiarazione e, così, la Stazione Appaltante, interrogando il Casellario, allorquando rilevi un’iscrizione che comporta l’interdizione alla partecipazione, procede con l’esclusione automatica dell’o.e. senza dover compiere alcun tipo di valutazione discrezionale. Peraltro, con il Comunicato del 10 maggio 2017 l’ANAC ha chiarito che “l’inserimento dell’annotazione assume … valore di pubblicità/notizia del provvedimento assunto dalla Stazione appaltante in esito ad un apprezzamento, già operato da quest’ultima, dell’inadempimento in cui è incorso l’operatore economico colpito dalla risoluzione. Il potere di accertare la sussistenza e la gravità dell’inadempimento imputabile all’impresa esecutrice spetta, infatti, esclusivamente alla Stazione appaltante, giacché, ai sensi della normativa vigente, a seguito di segnalazione da parte di una Stazione appaltante di un provvedimento di esclusione dalla gara, l’Autorità è obbligata a iscrivere la relativa annotazione nel Casellario “. Tuttavia, sussistendo l’obbligo per l’Autorità a procedere con l’iscrizione, l’assenza di informazioni/annotazioni sul Casellario consentirebbe all’o.e. di omettere la dichiarazione senza correre il rischio di poter essere considerato reticente e, ciò, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento. Ed è in tal senso che è intervenuto il Consiglio di stato, sez. III, 12.07.2018 n. 4266, affermando che “per potersi ritenere integrata la causa di esclusione è necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal Casellario informatico dell’ANAC, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento, così come è stato chiarito dalle Linee guida dell’ANAC n. 6, al punto 4.6.” (linee guida previgenti rispetto all’approvazione della delibera n. 1293 del 16 novembre 2016 di aggiornamento al d.lgs. n. 56 del 19/4/2017). Poi, nel testo aggiornato delle citate linee guida n. 6 è stata data evidenza che, ad ogni modo, “gli operatori economici, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento, sono tenuti a dichiarare, mediante utilizzo del modello DGUE, tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio la loro integrità o affidabilità”. In conclusione, quindi, l’assenza di iscrizioni nel casellario non esime l’o.e. dall’obbligo di dichiarazione dei fatti rilevanti ai sensi dell’art. 80 del codice e determina in capo alla stazione appaltante l’obbligo di effettuare una valutazione sulla rilevanza delle circostanze dichiarate nonostante le stesse non figurino nel casellario. Una ipotesi di questo tipo, però, determina, ictu oculi, un cortocircuito informativo per la stazione appaltante chiamata ad assumere

provvedimenti potenzialmente escludenti dalla gara nell’impossibilità di conoscere le determinazioni che, per gli stessi fatti, hanno indotto ANAC a non procedere con l’iscrizione. D’altronde, se all’obbligo dichiarativo in seno al DGUE dell’o.e. è correlativamente posto l’obbligo per la stazione appaltante di comunicare all’Autorità i provvedimenti dalle stesse adottati e/o i provvedimenti emessi in sede giudiziale e, poi, le stesse notizie non figurano nella banca dati, il rischio è che alle notizie ritenute utili “ai fini della tenuta del Casellario” corrisponda l’inutilità della consultazione dello stesso Casellario. Nel caso in cui, inoltre, l’effetto escludente non sia automatico, ma rimesso alla discrezionalità delle singole Stazioni Appaltanti, l’esclusione sarà eventuale e disposta solo a seguito di un contraddittorio con l’operatore economico. In tali casi, infatti, la Stazione Appaltante potrà anche decidere che, in base alla specifica notizia riportata e alle misure di self cleaning eventualmente adottate dall’operatore economico, non sia opportuno disporre l’esclusione, in quanto l’operatore economico – nonostante abbia subito in passato un’esclusione – sia invece ad oggi affidabile. Ebbene, in tali casi risulta fondamentale che il testo dell’annotazione – se presente nel Casellario – riporti tutti gli elementi utili (e aggiornati) a definire la situazione in cui si trova l’operatore economico. È cioè fondamentale che il testo dell’annotazione riporti esattamente ed in maniera oggettiva i fatti che riguardano l’operatore economico al momento dell’iscrizione (che possono essere mutati rispetto a quando la Stazione Appaltante che ha disposto l’esclusione ha inviato la segnalazione ad ANAC). Per fare in modo che l’annotazione sia il più fedele possibile alla situazione in cui l’operatore economico si trova, sia a tutela delle amministrazioni, sia dell’operatore stesso, ANAC, dopo la trasmissione della segnalazione da parte della Stazione Appaltante, attiva un procedimento in contraddittorio con l’operatore economico. Un caso emblematico è dato dalle annotazioni di illeciti professionali che non hanno effetto automaticamente escludente e sono rimesse alle valutazioni delle singole stazioni appaltanti. Quest’ultime, non potendo stabilire in astratto la gravità dei fatti annotati e, quindi, desumere il livello di affidabilità richiesto nelle gare di rispettiva competenza, sono chiamate a compiere un accertamento interlocutorio con l’operatore economico “interessato” (cfr. anche l’interpretazione dell’ANAC esposta nelle Linee Guida n. 6, punto 6.2). In tal guisa, la tecnica di redazione delle annotazioni assume notevole importanza poiché potrebbe orientare le valutazioni delle stazioni appaltanti verso decisioni che possono incidere in modo considerevole le dinamiche di mercato. Ed è anche per tale ragione che il Legislatore ha inteso ancorare agli stessi soggetti annota-

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casellario informatico ti l’onere di chiedere che le informazioni siano riformulate, cancellate o ridimensionate in modo da prevenire contestazioni in gare future e, al contempo, ha lasciato alle S.A. la possibilità di approfondire la situazione personale dell’o.e. compulsando tutte le notizie/informazioni di cui dispone attraverso un procedimento in contraddittorio con lo stesso operatore economico in modo del tutto analogo al modus operandi dell’Autorità. Anche la giurisprudenza è più volte intervenuta sul tema confermando che la dimostrazione della correttezza professionale può comunque essere fornita nell’interlocuzione con le singole stazioni appaltanti in presenza di episodi annotati che “impongono” un chiarimento (cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, sent. del 21 marzo 2018 n. 321). Da ultimo, con il comunicato del Presidente del 29 novembre 2021, l’ANAC è tornata ad intervenire sulla questione della conoscenza delle informazioni e delle modalità attraverso le quali le stesse sono rese disponibili alle stazioni appaltanti fornendo indicazioni in ordine all’avvio del fascicolo virtuale dell’operatore economico. Inoltre, ha confermato il ruolo centrale ed esclu-

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sivo della BDNCP nella verifica dei requisiti di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e del ruolo strategico che l’interoperabilità che tale banca dati deve progressivamente assumere al fine di semplificare gli adempimenti per gli o.e., ridurre gli errori e le omissioni, condividere le informazioni e, in ultima analisi, consentire la verifica dei requisiti di carattere generale, tecnico-professionale ed economico e finanziario in tempo reale. Dal mese di marzo 2022 sarà operativa la prima versione del FVOE e l’Autorità ha anticipato il necessario aggiornamento della delibera n. 157/2016 con l’obiettivo di allineare l’evoluzione dei servizi online con le modalità di comprova e verifica dei requisiti. Con tutta probabilità e nell’immediato futuro, la creazione di dati nativi digitali e la tempestività dell’informazione consentiranno la progressiva riduzione della discrezionalità delle pubbliche amministrazioni nei processi di valutazione dei requisiti “a beneficio del corretto e spedito svolgimento delle operazioni di gara e con effetto deflattivo del contenzioso” evitando, così, ogni possibile cortocircuito informativo.


intelligenza artificiale Piero Fidanza - Studio legale Fidanza

Intelligenza artificiale e Consiglio di Stato

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a recente sentenza del Consiglio di Stato del 25 novembre scorso (Sezione Terza, n. 7891/2021) è degna di segnalazione poiché, per la prima volta, affronta il tema dell’intelligenza artificiale, mai portato alla cognizione del Giudice Amministrativo, con specifico riferimento ad una questione sorta nel settore delle pubbliche gare in ambito sanitario. Trattasi, dunque, di una sentenza che potremmo definire di importanza “storica”, all’interno della quale viene individuato il concetto di “Intelligenza Artificiale” come quell’ambito nel quale “l’algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole software e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”) ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elaborazioni, secondo un processo di apprendimento automatico”. Si noti, sin d’ora, che con l’intelligenza artificiale l’accento cade sul fatto che si è in presenza di un sistema che non si limita ad applicare delle regole stabilite dall’essere umano, ma che decide esso stesso, in conseguenza dell’assunzione di nuovi criteri di inferenza non previamente individuati dall’essere umano. Se, invero, con la nozione di algoritmo semplicemente ci si riferisce ad una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato, con l’intelligenza artificiale vi è un quid pluris, che prescinde dall’intervento del soggetto umano. Può essere utile richiamare la vicenda in questione nei suoi tratti essen-

ziali, precisando tuttavia che il Giudice amministrativo di appello tocca il tema dell’intelligenza artificiale, a cui aveva fatto richiamo il Giudice di prime cure, al fine di affermarne l’inconferenza nella questione scrutinata, rilevando come la problematica si giochi tutta all’interno del perimetro rappresentato dal solo concetto tradizionale di algoritmo. La questione affrontata dal Giudice di Palazzo Spada riguardava la gara per la fornitura di “Pacemaker di alta fascia DDDR”. La lex specialis di gara prevedeva, tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica, il possesso della caratteristica “Algoritmo di trattamento delle tachiaritmie atriali” alla quale assegnare un punteggio Tabellare (cioè On/Off)1. La gara era stata aggiudicata alla ditta ALFA, e la ditta BETA, posizionatasi al secondo posto in graduatoria, aveva impugnato l’aggiudicazione dinanzi al TAR in ragione della mancanza del punteggio ricevuto per tale parametro. In primo grado era stato censurato l’operato della Commissione di gara, che aveva ritenuto che il possesso di algoritmi per il trattamento delle tachiaritmie potesse essere soddisfatto solo nel caso di algoritmi automatici. L’algoritmo di trattamento presente nel prodotto offerto da BETA non interveniva automaticamente a trattare le aritmie, ma necessitava dell’ausilio di un operatore; pertanto esso non poteva essere qualificato come “automatico” e dunque essere meritevole di punteggio. Il Tar, smentendo la Commissione di gara, accoglieva il ricorso di BETA in ragione del fatto che: “la legge di gara richiede[va] unicamente la presenza di un algoritmo di trattamento (senza altro specificare)” e definiva il concetto di

Nel mondo delle pubbliche gare, l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata in tutte le fasi di scelta del contraente; nella fase di selezione e valutazione delle offerte ma anche per l’assegnazione dei punteggi nel caso di aggiudicazione in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa

1 Si è preferito semplificare il riferimento ai criteri di aggiudicazione presenti nella lex specialis di gara operando una piccola modifica per agevolare il lettore. Più precisamente infatti il capitolato tecnico indicava il parametro tabellare “Algoritmo di prevenzione+trattamento delle tachiaritmie atriali” al quale assegnare 15 punti per l’ipotesi di presenza di entrambi gli algoritmi e 7 punti nel caso di “presenza del solo algoritmo di prevenzione o del solo trattamento delle tachiaritmie atriali”.

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algoritmo affermando che “con esso ci si richiama, semplicemente, a una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato (come risolvere un problema oppure eseguire un calcolo e, nel caso di specie, trattare un’aritmia)… Per comprendere meglio, rientrano in tale nozione, ad esempio, l’algoritmo di Euclide (ovverosia un procedimento algebrico per trovare il massimo comun divisore), così come la ricetta per la preparazione di una pietanza, ma anche il procedimento di compressione di dati senza perdita (Gif, Png, Jpeg)”. Aggiungeva inoltre, al fine di meglio precisare il concetto, che: “non deve confondersi la nozione di “algoritmo” con quella di “intelligenza artificiale”, riconducibile invece allo studio di “agenti intelligenti”, vale a dire allo studio di sistemi che percepiscono ciò che li circonda e intraprendono azioni che massimizzano la probabilità di ottenere con successo gli obiettivi prefissati ... sono tali, ad esempio, quelli che interagiscono con l’ambiente circostante o con le persone, che apprendono dall’esperienza (machine learning), che elaborano il linguaggio naturale oppure che riconoscono volti e movimenti”. In sintesi il primo Giudice formulava il proprio percorso argomentativo in questi termini: l’algoritmo di trattamento dell’aritmia non è altro che l’insieme di passaggi (di stimoli creati dal pacemaker secondo istruzioni predefinite) necessari al trattamento del singolo tipo di aritmia. Questo concetto non richiede necessariamente, come ritenuto dalla Commissione di gara, che il dispositivo debba essere in grado di somministrare in automatico la corretta terapia (trattamento). In altre parole, il dato testuale della lettera di invito non richiede che l’algoritmo di trattamento, al verificarsi dell’episodio aritmico, sia avviato dal dispositivo medesimo in automatico. Tale caratteristica attiene invece ad una componente ulteriore,

non indicata nella legge di gara, vale a dire ad un algoritmo di intelligenza artificiale nell’avvio del trattamento. Fondatamente, pertanto, secondo il Giudice di primo grado, BETA aveva dedotto l’erroneità della valutazione della Commissione di gara. L’appellante ALFA contestava in Consiglio di Stato tale ricostruzione, segnalando come l’evoluzione del settore abbia fatto registrare l’introduzione di algoritmi sempre più complessi (in particolare nei dispositivi di c.d. alta fascia oggetto della gara de qua), in grado di “ottimizzare” la terapia di stimolazione in base alle caratteristiche individuali, ivi inclusa la capacità di riconoscere, prevenire e/o trattare episodi aritmici, quali le aritmie atriali. Ma al di là del grado di sofisticatezza, si tratterebbe pur sempre di algoritmi che agiscono secondo uno schema tipico (input-elaborazione-risposta) connaturato alla funzione di sorvegliare continuativamente il ritmo cardiaco, che nulla hanno in comune con i meccanismi di machine learning, di intelligenza artificiale dunque, evocati dal giudice di prime cure. Non rientrerebbero invece nella nozione di algoritmo, funzioni di test attivabili a mezzo del collegamento del pacemaker ad una strumentazione esterna (il c.d. programmatore, ovvero un computer dedicato in ambiente ospedaliero) sotto il diretto controllo del personale medico, chiamato a decidere, in base ai risultati del test, le azioni di stimolazione da far eseguire al pacemaker in modo temporaneo e sempre sotto supervisione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’appellante ALFA fosse nel giusto. Infatti nel caso di specie per ottenere la fornitura di un dispositivo con elevato grado di automazione non occorreva che l’amministrazione facesse espresso riferimento a elementi di intelligenza artificiale, essendo del tutto sufficiente, anche in considerazione della peculiarità del prodotto (pacemaker dotati, per defini-


