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sommario marzo-aprile 2022
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editoriale
Dopo la pandemia una nuova sfida per i provveditori
articoli
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incentivi per funzioni tecniche Gli incentivi ai dipendenti per funzioni tecniche: l’art. 113 del d.lgs. 50/2016 farmaci biologici e biotecnologici originator Le procedure di acquisto dei farmaci biologici e biotecnologici originator aventi il medesimo codice ATC di V livello innovazione digitale ASP di Ragusa, Connected Care e Telemedicina, scenari per l’innovazione digitale in sanità normazione Procedura Consip, gare aggregate di livello regionale e autonomia delle singole amministrazioni pubbliche autorizzazione per l’immissione in commercio Cessione di AIC e divieto di cessione di contratto di appalto. Parliamone... Confindustria Dispositivi Medici Confindustria Dispositivi Medici: arrivano le linee guida per le procedure d’acquisto di dispositivi cardiovascolari DAT Il Biotestamento nelle Aziende Sanitarie: gestione operativa nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali pubbliche gare Bando di gara pubblica.La prevalenza dell’interpretazione letterale delle clausole il percorso autoassicurativo L’errore in ambito sanitario e la controversa scelta tra assicurazione e autoassicurazione. Il ruolo centrale del “broker” assicurativo normazione Le aperture sugli incentivi per le funzioni tecniche: ultimi orientamenti operativi
aziende informano
40 Ausili assorbenti: risparmio o qualità? Quale obiettivo perseguire nelle procedure d’acquisto 42 L’accesso agli atti e il bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco
gli esperti rispondono
44 Sull’esclusione delle offerte riconducibili ad un unico centro decisionale nel caso di appalti suddivisi in distinti lotti 45 focus
Le foto all’interno sono di Emma Evangelista Emma Evangelista, giornalista professionista romana, è direttore della rivista Microfinanza e cura l’ufficio stampa dell’Ente Nazionale del Microcredito. Amante dei viaggi, con la sua macchina fotografica si diletta a cogliere i momenti più significativi di ogni sua esperienza in un altro paese
Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338 Organo ufficiale della FARE Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità
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Dopo la pandemia una nuova sfida per i provveditori
L
a situazione emergenziale per COVID-19 ha messo a dura prova i Provveditori costretti ad adottare iniziative, a volte del tutto innovative, per fronteggiare in modo reattivo le criticità sorte negli approvvigionamenti di DPI e materiali di consumo, improvvisamente divenuti carenti sul mercato nazionale ed internazionale. Gli interventi normativi succedutisi in questi due ultimi anni, finalizzati da un lato a garantire maggiore semplificazione nelle procedure di acquisto e dall’altro maggior sostegno alle imprese (Decreto rilancio), mediante disposizioni particolari per contrastare gli aumenti eccezionali ed incontrollati dei prezzi di materie di costruzione, hanno consentito di riequilibrare gli scossoni ricevuti dallo straordinario, quanto imprevisto, tsunami che ha travolto l’intero mercato. Purtroppo, dopo una prima fase di assestamento gli ulteriori aumenti inflattivi hanno generato una nuova sfida per i Provveditori, costretti a “gestire” le richieste di incrementi di prezzo dei prodotti contenuti in contratti in vigore, anche in mancanza di precedenti previsioni di clausole revisionali. A rendere più complessa la situazione è stata la disciplina introdotta dal Decreto Legge 24 gennaio 2022, il c.d. Decreto Sostegni ter che, prevedendo l’obbligatorietà dell’inserimento della clausola di revisione prezzi negli atti di gara, nulla ha disposto in ordine ai meccanismi applicativi della stessa, né tantomeno alle eventuali “compensazioni”, pure disciplinate in maniera dettagliata ma solo per i lavori. Tale circostanza ha spinto la stessa Anac a chiedere espressamente e formalmente al Legislatore di prevedere che il meccanismo della compensazione fosse esteso alle forniture e ai servizi, come per i lavori, per consentire che si tenga conto anche per queste tipologie di appalti degli aumenti reali e per assicurare che gli stessi compresi nel PNRR possano trovare concreta attuazione. Già in precedenza l’Anac aveva in qualche modo istituzionalizzato l’incremento dei prezzi attraverso l’aggiornamento di quelli di riferimento in ambito sanitario, tuttavia questi sono risultati ancora insufficienti a neutralizzare gli effetti straordinari derivanti dall’incremento inaspettato delle materie prime e dei costi energetici. Senza specifici interventi normativi, di fronte alle inevitabili richieste di revisione da parte degli operatori economici, i Provveditori dovranno gestire autonomamente e pericolosamente l’istituto in questione, costretti tra l’attenta e responsabile valutazione istruttoria e l’obbligo di dare riscontro all’istanza degli Operatori Economici, potendosi contrariamente configurare il silenzio quale inadempimento, per ciò stesso illegittimo ed impugnabile come sottolineato dai Giudici di Palazzo Spada. Peraltro, è il caso di sottolineare come nulla sia mutato con l’ultimo intervento normativo, finalizzato ad adottare misure urgenti per contrastare gli effetti economici derivanti dalla crisi ucraina (D.L. 1° marzo 2022 n.17), avendo trattato in materia di contratti pubblici solo il tema della sospensione o proroga delle prestazioni in caso di aumento prezzi, nonché quello delle anticipazioni delle compensazioni. Ancora una volta si resta ancorati all’ennesima delega al Governo in materia di contratti pubblici, con la quale si chiedono interventi volti ad adeguare la normativa interna al diritto europeo e a razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina dei contratti pubblici. L’auspicio è che sia la volta buona!
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incentivi per funzioni tecniche Paolo Cavallo - Brugnoletti & Associati
Gli incentivi ai dipendenti per funzioni tecniche: l’art. 113 del d.lgs. 50/2016
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l presente contributo intende proporre alcune considerazioni su una disposizione del codice dei contratti pubblici rimasta sinora inapplicata dalla quasi totalità delle amministrazioni aggiudicatrici e fortemente incompresa: l’art. 113 del d.lgs. 50/2016, disciplinante gli “Incentivi per funzioni tecniche”. La norma, che sarà qui descritta nei suoi soli tratti essenziali, introduce la possibilità di riconoscere compensi economici, aggiuntivi rispetto alla retribuzione “base”, ai dipendenti pubblici incaricati di gestire le varie fasi di gara: dalla programmazione dei fabbisogni, alla gestione della procedura, sino alla corretta esecuzione del contratto. L’art. 113 consente di erogare ai dipendenti dei veri e propri “premi di risultato”, subordinati alla positiva conclusione delle fasi procedimentali anzidette; gli incentivi non hanno poca rilevanza, poiché possono far maturare un compenso sino al 50% in più del trattamento economico complessivo annuo lordo. Si tratta quindi di un riconoscimento significativo in termini economici ed il suo possibile conseguimento, legato come detto ad una maggiore e più efficace produttività, rappresenta un’opportunità sicuramente attrattiva per i dipendenti che potrebbero averne diritto. Gli incentivi previsti dall’art. 113 rappresentano un’opportunità anche per la Pubblica Amministrazione, atteso che - incentivando economicamente chi programma gli acquisti pubblici (non ultimi le ingenti risorse previste nel PNRR), ne gestisce le gare, ne controlla le successive fasi esecutive - la stessa potrà conseguire un rafforzamento dell’intera filiera procedimentale dell’acquisto e controllo dei contratti pubblici: proprio con riguardo alla eccezio-
nale “stagione” del PNRR l’art. 113 può essere una grande ausilio per la Pubblica Amministrazione (in generale) che deve porre in essere, efficacemente ed efficientemente, le misure necessarie per ottenere nella loro totalità i finanziamenti europei attesi. Invero, sino ad ora, il nostro Paese si è drammaticamente distinto per la poca efficacia nel godere dei finanziamenti europei, posto che, mediamente, se ne utilizzano meno del 50% di quelli complessivamente messi a disposizione dall’Europa. Non foss’altro in ottica PNRR è dunque assolutamente utile “approfittare” dell’art. 113, visto che la massima realizzazione dei target previsti dal Piano – al solo raggiungimento dei quali è subordinato il pagamento dei fondi da parte delle istituzioni comunitarie - sarà in concreto attuata mediante aggiudicazione di gare pubbliche, “pensate, bandite e controllate proprio da quei dipendenti che l’art. 113 intende incentivare e che gestiscono tutta la “filiera” dell’appalto, dalla programmazione ai controlli in fase esecutiva. La questione è dunque di assoluta attualità, stante la sempre più diffusa preoccupazione che l’attuale situazione gestionale della nostra Amministrazione non consenta, senza una massiva iniezione di nuove risorse strutturali e professionali, di tradurre in concreto tutte le iniziative necessarie a ottenere, nella loro totalità, i finanziamenti attesi. Pertanto, ferma la necessità di attendere una riforma strutturale ed organica che dovrà riguardare la Pubblica Amministrazione nell’immediato futuro, è auspicabile sin da subito iniziare a valorizzare - e impiegare - tutti gli strumenti normativi, già esistenti e predisposti dall’ordinamento, che possano contribuire
L’art. 113 consente di erogare ai dipendenti dei veri e propri “premi di risultato”, subordinati alla positiva conclusione delle fasi procedimentali; gli incentivi non hanno poca rilevanza, poiché possono far maturare un compenso sino al 50% in più del trattamento economico complessivo annuo lordo
incentivi per funzioni tecniche ad un miglioramento immediato delle performance della Pubblica Amministrazione. Non solo. L’art. 113 consente alle Amministrazioni anche di “accantonare” risorse (sino allo 0,4 % della base d’asta di ciascuna gara) per l’acquisto di strumenti elettronici da destinare ai controlli in fase esecutiva; Circostanza che potrebbe aiutare per il raggiungimento di un altro obiettivo posto dal PNRR: la digitalizzazione. Invero, se tutte le Amministrazioni iniziassero ad investire in strumenti informatici, magari fondati su tecnologie di “Registro Digitale Distribuito” (di cui fanno parte le note Block-chain), i benefici sui controlli in fase esecutiva dell’appalto sarebbero infiniti: si documenterebbero, con garanzie di incorruttibilità di ciascun dato documentale immesso nel Registro Distribuito, tutti gli step, le progressioni e l’andamento complessivo dell’appalto; dai controlli sulle prestazioni, a quelli sulla regolarità retributiva e contributiva dell’appaltatore (e subappaltatore), al saldo delle fatture, all’emissione del certificato di regolare esecuzione. Tutto all’interno di un applicativo informatico costruito ad hoc sulle esigenze e sui contratti della specifica amministrazione. Non pare inutile ricordare come anche il Parlamento Europeo, con atto di Risoluzione n. 2772, auspicando un maggiore utilizzo della tecnologia a Registro Distribuito, abbia già nel 2017 affermato come tale tecnologia “consente nuovi modelli di pubblica amministrazione e contribuisce a migliorare la sicurezza” (Risoluzione n. 2772; p.to G); oltre a migliorare “la gestione del settore pubblico per quanto riguarda la riduzione della burocrazia, in particolare nell’ottica dell’applicazione del piano d’azione per l’e-Government … e quindi all’ulteriore riduzione degli oneri amministrativi a carico di cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni” (Risoluzione n. 2772; par. 47). Ebbene, pur a fronte dei sicuri benefici che deriverebbero da un impiego sistematico del citato art.
113, sia in termini di “rivoluzione digitale” sia in termini di valorizzazione e incentivazione delle risorse umane, si rammenta come, ad oggi, gli incentivi per funzioni tecniche previsti dall’art. 113 siano uno strumento inutilizzato dalla quasi totalità delle amministrazioni aggiudicatrici; talvolta persino sconosciuti agli stessi dipendenti che ne avrebbero diritto. La ragione risiede nel fatto che la norma subordina la materiale erogazione degli incentivi, così come l’accantonamento delle risorse destinabili all’acquisto degli applicativi destinati ai controlli in fase esecutiva, all’adozione di un regolamento interno, adottato all’esito di una contrattazione decentrata integrativa, che definisca criteri e modalità di distribuzione delle risorse economiche tra tutti gli aventi diritto e, a quanto consta a chi scrive, poche Amministrazioni hanno adottato il proprio regolamento; tanto che l’ANAC, con l’atto di segnalazione n. 1/2021, ha dovuto richiamare l’attenzione del legislatore proprio sulla mancata attuazione dei regolamenti come causa del mancato riconoscimento degli incentivi dell’art. 113. La mancanza di regolamento è testimoniata dal fatto che taluni, per vedersi riconoscere gli incentivi cui hanno diritto, sono ricorsi al Giudice Amministrativo: tra i precedenti più significativi, si segnala la sentenza del Tar Lazio, Sez. I, del 30 giugno 2021, n. 7716, che – a fronte di un’associazione sindacale che contestava la mancata adozione del regolamento – ha condannato il Ministero della Giustizia ad adottare il regolamento entro novanta giorni, stigmatizzando il fatto che i dipendenti del Ministero non riuscissero “ad ottenere la corresponsione degli emolumenti ivi previsti a causa dell’inerzia del Ministero della Giustizia, che si protrae da molti anni, nell’adottare il regolamento”. Si auspica che il presente intervento abbia sensibilizzato tutti gli attori sul tema, incoraggiando la valorizzazione del personale in organico della pubblica amministrazione.