intelligenza artificiale zione, di una funzione continuativa di “sensing” del ritmo cardiaco e di regolazione dello stesso), il riferimento allo specifico concetto di algoritmo, ossia ad istruzioni capaci di fornire un efficiente grado di automazione, ulteriore rispetto a quello di base nell’area del trattamento delle tachiaritmie atriali. I pacemakers moderni e di alta fascia sono infatti dotati di un numero sempre maggiore di parametri programmabili e di algoritmi specifici progettati per ottimizzare la terapia di stimolazione in rapporto alle caratteristiche specifiche del paziente. Dall’esame degli atti di causa emergeva in conclusione che la funzione offerta da BETA deve qualificarsi come test elettrofisiologico attivabile solo presso ambulatori cardiologici attraverso un programmatore esterno ed utilizzato dall’operatore clinico per assumere temporaneamente il controllo del pacemaker e per impartire, sulla base della valutazione in tempo reale del ritmo cardiaco, una sequenza di stimoli da erogare a scopo terapeutico. Tale funzione non consente di correggere automaticamente le aritmie al momento dell’insorgere della disfunzione. A nulla vale osservare, prosegue il Consiglio di Stato, come pure ha fatto BETA che anche il test offerto funziona sulla base di un algoritmo interno; siffatto algoritmo, che sovrintende al test diagnostico, non interviene in funzione di automazione delle funzioni di trattamento delle tachiaritmie atriali come richiesto dall’amministrazione, e dunque correttamente l’amministrazione non lo ha considerato ai fini del punteggio. Alla luce di tali considerazioni il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso. Richiamata tale sentenza di portata “storica” ed evidenziato che il punto centrale della questione è rappresentato dal fatto che un algoritmo di intelligenza artificiale può “assumere decisioni” imparando a partire dal mondo esterno, iniziamo a domandarci quale ruolo potrà avere l’intelligenza artificiale nel mondo degli appalti. L’intelligenza artificiale potrà ad esempio esercitare un ruolo importante con riferimento alla cd. giustizia predittiva, espressione con la quale si intende la capacità da parte di sistemi tecnologici di formulare ipotesi di natura probabilistica sugli esiti di casi giudiziari, sulla base di una grande quantità di dati tratti da precedenti simili. L’intelligenza artificiale può così rappresentare un salto di qualità nell’ambito delle attività di ricerca di precedenti giurisprudenziali utili ai fini di operare le scelte che abbiano maggiori probabilità di risultare vincenti. Sulla questione è sin troppo noto che un prezioso supporto alle decisioni della stazione appaltante (si pensi a titolo esemplificativo all’adozione di un provvedimento di esclusione dalla gara) possa essere rappresentato da una conoscenza approfondita della giurisprudenza, e ciò anche se nel nostro sistema giuridico il precedente giurisprudenziale non è vincolante per le decisioni attuali del

giudice. Il precedente giudiziario non ha infatti il valore dell’“ipse dixit” aristotelico e spesso sono presenti orientamenti nell’interpretazione della normativa che variano da un giudice all’altro: un dato che emerge talvolta è certamente la difformità di pronunce sulle medesime questioni. Inoltre la giurisprudenza è in continua evoluzione, per cui non ci sono mai certezze assolute su ciò che può considerarsi legittimo o illegittimo. Un’attenta e approfondita conoscenza del materiale giurisprudenziale rappresenta tuttavia un supporto prezioso per prendere con maggior serenità decisioni importanti. Nelle sentenze dei giudici amministrativi sono stati esaminati e decisi innumerevoli casi concreti che possono essere simili, se non identici, ad un caso che deve essere affrontato oggi. Pur in assenza di certezze, raccogliendo un gran numero di sentenze è possibile elaborare enormi quantità di dati per mezzo dei quali operare previsioni di natura probabilistica e quindi decidere tra le varie possibili opzioni. Attraverso l’intelligenza artificiale la macchina stessa può suggerire all’essere umano la decisione da prendere. È cioè la macchina che, attraverso procedimenti di elaborazione interni, giunge ad una decisione; decisione che può essere poi condivisa dall’essere umano o rifiutata. Attualmente lo scenario non è quello sopra descritto; oggi possiamo collegarci al sito internet del Consiglio di Stato e tramite un motore di ricerca cercare e selezionare le sentenze che interessano attraverso parole chiave e operatori logici. Spetta poi soltanto all’essere umano elaborare e interpretare tali dati per pervenire a considerazioni di carattere probabilistico. Con l’intelligenza artificiale tale ultimo passaggio (al pari dei precedenti) può sostanzialmente essere automatizzato. La macchina può cioè da sola elaborare i dati in modo tale da pervenire ad un giudizio di natura probabilistica. Nel mondo delle pubbliche gare, l’intelligenza artificiale potrebbe altresì essere utilizzata in tutte le fasi attraverso le quali si articola la procedura di scelta del contraente: ad esempio per la redazione iniziale degli atti di gara, compresi gli schemi di contratto; o anche nella fase di selezione e valutazione delle offerte, non solo per l’esame della documentazione amministrativa, ma anche per l’assegnazione dei punteggi nel caso di aggiudicazione in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Tutta una serie di operazioni, anche di natura discrezionale, attraverso le quali si articola il procedimento amministrativo e che oggi richiedono l’intervento umano potrebbe cioè essere delegata (almeno in parte) alla macchina. Trattasi di un processo ormai avviato ed inarrestabile che anche recentemente ha segnato significativi passi in avanti. Si pensi a titolo esemplificativo alla recente approvazione da parte dell’Anac della realizzazione del “Fascicolo digitale” per gli operatori economici, teso a favorire la riduzione degli

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oneri per gli operatori del settore, in applicazione di una delle misure di semplificazione in materia di contratti pubblici previste dal PNRR e dal D.L. n. 77/2021. Tale fascicolo “consentirà alle stazioni appaltanti di utilizzare gli accertamenti già effettuati da un’altra stazione appaltante per ammettere l’operatore economico alla gara, velocizzando l’attività di verifica dei requisiti generali (white list)…obiettivo è quello di rendere quasi automatizzata la verifica dei requisiti, permettendo alle Stazioni appaltanti e alle imprese di concentrarsi sulla strategia di acquisto invece che sulle procedure e sugli aspetti formali” (vedasi il Comunicato del Presidente Anac del 29.11.2021). Se ciò è possibile, si impone una riflessione su quelle che devono essere le regole del gioco che presidiano tale utilizzo. Su ciò la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di pronunciarsi e dunque alcune coordinate possono essere tracciate, quantomeno con riferimento alle cd. decisioni algoritmiche (in cui non necessariamente si ha l’impiego di strumenti di intelligenza artificiale). Si tratta invero di coordinate disegnate con riferimento ad altre materie, ma che tuttavia possono essere utili, essendo riferibili al procedimento amministrativo in generale, quindi anche a quel procedimento amministrativo particolare rappresentato da una pubblica gara. Nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2270 dell’8.4.2019 il caso scrutinato dal giudice concerneva dei docenti della scuola secondaria che avevano presentato domanda al Ministero della Pubblica Istruzione per l’assunzione a tempo indeterminato e che, in conseguenza della procedura, si erano ritrovati assegnati a province lontane rispetto a quella di residenza. In particolare, la contestazione riguardava l’esito della procedura che, svolta sulla base di un algoritmo di cui non si conoscevano le concrete modalità di funzionamento, aveva disposto i trasferimenti senza tener conto delle preferenze espresse dagli interessati, pur in presenza di posti disponibili nelle province richieste. In altro ricorso similare il Consiglio di Stato (sentenza n. 8474 del 13.12.2019) si era occupato di un caso nel quale dei docenti immessi in ruolo impugnavano la procedura nazionale di mobilità adottata dal Ministero. Il giudice, in entrambe tali pronunce, ha innanzitutto riconosciuto gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di una procedura digitale ed attraverso un “algoritmo”. Specificando altresì che, se nel caso dell’attività vincolata il ricorso a strumenti di automazione della raccolta e valutazione dei dati ben può essere rilevante, anche l’esercizio di attività discrezionale, in specie tecnica, può in astratto beneficiare delle efficienze e, più in generale, dei vantaggi offerti dagli strumenti stessi. Fatta questa premessa, ha tuttavia

evidenziato che l’utilizzo di procedure “robotizzate” non può essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa. Difatti, la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, e come tale deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità, trasparenza, ragionevolezza, proporzionalità, ecc…; la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software, è comunque da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale. La conseguenza è che il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”. Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dal procedimento usato per la sua elaborazione al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare, anche attraverso la cognizione del giudice amministrativo, che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento, affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato; per poter insomma verificare la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione. In tale contesto, non può assumere rilievo la riservatezza delle imprese produttrici dei meccanismi informatici utilizzati le quali, ponendo al servizio del potere autoritativo tali strumenti, ne accettano le relative conseguenze in termini di necessaria trasparenza. Nei casi presi sopra in esame sussisteva la violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza, poiché non era dato comprendere per quale ragione le legittime aspettative di soggetti collocati in una determinata posizione in graduatoria fossero andate deluse. L’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso l’algoritmo utilizzato, fossero stati assegnati i posti disponibili, costituisce quindi secondo il giudice amministrativo di per sé un vizio tale da inficiare la procedura. Il Consiglio di Stato ha inoltre evidenziato come l’impiego di strumenti di intelligenza artificiale comporti una serie di scelte e di assunzioni tutt’altro che neutre: l’adozione di modelli predittivi e di criteri in base ai quali i dati sono raccolti, selezionati, sistematizzati, ordinati e combinati, la loro interpretazione e la conseguente formulazione di giudizi sono tutte operazioni frutto di precise scelte e di valori, consapevoli o inconsapevoli; ne


intelligenza artificiale consegue che tali strumenti sono chiamati ad operare una serie di scelte, che dipendono in gran parte dai criteri scelti e dai dati di riferimento utilizzati. Nel caso in cui una decisione automatizzata produca effetti giuridici che riguardano una persona”, questa ha diritto a che tale decisione non sia basata unicamente su un processo automatizzato. Deve comunque esistere nel processo decisionale un intervento umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica (cd. Human in the loop). Il Consiglio di Stato nella sua giurisprudenza ha accennato anche ad altre problematiche. Dal considerando n. 71 del Regolamento 679/2016 il diritto europeo trae un ulteriore principio fondamentale, di non discriminazione algoritmica, secondo cui è opportuno che il titolare del trattamento utilizzi procedure matematiche o statistiche appropriate per la profilazione, mettendo in atto misure tecniche e organizzative adeguate al fine di garantire, in particolare, che siano rettificati i fattori che comportino inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori, anche al fine di garantire la sicurezza dei dati personali. Con ciò ponendosi secondo il Consiglio di Stato anche un problema di gestione dei relativi dati, anche in applicazione del Regolamento europeo in materia. Quanto precede secondo una modalità che tenga conto dei potenziali rischi esistenti per gli interessi e i diritti dell’interessato e che impedisca tra l’altro effetti discriminatori nei confronti di persone fisiche, sulla base della razza o dell’origine etnica, delle opinioni politiche, religiose o delle convinzioni personali, dell’appar-

tenenza sindacale, dello status genetico, dello stato di salute o dell’orientamento sessuale. Richiamando quanto scritto sopra, gli strumenti di intelligenza artificiale possono essere utilizzati non solo per predire sentenze (da parte degli operatori), ma anche per produrre le sentenze stesse (da parte del sistema giudiziario), facendosi guidare da precedenti simili. Ciò avviene abitualmente in alcuni stati degli Stati Uniti d’America, dove il metodo ha mostrato anche i suoi limiti dando luogo ad accesi dibattiti, come nel noto caso Compas. L’algoritmo Compas (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions) è stato utilizzato nell’ambito del processo penale per calcolare le probabilità di recidiva dell’imputato, così da determinare la pena più appropriata. In tale contesto sono state analizzate le distorsioni che i cd. “bias” (ossia pregiudizi, nel caso Compas di tipo razziale) possono provocare nel funzionamento dell’algoritmo. Tale precedente ci ricorda dunque che la cd. giustizia predittiva deve essere utilizzata con la consapevolezza dei potenziali rischi che essa può comportare. In definitiva, dunque, l’algoritmo, secondo la prospettazione del giudice di Palazzo Spada, quando utilizzato dalla pubblica amministrazione deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico”, con applicazione ad esso delle tradizionali regole giuridiche che presidiano tale concetto. Regole che ben dovranno trovare applicazione quando l’intelligenza artificiale comincerà a trovare significative applicazioni nel settore delle pubbliche gare.