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farmaci biologici e biotecnologici originator Stefano Cassamagnaghi - Anna Cristina Salzano - Studio Legale Castlex
Le procedure di acquisto dei farmaci biologici e biotecnologici originator aventi il medesimo codice ATC di V livello
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l presente contributo trae origine da una recente sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato, la n. 2132 del 23 marzo 2022, in cui è stato affrontato il tema della composizione dei lotti per l’approvvigionamento dei farmaci biologici e biotecnologici originator, nel caso in esame farmaci “plasmaderivati”. Il tema al vaglio dai giudici era il seguente: i farmaci biologici o biotecnologici originator che condividono tutti i livelli dell’ATC, ivi compreso il quinto, concernente il principio attivo, possono dirsi terapeuticamente equivalenti, e quindi essere messi in concorrenza in un unico lotto? In termini generali, per quanto concerne la modalità di approvvigionamento dei farmaci, le stazioni appaltanti definiscono i lotti sulla base dei principi attivi sottostanti i farmaci da acquistare. Ciascun lotto richiede espressamente l’indicazione specifica del prezzo offerto per ciascuna molecola, con menzione del prezzo al pubblico, dello sconto praticato e del prezzo conseguentemente offerto. La prassi prevalente è quella di definire “lotti semplici”, costituiti da un unico principio attivo, ovvero “lotti composti”, nei quali lo stesso principio attivo è richiesto con più formulazioni e/o dosaggi. Talune volte si assiste, invece, alla definizione dei c.d. “lotti complessi”, comprendenti più principi attivi, ritenuti equivalenti. Dunque, ciò che governa la costruzione dei lotti è il principio attivo dei
farmaci in quanto si presuppone che tra i farmaci aventi il medesimo principio attivo vi sia una sovrapponibilità terapeutica. Sulle modalità di approvvigionamento dei farmaci e la formazione dei lotti di gara in concorrenza il legislatore italiano è intervenuto con i commi 11 ter e 11 quater dell’art. 15 del d.l. 95/2012 (convertito con modificazioni dalla legge n. 135/2012). In relazione ai farmaci originator aventi principi attivi diversi, l’art. 15, comma 11 ter, del d.l. 95/2012 prevede che “nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi, le regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco”. Di converso il comma 11 quater dell’art. 15, applicabile ai soli farmaci biologici a brevetto scaduto di cui esistono biosimilari in commercio, prevede alla lett. a) che: “Nelle procedure pubbliche di acquisto per i farmaci biosimilari non possono essere posti in gara nel medesimo lotto princìpi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche. Al fine di razionalizzare la spesa per l’acquisto di farmaci biologici a brevetto scaduto e per i quali siano presenti sul mercato i relativi farmaci biosimilari, si applicano le seguenti disposizioni: a) le procedure pubbliche di acquisto devono svolgersi mediante utilizzo di accordi-quadro con tutti gli operatori economici quando i medicinali sono più di tre a base del medesimo principio attivo. A tal fine le centrali regionali d’acquisto predispongono un lotto unico per la costituzione
La modalità di approvvigionamento dei farmaci è quella pe cui le stazioni appaltanti definiscono i lotti sulla base dei principi attivi sottostanti i farmaci da acquistare è infatti sul principio attivo che si costruiscono i lotti in quanto si presuppone che tra i farmaci aventi il medesimo principio attivo vi sia una sovrapponibilità terapeutica
farmaci biologici e biotecnologici originator del quale si devono considerare lo specifico principio attivo (ATC di V livello), i medesimi dosaggio e via di somministrazione”. Tale ultima previsione – secondo la giurisprudenza amministrativa prevalente - costituisce l’eccezione alla regola generale disciplinata dal comma 11 ter, con la conseguenza che è possibile porre in concorrenza, nello stesso lotto di gara, farmaci differenti guardando all’identità del V livello ATC se si tratta di farmaci biologici a brevetto scaduto, per i quali siano presenti sul mercato i relativi biosimilari. Ciò detto, tralasciando la disamina del comma 11 quater dell’art. 15 che apre diversi e complessi scenari, e salvo notare che il principio dallo stesso affermato è determinato dal fatto che il riconoscimento della biosimilarità di un farmaco da parte dell’autorità regolatoria competente implica la valutazione di equivalenza terapeutica, ai fini del presente contributo ciò che è opportuno evidenziare è che l’art. 15, comma 11 ter, d.l. 95/2012 è stato adottato dal Legislatore al fine di combinare le esigenze di contenimento della spesa pubblica, da un lato, e quelle di tutela della salute dei pazienti, dall’altro lato, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Più in particolare, la disposizione è ispirata all’esigenza di consentire la concorrenza tra farmaci tra loro diversi nell’ambito delle gare pubbliche, concorrenza ritenuta possibile – e con-
sentita – solo nella misura in cui, avendo diversi principi attivi, siano considerati equivalenti da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA. Prima dell’introduzione di tale norma, invece, le singole stazioni appaltanti decidevano di volta in volta, e spesso in maniera confliggente, se e quali farmaci potessero competere tra loro, utilizzando parametri non sempre idonei a tal fine. La suddetta norma ha riservato espressamente ad AIFA la competenza esclusiva in materia di valutazione circa l’effettiva equivalenza (rectius sovrapponibilità) di farmaci con principi attivi diversi. L’AIFA, in considerazione dei riflessi che tali valutazioni sono destinate ad avere sui livelli di assistenza sanitaria e con l’obiettivo di orientare le Regioni e le Provincie Autonome nella presentazione delle richieste, ha emanato delle “Linee Guida” (dapprima con la Determinazione n. 204 del 2014, poi sostituita dalla Determinazione n. 818 del 2018) con l’obiettivo di “chiarire alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano le modalità di presentazione delle richieste di parere al fine di favorire il pieno rispetto della disposizione nonché di garantire la trasparenza delle valutazioni dell’Agenzia e darne un’adeguata pubblicità in ordine all’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi”. Dunque, ai sensi dell’art. 15, comma 11 ter, del d.l. 95/2012, le stazioni appaltanti possono creare lotti in concorrenza tra farmaci aventi principi attivi diversi solo se l’AIFA, su richiesta
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farmaci biologici e biotecnologici originator
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delle Regioni, abbia espresso, prima dell’indizione della procedura di gara, il giudizio di equivalenza (cfr. ex multis: Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 4881 dell’11 luglio 2019; v. TAR Umbria, 26/4/2013, n. 255; TAR Emilia Romagna, Bologna, 18/12/2013, n. 821; TAR Toscana, sez. I, 20/3/2014, n. 542). Il meccanismo di approvvigionamento dei farmaci ruota intorno alla definizione di “principio attivo” e di quando si possa affermare che due o più farmaci contengono lo stesso principio attivo. Il principio attivo è il componente dei medicinali da cui dipende la sua azione curativa, il medicinale vero e proprio, a differenza degli eccipienti che sono invece componenti inattivi, privi di azione farmacologica, con funzioni secondarie. Non di rado – e ciò vale soprattutto per i farmaci di sintesi chimica - le stazioni appaltanti utilizzano il sistema ATC accomunando in un unico lotto tutti i farmaci con il medesimo codice ATC fino al livello V). Tuttavia, tale assunto in alcuni casi, come ad esempio nel caso dei farmaci biologici o biotecnologici originator, può rivelarsi errato. L’ATC (Anatomical Therapeutic Chemical Classification System) è infatti un sistema di classificazione anatomico, terapeutico e chimico, usato per la classificazione sistematica dei farmaci ed è controllato dall’Organizzazione mondiale della sanità. La classificazione ATC è stata sviluppata negli anni ‘70 dal Drug Utilization Research Group (DURG) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e, congiuntamente, alla DDD (una unità di misurazione chiamata Defined Daily Dose), è raccomandata dal 1981 come standard internazionale per gli studi sull’utilizzo dei farmaci. La classificazione è di tipo alfanumerico e suddivide i farmaci in base a uno schema costituito da 5 livelli gerarchici. I farmaci sono classificati secondo l’uso terapeutico principale del principio attivo più importante contenuto in essi. Le Linee Guida “Guideline for ATC classification and DDD assignement 2018” elaborate appunto dal Gruppo di lavoro chiariscono, tuttavia, che la classificazione ATC non costituisce uno strumento utile per basare valutazioni scientifiche di equivalenza o sovrapponibilità terapeutica tra farmaci, ancorché classificati all’interno del medesimo gruppo o categoria terapeutica (“It should be emphasised that assignment to different ATC groups does not mean a difference in therapeutic effectiveness and assignment to the same ATC group does not indicate therapeutic equivalence”). Ebbene, per i farmaci biologici e biotecnologici il principio attivo è una sostanza prodotta o estratta da una sorgente biologica che, a differenza dei farmaci tradizionali costituiti da molecole prodotte tramite sintesi chimica, presenta numerosi aspetti di eterogeneità legati alla cellula ospite utilizzata, alle condizioni di crescita e fermentazione e alle differenti metodiche di purificazione. Queste procedure presentano elementi di unicità non trasferibili da
un laboratorio all’altro, contribuendo a determinare l’unicità del prodotto. La stessa molecola prodotta da aziende diverse può presentare modificazioni strutturali significative, e quindi differenti caratteristiche di qualità ed efficacia. L’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci biologici prevede il ricorso alla procedura centralizzata della Commissione Europea, sulla base del parere espresso dall’EMA e disciplinata dal regolamento CE 726/2004 (sul punto si veda la sentenza n. 4881/2019 della Sezione III del Consiglio di Stato). Alla luce di quanto sopra, date le peculiarità dei farmaci biologici e biotecnologici originator, l’identità tra gli stessi del V livello ATC non dimostra l’equivalenza terapeutica tra i farmaci. Ed infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa, “L’equivalenza terapeutica dei biologici “originatori” aventi differenti principi attivi non essendo oggetto di valutazione a monte da parte dell’organo regolatore europeo (Ema), deve costituire oggetto di specifica valutazione da parte dell’Aifa ai fini delle procedure di acquisto (art. 15, comma 11 ter, citato; determina Aifa n. 808 del 2018, Allegato 1, pag. 1) (cfr. la già citata sentenza Consiglio di Stato n. 4881/2019; ma v. anche Consiglio di Stato n. 4760/2020 e n. 4762/2020). In questo senso si è espresso da ultimo il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 2132/2022 citata in epigrafe, ha confermato la sentenza del TAR Piemonte n. 11 novembre 2021, n. 1015, che aveva annullato una procedura di gara che prevedeva la competizione in un unico lotto di farmaci biologici originator aventi principi attivi diversi in assenza del previo parere dell’AIFA. Appare peraltro di notevole importanza rilevare che nel contenzioso di cui alle sentenze appena citate le Autorità regolatorie (i.e. EMA ed AIFA), interpellate dal Giudice amministrativo, avevano chiarito che la sostanza attiva dei farmaci era diversa per ogni farmaco biologico e corrispondeva ad un INN (International Nonproprietary Name) diverso; le denominazioni INN sono definite dall’OMS su consiglio degli esperti del “WHO Expert Advisory Panel on the International Pharmacopoeia and Pharmaceutical Preparations” e consentono di identificare una sostanza farmaceutica o un principio attivo attraverso un nome unico. Appare dunque ormai sgomberato il campo da una possibile estensione ai farmaci biologici e biotecnologici originator del principio per cui la condivisione del medesimo codice ATC di livello V possa automaticamente determinare l’equivalenza tra gli stessi. Tale automatismo si pone infatti in violazione dell’art. 15, comma 11 ter, del d.l. 95/2012 che attribuisce esclusivamente ad AIFA il compito di stabilire l’equivalenza terapeutica di farmaci aventi diversi principi attivi. Il rispetto di tale principio risulta di fondamentale importanza in quanto consente il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
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ASP di Ragusa, Connected Care e Telemedicina, scenari per l’innovazione digitale in sanità
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l processo di innovazione digitale è stato negli anni caratterizzato da una lenta realizzazione finché la pandemia non ci ha imposto una improvvisa accelerazione. Fino al 2020 il cambiamento digitale del sistema sanitario sembrava aver superato le nostre capacità di saperlo usare, di essere adeguati a nutrirlo di dati utili alla conoscenza, alla sua crescita e al suo utilizzo. In Italia ci sono 21 sistemi regionali e altrettanti fascicoli elettronici, ma quanti medici ne conoscono il significato? Quanti li utilizzano? Quanti cittadini sanno di averli a disposizione e sanno come accedervi e utilizzarli? Di fatto l’argomento rappresentava una priorità concreta solo per una parte non significativa del Paese con un volume marginale di dati raccolti nonostante la capacità di produrne e la possibilità di utilizzarli per migliorare l’offerta di salute alla popolazione. A volte abbiamo continuato ad usare tecnologie antiche e superate, nonostante si fosse in grado di averne altre di buona qualità. Attraverso i sistemi informativi il nostro Paese avrebbe avuto da anni la possibilità di attuare la trasformazione del SSN e ottimizzare la qualità e la quantità delle prestazioni. Grazie al patrimonio rappresentato da un immenso “giacimento di dati” del servizio sanitario delle regioni, si era già in grado di aumentare la conoscenza, di guidare la trasformazione aumentando qualità e quantità e attivando percorsi e meccanismi di intelli-
genza artificiale e di machine learning. Avremmo avuto la possibilità di dare risposte vitali al nostro Paese e alle specifiche esigenze di salute. Saremmo stati da tempo in grado di offrire servizi sanitari scalabili in funzione della crescita e dell’invecchiamento della popolazione, di offrire una sorveglianza sanitaria proattiva per controllare tempestivamente le emergenze pandemiche, di differenziare la comunità di pazienti stratificando il rischio di malattia e di supportare il processo di tutti i decisori, della politica dei manager dei medici, dei cittadini stessi. Non lo abbiamo fatto, siamo stati lenti, fino a quando abbiamo conosciuto la pandemia. Oggi l’Europa ci ha messo a disposizione enormi risorse finanziarie per cercare di recuperare i ritardi, per accompagnarci verso il futuro se sapremo fare buona strategia, analisi e utilizzo delle criticità in chiave di miglioramento e cambiamento. Tutti gli ambiti di intervento individuati dall’Europa per gli stati membri e per l’Italia si basano sul digitale. Gli interventi previsti hanno il presupposto di creare strutture che garantiscono al cittadino l’accesso alle migliori strategie di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Il risultato finale è un’“autostrada digitale” da percorrere necessariamente. L’architettura dello strumento digitale è tale per cui sia funzionale a tutti i livelli, e consenta sulla base delle specifiche progettualità, di: - Rendere più facile l’accesso del cittadino alle cure, strutturando efficacemente il Portale del cittadino;
Connected Care è un progetto ambizioso di cui la Telemedicina è un elemento portante ma è anche esteso ai servizi sanitari e socio-sanitari, PUA e COT, e ai percorsi di cura tra ospedale e territorio (PDTA) e richiede una strategia per l’armonizzazione delle iniziative in corso affinché siano coerenti alla visione