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normazione Roberto Bonatti - Avvocato e Professore aggregato di diritto processuale generale dell’Università di Bologna

Senza la conoscenza effettiva non si ricorre: note in tema di accesso agli atti e di tutela della riservatezza nelle gare d’appalto

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accesso agli atti non è certo un istituto nuovo nel nostro ordinamento. Non lo è neppure nelle sue declinazioni più recenti (1) e nemmeno nello specifico settore delle procedure di affidamento degli appalti pubblici. Ciononostante, impegna continuamente i massimi organi giurisdizionali interni ed europei, che ancora non paiono aver indicato regole chiare, semplici ed efficaci che possano essere agevolmente seguite dalle amministrazioni aggiudicatrici senza timore di suscitare reazioni dell’uno o dell’altro concorrente coinvolto. Tentare di mettere ordine in questo susseguirsi di pronunce può non essere semplice, principalmente per due ragioni. Da un lato, manca una disciplina organica e aggiornata sull’accesso agli atti nelle procedure ad evidenza pubblica e l’incoerenza della normativa ovviamente causa incertezze applicative che solo in parte sono risolvibili con gli strumenti attuali. Dall’altro, le pronunce provengono da plessi giurisdizionali differenti, i quali non sempre ragionano seguendo i medesimi schemi e perseguendo i medesimi obiettivi. La fonte di tutti i problemi è stata spesso ricondotta al mancato aggiornamento dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. che ancora si riferisce testualmente

all’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici ed il rinvio non è stato mai aggiornato espressamente alle disposizioni del nuovo codice dei contratti ed alla disciplina, in parte differente, dei tempi entro cui esercitare il diritto di accesso nelle procedure ad evidenza pubblica. La colpevole inerzia del legislatore nell’indicare una soluzione chiara - tuttora perdurante nonostante la gravità delle conseguenze che ne derivano sia sotto gli occhi di tutti - lascia all’interprete il non facile compito di trovare una soluzione accettabile ed organica. Già soltanto mettere in evidenza queste difficoltà interpretative rappresenta un vulnus nel nostro ordinamento: va in proposito ricordato come la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla c.d. direttiva ricorsi sia consolidata nel ritenere che gli Stati membri hanno un obbligo di istituire un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile, onde consentire ai singoli di conoscere i propri diritti ed obblighi (2). Invece, non solo si sono verificate incertezze applicative talmente forti da richiedere l’intervento dell’Adunanza Plenaria sul modo di conteggiare il decorso del termine per la proposizione di ricorso giurisdizionale contro gli esiti della procedura di gara (sentenza

La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla c.d. direttiva ricorsi è consolidata nel ritenere che gli Stati membri hanno l’obbligo di istituire un sistema di termini di decadenza sufficientemente preciso, chiaro e prevedibile, onde consentire ai singoli di conoscere i propri diritti ed obblighi

1 Si pensi al riconoscimento dell’istituto dell’accesso civico generalizzato anche nelle procedure di affidamento degli appalti pubblici, secondo i principi stabiliti da Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10 del 2 aprile 2020, sulla quale si veda Ingegnetti, Accesso civico generalizzato e appalti pubblici: il punto della Plenaria, in Giur. it., 2021, p. 157 ss.; Mirra, Diritto d’accesso e attività contrattuale della pubblica amministrazione: la Plenaria risolve ogni dubbio?. in Urb. e appalti, 2020, p. 680 ss. 2 Corte Giust. Un. Eur., sentenza del 14 febbraio 2019 in causa C-54/19, Cooperativa Animazione Valdocco; Cons. Stato, Sez. III, n. 7624 del 16 novembre 2021.


normazione n. 12 del 2 luglio 2020), ma addirittura detto intervento nomofilattico non è stato in grado di fugare tutti i dubbi interpretativi, che sono riemersi in dottrina ed in giurisprudenza. Tanto che, nel breve volgere di qualche mese al termine del 2021, sono intervenute la Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 28 ottobre 2021) e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione, sentenza del 7 settembre 2021 in causa C-927/19). La pronuncia dell’Adunanza Plenaria è ormai divenuta molto nota e ciò permette di limitare ad un richiamo sintetico dei due punti di partenza e del punto di arrivo del ragionamento condotto. Il primo presupposto è che nel nostro sistema di giustizia amministrativa non è consentita la proposizione di ricorsi “al buio”, ossia prima che il ricorrente sia posto in grado di percepire l’esistenza del vizio lamentato. In questo contesto, l’accesso agli atti assolve senza dubbio ad una funzione essenziale nella garanzia del diritto di azione perché è lo strumento attraverso il quale il concorrente può verificare la legittimità dell’azione amministrativa condotta dalla stazione appaltante. Proprio per questa ragione, la giurisprudenza amministrativa ha sempre aderito ad una

interpretazione molto estensiva dell’interesse all’ostensione dei documenti, letto quale fulcro centrale della garanzia di trasparenza e di imparzialità della P.A. e, quindi, ancorato direttamente all’art. 97 Cost. Il secondo presupposto è che, tuttavia, questa importantissima funzione deve essere contemperata con la certezza dell’azione amministrativa e pertanto il termine di decadenza per l’impugnazione giurisdizionale non può essere lasciato all’iniziativa del concorrente, che potrebbe strumentalmente ritardare l’esercizio del diritto di accesso al fine di procrastinare il momento in cui gli esiti della gara divengano inoppugnabili. Di qui l’articolata soluzione offerta dall’Adunanza Plenaria: anzitutto, l’omissione delle formalità di pubblicità del provvedimento di aggiudicazione da parte dell’Amministrazione impedisce tout court la decorrenza del termine per l’impugnazione giurisdizionale (3). Una volta inviata tale comunicazione individuale, l’Adunanza Plenaria ha precisato che nell’ordinario il termine per il ricorso può essere aumentato di quindici giorni, traendo tale termine per analogia dall’abrogato art. 79, comma 5 quater del precedente codice (4) e dall’art. 79, comma 2,

3 Sotto questo aspetto, vale la pena di ricordare che non pare corretto ritenere che la comunicazione ai concorrenti dell’avvenuta aggiudicazione e dei provvedimenti di esclusione possa avvenire semplicemente mediante pubblicazione di tali provvedimenti, o di un avviso, pubblicato sul portale del committente: infatti, l’art. 79, comma 5, del codice dei contratti è formulato in modo chiaro nel senso di una “comunicazione” individuale all’aggiudicatario, al concorrente che lo segue in graduatoria, a ciascun concorrente che ha presentato offerta in gara e a chi abbia già impugnato atti precedenti della gara. Ciò differenzia le “comunicazioni”, che sono quindi individuali, dagli “avvisi” che possono invece essere semplicemente resi pubblici. La giurisprudenza più recente, invece, tende a ritenere idonea anche la mera pubblicazione sul portale del committente, specialmente qualora la lex specialis di gara indichi che tutte le comunicazioni verranno effettuate in tale maniera. A mio parere, invece, la lex specialis non può derogare alla legge su questo aspetto, perché introdurrebbe un onere sproporzionato al concorrente di verificare tempestivamente l’avvenuta pubblicazione, per esempio, del provvedimento di aggiudicazione della gara e renderebbe eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto di difesa contro tale provvedimento, connesso al breve termine decadenziale per l’impugnazione, traducendosi di fatto in una violazione dell’art. 24 Cost. 4 Che, tuttavia, indicava il termine di dieci giorni, e non di quindici, per l’esercizio del diritto di accesso: “Fermi i divieti e differimenti dell’accesso previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se ci sono atti per i quali l’accesso è vietato o differito, e indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che l’accesso sia consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il relativo personale presta servizio”.

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normazione

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dell’attuale e vigente codice che appunto contiene il riferimento numerico di quindici giorni. Questo passaggio logico è un’evidente forzatura della norma e sfocia in una criticabile interpretazione creativa (5) da parte dell’Adunanza Plenaria: infatti, i quindici giorni sono riferiti al tempo massimo entro il quale la P.A. deve dare risposta all’istanza di accesso, mentre nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria si trasformano nel termine entro il quale il concorrente interessato deve presentare l’istanza stessa. In sostanza, per effetto della sentenza dell’Adunanza Plenaria si sarebbe introdotto per via pretoria un termine per nulla previsto dalla legge (o meglio, previsto da una norma abrogata) ed addirittura collegato alla decadenza da ben due diritti (il diritto di accesso e il diritto all’azione giurisdizionale) (6). In effetti, la forzatura di questa parte del ragionamento è tale che non è stata riprodotta tra i principi di diritto enunciati, in chiusura, dall’Adunanza Plenaria stessa, che richiamano invece solo più genericamente un meccanismo di dilazione temporale del dies a quo, senza tuttavia né quantificare in termini numerici questa dilazione né chiarire da quando tale dilazione possa effettivamente conteggiarsi (7). Invece, è generalizzata una sorta di clausola di salvaguardia, che riporta all’effettiva e materiale conoscenza dei documenti necessari per la piena conoscenza del vizio (quindi, se non prima conoscibile, solo al momento in cui l’accesso è stato materialmente consentito), nell’ipotesi di inerzia o di ostruzionismo o, va aggiunto, di informazioni contraddittorie da parte della stazione appaltante. Le perplessità evidenziate dalla dottrina sono tuttavia in parte mitigate dai due autorevoli interventi successivi sull’accesso agli atti nelle gare d’appalto di cui abbiamo detto. La Corte Costituzionale – pur formalmente avallando il ragionamento complessivamente proposto dall’Adunanza Plenaria e pur se cadendo nel medesimo errore di ritenere che l’art. 76, comma 2, del codice dei contratti preveda un termine di quindici giorni per esercitare il diritto di accesso quando invece detto termine è rivolto alla P.A. destinataria dell’istanza di accesso – ha tuttavia ricordato che nessuna interpretazione può sfuggire alla sola regola aurea che rende compatibile questo modello con l’art. 24 Cost.: che, cioè deve sempre essere assicurato al concorrente l’intero termine di trenta giorni per l’impugnazione decorrenti dal momento di effettiva percezione del vizio, se tale momento non è stato procrastinato per una colpevole inerzia o comunque da negligenza del concorrente stesso. In sostanza, mancando un termine di decadenza dal diritto di accesso, il concorrente deve aver presentato

l’istanza di accesso in un termine sufficientemente esiguo da dimostrare di non essere rimasto colpevolmente inerte rispetto alla comunicazione dell’esito della gara. Il ragionamento fino a questo punto condotto è tutt’altro che privo di conseguenze sul piano della procedura amministrativa di gara. Lo dimostra l’intervento della Corte di Giustizia nella sentenza del 7 settembre 2021 sul delicato rapporto tra l’accesso agli atti e la tutela delle informazioni riservate del concorrente in gara. Infatti, è esperienza comune che il sub-procedimento avviato dall’istanza di accesso del concorrente non colpevolmente inerte possa durare ben più dei quindici giorni previsti dall’art. 76 comma 2, del codice dei contratti. Ciò perché l’accesso coinvolge quasi sempre gli elementi tecnici delle offerte che, frequentemente, il concorrente aggiudicatario ha indicato come contenenti segreti tecnici o commerciali. In questa situazione, va conciliato il diritto di accesso del concorrente istante con il diritto alla segretezza del concorrente nei confronti del quale è rivolta l’istanza di accesso. La Corte di Giustizia ha però affermato molto chiaramente che l’Amministrazione non può assumere un ruolo passivo in questa contesa: non può cioè né appiattirsi sulla dichiarazione del concorrente circa l’esistenza di segreti tecnici e commerciali né all’opposto ritenere automaticamente prevalente il diritto di accesso. La Corte richiama invece le stazioni appaltanti ad avere un ruolo attivo, valutando in concreto ed indipendentemente dalla dichiarazione del concorrente se effettivamente le parti che quest’ultimo vorrebbe sottrarre all’accesso contengano reali segreti tecnici e commerciali oppure no. Per semplificare l’attività valutativa propria dell’Amministrazione, la Corte di Giustizia indica un percorso molto chiaro: è compito del concorrente che oppone l’esistenza di un segreto tecnico o commerciale di dimostrare che effettivamente la divulgazione di simile informazione potrebbe essergli pregiudizievole nelle dinamiche di mercato. In altri termini, la Corte stabilisce chiaramente che non basta una opposizione generica fondata sulla mera affermazione dell’esistenza di un segreto e che spetta al concorrente che afferma ciò l’onere di provare all’Amministrazione l’effetto anticoncorrenziale che la divulgazione dell’informazione provocherebbe. A questo punto, la Stazione appaltante avrà gioco facile nel respingere le opposizioni e concedere integralmente l’accesso ai documenti richiesti qualora via sia una generica opposizione all’ostensione documentale, senza timore di esporsi alle reazioni del concorrente che aveva negato l’autorizzazione all’accesso. Inoltre, anche quando l’esistenza di un segreto tecnico o commerciale sia non solo

5 Sandulli, Per la Corte costituzionale non c’è incertezza sui termini per ricorrere nel rito appalti: la sentenza n. 204 del 2021 e il creazionismo normativo dell’Adunanza plenaria, in Federalismi.it, n. 26 del 17 novembre 2021, p. 15. 6 Ferrante, Il dies a quo per l’impugnazione degli atti di gara, in G.D.A., 2021, p. 90 ss. 7 Sandulli, op. cit.


normazione affermata ma anche provata dall’operatore economico in questione, l’Amministrazione ha comunque il dovere di consentire al concorrente che ha presentato l’istanza di accesso di accedere a tutte le informazioni necessarie per il controllo, anche giurisdizionale, sulla legittimità del procedimento di gara. Di conseguenza, dovrà comunque comunicare in forma neutra le informazioni contenute nell’offerta tecnica del concorrente, sostituendo i riferimenti puntuali che consentirebbero di rivelare i segreti tecnici e commerciali con informazioni più generiche, ma comunque in grado di soddisfare l’esigenza di trasparenza della gara e di controllo della legittimità del procedimento. Si tratta di considerazioni del tutto in linea con le norme del nostro codice dei contratti: l’art. 53, comma 5, lett. a), infatti, stabilisce che possano essere sottratte all’accesso agli atti le sole informazioni che, “secondo motivata e comprovata dichiarazione” dell’offerente, contengano segreti tecnici o commerciali

(8). Insomma, non è affatto sufficiente la dichiarazione del concorrente circa l’esistenza di tali informazioni riservate ma è indispensabile che il concorrente che intenda sottrarre tali informazioni all’accesso altrui illustri le conseguenze pregiudizievoli che potrebbero manifestarsi per effetto dell’accesso (“motivata”) ed offra dimostrazione di ciò (“comprovata”). In assenza di tali caratteristiche, la mera dichiarazione di opposizione deve considerarsi tamquam non esset (9). A chiusura del cerchio, pare significativo rimarcare che i giudici del Kirchberg traggono questa conclusione proprio dal principio di effettività del diritto ad un ricorso efficace garantito dalla direttiva 89/665/CEE sulle procedure di ricorso, che sarebbe di fatto impedito se al concorrente non fosse consentito l’accesso a tutti gli elementi utili dell’offerta dell’altro concorrente (punto 128 della sentenza). Si ritorna, insomma, al punto di partenza: senza la conoscenza effettiva non si ricorre.

8 Non è possibile affrontare in questa sede il pur delicato tema di cosa si intenda per segreto tecnico o commerciale: può comunque convenirsi con la giurisprudenza maggioritaria secondo la quale si deve trattare di informazioni ed esperienze obiettivamente ignote al resto dei consociati e che abbiano un valore economico proprio in quanto sconosciute (cfr. art. 98, cod. proprietà intellettuale). Per approfondimenti, si rimanda in particolare alle conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa oggetto della sentenza in commento, punti 43 e ss. 9 Può essere utile aggiungere che la giurisprudenza è persino giunta ad affermare che la decisione di un’impresa di partecipare a gare di appalto pubbliche comporta una inevitabile accettazione del rischio di divulgazione del segreto industriale o commerciale, ove quest’ultimo sia impiegato allo scopo di acquisire un vantaggio competitivo all’interno di una gara pubblica, proprio in dipendenza dei caratteri di pubblicità e trasparenza che assistono quest’ultima (sul punto, cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, ord. n. 49 del 14 gennaio 2019; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, ord. n. 737 del 3 dicembre 2021).

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partenariato pubblico-privato nel PNRR Andrea Stefanelli - Foro Bologna

Partenariato pubblico-privato in sanità. Il coraggio delle scelte

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gnuno deve fare il proprio lavoro, non vi è dubbio. Tuttavia, che in un momento in cui l’Italia deve trovare il modo per investire i 222 miliardi che arriveranno dal Next Generation EU, l’Autorità Nazionale Anticorruzione pubblichi il Comunicato 12/1/2022 con cui stigmatizza il project financing nei servizi, ritenendo che il riconoscimento della prelazione al soggetto promotore porti ad una riduzione della concorrenza nonché a “possibili ricadute negative sulla fase d’esecuzione”, appare quantomeno inopportuno. Anche perché, come noto, fra il 2022 ed il 2023 lo Stato italiano dovrà scegliere i progetti che vuole finanziare tramite il PNRR correndo il rischio, in caso contrario, di non riuscire ad utilizzare tutti i fondi stanziati entro la scadenza del 2026. Che il NGEU sia un piano di investimenti senza precedenti non è in discussione, ma è altrettanto vero che non si tratta di finanziamenti “a fondo perduto” ma di contributi erogati a fronte di progetti approvati e monitorati nei vari stati d’avanzamento, per cui necessitano di una capacità progettuale ed esecutiva di tutto rispetto. Ce lo dicono con estrema chiarezza le “Istruzioni Tecniche per la selezione dei progetti PNRR” allegate alla Circolare n. 22 del 14/10/2021 del Ministero dell’Economica e Finanze, in cui è chiarito come i Piani nazionali d’investimento dei fondi di provenienza europei siano “performance based e non di spesa”, con ciò significando che il loro utilizzo non solo dev’essere monitorato

(nella sua realizzazione e fino alla completa esecuzione) ma, soprattutto, come detti fondi debbano (e possano) essere unicamente stanziati per finanziare ben precisi e specifici “progetti”. E non è tutto in quanto, risultando il NGEU un debito assunto dall’intera Unione Europea e finanziato “a debito”, la stessa EU pretende che i contributi erogati servano per investimenti strutturali e non utilizzati per la spesa corrente, allo scopo di rafforzare l’economia e non per coprire disavanzi dei singoli Stati membri. Se a tutto ciò s’aggiunge un arco temporaneo estremamente breve (2021-2026) entro cui “spendere questi soldi”, ben si comprende come siamo di fronte ad un problema estremamente grave: nei prossimi 5 anni dobbiamo individuare 222 miliardi di progetti innovativi su cui investire!!! Se dunque il nuovo “piano Marshall” del XXI secolo implica una considerevole capacità progettuale, occorre allora domandarsi se le Pubbliche Amministrazioni italiane posseggano detta capacità, ovvero se siano in grado di redigere progetti, che l’UE finanzia e monitora, in modo da evitare che poi, in caso di loro mancato completamento, ce ne possa venir chiesta la restituzione. Non si può dimenticare che veniamo da oltre 20 anni di contrazione della spesa pubblica, ovvero da decenni di politiche di contenimento dei costi che hanno visto, non da ultimo, l’adozione di un Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.n. 50/2016) basato sulla centralizzazione degli acquisti (per ottenere economie di scala) nonché sulla

Il NGEU è un piano di investimenti senza precedenti che non mette però a disposizione finanziamenti “a fondo perduto” ma contributi erogati a fronte di progetti approvati e monitorati nei vari stati d’avanzamento che necessitano di una capacità progettuale ed esecutiva di tutto rispetto


partenariato pubblico-privato nel PNRR costituzione di Soggetti aggregatori a cui è assegnato il compito degli approvvigionamenti, svuotando in tal modo le singole P.A. delle capacità e competenze di progettare ‘in proprio’ (se non in casi del tutto eccezionali). Oggi invece vien chiesto alle Amministrazioni non solo d’immaginare il proprio futuro ma anche di progettarlo, per mettere in campo proposte e soluzioni per investimenti strutturali (per oltre 200 mld.), il tutto peraltro da realizzare in soli 5 anni!!! Se dunque è ragionevole immaginare che le PP.AA. sono impreparate ad un compito così arduo, è altrettanto logico ipotizzare come le stesse amministrazioni si rivolgano al mercato per chiedere ai privati operatori economici di supportarle in questo percorso progettuale, con cui costruire insieme il futuro del Paese. E’ proprio in questa precisa ottica che si assiste, oramai da qualche mese, all’improvvisa “fortuna” di un istituto del Codice appalti finora quasi del tutto disapplicato, vuoi per una carenza d’investimenti pubblici (oggi invece sovrabbondanti), vuoi altresì per la congenita avversione con cui vien vista la collaborazione fra il pubblico ed il privato. Parliamo del Partenariato Pubblico Privato di cui al capo IV del D.Lgs.n. 50/2016, che in realtà racchiude in sé molteplici forme di collaborazione fra PP.AA. ed operatori economici, che vanno dalla Concessione di lavori e/o di servizi al Contratto di disponibilità, dalla Finanza di progetto (meglio noto come “Project Financing”) al

Baratto amministrativo ecc. Fra tutte queste modalità “atipiche” di collaborazione pubblico-privato ve ne è tuttavia una che, per le sue particolari caratteristiche, sembra più delle altre adattarsi ai tempi ed alle esigenze sopra rappresentate; ci si riferisce al cd. P.P.P. ad iniziativa privata, disciplinato dal comma 15 dell’art. 183. Questo particolare istituto si caratterizza per il fatto che la proposta non viene dall’Amministrazione ma dall’operatore economico che, forte di un’idea e/o di un progetto, la sottopone alla P.A. per verificarne l’interesse. Tale proposta dev’essere costituita da un Progetto di fattibilità, una bozza di Convenzione ed un Piano Economico Finanziario asseverato, che l’amministrazione deve valutare nei 3 mesi successivi alla sua presentazione, per esprimere un giudizio di “pubblico interesse” (o meno) della proposta presentata. In caso affermativo la P.A. farà proprio il progetto, lo inserirà nel Piano di programmazione biennale (per beni e servizi) o triennale (per le opere), per dare poi inizio all’iter concorsuale per l’individuazione del soggetto in grado di realizzare il progetto presentato dal privato promotore. Alla gara, esperita secondo quanto dispone l’art. 182, è prevista poi la possibilità che partecipi anche il Promotore, il quale può godere altresì del diritto di prelazione, ovvero d’aggiudicarsi la gara anche qualora la sua offerta non sia risultata vincente (salvo dover rimborsare all’effettivo vincitore i costi della sua partecipazione). Diversamente

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invece, qualora il Promotore decida di non attivare la prelazione, è il vincitore della gara a dover rimborsare al promotore il costo del suo progetto. I vantaggi di questo modalità procedimentale-contrattuale sono molteplici: • la P.A. può sopperire alla propria capacità progettuale, ricorrendo agli operatori economici ed alla loro iniziativa ‘senza spendere un soldo; • il Promotore è invogliato a predisporre un progetto da sottoporre alla P.A. in quanto, oltre a poter partecipare alla gara esperita per la sua realizzazione, è in ogni caso sicuro di rientrare del costo del progetto, o vincendo la relativa gara oppure vedendosene rimborsato il costo dal suo vincitore; • anche gli altri operatori economici possono risultare interessati a partecipare al project financing, in quanto non solo possono concorrere per la sua realizzazione ma, nel contempo, risultano altresì in grado d’acquisire conoscenze e know how messi a disposizione dal promotore nella predisposizione del progetto. Il P.P.P si caratterizza poi - e distingue dalla concessione, più ancora che dall’appalto - per l’allocazione del cd. “rischio operativo”, che deve obbligatoriamente ricadere in misura maggioritaria sull’operatore economico, con ciò significando che tanto il rischio della domanda quanto quello dell’offerta devono gravare – almeno per il 51% - sul privato, che ha quindi tutto

l’interesse a realizzare il servizio in maniera efficace ed efficiente rischiando, in caso contrario di non veder remunerare il proprio investimento. Se dunque il P.P.P. ad iniziativa privata rappresenta un formidabile strumento per sopperire, da un lato, alla mancata capacità progettuale delle Pubbliche Amministrazioni nonché, dall’altro, a consentire la realizzazione di opere e servizi in tempi estremamente ridotti (e quindi in linea con la tempistica del PNRR), oltre che del tutto efficaci ed efficienti, l’unica cosa che manca è dunque il “coraggio” dell’amministrazione Pubblica ad aprirsi a questa nuova modalità contrattuale. Per questo motivo l’intervento dell’ANAC – con la Circolare 12/1/2022 - ed il suo monito a garantire comunque la massima concorrenzialità in un PPP ad iniziativa privata certamente non è sbagliato ma non aiuta in quell’opera di sensibilizzazione dei Funzionari pubblici, necessaria invece per superare le ritrosie e far accettare questo appalto innovativo. Anche perché l’alternativa è che siano le PP.AA. a redigere e presentare progetti per investimenti strutturali, in tempi brevissimi ed accollandosene totalmente il costo. E’ il tempo delle scelte, dunque, e non ci si può tirare indietro, per cui è necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità, in modo da far sì che non valga quel famoso aforisma secondo cui “La rinuncia: l’eroismo della mediocrità” (Natalie Clifford Barney).


normazione Diego Bazzucco - Avvocato

La clausola sociale non ha effetto automatico e rigidamente escludente NOTA A CONSIGLIO DI STATO, in sede giurisdizionale sez. III; sentenza 29 novembre 2021, n. 7922; Pres. Michele Corradino; Est. Giulio Veltri; Romeo Gestioni S.p.A (Avv. Ferola, Napolitano) contro Società Regionale per la Sanità S.p.A. - Soresa S.p.A. e A.s.l. Na 2 Nord (Avv. Merola) nei confronti di Rti Gruppo Sam Servizi Ambienti Metropolitani S.r.l e Consorzio Servizi Integrati (Avv. Ambroselli, Gentile, Mignacca, Bruno). I l contributo si prefigge lo scopo di ricostruire il quadro normativo e concettuale relativo alla clausola sociale di riassorbimento del personale di cui all’art. 50 del D.Lgs. 50/2016. Viene analizzata la giurisprudenza amministrativa e le Linee Guida ANAC n. 13 del 2019 per cercare di dare un quadro esaustivo degli approdi allo scopo di delineare il contenuto della clausola sociale. In modo particolare, come nel caso affrontato, i giudici amministrativi, protendono per l’interpretazione secondo cui alla clausola sociale non possa essere attribuito un effetto automaticamente e rigidamente escludente e non possa essere intesa nel senso di comportare un obbligo assoluto per l’operatore entrante di riassorbire in modo generalizzato il personale impiegato dall’operatore uscente.

dall’ASL Napoli 2 Nord nel giugno 2019 per un appalto il cui valore superava i 22 milioni di euro. In I grado la medesima ha impugnato l’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante nei confronti del R.T.I. CSI, prima graduata, con uno stacco dalla ricorrente di 1,4 punti. La documentazione di gara, trattandosi di appalto classificato labour intensive, contemplava la clausola sociale di cui all’art. 50 del D.Lgs. 50/2016, debitamente declinata dal disciplinare di gara per la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore aggiudicatario con le esigenze tecnico-organizzative del medesimo. La ricorrente in I grado ha censurato, tra i vari motivi, l’illegittima mancata esclusione dell’offerta di CSI per inosservanza del vincolo della clausola sociale, in quanto, a fronte di 125 addetti (secondo quanto precisato nei chiarimenti PI014120-19 e PI013022-19) già impiegati dal gestore uscente nel lotto 1 (come da elenco nominativo allegato), CSI avrebbe previsto di mantenere solo 98 unità nel “Progetto di assorbimento del personale” facente parte della propria offerta tecnica. I giudici di I grado hanno sottolineato, in primo luogo che CSI ha regolarmente prodotto, all’interno della documentazione amministrativa, la formale ed esplicita dichiarazione di accettazione della clausola sociale. Inoltre, il progetto tecnico di CSI prevedeva, oltre al riassorbimento delle summenzionate 98 unità di personale operaio addetto alle pulizie, inquadrate tra il livello 2 ed il livello 4, l’impiego di ulteriori 28 dipendenti impegnati in altri compiti comunque attinenti all’esecuzione dell’appalto (anche se non inquadrati come operai, quali i responsabili del servizio, gli ispettori della qualità, gli addetti

Con il termine “clausola sociale” ci si riferisce a quelle norme di origine legislativa o pattizia che impongono al concorrente o all’esecutore di un appalto pubblico, l’adozione di certi comportamenti che vanno ad incidere sulla sua struttura organizzativa o sulle modalità operative

Il caso di specie Per comprendere al meglio la decisione resa nel caso di specie occorre necessariamente ripercorrere le tappe fondamentali del contenzioso in cui la pronuncia interviene. La ricorrente Romeo Gestioni è risultata seconda graduata, conseguendo peraltro il maggior punteggio possibile per l’offerta economica, nella gara indetta

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al call center, i responsabili degli acquisti e del magazzino di zona, gli addetti agli approvvigionamenti, etc.). Sottolineando come nella fattispecie in esame non fosse configurabile alcun obbligo espulsivo a carico della stazione appaltante nei termini prospettati dalla ricorrente principale, ribadendo che la clausola sociale debba essere armonizzata con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario e che la stessa non comporti un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente, sicché lo stesso sia imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo operatore. La statuizione non ha convinto la ricorrente, che ha successivamente appellato la decisione di fronte al Consiglio di Stato, il quale ha pienamente confermato quanto deciso in I grado. In modo particolare il Collegio ha chiarito, come da orientamento consolidato, che alla clausola sociale non possa essere attribuito “un effetto automaticamente e rigidamente escludente” e non possa pertanto essere intesa “nel senso di comportare un obbligo assoluto per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa in quanto l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente deve essere contemperato e reso compatibile

con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto” (tra le tante: Cons. Stato, sez. III, 28/12/2020, n. 8442; Cons. Stato, sez. V, 2/11/2020, n. 6761; Consiglio di Stato, Sez. VI, 20/10/2020, n. 6336, 29/07/2020, n. 4832 e 24/07/2019, n. 5243; Sez. III, 28/07/2020, n. 4799 e 5/08/2020, n. 4945; Sez. IV, 22/06/2020, n. 3970; Sez. V, 4/05/2020, n. 2796). Il carattere “prioritario” dell’assorbimento dimostra come la clausola non si ponga in contrasto in alcun modo con la necessaria armonizzazione della prescrizione specifica prevista dalla clausola medesima con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto. Nel caso di specie l’aggiudicataria ha offerto di assorbire 98 su 125 operai e ha per il resto dichiarato di voler assumere personale con funzioni di coordinamento e governance, ritenuti necessari ai fini di un’efficiente organizzazione del servizio. Le clausole sociali e la loro evoluzione nell’ordinamento Il tema della corretta interpretazione ed applicazione della clausola sociale di cui all’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 risulta di centrale importanza per le incertezze che la caratterizzano sia dal lato delle stazioni appaltanti e sia dal lato degli operatori economici. Nell’ordinamento italiano il tema delle c.d. “clausole sociali” emerge a partire


normazione dal diciannovesimo secolo1 con il diffondersi di previsioni di natura legislativa e regolamentare, che imponevano alle imprese l’applicazione di certi standard minimi di tutela a favore dei lavoratori coinvolti nella realizzazione di opere e servizi pubblici2. Da subito viene in luce l’intreccio con i principi e le norme che regolano le attività istituzionali delle amministrazioni e con i problemi maggiormente rilevanti per il diritto del lavoro, quali la previsione di condizioni minime di tutela in favore dei prestatori di opere e, in fase successiva, quelli dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo e della promozione dell’occupazione e della sua stabilità3. Nello specifico con il termine “clausola sociale” ci si riferisce, in generale, a quelle norme di origine legislativa o pattizia che impongono al concorrente o all’esecutore di un appalto pubblico, l’adozione di certi comportamenti che vanno ad incidere sulla sua struttura organizzativa o sulle modalità operative4. L’introduzione delle clausole sociali nei contratti pubblici rappresenta una tecnica usata

per promuovere le imprese socialmente responsabili nel mercato dei lavori e dei servizi con la pubblica amministrazione5 e sono state inserite nelle disposizioni disciplinanti i contratti pubblici per evitare che l’aggiudicatario applicasse “contratti poco rappresentativi” contenenti trattamenti salariali e disposizioni lavorative peggiorative per il lavoratore rispetto a quelli previsti per i contratti più diffusi6. Nello specifico si rinvengono clausole che impongono che le retribuzioni non siano inferiori a quelle stabilite dalla contrattazione collettiva c.d. “clausole sociali di equo trattamento”; quelle che impongono, in caso di successione d’appalti, all’appaltatore subentrante di impiegare la manodopera in forza dell’omologo uscente c.d. “clausole di riassorbimento”; quelle che impongono l’assunzione di personale appartenente a categorie svantaggiate in misura superiore ai limiti previsti dalla legge c.d. “clausole d’inserimento sociale”. Più nello specifico si tende a distinguere, anche se in modo non agevole, le clausole sociali di “prima generazione” e di “seconda gene-