innovazione digitale - Semplificare e migliorare il processo di prenotazione online (SovraCUP); - Rendere disponibili le informazioni mediche dei pazienti al sistema sanitario opportunamente abilitato, ovunque il paziente si trovi attraverso la Cartella ClinicaElettronica e Fascicolo SanitarioElettronico; - Implementare l’utilizzo di “App” per aiutare le persone a gestire la propria salute, soprattutto per i malati cronici; - Sviluppare i percorsi di cura attraverso la telemedicina. In sostanza, il sistema sanitario e, più in particolare, l’assistenza medica oggi richiede una sempre maggiore diffusione delle informazioni sanitarie in formato digitale, senza le quali non potremo guardare al futuro. Innovazione digitale: l’esperienza dell’ASP di Ragusa L’ASP di Ragusa ha avviato un processo di trasformazione digitale globale comprendente tutti i servizi erogati dall’Azienda sia a livello ospedaliero che territoriale, con l’obiettivo finale di rendere il percorso di cura del cittadino/utente il più agevole e sicuro possibile nel rispetto del trattamento dei dati sanitari e al passo con l’evoluzione digitale in materia di conservazione e utilizzo degli stessi. L’ASP, come tutte le pubbliche amministrazioni, non è una Organizzazione «nativa digitale» ed è per questo che l’avvio e lo sviluppo del processo di trasformazione ha richiesto un approccio sistemico complesso in termini di impatto ed efficacia del cambiamento sia a livello individuale che di sistema. In particolare, l’attuazione del cambiamento a livello individuale ha rappresentato, e tuttora rappresenta, la sfida più impegnativa che implica una leadership forte e presente unitamente a strategie di comunicazione e motivazione altamente efficaci. A livello di sistema, la logica di sviluppo dei singoli interventi ha tenuto conto di criteri di: - integrazione territorio-ospedale; - accessibilità ai servizi da parte dell’utenza; - agevolazione dei percorsi di cura; - connessione dei servizi intraospedalieri; - presa in carico globale del cittadino/utente. La visione di insieme del processo di trasformazione digitale dell’ASP di Ragusa è rappresentata dalla “Connected Care”, un ecosistema di strumenti digitali integrati in funzione di flussi e servizi. Il cittadino/utente è facilitato nell’accesso alle cure e nella soddisfazione del proprio bisogno di salute perché può usufruire di un sistema unico di prenotazione per le prestazioni sanitarie, per le valutazioni necessarie e l’allocazione nei vari setting territoriali e per la prescrizione di specifici presidi. Può inoltre ridurre gli accessi agli ambulatori del territorio e ospedalieri per le visite specialistiche in quanto è offerto loro il servizio di televisita, telemonitoraggio e teleriabilitazione. L’operatore
sanitario è direttamente coinvolto e agevolato nello svolgimento del suo lavoro perché ha strumenti quali la cartella clinica elettronica, a garanzia sia del corretto svolgimento dei processi di cura, che di tutela del dato sanitario per il paziente e per l’operatore. Lo strumento del teleconsulto permette inoltre agli operatori sanitari la valutazione collegiale di eventuali casi clinici con visione contestuale della documentazione sanitaria ivi comprese le immagini provenienti da qualsiasi macchinario presente in Azienda. In tale contesto, l’impostazione tradizionale dei percorsi di diagnosi e terapia per patologia è rivisitata in logica digitale al fine di consentire l’utilizzo ottimale degli strumenti innovativi acquisiti dal sistema aziendale, quali le applicazioni per il telemonitoraggio e la possibilità di seguire i pazienti in visite di controllo ordinarie in modalità di televisita. Un criterio portante a garanzia dell’ottimale cambiamento digitale del sistema di cura è la perfetta integrazione dei contenuti e dei sistemi da parte di utilizzatori, utenti, strumenti e servizi. Questo implica un allineamento perfettamente sinergico tra le competenze e le figure professionali in lavoro di squadra scandito da una metodologia di scambio di informazioni e comunicazione trasversale finalizzato alla realizzazione di un prodotto che sia supportato dalla tecnologia adeguata e dai servizi informativi adeguati, funzionali e fruibili in modo bidirezionale dagli operatori sanitari e dagli utenti ciascuno per la sua componente di utilizzo. Una componente di grande rilievo per la realizzazione del sistema globale della Connected Care è quindi la telemedicina declinata nelle modalità di televisita e teleriabilitazione, teleconsulto e telemonitoraggio che si avvale anche di applicazioni riconosciute come presidi medici. Tale visione implica la definizione in primis, di una strategia per l’armonizzazione delle iniziative in corso, affinché siano coerenti con il paradigma della Connected Care e possano essere adeguatamente supportate dal punto di vista dell’architettura tecnologica. La portata del nuovo paradigma è tale per cui diventa importante per l’attuale vertice strategico definire e garantire pienamente questo percorso e portarlo a termine con un primo gruppo significativo di Servizi Digitali per il cittadino entro il mese di maggio 2022, data della conclusione del proprio mandato. In particolare sono state avviate, le attività di televisita in ambito cardiologico e neurologico per quanto concerne le visite di follow up nel setting ambulatoriale (ed è conclusa la fase pilota di sperimentazione). E’ in atto il perfezionamento delle visite di genetica medica, attualmente svolte da remoto, da strutturare pienante nella piattaforma propria della televisita. Il telemonitoraggio invece è disegnato attualmente per i pazienti con scompenso cardiaco e per la gravidanza fisiologica e si svilupperà anche grazie all’utilizzo di apposite App. La telemedicina per la direzione strategica
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innovazione digitale dell’ASP è un motore per la nuova sanità, e la leva digitale è lo strumento principale affinché ciò avvenga. Gli obiettivi della realizzazione della Connected Care attraverso i suoi componenti - la telemedicina è uno dei principali - sono finalizzati a creare un sistema informativo capace di predire l’evoluzione del bisogno di salute e consentire la riprogettazione dell’offerta socio-sanitaria, ma prima ancora finalizzato a rendere tangibile e migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei servizi socio sanitari per l’utenza. Attraverso l’implementazione dei servizi di digitalizzazione, condivisi con la cittadinanza (è importante l’alfabetizzazione digitale dei cittadini per l’accesso ai servizi di prevenzione e cura) si potrà ottenere una sanità più “accessibile e affidabile” che possa farsi carico dei bisogni della persona dal momento di accesso alle cure fino alla guarigione o nel percorso della cronicità. Sarà anche necessario che il sistema possa essere facilmente accessibile e condiviso tra i professionisti per potere offrire ogni informazione e ogni connessione relativa all’assistenza sanitaria che si possa esprimere a pieno nella completa integrazione ai servizi socio-sanitari. I suddetti obiettivi, sinteticamente descritti, sono utilizzati come base per la
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definizione dei KPI (indicatori delle prestazioni) atti a misurare l’andamento del progetto Connected Care ed i risultati degli interventi. Connected Care è un progetto ambizioso di cui la Telemedicina è un elemento portante ma è anche esteso ai servizi sanitari e socio-sanitari, PUA e COT, e ai percorsi di cura tra ospedale e territorio (PDTA) e richiede una strategia per l’armonizzazione delle iniziative in corso affinché siano coerenti alla visione (processi e tecnologia). Gli obiettivi che l’ASP di Ragusa intende perseguire con la realizzazione del progetto Connected Care puntano al completamento dei primi servizi integrati di telemedicina, per poi in futuro promuovere l’attivazione del Population Health Management (PHM) e disporre degli strumenti informativi per la predizione dello stato di salute della popolazione nel bacino d’utenza dell’ASP al fine di effettuare attività di programmazione della prevenzione e della rimodulazione della risposta ai fabbisogni di salute della popolazione. Un processo non semplice ma che deve fondarsi anche su un rinnovamento di natura organizzativa alimentato dalla disponibilità dell’informazione corretta ed aggiornata e dalla adozione di una interoperabilità di sistema sempre più efficace.
normazione Vincenza Di Martino - Avvocato Cassazionista
Procedura Consip, gare aggregate di livello regionale e autonomia delle singole amministrazioni pubbliche
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a sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sede di Napoli, Sezione Quinta, n. 884, pubblicata il giorno 9 febbraio 2022 e allo stato non appellata, analizza le relazioni tra la procedura Consip, le gare aggregate di livello regionale e l’autonomia che residua alle singole amministrazioni pubbliche. La decisione è, tra le prime sentenze del 2022 ad affrontare il tema degli approvvigionamenti a livello aggregato per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale di beni, servizi e forniture.
L’ATI, con il ricorso principale, impugnava una serie di provvedimenti amministrativi e, in particolare la Deliberazione di adesione alla convenzione Consip e di proroga del servizio in favore dell’ATI aggiudicataria. L’azienda Ospedaliera resisteva in giudizio, rivendicando, nel merito, la legittimità della propria azione. In mancanza di una convenzione regionale, essa assumeva di essere obbligata ex lege all’adesione all’unica convenzione disponibile, stipulata da un soggetto aggregatore: quella centralizzata d’interesse nazionale.
Nel caso in esame il T.A.R. della Campania-Napoli, riallineandosi all’opinione maggioritaria, ribadisce che il complessivo quadro normativo affida alle convenzioni-quadro della Consip S.p.A. un ruolo meramente sussidiario rispetto all’attivazione delle procedure centralizzate/ aggregate a livello regionale
Il caso concreto La società ricorrente agiva dinanzi al T.A.R. della Campania, Sede di Napoli, nella qualità di mandante dell’ATI che, in regime di proroga, stava svolgendo il servizio di pulizia, disinfezione e sanificazione presso la locale Azienda Ospedaliera. Nella disposizione della proroga del servizio, l’Amministrazione appurava che detto servizio era stato oggetto di una gara centralizzata, bandita dalla Consip S.p.A. anni addietro (ossia nel 2014) e aggiudicata al Consorzio controinteressato – in relazione al lotto che coinvolgeva la Ricorrente – sei anni dopo (ossia nel 2020), con la previsione che il servizio sarebbe stato attuato dall’inizio dell’anno successivo, cioè dal mese di gennaio 20211.
La sentenza segnalata Con la sentenza in commento, il T.A.R. rigetta per infondatezza il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti approfondendo gli aspetti, già messi in risalto dall’ordinanza n. 1833, pubblicata nel procedimento cautelare il giorno 27 ottobre 2021 e confermata dall’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 6209 del 19 novembre 2021. La decisione interviene, innanzitutto, su una delle questioni rimaste maggiormente dubbie nel 2021, definendola «punto focale del contendere, dirimente ai fini della decisione»2: il rapporto tra gare regionali e procedure Consip. Sul punto, senza alcuna pretesa di esaustività, si accenna
1 Sulla vicenda della Campania relativa alla procedura aperta per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione in oggetto, cfr.: Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6817/2021, che conferma T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 3744/2021, nel procedimento per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio e/o inerzia serbato dall’ASL Napoli 1 sull’istanza motivata di adesione alla convenzione Consip formulata dall’Operatore Economico aggiudicatario di quest’ultima. Nello specifico, si trattava di una gara-ponte per la stipula di contratti risolutivamente condizionati all’aggiudicazione dell’analoga convenzione Consip o, comunque, della gara centralizzata regionale, ove nel frattempo indetta dalla centrale di committenza territoriale; 2 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884;
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brevemente che nel 2021 sembrava essersi delineato un orientamento nuovo della giurisprudenza amministrativa (rappresentato dalle sentenze del Consiglio di Stato, Sezione Terza, 31 marzo 2021, n. 2707 e soprattutto del T.A.R. della Valle d’Aosta, 29 settembre 2021, n. 59), minoritario rispetto a quello tradizionale, che appariva ormai consolidato3. Infatti, mentre il primo orientamento4 apriva l’ambito di scelta della Stazione Appaltante, negando un’aprioristica preferenza legislativa per gli acquisti tramite centrali di committenza regionali; il secondo5 deduceva dal complessivo quadro normativo di riferimento un ruolo sostanzialmente suppletivo della centrale di committenza nazionale nell’attivazione di specifiche convenzioni-quadro, allorché i soggetti aggregatori regionali fossero stati inadempienti. Tendenzialmente, quindi, le gare per gli approvvigionamenti di rilievo sanitario dovevano essere svolte dalle centrali di committenza regionale, rispetto alle quali la procedura Consip aveva un ruolo sussidiario. Nel caso in esame il T.A.R. della Campania-Napoli, riallineandosi all’opinione maggioritaria, ribadisce che il complessivo quadro normativo affida alle convenzioni-quadro della Consip S.p.A. un ruolo meramente sussidiario rispetto all’attivazione delle procedure centralizzate/ aggregate a livello regionale. Infatti, nell’esaminare, per prima cosa, il rapporto tra la gara centralizzata d’interesse nazionale, indetta da Consip S.p.A., e la possibilità, eventualmente riconosciuta alle Aziende Sanitarie, di non aderire alla convenzione centralizzata, il Collegio parte dalla ricostruzione del sistema normativo di settore. Richiamando precedenti specifici del Consiglio di
Stato, il T.A.R. Campania- Napoli rileva che: «la normativa nazionale, sebbene non imponga un’assoluta prevalenza delle gare Consip, evidenzia la necessità di procedere attraverso i soggetti aggregatori, con una preferenza per le centrali che meglio rispecchino le esigenze dell’Amministrazioni. Invero, con riferimento alle gare Consip, si rinvengono in sede di centralizzazione le migliori possibili condizioni di offerta da porre a disposizione delle Amministrazioni, essendo consentito solo in via eccezionale e motivata alle stesse di procedere in modo autonomo, a condizione che possano dimostrare di aver ricercato e conseguito condizioni migliorative rispetto a quelle contenute nelle convenzioni-quadro, non essendo, viceversa, consentito alle singole amministrazioni di travalicare le regole legali che sottendono al richiamato rapporto fra regola ed eccezione»6. Il principio di diritto deriva, infatti, dal combinato disposto del comma 449 dell’art. 1 della L. n. 296/20067 con il comma 548 dell’art. 1 della L. n. 208/20158. La prima disposizione, contenuta nella legge finanziaria del 2007 intitolata “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, prevede che, nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali, centrali e periferiche, devono approvvigionarsi, utilizzando le convenzioni-quadro. Quanto agli enti del servizio sanitario nazionale, lo stesso comma stabilisce che essi sono, «in ogni caso, tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip
3 A. Damele, Ancora sul rapporto tra gare centralizzate Consip versus gare regionali con particolare riferimento al servizio di pulizia e sanificazione degli enti sanitari: si delinea un nuovo orientamento, 04 ottobre 2021 in www.appaltiecontratti.it, Maggioli Editore; A. Damele, Ancora sul rapporto tra gare regionali e procedure Consip, 23 novembre 2021, in www.appaltiecontratti.it, Maggioli Editore; A. Damele, Ancora sul servizio di pulizia e sanificazione degli enti sanitari tra Consip, centrali regionali e gare ponte, 2021, in www.appaltiecontratti.it, Maggioli Editore; 4 T.A.R. della Valle d’Aosta, 29/09/2021, n. 59; 5 Cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 7617/2021; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6817/2021; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5205/2020; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 1329/2019; Cons. Stato, Sez. III, n. 1937/2018; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 5826/2017; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III quater, sent. n. 1459/2021; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 3744/2021. Cfr. altresì: francesco de lucia, La deroga all’obbligo di ricorso alle “Convenzioni Consip, in Giornale di diritto amministrativo, n. 1, 1 gennaio 2019, p. 114; antonio de feo, Centrali di committenza, qualificazione delle stazioni appaltanti e tutela della concorrenza in Italia e nel Regno Unito, in Urbanistica e appalti, n. 1, 1 gennaio 2019, p. 33; chiara lacava, Razionalizzazione delle spese ed efficientamento delle procedure (sistema CONSIP), 06 aprile 2016, in Il Quotidiano Giuridico–Altalex, https://www.altalex.com/quotidiano-giuridico; 6 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884. Conformi in parte qua, cfr.: Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 7617/2021; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6817/2021; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5205/2020; Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 1329/2019; Cons. Stato, Sez. III, n. 1937/2018; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 5826/2017; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III quater, sent. n. 1459/2021; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 3744/2021; 7 LEGGE 27 Dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), in GU n. 299 del 27-12-2006 - Suppl. Ordinario n. 244: «Art. 1, comma 449 – Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.». 8 LEGGE 28 Dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), in GU n. 302 del 30-12-2015 - Suppl. Ordinario n. 70: «Art. 1, comma 548 – Al fine di garantire la effettiva realizzazione degli interventi di razionalizzazione della spesa mediante aggregazione degli acquisti di beni e servizi, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti ad approvvigionarsi, relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario, come individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, avvalendosi, in via esclusiva, delle centrali regionali di committenza di riferimento, ovvero della Consip S.p.A.».