1 I primi autorevoli commenti si hanno ad opera di F. Carnelutti, Sul contratto di lavoro relativo ai pubblici servizi assunti da imprese private, in Rivista del diritto commerciale, 1909, I, pp. 416 e ss. 2 Si veda D. Izzi, Lavoro negli appalti e dumping salariale, Giappicchelli Editore, Torino, 2018, p. 68; E. Ghera, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in Dir. Rel. Ind., 2001, pp. 133 e ss. 3 Per una ricostruzione storica si veda R. Santucci, Sistema di relazioni industriali e contratto collettivo, in R. Santucci, L. Zoppoli (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Giappicchelli Editore, Torino, 2004, pp. 14 e ss. 4 Si veda A. Avino Murgia, La clausola sociale dopo le Linee guida ANAC n. 13, in Urbanistica e appalti, n. 3/2019, p. 309. 5 Le clausole sociali sono state definite come “declinazione dell’uso strategico dei contratti”. Si veda sul punto M. Cafagno, A. Fari, Clausole sociali e suddivisione in lotti (artt. 50 e 51), in M. Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti pubblici, Giappicchelli Editore, Torino, 2019, pp. 220-224. 6 Si veda C. Viviani, Appalti sostenibili, green public procurement e socially responsible public procurement, in Urbanistica e appalti, n. 8-9, 2016, pp. 993 e ss.

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razione”. Le prime, considerate il prototipo delle clausole sociali, vincolano l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico a rispettare i trattamenti economici e normativi previsti dai relativi contratti collettivi, in modo tale da assicurare un’adeguata tutela dei lavoratori e contrastare dinamiche di concorrenza al ribasso del costo del lavoro, secondo un “meccanismo di recezione mediata dei contratti collettivi”7. Queste clausole hanno una storia più che secolare, in quanto la prima disposizione riconducibile al modello della clausola sociale è data dall’art. 357 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F8. Per molto tempo ancora, tuttavia, nell’ordinamento italiano il ricorso alle clausole sociali non è stato previsto in una norma di carattere generale: le clausole erano di volta in volta contemplate nei provvedimenti che dettavano una specifica disciplina per la realizzazione di opere pubbliche in un determinato settore produttivo9 e nella legislazione relativa ai provvedimenti di concessione di agevolazioni e benefici accordati dalla pubblica amministrazione10. È stato necessario attendere lo Statuto dei Lavoratori, per giungere ad una disciplina generale delle clausole sociali: l’art. 36, L. n. 300/1970, impone l’inserimento dell’obbligo di applicare o far applicare trattamenti non inferiori a quelli risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona in tutti i provvedimenti di concessione di benefici e in tutti i capitolati di appalto di opere pubbliche11. Questa viene definita come la prima vera clausola sociale di portata generale dell’epoca costituzionale e viene a mettere in relazione l’interesse dell’impresa e quello dei lavoratori tutte le volte in cui essi si intersechino con l’intervento della pubblica amministrazione12. Diversamente le clausole di “seconda generazione” sono volte alla tutela dell’occupazione dei lavoratori coinvolti negli appalti e nelle concessioni pubbliche, o nei processi di privatizzazione dei servizi. L’utilizzo di tali clausole si intensifica a partire dalla fine degli anni ‘90 e si concentra nel settore degli appalti pubblici13, prevalendo sulle clausole di prima 7 8 9 10 11

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generazione, che vi convivono, in quanto la maggior parte delle disposizioni è indirizzata a preservare l’impiego dei prestatori di opere coinvolti nell’attività oggetto di appalto o concessione. In questa tipologia di clausole sociali prevale l’interesse individuale alla stabilità dell’impiego, a differenza delle clausole di prima generazione in cui, al contrario, appaiono preponderanti i profili di natura collettiva, connessi all’estensione dell’ambito di applicazione del contratto. Invero nel D.Lgs. 50/2016 sono presenti entrambe le tipologie di clausola sociale. Sin dalla loro comparsa nell’ordinamento giuridico italiano le clausole sociali sono state sottoposte ad uno scrupoloso scrutinio da parte della giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto da subito ci si è resi conto della difficoltà di coniugare tale strumento, finalizzato alla più ampia tutela dell’occupazione, con altri principi ugualmente meritevoli di protezione, quali la libertà di impresa consacrata all’art. 41 Cost. In più occasioni la Corte costituzionale ha ammesso che la libertà di concorrenza possa subire limitazioni necessarie a consentire il soddisfacimento di altri interessi costituzionalmente rilevanti, come appunto le esigenze di utilità sociale, fino a che tali clausole siano effettivamente compatibili con la struttura organizzativa dell’appaltatore e le sue strategie aziendali. Sicché, il sacrificio imposto non deve comportare un’eccessiva restrizione della autonomia strategica sul mercato, che possa intaccare le ricadute benefiche della competizione economica sulla qualità dei servizi. Ciò accadrebbe laddove incombesse sui soggetti subentranti l’obbligo di assumere tutti i lavoratori già impegnati nelle attività oggetto del bando con contratti a tempo indeterminato14. Di talché l’obbligo posto all’affidatario si riflette sui principi di legalità e buon andamento della pubblica amministrazione affidante in termini di minore apertura dei servizi alla concorrenza e di maggiori costi15. Sulle medesime questioni in realtà la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha mostrato un atteggiamento meno aperto al bilanciamento della tute-

E. Ghera, Le c.d. clausole sociali ..., op. cit., p. 134. Si veda D. Napoletano, Appalto di opere pubbliche e tutela dei diritti del lavoratore, in Riv. Giur. Lav., 1953, I, pp. 267 e ss. Si veda E. Vincenti, Origine ed attualità della c.d. “clausola sociale” dell’art. 36 dello Statuto dei lavoratori, in Dir. Lav., 1999, I, pp. 429 e ss. Cfr. l’art. 8, L. n. 695/1956, e, più in generale, la legislazione degli anni ‘60, in materia di incentivi per lo sviluppo del Mezzogiorno e di ausilio alle imprese. In seguito l’ambito di applicazione della disposizione è stato esteso dalla Corte costituzionale anche alle concessioni di pubblico servizio, in quanto «lo strumento utilizzato per la scelta del contraente non viene ad introdurre, sotto lo specifico profilo dell’inserzione della c.d. “clausola sociale”, aspetti peculiarmente caratterizzanti l’appalto di opere pubbliche rispetto alla concessione di pubblici servizi», Corte cost., 19 giugno 1998, n. 226, in Foro it., I, col. 6. Tra tutti si veda F. Pantano, Le clausole sociali nell’ordinamento giuridico italiano. Concorrenza e tutela del lavoro negli appalti, Pacini Giuridica, Pisa, 2020, p. 16. Le clausole sociali, nell’ambito dei contratti pubblici, si sono affermate inizialmente all’interno di normative di settore, quali quelle relative al servizio di riscossione, distribuzione del gas naturale e ai call center, mentre il primo intervento legislativo sistematico volto ad attuare la disciplina della clausola sociale all’interno degli appalti si deve alla c.d. riforma Biagi. In particolare con l’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 si è stabilito che l’acquisizione di personale già impiegato nell’appalto dal precedente gestore per effetto del subentro di un nuovo appaltatore dotato di una propria struttura organizzativa e operativa, che avvenga in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda. Per un’ampia trattazione dell’applicazione della Legge Biagi in relazione al “cambio di appalto” si veda I. Alvino, La nozione di trasferimento di ramo d’azienda alla prova del fenomeno del “cambio appalto”: un cantiere ancora aperto?, in Dir. Rel. Ind., fasc. 2, 2018, pp. 556 e ss. Cfr. S. Costantini, Limiti all’iniziativa economica privata e tutela del lavoratore subordinato: il ruolo delle c.d. “clausole sociali”, in Ianus, 2011, pp. 199 e ss. Corte Cost. 3 marzo 2011, n.68, in Giur. Cost., 2011, pp. 1053 e ss.


normazione la occupazionale e della libertà d’impresa, tanto che si è spinta a condannare l’Italia e altri Paesi membri per aver introdotto regimi di protezione sociale ritenuti incompatibili con le direttive16. L’obbligo imposto ai nuovi gestori di riassumere i lavoratori impiegati dal precedente prestatore rischierebbe, infatti, di pregiudicare un’efficiente gestione dell’appalto affidato e si rifletterebbe sull’utenza su cui verrebbero a gravare i costi finali. Con le direttive del 200417 si è assistito ad un’apertura alle clausole sociali con la previsione della possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di introdurre “condizioni particolari” di esecuzione dell’appalto che tenessero conto anche di aspetti sociali. Ma è solo nel 2014 che viene chiarito come le medesime condizioni particolari di esecuzione includano anche gli aspetti legati all’occupazione18. Le clausole sociali nel D.Lgs. 50/2016 Il legislatore nazionale ha dato attuazione alle Direttive n. 23, 24 e 25 del 2014, che segnano una vera e propria svolta nell’applicazione delle clausole sociali nell’ambito dei contratti pubblici, con il D.Lgs. 50/2016 definendo le clausole sociali all’art. 3, comma1 lett. qqq), come quelle “disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di

legge e agevolazioni finanziarie”, stabilendo poi all’art. 100 che «le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto europeo e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione e siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d’oneri. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali». Prima di arrivare alla norma di riferimento per il caso di specie è necessario sottolineare che all’art. 30, comma 4, del D.Lgs. 50/2016 è presente una clausola di “prima generazione” in quanto è prevista l’applicazione al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni del contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente. Si sottolinea come il dettato normativo appaia idoneo a produrre effetti immediati nella sfera giuridica dell’impresa contraente e dei prestatori d’opera. Pertanto i trattamenti del contratto collettivo sostituirebbero quelli difformi definiti dall’autonomia individuale, anche in assenza di un esplicito richiamo da parte dei capitolati o

16 Corte Giust. CE 9 dicembre 2004, C-460/2002, con cui la Corte ha stabilito che l’art. 14 del D.Lgs. 18/1999, prevedendo per i servizi aeroportuali di assistenza a terra il passaggio del personale dell’appaltatore uscente alle dipendenze dell’appaltatore subentrante in misura proporzionale alla quota di traffico o di attività da quest’ultimo acquisita, violasse la direttiva del Consiglio 96/67/CE, che mirava a ridurre i costi di gestione delle compagnie aeree. Lo stesso esito si è avuto in relazione a un giudizio analogo contro la Germania per gli stessi servizi (Corte Giust. CE 14 luglio 2005, C-386/2003). 17 Con particolare riferimento all’art. 26 della Direttiva 2004/18/CE e all’art. 38 della Direttiva 2004/17/CE. 18 Il diverso bilanciamento che l’Unione europea ha operato tra promozione della crescita economica e tutela occupazionale è da leggere nella nuova tendenza del perseguimento del c.d. “modello sociale”, che è diventata particolarmente attuale con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Infatti nel nuovo assetto regolamentare, grazie alle norme di apertura del TFUE (artt. 9 e 4) e del TUE (artt. 2 e 3), il mercato cessa di ricoprire la sua funzione essenziale tra gli obiettivi dell’Unione e la concorrenza viene espressamente indicata come strumento funzionale all’economia sociale di mercato. Si veda M.G. Vivarelli, Clausole sociali, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Tomo II, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, pp. 205-206.