normazione S.p.A.». Coerentemente, il comma 548 dell’art. 1 della L. n. 208/2015, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), individua poi l’obiettivo di razionalizzare la spesa sanitaria pubblica, mediante aggregazione degli acquisti di beni e servizi. All’uopo, gli enti del servizio sanitario nazionale sono tenuti ad approvvigionarsi, relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario individuate ex lege, «avvalendosi, in via esclusiva, delle centrali regionali di committenza di riferimento, in via sussidiaria dalla Consip S.p.A.». Dalla normativa indicata, aderendo all’orientamento della giurisprudenza amministrativa tradizionale, consegue, ad avviso del T.A.R., che, se tendenzialmente le gare di appalto devono essere svolte dalle centrali di committenza regionale, in via suppletiva è possibile che la centrale di committenza nazionale attivi specifiche convenzioni-quadro, per prevenire il rischio di possibili mancanze di approvvigionamenti di interesse e rilevanza fondamentali. Pertanto: «alla Consip è assegnato un carattere evidentemente sussidiario, il quale per
questa caratteristica avrà dunque valenza ‘cedevole’»9. Chiarita così la natura sussidiaria della gara Consip rispetto a quella della centrale di committenza regionale, il Collegio perimetra i confini della discrezionalità amministrativa in relazione alla scelta di aderire o meno alla convenzione centralizzata e affronta la questione peculiare, introdotta dalla vicenda concreta. In particolare il TAR interviene sulla legittimità della scelta dell’Amministrazione Sanitaria Locale di aderire alla convenzione Consip, già operativa, anziché d’indire una procedura competitiva autonoma oppure di prorogare il contratto in atto con l’operatore economico ricorrente. Il confronto con la particolarità del caso concreto, in cui la convenzione centralizzata era già stata stipulata, obbliga il T.A.R. della Campania ad applicare un ulteriore principio di carattere generale, ossia l’art. 26, comma 3 della L. n. 488/199910. Quest’ultimo consente alle amministrazioni pubbliche (statali, centrali e periferiche) di ricorrere a proprie convenzioni, stipulate, ai sensi del comma 1 del medesimo
9 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884. 10 LEGGE 23 Dicembre 1999, n. 488, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000), in GU n. 302 del 27-12-1999 - Suppl. Ordinario n. 227: «Art. 26, Acquisto di beni e servizi – Comma 1. Il Ministero del tesoro, del bilancio della programmazione economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, stipula, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate, selezionate anche in deroga alla normativa di contabilità pubblica, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere, convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria. I contratti conclusi con l’accettazione di tali ordinativi non sono sottoposti al parere di congruità economica. Ove previsto nel bando di gara, le convenzioni possono essere stipulate con una o più imprese alle stesse condizioni contrattuali proposte dal miglior offerente. ((Ove previsto nel bando di gara, le convenzioni possono essere stipulate per specifiche categorie di amministrazioni ovvero per specifici ambiti territoriali)). […]. Comma 3. Le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l’acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2002, n. 101. La stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e ai comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti».
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articolo 26, mediante procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere. Con tali convenzioni l’impresa prescelta si obbliga ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva (stabilita dalla convenzione stessa), insieme ai prezzi e alle condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi. In alternativa, le stesse amministrazioni pubbliche possono utilizzarne i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili. Ad avviso del giudice di primo grado, si tratta, quindi, di una facoltà che conferma il richiamato rapporto fra regola ed eccezione e che è giustificata dalla possibilità di ottenere condizioni economiche più favorevoli di quelle stabilite all’esito delle convenzioni-quadro, sulla base di una valutazione discrezionale dei parametri di qualità/ prezzo comparati, coerentemente con i principi di economicità, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa. Condividendo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa sul tema11, la sentenza in esame segnala che tale facoltà troverebbe, altresì, conferma nel quarto periodo del comma 1 dell’art. 1 del D.L. n. 95/201212. Secondo la disposizione citata, la previsione del primo periodo del medesimo articolo 1 – il quale stabilisce che i contratti stipulati in violazione dell’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, nonché degli obblighi di approvvigionamento attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa – non si applica alle amministrazioni pubbliche in presenza di specifiche condizioni. In particolare, la deroga ricorre allorché il contratto sia stato stipulato a un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., purché tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza. Rimane il fatto che il sistema di evidenza pubblica Consip consente d’individuare il miglio-
re contraente, senza obbligare l’Amministrazione che se ne avvalga a indicare l’interesse pubblico sotteso alla scelta del convenzionamento Consip. Quest’ultimo, oltre a tempistiche e accelerazioni sicure, realizza anche un’economia intrinseca, permettendo risparmi sia diretti, sia indiretti. Infatti, mentre i primi conseguono all’unicità di una gara pubblica di rilievo comunitario espletata a monte; i secondi derivano dalla riduzione dell’eventuale contezioso e delle singole procedure di acquisto, garantendo al contempo le migliori condizioni economiche e tecniche. La decisione segnalata affronta poi, l’ulteriore nodo: se residui in capo all’Azienda Sanitaria territoriale l’obbligo di espletare o meno una preventiva e specifica istruttoria sulla possibilità di ottenere, ricorrendo al mercato, condizioni migliori, allorché il soggetto pubblico decida di aderire alla convenzione Consip, allineandosi all’opzione legislativa fatta a monte. Sul punto, il Collegio osserva che «le norme vigenti esprimono per le convenzioni della Consip - anche quando la relativa adesione non sia obbligatoria un sicuro favor, desumibile anche dal fatto che queste, in difetto di adesione, rilevano comunque come parametri di prezzo-qualità fungenti da limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Tale adesione, indubbiamente privilegiata dal legislatore, è qualificata anche dal fatto di trovarsi sorretta da una peculiare presunzione di convenienza, così da corrispondere, per le Amministrazioni, ad una sorta di regola di azione»13. Il sistema normativo così ricostruito obbliga, perciò, gli enti sanitari a motivare sulla convenienza, soltanto qualora essi decidano di procedere autonomamente, ricorrendo al mercato. Il TAR esamina anche l’istituto della proroga dei contratti pubblici, oggi disciplinato dall’art. 106, comma 11 del D. Lgs. n. 50/2016, Codice degli appalti pubblici14 e regolato nel settore degli appalti in sanità anche da disposizioni speciali15. La proroga rappresenta, infatti, una questione problematica per gli enti del servizio sanitario, nazionale e regionale, di rilevanza pressoché quotidiana. La criticità
11 Cfr.: Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 1329/2019; 12 DECRETO-LEGGE 6 Luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini ((nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario)), in GU n. 156 del 06-07-2012 - Suppl. Ordinario n. 141: «Art. 1. Riduzione della spesa per l’acquisto di beni e servizi e trasparenza delle procedure – 1. Successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I contratti stipulati in violazione dell’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. Ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto. Le centrali di acquisto regionali, pur tenendo conto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., non sono soggette all’applicazione dell’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488. La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica alle Amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A., ed a condizione che tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza». 13 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884. 14 DECRETO LEGISLATIVO 18 Aprile 2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici, in GU n. 91 del 19-04-2016 - Suppl. Ordinario n. 10: «Art. 106, comma 11 – La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante». 15 Per un primo approfondimento, cfr.: A. Damele, Appalti in Sanità. Auspici per il nuovo anno, 11 gennaio 2022, in www.appaltiecontratti.it, Maggioli Editore;
normazione riguarda, in particolare, i casi in cui le convenzioni centralizzate siano scadute e, contestualmente, la gara centralizzata per il nuovo affidamento si protragga. Il T.A.R. della Campania, ricorda che «in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi, non è dato rinvenire alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa euro-unitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara pubblica»16. L’ultima parte della motivazione della sentenza rigetta la tesi difensiva della Ricorrente, che pretendeva dall’Amministrazione l’adempimento di un particolare onere istruttorio e motivazionale sulla convenienza economica del convenzionamento Consip. Obblighi siffatti, ad avviso del Giudice di primo grado, striderebbero con la ratio legis di «rendere superflua l’indizione di gare espletate per i singoli contratti dei singoli enti»17, ricavata dalla giurisprudenza amministrativa nel sistema complessivo delle gare centralizzate e delle convenzioni Consip.
Conclusioni In conclusione, dalla sentenza oggetto di annotazione, si ricava che: i) l’adesione alle convenzioni Consip consente di individuare il miglior contraente senza obbligare l’Amministrazione a indicare l’interesse pubblico sotteso alla scelta dell’adesione; ii). l’Amministrazione non ha alcun onere di istruttoria e motivazione, circa l’economicità dei parametri indicati nella convenzione di rilievo nazionale, ai fini dell’adesione; iii) è la scelta di procedere in autonomia a essere sottoposta ad un obbligo di motivazione e presuppone valutazioni di natura tecnico-discrezionale e di opportunità, sindacabili per eccesso di potere, nei soli limiti di evidente illogicità, contraddittorietà, arbitrarietà e irragionevolezza; iv) l’estinzione del rapporto negoziale con l’affidataria del servizio, nei termini ordinari, ne elimina la posizione differenziata, tanto che la stessa non può vantare alcuna «pretesa affinché abbia luogo una nuova procedura di assegnazione del medesimo servizio, sia pure avente connotazione di “ponte” rispetto alla procedura definitiva ovvero una nuova gara centralizzata, al solo scopo di riacquistare la mera chance all’eventuale concessione di una proroga fino all’esito della gara per l’affidamento definitivo»18.
16 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884, che richiama Cons. Stato, Sez. III, n. 1521/2017 e Cons. Stato, Sez. V, n. 7261/2010. Cfr. altresì: Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6817/2021; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. n. 3744/2021; T.A.R. Liguria, Genova, Sez. II, sent. n. 694/2020, non appellata; 17 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, sent. 09/02/2022, n. 884, che richiama Cons. Stato, Sez. III, sent. 2842/2013; 18 T.A.R. Campania, Napoli, Sezione V, ord. 27/10/2021, n. 1833;
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autorizzazione per l’immissione in commercio Riccardo Bond - Massimo Riccio - Avvocati
Cessione di AIC e divieto di cessione di contratto di appalto. Parliamone...
L 18
a recente emanazione del DL 77/2021, convertito con L 108/2021 ha apportato alcune modifiche all’istituto del subappalto ribadendo e rafforzando il divieto di cessione del contratto di appalto (art. 105, comma 1 del Dlgs 50/2016). Ad onor di precisione, grazie anche alla successiva L 238/2021, che ha permesso all’Italia di uscire da una procedura d’infrazione per aver limitato l’ampiezza del subappalto, si può capire quale sia il pensiero dell’Unione Europea. Il legislatore europeo scinde molto bene la differenza tra scelte imprenditoriali dell’appaltatore, che possono avere riflessi indiretti sull’appalto e scelte effettuate allo scopo di cedere la titolarità di un contratto di appalto. Le modifiche legislative di nuova introduzione devono scaturire una riflessione che va oltre le novità che si rivolgono all’immediatezza, su cosa significhi davvero il divieto di cessione del contratto di appalto e quali siano i limiti, al fine di comprendere cosa possa o non possa fare l’appaltatore nel corso dell’esecuzione. In questa sede, infatti, non analizzeremo nel dettaglio le modifiche all’istituto del subappalto operate dalle norme sopracitate, ma saranno la base di partenza per analizzare un problema più complesso, che potrebbe essere risolto grazie alla diffusione delle c.d. “best practises” tra stazioni appaltanti, ossia quelle “buone pratiche” che dovrebbero appartenere al settore degli appalti pubblici. Le domande da cui dobbiamo partire per analizzare il problema sono molto semplici: Quando si ha la cessione di un contratto affidato mediante procedura di evidenza pubblica? Quali comportamenti giuridici ricadono nel divieto di cessione del contratto presente all’art. 105, comma 1 del Dlgs 50/2016? Cosa dice la UE? Le modifiche al subappalto in Italia sono state introdotte sulla scia della procedura di Infrazione n. 2018/2273 emessa dalla Commissione Europea nei confronti del nostro Paese per il non corretto recepimento delle norme sul subappalto. L’Italia, sin dal precedente Codice dei Contratti Pubblici (Dlgs 163/2006) ha limitato per legge la quota della realizzazione di interventi a subappaltatori al 30% del valore del contratto. Tale scelta non è mai stata realmente motivata, ma le ragioni sono legate sicuramente al pregiudizio culturale verso gli esecutori che svolgono lavorazioni
per conto dell’appaltatore. In poche parole per il nostro legislatore un’impresa che ha esperienza nel settore degli appalti pubblici e che in molti casi è affidataria di contratti di appalto, quando assume il ruolo di subappaltatore perderebbe la sua affidabilità, al punto da spingere il legislatore a porre un limite quantitativo alle prestazioni eseguibili. Tale limitazione non esiste nel resto della UE, perchè il subappaltatore non viene considerato come una sorta di esecutore di secondo ordine, ma, semmai, di un esecutore di secondo livello che agisce sotto la responsabilità diretta dell’esecutore principale. La direttiva 2014/24/UE affronta il problema nei considerando n. 107, 110 e 111. Il considerando 107 ricorda quali sono “le condizioni alle quali le modifiche di un contratto durante la sua esecuzione richiedono una nuova procedura di appalto” specificando che una “nuova procedura d’appalto è necessaria quando sono apportate modifiche sostanziali al contratto iniziale, in particolare all’ambito di applicazione e al contenuto dei diritti e degli obblighi reciproci delle parti”. In sostanza si tratta di modifiche contrattuali che impattano sul contenuto contrattuale, al punto da modificare l’offerta vincitrice e, quindi, modificando le risultanze della procedura competitiva. Si noti che questo considerando non vieta di modificare il soggetto esecutore il quale, secondo il successivo n. 110 “non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico”. Però la Direttiva non pone uno stretto divieto di sostituzione dell’esecutore originario, ma usa il condizionale ammettendo che sia possibile sostituire l’aggiudicatario senza risolvere il contratto e il modo lo spiega al successivo considerando n. 111. Qui si legge che nei “singoli contratti, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la possibilità di prevedere modifiche mediante clausole di revisione o di opzione” e compito della Direttiva è quello di “stabilire in che misura le modifiche possano essere previste nel contratto iniziale”. Tale disposizione è prevista nel corpo della Direttiva e, per precisione all’art. 72, che al comma 1 lettere a) e d) regolamenta i limiti entro i quali, citando le parole ivi contenute: “i contratti e gli accordi quadro possono essere modificati senza una nuova procedura d’appalto”. Questo articolo è stato recepito pedissequamente all’art. 106 del Dlgs 50/2016.
autorizzazione per l’immissione in commercio La normativa italiana sulle modifiche contrattuali senza necessità di riedizione della procedura selettiva. L’art. 106 del Dlgs 50/2016 raggruppa tutti i casi in cui è possibile per la stazione appaltante effettuare una variazione al contratto, con e senza obbligo di riedizione del confronto competitivo. Ciò conferma quanto già disposto dalla direttiva e che possiamo così sintetizzare: l’Unione Europea ha l’obbligo di preservare i risultati della procedura ad evidenza pubblica, negli elementi essenziali dell’offerta, in ossequio ai principi comunitari. Se volessimo fare una sintesi brutale per la normativa comunitaria la variazione dell’esecutore non rientra sempre negli elementi essenziali. In questa sede ci concentreremo esclusivamente su due tipologie di variazioni: quelle che contenute nei documenti di gara, quindi attivabili opzionalmente durante l’esecuzione e quelle previste dalla legge stessa. Queste due tipologie di variazioni vengono prese in esame perchè entrambe non comportano la riedizione del confronto competitivo e possono comportare la variazione anche del soggetto esecutore. Le variazioni contenute nei documenti di gara sono normate, in via generale, all’art. 106, comma 1 lettera a) del Codice dei Contratti; questo comma prevede la possibilità di inserire all’interno della procedura di gara opzioni e/o automatismi di modifica “a prescindere dal loro valore monetario” a patto che siano “previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili”. Per fare alcuni esempi di questa variazione si possono citare le note opzioni di proroga, che spesso vengono citate nei documenti di gara con un periodo contrattuale certo ed uno opzionale attivabile esclusivamente dalla stazione appaltante (es. Durata del contratto 2 anni, prorogabili per un ulteriore anno alle medesime condizioni). In questo caso l’opzione prevede un automatismo chiaro, preciso ed inequivocabile che permette ai concorrenti di comprendere la durata massima del contratto e le modalità di attivazione del meccanismo di proroga. Un altro esempio di come funziona l’art. 106, comma 1 lettera a) del Dlgs 50/2016 è la clausola di rivalutazione monetaria, che spesso viene inserita sui contratti ad esecuzione periodica con corresponsione di un canone mensile (es. I servizi di global service, oppure
di manutenzione del verde pubblico, oppure di noleggio di apparecchiature medicali). La Direttiva e il Codice dei Contratti ci ricordano che se la stazione appaltante vuole che tale facoltà possa essere riconosciuta all’esecutore, deve essere prevista contrattualmente avendo cura di individuare con precisione il meccanismo istruttorio e i limiti di operatività. Tra le variazioni contrattuali previste nei documenti di gara, vi anche l’evenienza della lettera d) dell’art. 106, comma 1 del Codice che esplicitamente prevede: “se un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto”. Per far fronte a tale evenienza è prevista per legge (e per Direttiva) la possibilità di inserire “una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a)” (art. 106, comma 1, lettera d), n. 1 del Dlgs 50/2016). Questa disposizione permette esplicitamente di inserire all’interno dei documenti di gara le condizioni entro cui è possibile sostituire l’aggiudicatario originario, in corso di esecuzione, senza obbligo di riedizione della procedura selettiva. Trattandosi di una opzione prevista nei documenti di gara potrebbe essere attivata, senza che da ciò ne scaturisca alcuna violazione del divieto di cessione del contratto. Nonostante questa disposizione esista dal 2016, nelle gare italiane ancora raramente se ne vede traccia, senza che vi sia una specifica ragione. In questo ambito potrebbero rientrare, ad esempio, un periodo iniziale di prova della durata di 6 mesi, in cui se l’appaltatore non raggiunge i livelli prestazionali offerti, viene sostituito dal secondo classificato nella procedura selettiva. Ma potrebbe rientrarvi anche la cessione della titolarità dell’AIC, come vedremo nel prosieguo dell’articolo. Tutte le stazioni appaltanti conoscono la sostituzione dell’appaltatore prevista dal successivo n. 2, che riguarda le c.d. “vicende soggettive dell’appaltatore” (art. 106, comma 1, lettera d), n. 2 del Dlgs 50/2016). Vi rientrano in tale disposizione tutti i casi di cessione di azienda o di un suo ramo, ma anche dei casi di fusioni, scissioni, affitti d’azienda, dove il bene che viene ceduto non è il contratto di appalto, ma l’insieme di beni coinvolti nell’esecuzione, creando i presupposti per una continuità nell’esecuzione.
La cessione di AIC (acronimo di: Autorizzazione per l’Immissione in Commercio, attribuito da AIFA a tutti i farmaci commercializzati nel nostro Paese) non può essere accostata automaticamente alla cessione del contratto di appalto, anche alla luce delle modifiche introdotte dal DL 77/2021 (c.d. decreto semplificazioni bis)
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autorizzazione per l’immissione in commercio In questo caso è la legge (e la Direttiva) a riconoscere tale diritto alla successione nel contratto senza riedizione del confronto competitivo e perciò non è richiesto alla stazione appaltante l’onere di prevedere una specifica clausola all’interno della documentazione di gara. Tale istituto era già presente nel precedente Codice dei Contratti (Dlgs 163/2006), quindi si deve presumere che sia questa la ragione della maggiore confidenza nel suo utilizzo da parte delle stazioni appaltanti. Vediamo come il caso previsto dall’art. 106, comma 1, lettera d), n. 1 del Dlgs 50/2016 potrebbe essere utile per risolvere un problema noto nell’ambito delle forniture di farmaci in ambito sanitario.
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La cessione dell’AIC e i suoi rapporti con il contratto di appalto L’introduzione fin qui svolta serve a comprendere che non corrisponde alla realtà il fatto che la legge non consenta, in via generale, di avere un avvicendamento di soggetti esecutori senza riedizione della procedura selettiva. Come non corrisponde, neppure, a verità che solo i casi di vicende soggettive dell’appaltatore sono le uniche opportunità possibili per non incorrere nel divieto di cessione del contratto. Si è visto che la Direttiva 2014/24/UE (art. 72, comma 1 lett. a) e d)) prevede per la stazione appaltante la possibilità di normare, all’interno dei documenti di gara, casi di avvicendamento tra esecutori a patto che ciò non violi i principi di trasparenza e, soprattutto, che non permetta modifiche ad elementi essenziali del contratto d’appalto. Questi casi rappresentano certamente delle cessioni consentite dalla normativa comunitaria e, di conseguenza, esse sono lecite e non rientrano nel divieto previsto dall’art. 105, comma 1 del Dlgs 50/2016, anche a seguito della modifica operata dal DL 77/2021. Quindi il Codice dei Contratti consen-
te di individuare nei documenti di gara un meccanismo di avvicendamento dell’appaltatore a patto che sia contenuto in una clausola chiara, precisa, inequivocabile e che limiti la discrezionalità della stazione appaltante (art. 106, comma 1, lettera a) e lettera d), n. 1 del Dlgs 50/2016). Tale istituto giuridico, tipico e di origine comunitaria, si presterebbe perfettamente a risolvere la questione relativa alla cessione dell’AIC, che alcune Case Farmaceutiche attuano normalmente nella loro vita imprenditoriale. AIC è l’acronimo per Autorizzazione per l’Immissione in Commercio ed è un codice che viene attribuito da AIFA a tutti i farmaci commercializzati nel nostro Paese. L’AIC è il prerequisito necessario per un produttore farmaceutico poter commercializzare i propri prodotti in Italia e il codice può essere utilizzato direttamente dal produttore, ovvero concedendone l’autorizzazione a terzi. Per la normativa comunitaria non è importante chi detiene l’AIC, perchè quest’ultimo è un bene di proprietà di un soggetto, che può essere liberamente venduto per una scelta imprenditoriale scollegata dalle gare. Sul punto basti vedere il Regolamento (CE) N.1234/2008 della Commissione Europea,“ concernente l’esame delle variazioni dei termini delle autorizzazioni all’immissione in commercio di medicinali per uso umano e di medicinali veterinari”. Le modifiche relative alla titolarità dell’autorizzazione di immissione in commercio, nel territorio della UE, rientrano nell’allegato II e hanno “natura puramente amministrativa” se “relative all’identità [...] del titolare”. Le variazioni contenute nel suddetto allegato sono definite come «variazione minore di tipo IA», che ai sensi dell’art. 1, n. 2 delle definizioni del citato regolamento si intende “una modifica avente soltanto un impatto minimo o nullo sulla qualità, sulla sicurezza e sull’efficacia dei medicinali interessati”. Questo aspetto è essenziale e va ben compreso: per il rego-
autorizzazione per l’immissione in commercio lamento Europeo che regola l’esame delle variazioni sugli aspetti autorizzatori di immissione al commercio, la titolarità del certificato non ha un’importanza costitutiva, ma solo di tipo amministrativo. Da ciò ne deriva la postura giuridica della Commissione Europea che non considera il cambio di titolarità di AIC come una modalità idonea ad incidere su un contratto di appalto e, in ragione di ciò, le stazioni appaltanti dovrebbero recepire questa variazione amministrativa garantendo la continuità e la conservazione dei rapporti giuridici. La richiesta di variazione deve essere comunicata ad AIFA e, se concernente solo la titolarità dell’AIC, viene considerata come una modifica di natura amministrativa, che non ha alcuna ripercussione sulle caratteristiche scientifiche del medicinale già autorizzato, ma che comporta solo l’obbligo di modifica gli stampati (RCP/FI/Etichette), così come previsto dalla Procedura Operativa Standard di AIFA (POS) n. 321 in vigore dal 17.06.2014. Per la normativa europea il cambio di titolare dell’AIC non desta particolari problematiche, a meno che a seguito della cessione dell’AIC non vi sia una rinegoziazione delle condizioni essenziali dell’appalto; solo in quest’ultimo caso la stazione appaltante potrebbe rifiutarsi perchè tale pratica consentirebbe di incidere sul risultato della procedura di gara. La vera domanda è perchè le stazioni appaltanti non prevedono l’eventualità della cessione dell’AIC nei propri capitolati, sebbene consentita dalla normativa? Prevedere una clausola contrattuale, all’interno della documentazione di gara, che chiarisca la legittimità della cessione di AIC, per ragioni ordinamentali, prevedendo una clausola dal contenuto chiaro, preciso ed inequivocabile. Se ciò fosse fatto l’art. 106, comma 1, lettera d), n.1 del Dlgs 50/2016 farebbe rientrare la cessione nel novero della normale circolazione di un bene dell’impresa, con conseguente cambio di intestazione nei contratti di fornitura. La cessione dell’AIC e l’attuale giurisprudenza La nostra giurisprudenza è stata chiamata poche volte a pronunciarsi sul tema se la cessione dell’AIC sia o meno un caso di cessione del contratto di appalto. Molto interessante è un caso di cui si è occupata la giurisprudenza, per dirimere una questione sorta in vigenza del precedente Codice dei Contratti, il Dlgs 163/2006, il quale aveva una normativa sulle variazioni contrattuali molto più restrittiva. Il caso in sintesi è il seguente: la casa farmaceutica Alfa è impegnata in un contratto pubblico alla fornitura di uno specifico farmaco, in forza di concessione di vendita stipulato con la proprietaria dell’AIC, l’azienda Beta. La stazione appaltante, allo scadere della concessione di vendita, prende atto che quest’ultimo prevede che Beta assumerà il ruolo di venditore di zona allo scadere della concessione, succedendo come fornitore nei contratti attivi, anche se firmati da Alfa.
L’azienda Alfa impugna la delibera in cui viene preso atto della concessione scaduta e recepisce i patti ivi contenuti, facendo succedere Beta nel contratto di fornitura. La doglianza di Alfa fa leva, appunto, sul divieto di cessione del contratto già presente nel Dlgs 163/2006, rappresentando al Consiglio di Stato la tesi che la cessione di elemento esterno al contratto di appalto (l’AIC) comporta l’obbligo di risoluzione del contratto stesso in quanto fa divenire la fornitura impossibile. La Suprema Corte Amministrativa ha respinto questa tesi con forza partendo da una premessa importante: la cessione dell’AIC non rientra direttamente nel divieto di cessione di contratto, a patto che la finalità principale dell’operazione non sia quella di eludere la normativa comunitaria degli appalti. Per tale ragione è importante verificare le modalità in cui avviene questa cessione. La differenza risiede nei dettagli. Nel caso di specie l’AIC è di proprietà di Beta sin dall’inizio, anche nella vigenza del patto di concessione di vendita utilizzato da Alfa per poter proporre i prodotti in gara. L’approccio del Consiglio di Stato è pragmatico, quando, in maniera lapidaria afferma: “la contestata deliberazione [omissis] non integra un’ipotesi di revoca o annullamento in autotutela delle precedenti delibere di affidamento della fornitura, ma costituisce una mera presa d’atto dell’avvenuto subentro del concedente al rivenditore di zona nell’esecuzione del contratto di fornitura già in essere tra le parti, in coerenza di quanto previsto nel contratto di concessione di vendita.”. Il ragionamento si fonda sull’analisi del contratto di concessione alla commercializzazione del farmaco, dove oltre a dare atto delle sorti dell’AIC (in questo caso sempre di proprietà di Beta), erano state regolamentate anche le sorti dei contratti stipulati in forza alla concessione, una volta giunta al suo naturale esaurimento. Quindi per usare le parole del Consiglio di Stato: “L’Amministrazione, quindi, si è limitata a prendere atto della fornitura diretta dei dispositivi medici afferenti detta linea da parte della società deputata alla loro commercializzazione, senza l’intermediazione del rivenditore.”. Una sentenza potente perchè fa comprendere che la cessione di AIC non comporta l’automatismo della revoca dell’aggiudicazione per l’impresa cedente e titolare del contratto di appalto, ma, al contrario, onera la stazione appaltante a condurre una attenta istruttoria volta ad analizzare attentamente cosa viene ceduto e quando viene ceduto. Sì perchè questi due aspetti appaiono dirimenti. Il Consiglio di Stato fa comprendere che se il patto di cessione di AIC è cristallizzato in una forma contrattuale preesistente alla gara d’appalto, la stazione appaltante non può considerare l’evento come idoneo a configurare una cessione di contratto pubblico. Questa visione sovverte molto la visione schematica e consuetudinaria che molte stazioni appaltanti insistono a perpetrare risolvendo anticipatamente i contratti di appalto.