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dei contratti di appalto o concessione, sulla base di un’esplicita e diretta previsione di legge19. Ma la norma cardine in ambito di clausole sociali nel D.Lgs. 50/2016 è data sicuramente dall’art. 50 il quale prevede che per tutti i contratti diversi da quelli aventi natura intellettuale e con particolare riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera, «i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono20, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81». Questa è chiaramente una clausola di “seconda generazione” in quanto volta alla promozione dell’occupazione e al riassorbimento del personale nel fenomeno dell’avvicendamento degli appalti. A differenza della disposizione di cui all’art. 30, comma 4, la clausola sociale in questione impone obblighi alle amministrazioni appaltanti, senza dispiegare la propria efficacia in modo diretto sulle posizioni contrattuali dei singoli e delle imprese21. Non si delineano effetti integrativi, che operino di diritto, e altresì non è contemplato l’inserimento automatico della clausola sociale nel contratto di appalto. Anzi viene sottolineato come l’identificazione del contenuto della clausola sociale sia rimessa, per intero, alla discrezionalità delle stazioni appaltanti, pertanto se la clausola non fosse menzionata nella documentazione di gara, l’appaltatore subentrante non sarebbe soggetto all’obbligo di riassorbimento, fatto salvo quando disposto dalla Linee Guida ANAC di cui al paragrafo successivo. La questione più rilevante che interessa l’art. 50 attiene al contenuto delle clausole che le stazioni appaltanti inseriscono nella documentazione di gara, in quanto non sono state fornite indicazioni a riguardo da parte del legislatore. Il riferimento testuale è a «clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato», pertanto sembra che le stazioni appaltanti siano libere di definire in modo del tutto discrezionale le prescrizioni prescelte da imporre al nuovo appaltatore, tenendo in considerazione le indicazioni della giurisprudenza che non concede spazio ad alcun tipo di automatismo nel passaggio del personale e che impongono di garantire la tutela della libertà di iniziativa economica dell’impresa. Sono di sicuro condivisibili le massime giurisprudenziali per le quali le clausole sociali adottate sulla base dell’art. 50 devono limitarsi a

prevedere diritti di precedenza nelle assunzioni poste in essere dall’impresa subentrante nei passaggi di appalti o concessioni22. Dunque, l’interpretazione dell’art. 50 deve garantire le scelte organizzative e strategiche dell’impresa e, in particolare, la sua autonomia nella definizione, sul piano quantitativo e qualitativo, delle professionalità da impiegare per la realizzazione degli obblighi assunti con le amministrazione pubbliche23. L’assetto organizzativo di uomini e mezzi adibiti allo svolgimento delle attività oggetto dell’appalto non è immutabile e non si sottopone a un riscontro oggettivo, soprattutto in considerazione al fatto che il giro d’affari dell’aggiudicatario normalmente non si limita all’attività resa in favore della stazione appaltante e si inserisce in un contesto aziendale più complesso e articolato. Inoltre, nulla impedisce al nuovo appaltatore di modificare, secondo valutazioni gestionali discrezionali, l’allocazione delle risorse strumentali e umane, ridefinendo la struttura organizzativa complessiva della propria impresa e non vi sono ragioni perché nell’ambito di tali scelte egli debba essere vincolato ad assunzioni che non ha determinato relative a personale che non ha selezionato. Data l’indeterminatezza degli assetti organizzativi delle singole imprese non è sempre agevole definire rispetto a quali delle eventuali nuove assunzioni i lavoratori già impiegati nelle attività oggetto dell’appalto possano vantare tale prerogativa. Certamente deve essere garantita laddove l’impegno dei nuovi dipendenti sia per intero assorbito dall’attività svolta in favore della stazione appaltante e nelle medesime posizioni ricoperte da quelli che reclamino il passaggio. Inoltre, il diritto di precedenza può essere garantito solo rispetto ai lavoratori dotati di analoga professionalità e che svolgono, almeno in prevalenza, un’attività di contenuto simile. Contrariamente la libertà organizzativa verrebbe eccessivamente compromessa laddove si imponesse di assumere prestatori d’opera dotati di professionalità che essa stessa non ha ritenuto necessarie o adeguate alla realizzazione del proprio progetto organizzativo24. Le Linee guida ANAC n. 13 Con la delibera 13 febbraio 2019, n. 114, l’ANAC ha emanato le Linee Guida n. 13 recanti “Disciplina delle clausole sociali”, il cui testo definitivo ha fruito degli apporti di numerosi stakeholders e del parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, reso con

19 Per una ricostruzione più approfondita si veda F. Pantano, Le clausole sociali …., op. cit., p. 97. 20 Il testo è quello risultante dalle modifiche apportate dall’art. 33, comma primo, del D.Lgs. 57/2017, in quanto la versione originaria prevedeva unicamente una «facoltà» in capo alle stazioni appaltanti, con un impatto di certo più contenuto. 21 Mentre l’art. 36 della L. 300/1970 stabilisce che le clausole sociali cui fa riferimento siano previste «nei capitolati di appalto», l’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 menziona «i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti», quindi data la natura pubblicistica di tali atti, sono ipotizzabili profili di invalidità della procedura, da verificare sulla base dei principi e delle norme del diritto amministrativo. In tal senso, anche se in modo non chiaro, sembra esprimersi TAR Liguria, sez. II, 21 luglio 2017, n. 640. 22 Cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 25 febbraio 2016, n. 1255. 23 In tal senso Corte cost., 5 luglio 1990, n. 316. 24 E. Ghera, Le c.d. clausole sociali ..., op. cit., p. 149.


normazione provvedimento n. 2703/2018. Queste Linee Guida sono state adottate con il fine di chiarire alcuni aspetti legati all’ambito di applicazione della clausola, la concreta applicazione di tali clausole all’interno dei bandi di gara, nonché le conseguenze in caso di mancato adempimento. È necessario evidenziare in primis che l’atto adottato dall’Autorità non ha natura vincolante25, ma mira unicamente a fissare una prassi interpretativa per i soggetti coinvolti nelle procedure ad evidenza pubblica. Questo non significa che le stazioni appaltanti possano applicare liberamente le Linee Guida, in quanto per discostarsi da quanto previsto dall’Autorità, le stazioni appaltanti sono tenute a fornire adeguata motivazione, anche a fini di trasparenza, che indichi le ragioni della diversa scelta amministrativa e, comunque non possono essere adottate interpretazioni irragionevoli ed abnormi26. L’aspetto

principale che le Linee Guida hanno inteso disciplinare è quello relativo all’obbligatorietà o meno dell’inserimento della clausola sociale in tutti i bandi, avvisi ed inviti di gara, stante la dubbia formulazione della clausola sociale di cui all’art. 50 del D.Lgs. 50/2016. A tal proposito la norma in questione prevede l’inserzione della clausola negli atti di gara relativi ad affidamenti dei contratti di concessione e di appalto diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera. Quindi l’Autorità ha dovuto innanzitutto chiarire se sussistesse un obbligo di inserimento della clausola in tutti gli atti di gara relativi ad appalti e concessioni, ovvero se la norma dovesse essere letta nel senso che solo nei casi di affidamenti ad alta intensità di manodopera27 la clausola fosse obbligatoria e negli altri solo facoltativa: questa seconda

25 Si veda la Relazione illustrativa delle Linee Guida, p. 4. Quanto alla natura delle Linee Guida ANAC, il Consiglio di Stato ne ha individuate tre tipologie: quelle approvate con decreto ministeriale, su proposta dell’ANAC; quelle vincolanti adottate dall’ANAC; quelle non vincolanti adottate dall’ANAC. Le Linee Guida n. 13 appartengono a quest’ultima categoria e la loro natura giuridica è stata assimilata a quella delle circolari contenenti istruzioni operative per le pubbliche amministrazioni. Si veda in particolare F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida ANAC. Testo scritto provvisorio della relazione tenuta al convegno “L’Amministrazione pubblica nella prospettiva del cambiamento”: il codice dei contratti e la riforma “Madia” a Lecce, 28 e 29 ottobre 2016, consultabile su www.italiaappalti.it, il quale parifica questi atti alle fonti terziarie del diritto amministrativo. 26 A riguardo è necessario evidenziare che laddove le Linee Guida contengano una raccomandazione puntuale, è necessario il rispetto da parte della stazione appaltante e un’eventuale inosservanza, pur non potendo integrare il vizio di violazione di legge, può rilevare come vizio di eccesso di potere, nella misura in cui tale inosservanza rappresenti una deviazione dalla regola di condotta indicata come corretta dall’ANAC. Sul punto si veda C. Deodato, Fonti di secondo livello e Linee Guida, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Tomo I, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, p. 258. 27 È lo stesso art. 50 del D.Lgs. 50/2016 a definire i contratti ad alta intensità di manodopera quelli nei quali il costo della manodopera sia pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto, conformemente a quanto stimato dalla stazione appaltante nella documentazione di gara.

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normazione interpretazione è quella accolta dall’ANAC28. Le Linee Guida proseguono chiarendo la natura di quelli che si definiscono “servizi intellettuali” a cui non si applica l’art. 50, asserendo che sono tali le prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, come ad esempio il brokeraggio assicurativo e la consulenza29. Quanto all’applicazione delle clausole sociali, ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 la stazione appaltante inserisce nella lex specialis la clausola che l’aggiudicatario accetta espressamente nel contratto. La previsione contrattuale deve comunque rispettare alcune condizioni: • deve sussistere l’assimilabilità tra il contratto precedente e quello da avviare con l’aggiudicatario, con la precisazione che non vi è incompatibilità oggettiva quando essa riguarda le prestazioni dedotte nel contratto e non deriva da valutazioni o profili meramente soggettivi attinenti agli operatori economici;

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• la clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di riassorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione del nuovo affidatario30. Al fine di consentire all’aggiudicatario di essere nella posizione di conoscere i dati del personale da assorbire ed eliminare possibili asimmetrie informative è necessario che l’operatore uscente metta a disposizione della stazione appaltante e del nuovo contraente tutte le informazioni relative al costo della manodopera31. Da ultimo le Linee Guida chiariscono le conseguenze derivanti dal mancato adempimento della clausola sociale, prevedendo che la mancata accettazione in sede di gara fa sì che l’offerta sia condizionata e, come tale, inammissibile. Al contrario, la dichiarazione di applicare la clausola nella misura in cui la stessa sia compatibile con la propria organizzazione non giustifica l’esclusione del

28 In dottrina si è osservato come l’occupazione dei lavoratori coinvolti nei c.d. appalti labour intensive non sia più meritevole di tutela rispetto a quella di altri prestatori di opere, impiegati in attività connotate da un più determinante apporto delle strumentazioni materiali. In proposito non vengono ritenute condivisibili le affermazioni di parte della giurisprudenza amministrativa secondo le quali ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 la previsione nel bando di gara della c.d. clausola sociale è consentita solo nel caso in cui il contratto sia qualificabile come “ad alta intensità di manodopera” (Tar Lazio – Roma, sez. III, 5 marzo 2019, n. 2905; Tar Lazio – Roma, sez. III, 4 marzo 2019, n. 2818). La predominanza del lavoro sulle strumentazioni non giustifica di certo una diversa declinazione delle tutele, che peraltro non trova radicamento nel testo normativo e ciò viene confermato dal dettato delle Linee Guida, cfr. F. Pantano, Le clausole sociali …., op. cit., p. 144. 29 Con tale qualificazione ci si deve riferire anche alle attività che vengono svolte in parallelo ad altre attività materiali, laddove il tipo di prestazione svolta richieda competenze professionali che sono prevalenti rispetto alle attività materiali. 30 Nella Relazione illustrativa delle Linee Guida l’ANAC sottolinea che a prescindere dalla fonte che introduce l’obbligo di prevedere la clausola, sia esso un CCNL o una previsione di legge, è comunque necessario che la medesima sia correttamente declinata nella documentazione di gara nel rispetto del principio di proporzionalità e libera iniziativa economica (p. 5). Inoltre per trovare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze della libertà di organizzazione dell’operatore economico e di garantire la continuità dell’occupazione dei lavoratori impiegati nel precedente appalto, l’ANAC ha previsto che si debba considerare di regola il personale uscente calcolato come media del personale impiegato nei sei mesi precedenti la data di indizione della nuova procedura di affidamento. 31 Si sottolinea in dottrina che se ciò non accadesse si assisterebbe ad un esercizio, da parte dell’operatore uscente, di una posizione dominante, o comunque di un vantaggio informativo, della quale occorre prevenire il possibile abuso al fine di evitare fenomeni di azzardo morale a detrimento della par condicio tra i concorrenti. Si veda S. Casini, Clausola sociale ed elusione dei limiti di legittimità, in Urbanistica e appalti, 1/2020, p. 83.


normazione concorrente. Se però, in sede di esecuzione del contratto, l’aggiudicatario omettesse di dare applicazione alla clausola, le sanzioni applicabili sarebbero quelle propriamente civilistiche, ovvero la risoluzione del contratto o l’irrogazione di penali in relazione alla gravità della violazione. Recenti approdi giurisprudenziali Sebbene le Linee Guida siano state adottate a seguito di ampio e altamente qualificato dibattito tra parti contrapposte, non sono state comunque in grado di ridurre lo spazio del contenzioso formatosi in relazione all’interpretazione e applicazione della clausola sociale. A tal proposito di seguito si riportano degli esempi di questioni affrontate dai giudici amministrativi, che peraltro presentano punti di congiunzione con il caso affrontato. In relazione ad un giudizio conclusosi poco dopo l’adozione delle Linee Guida il Consiglio di Stato ha evidenziato come la clausola sociale possa atteggiarsi come clausola immediatamente escludente e, per tale ragione, immediatamente impugnabile32. Nel caso esaminato un operatore aveva impugnato le disposizioni della lex specialis della procedura nella parte in cui veniva previsto un importo a base di gara insufficiente a coprire i costi di esecuzione del servizio, anche alla luce dell’obbligo di assorbire indistintamente tutto il personale dell’azienda cessante, traducendosi così in un fattore ostativo alla partecipazione. Questa pronuncia consente di analizzare un aspetto già analizzato dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato, ovvero quello dell’effettivo contemperamento della libertà di impresa con il diritto al lavoro, che per essere realizzato, richiederebbe l’eliminazione dell’asimmetria informativa tra imprenditore entrante

e imprenditore uscente e la conseguente impossibilità di riuscire a formulare un’offerta economica ponderata che tenga conto dell’effettivo costo del lavoro33. Risulta pertanto cruciale imporre, da parte della stazione appaltante, all’appaltatore uscente l’obbligo di fornire un flusso informativo completo che consenta di appurare il costo effettivo della manodopera impiegata. Il Consiglio di Stato ha persino suggerito di colpire la violazione degli “obblighi informativi post-contrattuali” con le sanzioni previste in caso di grave illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. 50/2016. Inoltre, parte del contenzioso riguarda la sussistenza o meno di un obbligo di assunzione integrale ovvero a tempo indeterminato del personale impiegato dalla precedente impresa affidataria. Infatti, oggetto di alcuni ricorsi di fronte al giudice amministrativo è stata l’ampiezza del dovere di assorbimento, al fine di comprendere se la clausola sociale che il concorrente si è impegnato a rispettare in sede di gara comporti anche l’obbligo di assumere la totalità dei lavoratori impiegati dal precedente appaltatore, ovvero di assumerli secondo il vincolo di durata con cui erano precedentemente impiegati. In un caso i giudici amministrativi hanno ribadito che l’obbligo di assunzione del personale dell’operatore uscente non priva il subentrante della propria libertà di impresa e della conseguente facoltà di organizzare al meglio i propri fattori produttivi. Pertanto, sarebbe assolutamente legittimo assegnare il personale assorbito ad altre mansioni, così come altrettanto legittimo sarebbe avvalersi del lavoro supplementare o effettuare nuove assunzioni34. Altresì il Consiglio di Stato, attraverso una disamina complessiva della documentazione di gara, è giunto a dichiarare illegittime anche le previsioni della lex specialis che prima facie non sembravano imporre un obbligo di riassorbimento del personale, anche se poi, nella sostanza, finivano per escludere il concorrente che non si fosse impegnato ad assorbire la totalità dei lavoratori precedentemente impiegati. Viene messo in luce un aspetto particolare secondo cui la clausola sociale può essere lesiva della libertà d’impresa non solo quando impone l’obbligo di riassorbire il personale, con modalità che vanno dall’assunzione integrale alla riassunzione alle medesime condizioni del precedente affidatario. Infatti, occorre esaminare nella sua interezza la documentazione di gara e verificare se la stazione appaltante abbia finito per introdurre obblighi di riassorbimento irrispettosi dei limiti di applicazione della clausola sociale attraverso altre previsioni, celate, come nel caso di specie attraverso l’attribuzione di punti determinanti per l’aggiudicazione a chi si fosse impegnato a reintegrare tutto il personale del precedente affidatario35. 32 Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1331. 33 Cons. Stato, Comm. Speciale, n. 2703/2018, par. 6.4. 34 Tar Lombardia, Brescia, sez. I, 18 marzo 2019, n. 242, confermata in appello con Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2404. 35 Tar Liguria, sez. II, 14 gennaio 2019, n. 22.