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E’ giusto ricordare che anche il giudice civile ha iniziato a pronunciarsi contro alle risoluzioni anticipate dei contratti di pubblica fornitura, disposte dalle stazioni appaltanti nei casi in cui il fornitore ceda la proprietà il proprio AIC. Tra le sentenze più recenti si annovera il Tribunale di Napoli, sez. XI, Civile n. 5410 depositata in data 9.06.2021, che ha accolto la domanda proposta dalla Casa farmaceutica esecutrice del contratto, ai danni del soggetto aggregatore. Il giudice parte nella sua disamina dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato, nella parte in cui considera l’avvicendamento di soggetti proprietari dell’AIC come non in contrasto con il divieto di cessione del contratto, soprattutto nei casi di retrocessione dell’autorizzazione dal distributore/ concessionario al produttore/titolare. Nella sentenza si legge che: “So.Re.Sa. s.,p.a. avrebbe dovuto prendere semplicemente atto del subentro di [omissis] ad [omissis] nella commercializzazione del [omissis nome del farmaco] e non, invece, considerare detto avvicendamento come una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali ex art.106 comma 1 d.lgs. 50/2016 e, quindi, procedere a una illegittima risoluzione parziale del contratto e all’escussione della polizza fideiussoria.”. Secondo il Tribunale di Napoli l’illegittimità della risoluzione contrattuale è da ricercarsi nelle disposizioni del capitolato speciale d’appalto il quale “non reca nemmeno clausole espresse relative alla risoluzione del contratto per le ipotesi di modifica delle condizioni di rivendita e distribuzione dei prodotti oggetto di fornitura, limitandosi semplicemente a prevedere all’art.2 la facoltà di risoluzione o recesso, prima della scadenza, in ipotesi tassative.”. Anzi il giudice lamenta che non sia previsto meglio il caso di cessione dell’AIC che dovrebbe contemplare anche le cessioni di AIC, le quali debbono essere ritenute “ammissibile in materia di affidamenti pubblici nel settore medico-farmaceuti-
co.”. In definitiva per il Tribunale di Napoli, con la cessione dell’AIC vi sarebbe semplicemente “un avvicendamento del produttore al rivenditore che non ha in alcun modo alterato il rapporto di somministrazione né tanto meno, l’oggetto del contratto”. Il giudice civile dirime questioni afferenti diritti soggettivi e, quindi, non può che considerare un atto afferente alla sfera della libertà imprenditoriale (la cessione di AIC), come scollegato dal contratto di appalto e, quindi, non utilizzabile per chiedere la risoluzione contrattuale. Secondo il Tribunale di Napoli non c’è un collegamento formale e/o sostanziale tra le due condotte e, l’assenza di clausole specifiche all’interno del contratto di appalto, comporta l’impossibilità della stazione appaltante non solo alla cessione dell’AIC, ma anche ad accettare il suo proprietario come esecutore, in luogo del concessionario “scaduto”. Conclusioni e soluzioni La disamina fin qui condotta deve far comprendere che il divieto previsto dall’art. 105 comma 1 del Dlgs 50/2016 opera di diritto solo per i casi di cessione volontaria del contratto pubblico, dove emerga la volontà dell’esecutore alla prosecuzione diretta del contratto di appalto. Questo è il caso per cui la legge italiana pone un divieto, sebbene per la Direttiva appalti l’immutabilità del titolare della fornitura appare di secondaria importanza rispetto alla conservazione delle condizioni tecniche ed economiche, risultate vittoriose nella procedura di gara. Per tale ragione esiste l’art. 106, comma 1 lettere a) e d) del Dlgs 50/2016, di diretta derivazione Comunitaria, che consente alle stazioni appaltanti di prevedere nel capitolato specifici casi di successione dell’impresa esecutrice, senza che ciò possa costituire un’ipotesi di inadempimento ovvero di risoluzione anticipata del contratto. La clausola, tuttavia, non dovrebbe consentire le modifiche del contratto nei suoi elementi essenziali, perchè questo comporterebbe l’attivazione del meccanismo della variante, laddove possibile, ovvero della riedizione del confronto competitivo. Chi scrive ritiene che l’art. 106, comma 1, lettera d), n. 1 del Dlgs 50/2016, in particolare, risolverebbe l’annosa questione della cessione dell’AIC e i suoi riflessi sull’esecuzione del contratto. Come si è visto la giurisprudenza non considera sempre il passaggio dell’AIC da un soggetto ad un altro come una causa legittima di risoluzione anticipata del contratto di appalto. Quindi un atteggiamento pragmatico da parte delle stazioni appaltanti sarebbe preferibile, rispetto all’incertezza dell’esito di un giudizio che potrebbe continuare a considerare la cessione dell’AIC come esterna al contratto di appalto e, quindi, non utilizzabile per giustificare la risoluzione contrattuale. La proposta che viene avanzata da chi scrive si basa sull’inserimento nel capitolato d’appalto di una clausola che rispetti queste caratteristiche:
autorizzazione per l’immissione in commercio - rappresenti una opzione esercitabile dall’esecutore durante l’esecuzione del contratto e che limiti i casi in cui la titolarità dell’AIC cambia, senza alcuna altra modifica sostanziale che possa avere ripercussioni sulle caratteristiche scientifiche del medicinale già autorizzato; - comporti l’obbligo per il cedente di notificare alla stazione appaltante l’intervenuta cessione dell’AIC, ovvero l’imminente perfezionamento della cessione (quest’ultimo caso solo per permettere alla stazione appaltante di avviare i controlli sul futuro titolare); - la stazione appaltante non può rifiutarsi di far subentrare il nuovo titolare dell’AIC nel contratto di appalto al soggetto cedente, a patto che il nuovo soggetto non rientri nelle cause di esclusione (art. 80 del Dlgs 50/2016), possegga almeno i medesimi requisiti speciali previsti in gara e non vi sia alcuna rinegoziazione del contratto di appalto; - il subentro nel contratto sia sottoposto alla condizione risolutiva, collegata direttamente all’esito positivo dell’iter amministrativo presso AIFA e, comunque, sino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo titolare. In assenza del provvedimento espresso di AIFA la stazione appaltante non può autorizzare la sostituzione del contraente. Si propone in calce all’articolo anche una ipotesi di clausola, che permetta di andare oltre gli aspetti teorici e che, tuttavia, venga presa da ispirazione per confezionare una apposita clausola da armonizzare con i capitolati delle singole stazioni appaltanti. In definitiva questa proposta, ad avviso di chi scrive, è un modo pragmatico di prendere coscienza che il passaggio di titolarità di AIC è un evento normale, che ogni casa farmaceutica effettua a prescindere dai contratti di appalto in esecuzione. Ma ciò non deve essere vissuto dalle stazioni appaltanti come la volontà di cedere un contratto pubblico, ma, piuttosto, come una variazione che ha una natura puramente amministrativa, come indicato anche dalla Commissione Europea. Bisogna considerare che gli AIC continueranno a circolare liberamente, in quanto sono beni di una azienda che hanno un loro valore economico che prescinde dai contratti di appalto ad essi collegati. Prevedere una clausola nei capitolati, che regolamenti anche tale evenienza, eliminerebbe l’ipotesi di un contenzioso, evitando alla stazione appaltante di gestire una risoluzione anticipata del contratto, con tutte le conseguenze ad essa collegata. Questa tipologia di clausola si presterebbe bene anche per una nuova forma di “acquisto in danno”, dove l’aggiudicatario propone di fornire temporaneamente un prodotto con un AIC diverso, ma alle stesso condizioni del contratto. Ma questo argomento sarà oggetto di un altro articolo... Proposta di clausola, da armonizzare con lo schema contrattuale/capitolato speciale: “Cessione del contratto La cessione del contratto è nulla in quanto vietata ai sensi
dell’art. 105, comma 1 del Dlgs 50/2016. Non rientra nei casi di cessione del contratto: - I casi di cui all’art. 106, comma 1, lett. d) n. 2 del Dlgs 50/2016; - In caso di cessione della titolarità dell’AIC, compresa la concessione di vendita con o senza modifica della titolarità dell’AIC. Nei casi consentiti l’appaltatore deve notificare alla stazione appaltante l’intervenuta situazione, dandone evidenza documentale alla stazione appaltante, senza ritardo. Il subentro del contratto viene valutato dalla stazione appaltante, che deve verificare in via istruttoria: - verifica degli atti legittimanti il subentro; - l’assenza di motivi esclusione di cui all’art. 80 del Dlgs 50/2016, in capo al soggetto che chiede il subentro; - il soggetto subentrante possegga i requisiti soggettivi, se previsti in sede di partecipazione alla procedura di gara; - il soggetto subentrante accetti tutte le condizioni contrattuali a cui è già sottoposto i cedente, senza possibilità di chiedere alcuna rimodulazione degli elementi essenziali del contratto, fatte salve quelle collegate strettamente con l’atto di subentro. La carenza di uno dei requisiti sopraindicati, comporta automatico rigetto della richiesta di subentro nel contratto di appalto. L’accettazione del subentro nel contratto è, in ogni caso, condizionata da: - il soggetto subentrante produca la cauzione definitiva prima della sottoscrizione dell’atto integrativo al contratto, ove si indica esclusivamente il cambio di denominazione del soggetto esecutore; - buon esito nella fase di verifica dell’assenza di motivi di esclusione, nonchè del possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione alla gara; - sottoscrizione del contratto alle condizioni vigenti al momento della cessione dell’AIC. Il mancato rispetto delle condizioni sopra riportate non darà luogo alla successione del soggetto esecutore e sarà causa di risoluzione anticipata del contratto laddove il cedente non decida di proseguire con l’esecuzione del contratto. il subentro nel contratto è, in ogni caso, sottoposto alla condizione risolutiva, collegato all’esito positivo dell’iter amministrativo della variazione del titolare dell’AIC presso AIFA e non avrà effetto sino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo titolare. In assenza del provvedimento espresso di AIFA la stazione appaltante non può autorizzare la sostituzione del contraente. Il procedimento non potrà durare oltre 60/90 giorni e il subentro produrrà i suoi effetti dalla data di apposizione dell’ultima firma sull’atto integrativo del contratto, che avrà effetto di liberare il contraente originario sugli ordini futuri, restando invariate le responsabilità per gli ordini formalizzati prima di tale data.”.
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confindustria dispositivi medici Gruppo tecnico di Confindustria dispositivi medici sugli acquisti in sanità
Confindustria Dispositivi Medici: arrivano le linee guida per le procedure d’acquisto di dispositivi cardiovascolari
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ndividuare lo strumento di acquisto pubblico più efficace a garantire ai pazienti con patologie cardiovascolari una migliore qualità della vita attraverso il pieno riconoscimento e la concreta salvaguardia del diritto di scelta, da parte del medico e del paziente, dei dispositivi medici più adeguati alla patologia in atto. È questo l’obiettivo del Gruppo tecnico di confronto sugli acquisti in sanità, istituito da Confindustria Dispositivi Medici, che ha definito una serie di linee guida di carattere generale da utilizzare per la formulazione delle procedure di aggiudicazione, di forniture sanitarie ed ospedaliere nel settore cardiovascolare. In particolare, Il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ha voluto concentrare la propria attenzione, in via prioritaria, sul metodo di aggiudicazione della procedura aperta finalizzata alla stipula di accordi quadro multi-fornitori, senza riapertura del confronto competitivo, ritenendolo il modello più idoneo ad assicurare una maggiore flessibilità e una più ampia apertura al mercato e alla concorrenza, nonché il rispetto del principio di “libera scelta”, previa individuazione negli atti iniziali della procedura dei criteri di orientamento e guida di tale scelta. Il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici individua nel piano di cura personalizzato e nel conseguente principio di “libera scelta” del prescrittore e del paziente, il criterio oggettivo, espresso negli atti iniziali della procedura, per determinare quale degli operatori economici parti dell’accordo quadro
effettuerà la prestazione, secondo quanto previsto dall’art. 54 del D.Lgs. n. 50/2016. Il modello dell’accordo quadro con pluralità di operatori economici consente una maggiore elasticità anche in relazione alla possibilità di acquisire prodotti innovativi immessi sul mercato anche durante l’arco temporale di svolgimento e implementazione della procedura e della fase esecutiva del contratto. A ciò si aggiunga che questo modello consente il soddisfacimento di possibili esigenze differenzianti tra i vari enti pubblici che aderiscono alla procedura di accordo quadro svolta dalla centrale di committenza. In via subordinata il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene comunque utile indicare lo strumento dell’accordo quadro con pluralità di operatori economici a condizioni tutte fissate, ritenendo tale modello comunque idoneo a garantire maggiore celerità e certezza dei rapporti giuridici derivanti dall’esito della gara, oltre che una piena conformità rispetto al principio relativo al c.d. divieto di rinegoziazione delle offerte. Ciò consentirebbe di evitare la seconda fase di rilancio competitivo in quanto sarebbero già individuati i criteri di ripartizione/rotazione preimpostati e definiti negli atti iniziali della procedura, con la relativa indicazione delle percentuali di aggiudicazione sulla base della graduatoria finale. In tale seconda ipotesi sarebbe necessario prevedere un obbligo a carico degli enti contraenti di rendicontazione periodica durante la fase esecutiva dei contratti applicativi dell’accordo quadro al fine di garantire ai fornitori la piena
Per la determinazione della durata della gara, si ritiene che essa vada stabilita anche in funzione dell’entità, in termini di valore, dell’oggetto di gara; quindi, maggiore sarà il valore dell’appalto e dei conseguenti stanziamenti pubblici, più elevata sarà la durata dell’appalto e viceversa
confindustria dispositivi medici e completa trasparenza delle informazioni relative all’andamento dell’accordo quadro ed allo stato di “erosione” dei quantitativi e/o delle percentuali assegnate a ciascun operatore economico. Proposta per disposizioni di principio sui capitolati di gara Il Gruppo tecnico ha individuato quale metodologia di lavoro l’analisi delle criticità emerse nella fase di indizione ed esecuzione delle gare del settore “cardiovascolare” già espletate, soprattutto con riferimento alle varie forme di centralizzazione degli acquisti e il riordino delle nell’identificare disposizioni di principio in merito a: • consultazioni preliminari di mercato finalizzate alla migliore predisposizione degli atti di gara; • requisiti di partecipazione: - capacità economica e finanziaria; - capacità tecnica e professionale; • determinazione dell’oggetto contrattuale, della durata e dei criteri di determinazione dei lotti; • garanzie; • parametri per la determinazione delle basi d’asta; • criteri di valutazione delle offerte e clausola di sbarramento qualitativo; • termini di pagamento e cessione dei crediti derivanti dal contratto d’appalto; • controllo e monitoraggio effettivo della fornitura/servizio durante l’intera fase esecutiva del contratto. Nello specifico, l’attenzione è stata focalizzata sui principi cardine dell’azione amministrativa e del buon governo in omaggio alla cosiddetta correttezza amministrativa: efficacia ed efficienza, rispetto dei principi della par condicio, trasparenza, salvaguardia del mercato e della massima concorrenza. Consultazioni preliminari di mercato Il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene che debbano essere recepite le indicazioni contenute negli artt. 66 e 67 del D.Lgs. n. 50/2016 in tema di appalti pubblici riguardo all’istituto della c.d. “consultazione preliminare di mercato “. Si ritiene pertanto opportuno che nella fase preliminare all’avvio di una procedura di aggiudicazione mediante accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici si avvalgano di una consultazione preliminare “strutturata” ed “effettiva” con tutte le imprese di settore interessate, le quali potranno, in questa fase, mettere a disposizione delle stazioni appaltanti tutto il know-how di cui dispongono affinché le medesime stazioni appaltanti possano utilizzarlo, nelle modalità e nei termini che riterranno più utili, al fine di predisporre nel miglior modo possibile gli atti di gara ed in particolare il disciplinare, il capitolato d’oneri e le specifiche tecniche. Resta inteso che la suddetta consultazione preliminare dovrà svolgersi con
modalità tali da garantire la massima trasparenza. Per quanto riguarda le modalità concrete di svolgimento del suddetto “confronto tecnico” il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene preferibile la modalità seguita da alcune amministrazioni appaltanti che prevede i seguenti passaggi essenziali: • Consultazione degli operatori economici mediante apposito invito: è opportuno che tale invito sia anche pubblicato con congruo anticipo sul sito dell’Ente appaltante unitamente alla bozza di capitolato tecnico e/o speciale. • Il primo incontro del suddetto “confronto tecnico” dovrebbe svolgersi con la partecipazione contemporanea di tutte le ditte interessate, in maniera tale da consentire a ciascuna ditta di esporre il proprio giudizio sulle specifiche aree tematiche di cui alla bozza di capitolato di gara (quali, a titolo esemplificativo e non tassativo: basi d’asta, fabbisogni, criteri di valutazione tecnici ed economici). • Nella stessa sede, l’Ente appaltante (o la Centrale di committenza in caso di gara centralizzata) dovrebbe richiedere a tutte le aziende di inviare, entro un termine prestabilito ragionevole, i propri suggerimenti e/o rilievi in ordine alla bozza di capitolato di gara. • L’ente appaltante (o la Centrale di committenza in caso di gara centralizzata) potrebbe/dovrebbe, altresì, prevedere e “calendarizzare” un successivo incontro individuale con le singole ditte interessate al fine di comunicare a ognuna di esse quali, fra i suggerimenti ricevuti, sono stati valutati positivamente, nonché fornire idonea motivazione anche in relazione alle proposte e/o soluzioni non accolte. • L’ente appaltante (o la Centrale di committenza in caso di gara centralizzata) dovrebbe, infine, prevedere una riunione plenaria al fine di ufficializzare tutte le modifiche che ritiene di apportare alla bozza di capitolato di gara in sede di stesura definitiva. Requisiti di partecipazione: capacità economica e finanziaria Ai sensi e per gli effetti dell’art.83 del D.Lgs. n. 50/2016 ess.mm.ii. è sicuramente opportuno che i bandi di gara richiedano ai concorrenti di dimostrare la propria capacità economica e finanziaria e tecnico organizzativa mediante un adeguato fatturato specifico (relativo al settore oggetto di gara) almeno pari al valore della gara (o del lotto) a cui si partecipa, e comunque non superiore al doppio del valore della gara (o del lotto a cui si partecipa) calcolato in relazione al periodo di riferimento dello stesso. In particolare, il fatturato specifico complessivo a cui la Stazione appaltante dovrà far riferimento, e che dovrà essere oggetto di dimostrazione da parte del concorrente, deve essere determinato in misura proporzionale al totale dei lotti per i quali il concorrente partecipa (e non all’importo complessivo dei
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confindustria dispositivi medici lotti previsti in gara). Si chiarisce, infine che per “forniture nel settore oggetto della gara o elenco delle forniture di servizi e forniture stessi” si intendono le macrocategorie merceologiche di prodotti da fornire e non l’identico oggetto della gara alla quale si intende partecipare.
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Capacità tecnica e professionale Ai sensi e per gli effetti dell’art. 83 del D. Lgs. n. 50/2016, per la dimostrazione della capacità tecnica valgono gli stessi principi dettati per la capacità economica e finanziaria, ossia: • la capacità tecnica e professionale deve essere determinata in misura proporzionale al totale dei lotti per i quali il concorrente partecipa (e non all’importo complessivo dei lotti previsti in gara) mediante, ad esempio l’indicazione dell’elenco delle principali forniture e servizi effettuati in un dato periodo di riferimento (es. ultimi 3 anni). Sia per quanto riguarda i requisiti di capacità economico finanziaria che tecnico – organizzativa, occorre comunque evitare prescrizioni che di fatto favoriscano taluni operatori rispetto ad altri, quali, ad esempio, l’aver già fornito all’ente pubblico prestazioni analoghe a quelle oggetto della gara o aver realizzato il proprio fatturato in un determinato mercato geografico specifico; è bene invece privilegiare criteri oggettivi volti ad individuare le effettive capacità tecniche dei partecipanti. Determinazione dell’oggetto contrattuale e criteri di determinazione dei lotti Nella determinazione dell’oggetto della gara è auspicabile che le singole amministrazioni bandiscano le procedure di aggiudicazione valutando le prestazioni richieste nella loro interezza, evitando di allargare indebitamente l’oggetto dell’appalto così da precludere, di fatto, la partecipazione ad imprese che in ipotesi potrebbero profittevolmente realizzare una sola prestazione, o di frazionare eccessivamente il suddetto oggetto in maniera tale da escludere (anche in considerazione dei ridotti oneri di pubblicità) la partecipazione di imprese altrimenti interessate alla partecipazione. Sulla base di quanto sopra esposto appare quanto mai opportuna, soprattutto nelle gare centralizzate, la suddivisione in lotti secondo i criteri della tipologia di prodotto (per le gare in ambito ospedaliero) e dell’area geografica di riferimento. Risulta, inoltre, doverosa la suddivisione in lotti funzionali e/o prestazionali secondo quanto previsto dall’art. 51 del D.Lgs. n. 50/2016, al fine di favorire l’efficienza e l’economicità dell’appalto, nonché le diverse categorie e specializzazioni richieste. Nel caso di gare centralizzate o in unione d’acquisto, sarebbe auspicabile che i fabbisogni fossero specificati anche in relazione al singolo ente aderente e/o che può accedere all’accordo quadro, al fine di consentire ai concorrenti la formulazione di un’of-
ferta maggiormente rispondente alle esigenze degli enti richiedenti. La determinazione dei lotti dovrà essere effettuata in maniera adeguatamente specifica e dovrà contenere l’indicazione dei fabbisogni per singolo lotto. È opportuno, inoltre, che i lotti tengano conto, altresì, della composizione del mercato di riferimento, al fine di garantire comunque il rispetto del principio della concorrenza nei singoli lotti. Per quanto riguarda la determinazione della durata della gara, fermo restando il potere discrezionale della stazione appaltante, il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene che essa vada determinata anche in funzione dell’entità, in termini di valore, dell’oggetto di gara; quindi, maggiore sarà il valore dell’appalto e dei conseguenti stanziamenti pubblici, più elevata sarà la durata dell’appalto e viceversa, fermo restando il limite massimo dei 4 anni previsto per le procedure selettive da svolgersi mediante la formula dell’accordo quadro. Resta in ogni caso salva la possibilità di rinnovo e/o proroga, da prevedersi nel disciplinare e nei soli casi previsti e consentiti dalla legge Garanzie Al fine di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità anche nelle gare centralizzate e/o divise in lotti è necessario che anche l’importo della cauzione provvisoria e della cauzione definitiva siano determinati avuto riguardo al valore del lotto o alla sommatoria dei lotti ai quali ciascun concorrente partecipa, e non invece dell’importo complessivo dell’intera procedura di aggiudicazione. Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa Il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici esprime una valutazione di favore per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, disciplinato dall’art. 95 del D.Lgs. n. 50/2016, secondo i parametri di ponderazione di seguito elencati: 1) Prezzo: punti 30 2) Qualità: punti 70 Per quanto riguarda le metodologie di calcolo e valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il Gruppo tecnico ritiene di uniformarsi alle indicazioni contenute nella recente linea guida ANAC n. 2, approvata dal Consiglio dell’Autorità con Delibera n. 1005, del 21 settembre 2016 ed aggiornata al D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con Delibera del Consiglio n. 424 del 2 maggio 2018. Sul punto si richiama l’attenzione sui principi condivisi dalla giurisprudenza prevalente, secondo i quali sono da considerare illegittimi, e quindi non ammissibili metodologie di calcolo e valutazione tali da alterare l’originario rapporto potenziale tra elemento qualitativo ed elemento prezzo originariamente fissato dalla stazione appaltante nella lex specialis di gara, finendo per svilire ingiustificatamente ed oltre la predeterminata ripartizione uno dei due criteri
confindustria dispositivi medici previsti per l’assegnazione del punteggio complessivo. In particolare, Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene che la formula più adeguata a valorizzare maggiormente l’aspetto qualitativo dei prodotti offerti, sia quella dell’Interpolazione non Lineare. Crediamo fermamente che, nell’ambito di prodotti altamente tecnologici quali risultano essere i dispositivi medici Impiantabili, la scelta della formula di Interpolazione non lineare con coefficiente “α” prossimo allo 0 risulti la più indicata per far emergere la qualità delle offerte presentate.
Formula “lineare/concava a punteggio assoluto” Di particolare interesse risulta anche la seguente formula, recentemente utilizzata da Consip S.p.A., che, rendendo l’attribuzione del punteggio indipendente dal massimo ribasso offerto, appare idonea a tutelare l’equilibrio tra prezzo e qualità, evitando effetti distorsivi dovuti a ribassi sostenuti del prezzo. Basi d’asta Secondo il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici in tutti gli appalti di beni e servizi è necessario individuare le basi d’asta e, nelle gare divise in lotti tale determinazione deve avvenire anche in ordine al singolo lotto. Le modalità di determinazione delle basi d’asta dovrebbero tenere conto (a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo) dei prezzi medi regionali delle gare espletate negli ultimi 3 anni, eventualmente risultanti dai dati in possesso degli Osservatori regionali ove esistenti, ponendo attenzione alla ri-attualizzazione nonché all’omogeneità della procedura di acquisto sotto il profilo della tecnologia, dei volumi e dei servizi richiesti. Con riferimento ai prodotti oggetto della fornitura, la determinazione delle basi d’asta deve inoltre prendere in considerazione i servizi a supporto pre- e post- vendita che ormai caratterizzano l’utilizzo dei dispositivi medici del settore cardiovascolare: studio e preparazione dei casi da trattare, presenza in sala di specialisti di prodotto, utilizzo di software dedicati, reperibilità
e modalità di consegna in urgenza H/24, sono solo alcuni esempi di servizi che vengono sostanzialmente garantiti all’ atto dell’acquisizione dei dispositivi medici impiantabili nel settore cardiovascolare. Criteri di valutazione dell’aspetto qualitativo delle offerte Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene che, ai fini della valutazione dell’aspetto qualitativo delle offerte, le stazioni appaltanti debbano utilizzare le indicazioni contenute nella recente linea guida ANAC n. 2, approvata dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 1005, del 21 settembre 2016 ed aggiornate al D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con delibera del Consiglio n. 424 del 2 maggio 2018, che si intende integralmente richiamata nel presente documento e che si allega, costituendo parte integrante del presente punto 6. In particolare, il Gruppo tecnico ritiene di fondamentale importanza che i criteri di valutazione siano adeguatamente specifici e obiettivamente quantificabili, evitando riferimenti a prove empiriche e/o non scientifiche, privilegiando, viceversa a titolo meramente esemplificativo e non tassativo), elementi effettivamente in grado di connotare il maggior livello qualitativo dell’offerta, quali: letteratura scientifica (numerosità, IF Impact Factor), indicazioni cliniche secondo le IFU (Instructions For Use)), gamma misure, vari “range” dei trattamenti, servizi a supporto, vantaggi clinici, ecc.), avendo cura di garantire il massimo rigore tecnico-scientifico alla valutazione qualitativa delle offerte sotto il profilo tecnico. I criteri di valutazione delle offerte sotto il profilo tecnico, inoltre, devono sempre essere costruiti con riferimento all’offerta e dal prodotto (e non all’azienda in quanto tale) e non dovrebbero riguardare parametri esterni al prodotto/o connotati da possibili variabilità durante l’arco tempora e di riferimento. Per quanto attiene alla soglia di sbarramento qualitativo, ove prevista, sarebbe opportuno che la stessa fosse fissata a 42 punti su 70, al fine di evitare possibili rischi di scadimenti qualitativi delle offerte sotto il profilo tecnico. Il Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici sottolinea l’importanza di una corretta e defettiva applicazionedell’art.77, comma1, del D.Lgs.50/2016 per quanto attiene al requisito della necessaria professionalità e competenza dei membri della Commissione in relazione all’oggetto dell’appalto. A tale proposito si evidenzia la necessità che la composizione delle Commissioni tecniche preveda prevalentemente la presenza di esperti di settore, quali professionisti sanitari utilizzatori dei prodotti nella pratica clinica quotidiana in relazione all’oggetto dell’appalto.
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confindustria dispositivi medici Termini di pagamento e cessioni dei crediti derivanti dal contratto Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici è ben consapevole che il termine di pagamento previsto dalla legge per le pubbliche forniture non può essere superiore a 60 giorni e che tale termine non può mai essere derogato, neppure con l’accordo e/o adesione dei partecipanti alle procedure selettive e/o dei fornitori aggiudicatari. Per quanto riguarda la cessione del credito ex art. 106, comma 13 del D.Lgs. n. 50/2016 sarebbe auspicabile che i disciplinari di gara siano formulati in modo da favorire o da non ostacolare la possibilità per gli aggiudicatari di richiedere ed ottenere il consenso alla cessione del credito, nonché le certificazioni inerenti ai crediti vantati nei termini e modi di legge e nel rispetto dei singoli regolamenti interni dei vari enti.
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Controllo e monitoraggio durante l’intera fase esecutiva del contratto Gruppo tecnico di Confindustria Dispositivi Medici ritiene fondamentale e imprescindibile che le Stazioni appaltanti esercitino un controllo effettivo ed un monitoraggio accurato sull’intera fase esecutiva del contratto, al fine di verificare la piena corrispondenza sia quantitativa che qualitativa rispetto alle condizioni di gara e di aggiudicazione, dando evidenza a tutti i fornitori anche al fine di verificare la corrispondenza dei consumi rispetto ai quantitativi richiesti in gara. Conto deposito/contratto estimatorio In via preliminare si evidenziano i dubbi di ammissibilità dell’istituto del contratto estimatorio/conto deposito nell’ambito delle procedure di gara ad evidenza pubblica,
soprattutto in considerazione della mancanza di espressa previsione del suddetto istituto nella tassativa definizione di “appalti pubblici di forniture” resa ai sensi dell’art.3, comma 9, del D.Lgs.163/2006. Ciò premesso, nei soli casi in cui le Stazioni appaltanti ritengano di ricorrere a tale figura contrattuale, appare indispensabile che le strutture sanitarie circoscrivano l’ambito di applicazione del “conto deposito/contratto estimatorio” solo ed esclusivamente riguardo a quei prodotti che giustificano una siffatta modalità di gestione come obiettiva necessità (a titolo di esempio i dispositivi con ampia gamma di misure come gli stent) escludendo nell’applicazione in tutti gli altri settori ove l’utilizzo potrebbe, peraltro, generare una gestione finanziaria non appropriata. In caso di ricorso all’istituto del “conto deposito/contratto estimatorio” è essenziale che le stazioni appaltanti provvedano ad una disciplina puntuale e compiuta del rapporto, provvedendo a quantificare, anche sotto il profilo economico, i relativi servizi aggiuntivi a supporto ed evitando di trasferire in capo ai concorrenti oneri economici impliciti e/o indeterminati o responsabilità connesse alla corretta gestione del “magazzino”, la quale deve rimanere di esclusiva pertinenza delle stazioni appaltanti che ne hanno istituzionalmente il controllo. A tale riguardo, l’eventuale conto deposito/contratto estimatorio dovrà prevedere la tempestiva comunicazione dell’utilizzo dei prodotti con conseguente emissione dell’ordine, al fine di consentire al fornitore aggiudicatario di effettuare un adeguato controllo del proprio materiale presente nelle strutture sanitarie, ferma comunque restando la responsabilità delle già menzionate strutture sanitarie per la corretta conservazione dei materiali in conto deposito e la verifica della loro scadenza.