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normazione Considerazioni conclusive Quanto esposto in precedenza e, in modo particolare, il caso di specie oggetto di commento, unitamente alle pronunce sintetizzate al paragrafo precedente, tenta di fornire un contributo rispetto all’interpretazione del concetto di “compatibilità” tra clausola sociale e organizzazione dell’affidatario36. Ma ci si deve arrendere di fronte all’evidenza che la verifica della corretta declinazione dell’obbligo di riassorbimento nella documentazione di gara possa essere assicurata nel modo migliore dal

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sindacato del giudice amministrativo. Risulta quindi di cruciale importanza la sottoposizione di nuove fattispecie ai giudici, anche con l’obiettivo di fornire una guida, sempre più ampia e dettagliata, alle stazioni appaltanti rispetto ai diversi aspetti che coloriscono le clausole sociali. Lavoro redatto per il Master Universitario di secondo livello in Diritto processuale amministrativo organizzato dall’Università Europea di Roma in collaborazione con la Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti

36 È necessario sottolineare che è da poco stato approvato dall’ANAC con delibera n. 773 del 24 novembre 2021 lo schema di disciplinare di gara per procedure aperte telematiche per l’affidamento di contratti pubblici di servizi e forniture nei settori ordinari sopra soglia comunitaria con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo che contempla all’art. 25 un prototipo più evoluto rispetto al precedente bando-tipo di clausola sociale. In modo particolare nella relativa nota illustrativa al punto 30 viene indicato che «come già indicato dall’Autorità nelle Linee guida ANAC n. 13, approvate con delibera 13 febbraio 2019, n. 114, le indicazioni contenute nella clausola sociale in ordine al riassorbimento del personale del gestore uscente devono essere compatibili con l’organizzazione di impresa dell’aggiudicatario, il piano di gestione predisposto dall’aggiudicatario (sia sotto il profilo delle professionalità da impiegare che delle tecnologie e soluzioni organizzative e gestionali), le condizioni dell’appalto, il contesto sociale e di mercato e il contesto imprenditoriale (Cfr. anche Sentenze Consiglio di Stato, Sezione IV, 7 giugno 2021, n. 4353; Sezione III, 23 aprile 2021, n. 3297; Sezione V, 2 novembre 2020, n. 6761). Le Linee Guida chiariscono che la mancata presentazione del progetto, anche a seguito dell’attivazione del soccorso istruttorio, equivale a mancata accettazione della clausola sociale (punto 3) e costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche, per la quale si impone l’esclusione dalla gara (punto 5) Il rispetto delle previsioni del progetto di assorbimento è oggetto di monitoraggio da parte della stazione appaltante durante l’esecuzione del contratto. Giova qui ricordare che la clausola sociale obbligatoria è circoscritta a quella che prevede il riassorbimento del personale del precedente appaltatore, garantendo, in ogni caso, l’applicazione del contratto collettivo di settore. Di contro, tra le opzioni facoltative, la stazione appaltante può prevedere e richiedere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto ai sensi dell’articolo 100 del Codice, le quali possono attenere, oltre che a condizioni sociali, ulteriori rispetto al caso della già precisata clausola di imponibile di manodopera, anche a esigenze ambientali. Le condizioni di esecuzione devono rispettare la compatibilità con il diritto europeo e, in particolare, i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e innovazione. In tal senso, paiono essere consentite, ad esempio, condizioni di esecuzione del contratto che vogliano promuovere obblighi sociali più penetranti rispetto alla legislazione dello stato membro. Pare opportuno ricordare che le clausole di ordine sociale non si esauriscono nelle sole clausole di imponibile di manodopera, difatti, la Direttiva 2014/24/UE riporta esemplificazioni quali «l’attuazione di misure volte a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra lavoro e vita privata, la protezione dell’ambiente o il benessere degli animali» (Considerando 98, Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE); analogamente, potrebbero essere introdotti obblighi esecutivi di assunzione di disoccupati di lunga durata oppure di disabili o di sviluppo di azioni di formazione per categorie svantaggiate ovvero il rispetto delle disposizioni delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, nell’ipotesi in cui non siano già presenti nella legislazione nazionale, o anche di assunzione di un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale (Considerando 99, Direttiva 24/2014). Le suddette condizioni devono essere previste espressamente nel Bando ed esplicitamente accettate dagli operatori economici concorrenti».


Covid 19 Paola Bardasi - Commissario Straordinario Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara Alberto Fabbri - Direttore Amministrativo Dipartimento Sanità Pubblica dell’Azienda Usl di Ferrara - RPCT

L’estensione dell’obbligo vaccinale e di quelli previsti dal DL 44/2021 agli operatori della Sanità: alcune riflessioni sul Decreto Legge n. 172 del 26/11/2021

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ul numero 7/8 – 2021 della Rivista fu pubblicato un articolo con una serie di considerazioni in ordine a quanto previsto dal Decreto Legge n. 44 del 1/04/2021 recante “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” successivamente convertito con modifiche in legge n. 76 del 28/05/2021. Il provvedimento, è tuttora al centro di un vivace dibattito dottrinale, anche in relazione ad una serie di accese posizioni relative a fazioni di professionisti che si sono opposti a detto obbligo vaccinale; le conseguenze sono evidenti per le organizzazioni sanitarie e socio sanitarie, che a seguito degli atti di accertamento, si sono purtroppo trovate costrette alla sospensione di coloro che lo rifiutavano, con problematiche legate alle difficoltà di garantire livelli di servizi adeguati, a

fronte della difficoltà di reperire sostituzioni. Le posizioni contrapposte, seppure di una parte minoritaria di operatori della Sanità, hanno certamente elevato il livello di attenzione verso coloro che, come già sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019, “senza nessuna base scientifica ma con un inaspettato clamore mediatico, guarda a ad una misura precauzionale di estrema importanza sanitaria come il vaccino con diffidenza o complottismo”. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, sottolinea come “l’esitazione vaccinale minaccia di far perdere i progressi fatti nei confronti delle malattie prevenibili. I vaccini sono uno dei modi più costo-efficaci contro le malattie, prevengono 2-3 milioni di morti l’anno e ne eviterebbero un altro milione e mezzo se le coperture aumentassero”. I vaccini sono secondi solo alla potabilizzazione delle acque in termini

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di riduzione della mortalità umana in quanto prevengono più di 2,5 milioni di morti ogni anno. Il vaccino può essere considerato il più efficace degli interventi in campo medico mai scoperto dall’uomo.1 L’uso costante e diffuso del vaccino si è infatti dimostrato efficace non solo nel controllo, ma addirittura nell’eliminazione di certe malattie. Nelson Mandela, Vincitore del Premio Nobel per la Pace 1993, afferma che “L’immunizzazione è stata una grande storia di successo per la sanità pubblica. Le vite di milioni di bambini sono state salvate, milioni di persone hanno oggi la possibilità di una vita più sana e più lunga, una maggiore possibilità di imparare, giocare, leggere e scrivere, di muoversi liberamente senza sofferenza.” E’ quasi superfluo ribadire pertanto che il fondamentale diritto alla salute appartiene alla collettività, e ognuno ha - per questo motivo - il dovere di fare prevenzione per consentire a sé stesso e agli altri di vivere e realizzarsi nelle migliori condizioni di salute possibili. Come non mai in questo delicato momento per la vita di tutti noi, del nostro Paese e dell’intero pianeta, la mancata vaccinazione può rappresentare una carenza nella realizzazione di uno dei più universali diritti dell’uomo. Vale la pena di sottolineare in proposito che anche nel 2021 si è celebrata la Settimana mondiale delle vaccinazioni (World Immunization Week 2021), iniziata il 24 aprile e conclusa il 30 aprile, seguita, a distanza di due giorni, dalla sedicesima edizione della Settimana europea delle vaccinazioni (European Immunization Week, 26 aprile - 2 maggio 2021). Promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per sensibilizzare popolazione, operatori sanitari e decisori sull’importanza dei vaccini in tutte le fasi della vita, la settimana è sostenuta da partner nazionali e internazionali, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Con lo slogan “I vaccini ci avvicinano”, la Settimana ha voluto sottolineare – in un delicato periodo come la pandemia in atto - come la vaccinazione ci connette alle persone, agli obiettivi e ai momenti che ci interessano di più, contribuendo a migliorare la salute di tutti, ovunque, nel corso della vita. In tale ottica, per rafforzare i principi che orientano l’importanza della vacci-

nazione nel promuovere il benessere della vita sociale, il richiamato DL 44/21, subisce ora una serie di modiche per opera del Decreto Legge n. 172 del 26 novembre 2021 (pubblicato in GU del 26.11.2021 n. 282) ad oggetto: “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali” che viene varato al fine di promuovere un ulteriore consolidamento delle misure già in precedenza adottate per il contenimento dell’emergenza sanitaria da Sars-Cov2. Come sottolineato già nel contributo sul tema citato in premessa, le conseguenze economiche e finanziarie, sulla società e sul mondo del lavoro, derivanti dalla gestione della pandemia, che ormai prosegue ininterrottamente da quasi due anni, sono apparse sin da subito molto severe ed è chiaro, in tale ottica, che l’intento del legislatore per evitare al Paese ulteriori limitazioni legate a possibili chiusure sia orientato a preservare la situazione di “quasi normalità” raggiunta nell’estate scorsa. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore dalla data di pubblicazione del nuovo DL in G.U. e precisamente dal 27 novembre 2021. Viene introdotto nell’impianto del DL 44/21, l’art. 3-ter rubricato “Adempimento dell’obbligo vaccinale” che testualmente recita: “L’adempimento dell’obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute”. Il legislatore ha inoltre ridisegnato nel novellato art. 4, quasi completamente riscritto rispetto al testo storico, competenze e funzioni in ordine agli atti di accertamento nei confronti dei professionisti non vaccinati che non sono più in capo ai Dipartimenti di sanità pubblica delle Aziende Sanitarie; in particolare, le verifiche del possesso del certificato verde che attesta l’avvenuta vaccinazione, sono demandate agli Ordini degli esercenti le professioni sanitarie, che attraverso le federazioni nazionali (che sono a loro volta responsabili del trattamento dei dati, in quanto utilizzano la Piattaforma nazionale digi-

I vaccini sono secondi solo alla potabilizzazione delle acque in termini di riduzione della mortalità umana in quanto prevengono più di 2,5 milioni di morti ogni anno. Il vaccino può essere considerato il più efficace degli interventi in campo medico mai scoperto dall’uomo

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Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità


Covid 19 tal green certificate) avranno il compito di attestare tale condizione. Poi, in capo al datore di lavoro, con riferimento specifico alle aziende sanitarie, la notifica della sospensione nei confronti del soggetto inadempiente. Se dalla piattaforma nazionale non dovesse risultare l’effettuazione della vaccinazione, anche con riferimento alla dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, si aprirà una fase di confronto. L’Ordine professionale territorialmente competente infatti dovrà invitare l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione della richiesta, la documentazione che attesta l’effettuazione della vaccinazione o l’omissione o il differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi entro un termine non superiore a 20 giorni dall’invito o comunque l’insussistenza

dei presupposti per l’obbligo vaccinale. Qualora venga presentata dall’interessato la documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l’Ordine inviterà la persona interessata a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione che attesta l’adempimento all’obbligo vaccinale. Trascorsi i termini, l’Ordine professionale dovrà accertare il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, anche con riguardo alla dose di richiamo, dandone contestualmente debita comunicazione alle federazioni nazionali competenti e, per il personale che abbia un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro, che provvederà alla sospensione immediata dal servizio. La legge prevede che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale adottato

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da parte dell’Ordine territoriale competente ha natura dichiarativa, non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell’interessato all’Ordine territoriale competente e, per coloro che abbiano un rapporto di lavoro dipendente anche al datore di lavoro, del completamento del ciclo vaccinale primario e, per i professionisti che hanno completato il ciclo vaccinale primario, della somministrazione della dose di richiamo e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021. Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, non sussiste l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario: in queste situazioni la vaccinazione potrà essere omessa o differita e per tale ragione il datore di lavoro dovrà adibire queste persone a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio. Di interesse prioritario, anche per l’apertura a nuove categorie di “obbligati”, il nuovo provvedimento estende l’obbligo vaccinale ad una serie di categorie di

lavoratori oltre gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario: tale scelta costituisce una vera e propria novità. Infatti dalla data del 15 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 si applicherà anche alle seguenti categorie: 1. personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia, dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore; 2. personale del comparto della difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, nonché degli organismi di cui agli articoli 4, 6 e 7 della legge 3 agosto 2007, n. 124; 3. personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture sanitarie e sociosanitarie di assistenza (articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) 4. personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa all’interno degli istituti penitenziari per adulti e minori. Il provvedimento quindi estende l’obbligo vaccinale ad altre importanti e cruciali categorie di professionisti ed operatori che si caratterizzano per una elevata


Covid 19 socialità nell’espletamento della propria attività,per rapporti ed interrelazioni continue con altri soggetti o fasce di popolazione esposta. Sull’adempimento delle diverse categorie, vigileranno i dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni e delle strutture citate in cui presta servizio il personale tenuto all’assolvimento dell’obbligo. Nei casi in cui non risulti l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, i responsabili invitano l’interessato a produrre, entro cinque giorni, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell’invito, o comunque l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione, accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato. L’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da

parte dell’interessato al datore di lavoro dell’avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021. Nel sottolineare che l’obbligo vaccinale rimane comunque una scelta che spetta alla politica perché non ha valenze solo sanitarie, ma anche etiche e sociali, ricordiamo le parole del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus che di recente ha affermato che il 2022 deve essere l’anno “in cui mettiamo fine alla pandemia” da Covid-19 ma perché ciò avvenga è necessario porre fine all’iniquità e far sì che il 70% della popolazione in ogni paese sia vaccinata entro la metà dell’anno prossimo”. Di grande interesse è certamente un confronto tra le scelte politiche assunte, o non assunte, dai diversi governi europei o nel mondo, anche per una migliore comprensione delle reali modalità con le quali si potrà fattivamente contemperare una obbligazione vaccinale con la vita vissuta da un individuo nella società e il diritto al lavoro, ovvero altri diritti costituzionalmente garantiti ai singoli. Il recentissimo decreto legge n. 1 del 7/1/2022 recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore” risponde ai principi sopra esposti

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Covid 19 ed in particolare al rallentamento della curva di crescita dei contagi relativi alla pandemia e fornire maggiore protezione a quelle categorie che sono maggiormente esposte e che sono a maggior rischio di ospedalizzazione. Il decreto dispone l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto 50 anni e più prevedendo altresì sanzioni di 100 euro per chi non si vaccina e multe da 600 a 1.500 euro per i lavoratori ultracinquantenni che accedono al lavoro non vaccinati: per tale ultima categoria è prevista anche la sospensione dello stipendio fino ad avvenuta vaccinazione. Per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età sarà altresì necessario il Green Pass rafforzato per l’accesso ai luoghi di lavoro a far data dal 15 febbraio 2022. Inoltre viene esteso l’obbligo di

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Green pass base (tampone/guarigione/vaccinazione) a coloro che accedono ai servizi alla persona (dal 20 gennaio 2022) e inoltre a pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali (dal 1 febbraio 2022) fatte salve eccezioni che saranno individuate con un DPCM per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona. Lo stesso decreto prevede che dal 1° febbraio 2022 scatterà anche l’obbligo vaccinale per tutto il personale delle università, che viene equiparato a quello del mondo della scuola dove già vige l’obbligo. L’obbligo riguarda anche il personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori


pubbliche gare Erika Fiumalbi - UOS Supporto Dispositivi Medici - Donella Racheli - UOC Dispositivi Medici e Specialistici Sabrina Barni - UOC Dispositivi Medici e Specialistici

Value-based procurement: progetto pilota - gara reti sintetiche

È

ormai condivisa a livello, sia nazionale che regionale, la necessità di incorporare l’efficacia clinica e il valore terapeutico nelle procedure di acquisto dei dispositivi medici (DM) a media e alta complessità. Si descrive qui una recente gara di Estar [2] relativa a reti chirurgiche sintetiche per chirurgia addominale (CND P9002, classe III), urologica (CND U070101, classe III) e ricostruzione mammaria (CND P9002, classe III), realizzata applicando principi innovativi di costo-efficacia. Sintesi dei contenuti La gara in questione si discosta molto dagli standard che nel tempo hanno caratterizzato i relativi capitolati. In questa gara, infatti, è stato rispettato il principio espresso nella Delibera della Regione Toscana n.1093/2019 [3] rappresentato dal bisogno clinico, riducendo quindi a importanza marginale il materiale del dispositivo. La fase di progettazione prevista dalla succitata delibera e dal Codice degli Appalti (art. 31, Legge 50/2016 [4]) parte dall’analisi di contesto comprendente sia l’esame delle più recenti linee guida ed evidenze scientifiche sia l’analisi dei prodotti in uso presso le AA.SS e le AA.OO della Regione Toscana. Riguardo a quest’ultimo punto, l’analisi è stata eseguita tramite estrazione dal portale Qlik di Estar utilizzando chiavi di ricerca quali la CND e i numeri di determina. In linea di massima si tratta di reti macroporose e monofilamento in accordo alla classificazione delle reti sintetiche di Amid et al. [5] e con caratteristiche di porosità tali per prevenire il “bridging” e l’infiammazione del sito, consentendo la crescita fisiologica dei tessuti [6]. Tali prodotti sono stati selezionati in base alle più recenti linee guida [7,8]; di conseguenza alcune tipologie di prodotto sono state perentoriamente escluse (per esempio: plug addominali e alcune mesh per incontinenza urinaria da sforzo). Altre, invece, sono state inserite in gara (per esempio: reti per ernia parastomale e per rinforzo della linea di sutura addominale in prevenzione e profilassi). Per la chirurgia ricostruttiva mammaria sono state prese in considerazione le protesi preformate a tasca che garantiscono una maggiore maneggevolezza e praticità d’uso ma soprattutto una riduzione dei tempi di confezionamento della rete e di conseguenza dei tempi di

intervento [9]. Altro aspetto innovativo di questa gara sta nella costruzione di un registro tramite un software specifico a cura della U.O.C. Organizzazione e sviluppo e UOC Sviluppo Software per il monitoraggio degli end point principali come nel caso delle reti biosintetiche (lotti 14 e 15). Sono stati considerati i seguenti end point: 1) incidenza di infezioni profonde del sito chirurgico coinvolgenti il materiale impiantato nel corso dei 12 mesi dopo la procedura d’impianto; 2) incidenza di recidiva della patologia erniaria nell’arco dei 24 mesi successivi all’impianto. 3) incidenza di espianto del materiale protesico entro i 12 mesi dopo l’intervento chirurgico. Per i punti 1 e 2, in caso di incidenza superiore al 20% dei valori dichiarati dal concorrente in sede d’offerta, sarà applicato il principio del payback degli insuccessi, applicando una percentuale di rimborso pari al 50% del prezzo del dispositivo. Il registro sopra citato, oltre a raccogliere i dati dei pazien-

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pubbliche gare ti sottoposti a impianto di rete sintetica e biosintetica, raccoglie anche quelli dei pazienti sottoposti a impianto di rete biologica. Altro punto di forza della gara sta nella scelta di criteri di valutazione che incorporino il concetto del beneficio clinico, come riportato nel decreto del Ministero della Salute del 10 agosto 2018 [10]. Tale decreto difatti riporta che: “il concetto di qualità a cui si deve far riferimento riguarda la qualità intrinseca del dispositivo medico ovvero le caratteristiche tecniche/ funzionali, di sicurezza e di efficacia”. Pertanto, per i lotti dal 17 al 29 è stato previsto un criterio relativo alla qualità delle evidenze che documentano l’efficacia e la sicurezza del dispositivo in esame. Il capitolato recita quanto segue: -Lotti da 17 a 27: “studi selezionati su Pub Med con Key word: <<nome commerciale del prodotto>>: una o più metanalisi, una o più revisione narrativa, uno o più studi randomizzati, uno o più studi osservazionali, uno o più case-report. In caso di presenza di più studi con disegno diverso, sarà considerato solo quello con punteggio maggiore. Punteggio attribuito in ordine decrescente.” -Lotti 28 e 29: “numero di studi clinici, almeno osservaziona-

li, pubblicati su Pub Med relativi al prodotto offerto (chiave di ricerca: nome commerciale).” Per i lotti 4, 28 e 29 è previsto anche un secondo criterio riguardante l’entità quantitativa del risultato clinico. Il capitolato recita quanto segue: -Lotto 4: “migliore integrazione tissutale secondo lavoro di Klosterhalfen B, Junge K, Klinge U.”[11] -Lotti 28 e 29: “degli studi selezionati per il criterio 3 valutare la lunghezza del follow-up”. La metodologia di questo approccio è già stata descritta e commentata nell’E3M n.39 [1]. Va sottolineato che questa esperienza di gara rappresenta un primo approccio di value-based Procurement nato in una fase antecedente alla pubblicazione di E3M n.39. Non meno importante è l’aspetto di gestione contrattuale e logistica della gara, poiché il Collegio Tecnico ha reso disponibile una lista di codici-chiave (“predecessori”) per gestire i prodotti in uso “agganciandoli” a quelli che verranno aggiudicati in futuro. Ciò garantisce una continuità e una facilitazione nella transizione da gara in essere a gara nuova e permette alle AA.SS. e AA.OO una immediata fruibilità dei nuovi prodotti.

In questa gara è stato rispettato il principio espresso nella Delibera della Regione Toscana n.1093/2019 [3] rappresentato dal bisogno clinico, riducendo quindi a importanza marginale il materiale del dispositivo

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Bibliografia 1. ESTAR sito web. Attività farmaceutiche – ESTAR 3 Minuti, pagina indice, url: https://www.estar.toscana.it/portale-dei-ser vizi/ hta/779-hta-rivista-estar-3-minuti 2. ESTAR Albo Pretorio, Determina di indizione n.1804 del 11 Novembre 2021, url http://albo-pretorio.estar.toscana. it/albo_estar/portaldata/albo_files/16351_Determinazione_Pubb_1804_2021.pdf, accesso del 22 Novembre 3. Regione Toscana, Delibera di Giunta Regionale n.1093 del 27-08-2019: Raccomandazioni per la stesura dei capitolati di gara per l’acquisizione di dispositivi medici. url http://www301.regione.toscana.it/bancadati/atti/DettaglioAttiG.xml?codprat=2019DG00000001303, accesso del 22 Novembre 2021. 4. Legge 50/2016 del 18 Aprile 2016, Codice degli Appalti, url https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2016-04-18;50, accesso del 22 Novembre 5. Amid PK, Shulman AG, Lichtenstein IL, Hakakha M. Biomaterials for abdominal wall hernia surgery and principles of their applications. Langenbecks Arch Chir. 1994; 379(3):168-71. doi: 10.1007/BF00680113. PMID: 8052058. 6. Mühl T, Binnebösel M, Klinge U, Goedderz T. New objective measurement to characterize the porosity of textile implants. J Biomed Mater Res B Appl Biomater.

2008; 84(1):176-83. doi: 10.1002/jbm.b.30859. PMID: 17497684. 7. HerniaSurge Group. International guidelines for groin hernia management. Hernia. 2018; 22(1):1-165. doi: 10.1007/ s10029-017-1668-x. PMID: 29330835. 8. Martín-Martínez A, Müller-Arteaga C, Blasco-Hernández P, Padilla-Fernández B, MartínezGarcía R, et al. Ibero-American Society of Neurourology and UroGynecology. Neurourol Urodyn. 2020; 39(3):10201025. doi: 10.1002/nau.24309. 9. Regione Toscana, Delibera di Giunta regionale n.1534 del 09/12/2020, Allegato C: Evidenze sulle tecniche di ricostruzione mammaria, url http://www301.regione.toscana.it/bancadati/atti/Contenuto.xml?id=5274046&nomeFile=Delibera_n.1534_ del_09-12-2020-Allegato-C 10.Ministero della Salute. Documento per la stesura dei capitolati di gara per l’acquisizione di dispositivi medici. G.U. Serie Generale, n. 253 del 30/10/2018), url: https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=66367&completo=true, accesso 8 settembre 2021. 11.Klosterhalfen B, Junge K, Klinge U. The lightweight and large porous mesh concept for hernia repair. Expert Rev Med Devices. 2005; 2(1):103-17. doi: 10.1586/17434440.2.1.103. PMID: 16293033.


gli esperti rispondono Monica Piovi e Piero Fidanza

Sul soccorso istruttorio a seguito dell’aggiudicazione Un nostro lettore chiede di sapere se la stazione appaltante possa attivare il soccorso istruttorio dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione

I

l soccorso istruttorio è un istituto pro-concorrenziale previsto espressamente dall’art. 83, comma 9, del D. Lgs. 50/2016, che consente al concorrente di colmare eventuali lacune, incompletezze e/o irregolarità relative ad aspetti formali della documentazione presentata in gara. Ebbene, la possibilità della correzione e dell’integrazione postuma dell’offerta, finalizzata a valorizzare i principi del favor partecipationis e della prevalenza dell’elemento sostanziale su quello meramente formale, deve operare comunque in un quadro di limiti rigorosamente determinati, che discendono dal principio generale dell’auto-responsabilità dei concorrenti. Questo per evitare che l’istituto venga strumentalizzato, rectius abusato, per supplire ad ogni disattenzione o incuria del concorrente. Si ricorda infatti che il principio di auto-responsabilità, senz’altro applicabile nell’ambito di pubbliche commesse, impone a ciascuno l’onere di sopportare le conseguenze dei propri errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione. Per tali ragioni l’istituto del soccorso istruttorio trova applicazione limitatamente alle carenze di elementi formali e non comprende gli elementi afferenti all’offerta economica e tecnica. Il ricorso al soccorso istruttorio è ammesso anche per la verifica dei requisiti previsti dalla lex specialis ai fini della partecipazione, con precisazione che l’integrazione documentale attestante il possesso dei requisiti medesimi deve essere in ogni caso verificata e riferibile al momento individuato dalla lex specialis quale termine per la presentazione dell’offerta (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 17.3.2021, n. 2291), non essendo consentita una postuma remissione in termini, pena un’evidente violazione della par condicio (in termini, Tar Sicilia, sez. II, 27.9.2021, n. 2680). Non c’è dubbio che l’istituto in parola si collochi fisiologicamente nella fase di verifica del possesso dei requisiti

in capo al concorrente, e dunque nella fase che precede l’aggiudicazione. Tuttavia, non è escluso che lo stesso possa essere “attivato” anche in seguito all’aggiudicazione, laddove la carenza non sia stata rilevata nella fase della partecipazione. Diversamente opinando, una mancata attivazione tempestiva da parte dell’Ente Appaltante finirebbe per pregiudicare drasticamente la posizione del concorrente che si vedrebbe privato di un importante strumento di tutela. Inoltre si verificherebbe un illogico e irrazionale trattamento differenziato tra situazioni analoghe per il solo fatto che il ravvedimento si collochi in una delle due sub-fasi facenti parte della medesima procedura. Invero, come affermato di recente dal Consiglio di Stato, sez. V, 6.12.2021, n. 8148: “In sede di verifica del possesso dei titoli successivamente all’avvenuta aggiudicazione, non può escludersi il soccorso istruttorio nel caso in cui, dichiarato il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale, il concorrente produca documentazione insufficiente o incompleta o errata, comunque inidonea a dimostrare il requisito così come posseduto e dichiarato all’atto di presentazione della domanda di partecipazione. Conseguentemente ben è dato alla stazione appaltante assegnare al concorrente “un termine non superiore a 10 giorni” per regolarizzare le dichiarazioni incomplete o la documentazione carente. Non è invece consentito il soccorso istruttorio attivato non tanto per integrare e chiarire la documentazione prodotta a comprova della dichiarazione, ma per rettificare il contenuto della dichiarazione medesima nella sua integralità.”. In definitiva, se non può escludersi l’applicabilità del soccorso istruttorio anche nella fase successiva all’avvenuta aggiudicazione, è comunque fondamentale che siano rispettati tutti i limiti posti a salvaguardia dell’imparzialità e della par condicio, evitando che l’istituto in parola possa trasformarsi in un illegittimo strumento per favorire un determinato operatore privato.

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