DAT Roberta Taurino - Direttore Amministrativo Territoriale e Responsabile Ufficio privacy Asl Roma 2 Mario Mazzeo - Responsabile protezione dei dati personali Asl Roma 2
Il Biotestamento nelle Aziende Sanitarie: gestione operativa nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali
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econdo quanto affermato all’articolo 1, la Legge 22 dicembre 2017 n. 2191 “…nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.”. Sulla base di quanto ivi stabilito (comma 3) “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece…”. In questo ambito, ai sensi del comma 9 dell’articolo 1, “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.”. Ma come, concretamente, le strutture in questione devono attuare queste previsioni? E quali accortezze richiede, sotto il profilo della
tutela della c.d. “privacy”, la gestione delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT)? Anzitutto sussiste un obbligo generale di informazione sul tema che (anche) le Aziende Sanitarie sono tenute a soddisfare nei confronti della collettività. Il comma 8 dell’art. 4 della Legge 219, infatti, espressamente prevede che “Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge (ovvero dal 31 gennaio 2018 N.d.R.), il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet.”. Ciò posto, per quanto riguarda le modalità pratiche di redazione, sempre l’art. 4 stabilisce che “….6. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7.”. A mente di quest’ultimo “Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.”. Come confermato anche dal Ministero
La redazione delle DAT può avvenire: dal notaio; presso l’Ufficio di stato civile del Comune di residenza; presso le strutture sanitarie competenti nelle regioni che abbiano regolamentato la raccolta delle DAT; presso gli Uffici consolari italiani, per i cittadini italiani all’estero
1 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” pubblicata in Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana del 16 gennaio 2018, n. 12.
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della Salute sul proprio sito web nella sezione dedicata a questo tema2, “la redazione delle DAT può, dunque, avvenire: dal notaio (sia con atto pubblico, sia con scrittura privata in cui la persona scrive autonomamente le proprie volontà e fa autenticare le firme dal notaio), in entrambe i casi il notaio conserva l’originale; presso l’Ufficio di stato civile del Comune di residenza (con scrittura privata) che provvede all’annotazione in un apposito registro, ove istituito (vedi la circolare del Ministero dell’interno3); presso le strutture sanitarie competenti nelle regioni che abbiano regolamentato la raccolta delle DAT (con scrittura privata); presso gli Uffici consolari italiani, per i cittadini italiani all’estero (nell’esercizio delle funzioni notarili).”. Fermi questi presupposti, il successivo Decreto del Ministero della Salute n. 168, datato 10 dicembre 20194, contenente il «Regolamento concernente la banca dati nazionale destinata
alla registrazione delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT)» stabilisce le modalità di raccolta delle copie delle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) in un’apposita Banca dati nazionale istituita presso il Ministero della salute dall’articolo 1, comma 418, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e gestita dalla Direzione generale competente in materia di digitalizzazione e sistemi informativi sanitari5. Esso definisce, inoltre, il funzionamento e i contenuti informativi della predetta Banca dati nonché le modalità di accesso da parte dei soggetti legittimati ai sensi della normativa vigente. In particolare, ai sensi dell’art. 3, “1. Alimentano la Banca dati nazionale, secondo le modalità individuate dal disciplinare tecnico di cui all’articolo 10: a) gli ufficiali di stato civile dei comuni di residenza dei disponenti, o loro delegati, nonché gli ufficiali di stato civile delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero; b) i notai e i capi degli uffici consolari italiani all’estero, nell’esercizio delle funzioni notarili; c) i responsabili delle unità organizzative competenti nelle regioni che abbiano adottato modalità di gestione della cartella clinica o del fascicolo sanitario elettronico o altre modalità di gestione informatica dei dati degli iscritti al Servizio sanitario nazionale, e che abbiano, con proprio atto, regolamentato la raccolta di copia delle DAT ai sensi dell’articolo 4, comma 7, della legge n. 219 del 2017…. 2. All’atto della formazione, consegna e ricezione della DAT i soggetti di cui al comma 1 trasmettono copia della stessa, senza indugio, alla Banca dati nazionale mediante un modulo elettronico, secondo le specifiche di cui al disciplinare tecnico di cui all’articolo 10.”. Al momento, però, c’è da sottolineare che le Regioni non risultano aver effettivamente attivato il servizio diretto di trasmissione delle DAT alla Banca Dati Nazionale. Di tale attività, ad oggi, si occupano principalmente i Comuni6. Laddove, quindi, la Regione presso la quale la singola struttura insiste non avesse normato la raccolta di copia delle DAT dalle strutture sanitarie, queste si dovrebbero, a parere di chi scrive, limitare a raccogliere e conservare “in proprio” la dichiarazione degli interessati e, al più, invitare questi ultimi a depositare le proprie volontà ai competenti uffici comunali nel caso in cui volessero che le stesse entrassero a far parte della Banca Dati Nazionale restando così disponibili per la consultazione da qualsiasi parte d’Italia. Laddove invece, tale normazione regionale sussistesse, allora, come indicato dal Ministero della Salute sul proprio Sito istituzionale7, “Tutte le DAT conse-
2 https://www.salute.gov.it/portale/dat/dettaglioContenutiDat.jsp?lingua=italiano&id=4954&area=dat&menu=vuoto 3 Circolare n.1 dell’8 febbraio 2018 – Prime indicazioni operative https://dait.interno.gov.it/documenti/circolare-n1-2018.pdf - Nel testo, il Ministero fornisce alcune indicazioni riguardo le modalità di consegna delle DAT presso l’Ufficio di stato civile dei Comuni chiarendo che le stesse possono essere presentate esclusivamente dal disponente e solo presso il Comune di residenza. Si chiarisce anche il ruolo dell’ufficiale di stato civile che non partecipa alla redazione delle DAT né fornisce informazioni in proposito, soprattutto di carattere sanitario, dovendosi limitare a verificare i presupposti della consegna “con particolare riguardo all’identità e alla residenza del consegnante nel comune” rilasciandone ricevuta. 4 Il testo è in vigore dal 1° febbraio 2020. 5 https://www.salute.gov.it/portale/dat/dettaglioContenutiDat.jsp?lingua=italiano&id=4956&area=dat&menu=vuoto 6 Si veda, ad esempio, il Comune di Roma https://www.comune.roma.it/web/it/scheda-servizi.page?contentId=INF151977 7 https://www.salute.gov.it/portale/dat/dettaglioContenutiDat.jsp?lingua=italiano&id=4954&area=dat&menu=vuoto “Obiettivo della Banca dati nazionale è quello di effettuare la raccolta di copia delle disposizioni anticipate di trattamento di cui all’articolo 4 della legge n. 219 del 2017, garantirne il tempestivo aggiornamento in caso di rinnovo, modifica o revoca e di assicurare la piena accessibilità delle stesse sia da parte del medico
DAT gnate presso i notai, i Comuni, le strutture sanitarie competenti e i consolati italiani all’estero sono trasmesse e inserite nella Banca dati nazionale delle DAT istituita presso il Ministero della salute dalla legge di bilancio 2018. La Banca dati DAT, regolamentata dal DM 10 dicembre 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.13 del 17 gennaio 2020, è stata attivata a partire dal 1 febbraio 2020. Per le DAT raccolte a partire dal 1 febbraio 2020 deve essere acquisito il consenso del disponente per la trasmissione di copia della DAT alla Banca dati nazionale delle DAT (ovvero indicare dove esse siano reperibili). Il disponente può anche esprimere il consenso per ricevere una notifica via e-mail dell’avvenuta registrazione delle proprie DAT nella Banca dati nazionale.”. In questo senso, dunque, occorrerebbe acquisire dall’interessato l’eventuale consenso – sempre facoltativo – al trasferimento della sua dichiarazione alla Banca Dati Nazionale8 utilizzando allo scopo il modulo di consenso informato che dovrebbe essere stato predisposto da chi è deputato a ricevere la dichiarazione. Ciò posto, è opportuno sottolineare che possono legittimamente accedere ai servizi di consultazione delle DAT registrate alla Banca dati nazionale9, attraverso autenticazione SPID, CNS o CIE, il disponente e il fiduciario eventualmente da lui nominato nonché il medico che ha in cura il disponente in situazioni di incapacità di autodeterminarsi ed è chiamato ad effettuare accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche o eseguire trattamenti sanitari sul disponente. Tramite la banca dati è anche possibile conoscere, in caso di mancato consenso alla trasmissione delle DAT da parte del disponente, dove reperirne l’originale. Laddove, sulla base dell’eventuale normativa regionale di riferimento, una struttura sanitaria risulti tenuta in proprio all’invio alla Banca Dati Nazionale, occorre sapere che ai sensi dell’art. 4.4 dell’Allegato tecnico al DM 168/2019, “La Banca dati nazionale delle DAT mette a disposizione dei soggetti alimentanti … modalità alternative per trasmettere le informazioni presenti nel modulo elettronico relativo alle DAT, nonché all’eventuale copia della DAT su richiesta del disponente stesso, oppure in caso di presentazione di atti successivi…a) utilizzando le regole tecniche di cooperazione applicativa secondo quanto previsto dalla Determinazione n. 219/2017 dell’Agenzia per l’Italia Digitale concernente “Linee guida per transitare al nuovo modello di interoperabilità”; b) utilizzando la posta elettronica certificata per la trasmissione alla casella dat@postacert.sanita.it evitando di inserire nell’oggetto
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della trasmissione dati personali. Se …per la trasmissione delle informazioni relative alla DAT il soggetto alimentante utilizza la modalità di cui al punto 4.4 lettera b): • deve essere utilizzato esclusivamente il modulo elettronico, disponibile sul portale del Ministero della salute all’indirizzo www.salute.gov.it, che consentirà, al termine della compilazione, di generare un file crittografato contenente i dati necessari alla registrazione della DAT nella Banca dati nazionale, l’eventuale documentazione allegata e, se consegnata, copia della DAT; • il formato della e-mail deve essere conforme a quanto definito nel documento di specifiche funzionali. La copia della documentazione da trasmettere alla Banca dati nazionale delle DAT deve essere inviata rispettando i seguenti formati: - Pdf per documentazioni in forma scritta o riproducibili in tale forma…”. Per il supporto tecnico alle attività di trasmissione delle DAT alla Banca dati nazionale è a disposizione anche un apposito servizio di help desk10, un indirizzo e-mail cui inviare eventuali segnalazioni11, nonché un video-tutorial12 con le istruzioni per la compilazione del modulo online e l’invio della DAT tramite Posta Elettronica Certificata alla Banca dati nazionale. Fermo tutto quanto precede, non v’è dubbio che la gestione, nell’ambito di una struttura sanitaria pubblica o privata, di questa tipologia di documenti, richieda una notevole attenzione anche ai temi della riservatezza e della protezione dei dati personali. Le volontà espresse dal paziente, così come la semplice scelta di valersi di questo strumento, rientrano nell’ambito della gestione di quelle categorie particolari di dati (un tempo noti come “dati sensibili”) disciplinate ai sensi dell’art. 9 del Regolamento 2016/679/UE (il c.d. “GDPR”) e dell’art. 2-sexies del D.Lgs. 196/2003 come adeguato dal D.Lgs. 101/2018 e s.m.i. (il c.d. “Codice Privacy”). Se, dunque, la realizzazione o la prosecuzione di qualsivoglia trattamento sanitario nell’ambito di quanto previsto dalla Legge 219 richiede l’espressione di un consenso “medico” libero e informato della persona interessata13 ma non di un consenso “privacy”14, anche la scelta di formalizzare e consegnare le proprie DAT alle strutture sanitarie prescinde dall’espressione di un consenso al correlato trattamento di dati personali giacché tale attività rientra nell’applicazio-
che ha in cura il paziente, allorché per questi sussista una situazione di incapacità di autodeterminarsi, sia da parte del disponente sia da parte del fiduciario dal medesimo nominato” (art. 1 comma 2). Il Ministero della Salute ha messo a disposizione un portale (https://dat.salute.gov.it/portale-dat/) tramite il quale Comuni e Uffici Consolari possono compilare online il modulo necessario alla trasmissione delle DAT. https://dat.salute.gov.it/dat_spid_login/ Help Desk Numero verde 800.178.178 disponibile dal lunedì alla domenica (H24 7/7), incluse le festività. servicedesk.salute@smi-cons.it https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_7_0_1.jsp?lingua=italiano&menu=multimedia&p=video&id=2071 Art. 1 comma 4 “Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.” Si vedano i chiarimenti sull’applicazione della disciplina per il trattamento dei dati relativi alla salute in ambito sanitario del Garante Privacy del 7 marzo 2019 https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9091942
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ne di diverse basi giuridiche (adempimento di obblighi di legge, esecuzione di compiti di interesse pubblico e motivi di interesse pubblico rilevante sulla base della legge nazionale). Come si è detto, gli unici consensi privacy previsti nell’ambito della gestione delle DAT fanno quindi capo al tema della eventuale trasmissione – ad opera dei soggetti legittimati e, quindi, principalmente i Comuni e gli Uffici Consolari – di copia di queste alla Banca Dati Nazionale e alla possibilità che quest’ultima invii all’interessato una notifica tramite mail dell’avvenuta registrazione della dichiarazione nell’archivio nazionale. Se, però, del consenso al trattamento dati si può anche, nei limiti di cui sopra, fare a meno, le strutture sanitarie, laddove ricevessero da un interessato le sue DAT, non potrebbero fare a meno di garantire il rispetto di altri adempimenti previsti dalla vigente normativa in materia di privacy. Anzitutto, la struttura, nella qualità di titolare del trattamento conseguente al recepimento, alla conservazione presso i propri archivi e alla consultazione delle DAT, è tenuta a fornire all’interessato tutte le informazioni previste dall’art. 13 del Regolamento 2016/679/UE e, con riferimento ai dati dell’eventuale fiduciario, dal successivo art. 14. In tal senso potrà essere utile far riferimento, pur con i necessari adattamenti (in particolare per quanto riguarda finalità, base giuridica e comunicazione dei dati), al testo dell’informativa resa disponibile dalla Banca Dati Nazionale sul proprio sito istituzionale15. Altro aspetto da non sottovalutare è costituito dalla formazione del personale interno che risulta coinvolto nel processo. Fermo, infatti, il disposto dei commi 9 e 10 dell’art. 1 della Legge 219 a mente dei quali “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.” e “La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.”, occorre ricordare come, ai sensi degli artt. 29 e 32 par. 4 del GDPR, spetti sempre al titolare del trattamento garantire che le persone autorizzate16 risultino adeguatamente istruite su principi e le implicazioni della corretta gestione dei dati personali. Non v’è, infatti, che lo scrupoloso rispetto del segreto professionale, l’attenzione alla trasparenza nei confronti dell’interessato anche con riferimento ai diritti che gli sono garantiti nel trattamento
dei propri dati personali e la gestione sicura delle informazioni acquisite rappresentino, non solo alla luce di quanto espressamente previsto dall’art. 5 del GDPR, principi cardine di cui ogni struttura sanitaria deve farsi garante rispetto a scelte che coinvolgono la gestione della cura e della stessa esistenza in vita della persona non dimenticando mai che l’intero apparato normativo vigente in materia di privacy è anzitutto diretto alla tutela della dignità della persona17. Un ultimo aspetto – non certo per importanza – merita attenzione: il tema della sicurezza nella gestione delle informazioni personali. Non solamente gli ultimi eventi che hanno coinvolto sempre di più le strutture sanitarie richiamano la corretta applicazione dei principi di integrità e riservatezza dei dati personali codificati dagli art. 5 par. 1 lett. f) e 32 del GDPR. L’intero patrimonio informativo raccolto – in modalità informatica e su supporto cartaceo – dalle aziende sanitarie pubbliche e private richiede un costante intervento di implementazione e mantenimento di misure tecniche, logistiche e organizzative fondato sull’assioma che non esiste riservatezza senza sicurezza. Le aziende sanitarie devono sempre più acquisire consapevolezza circa il valore – anche, ma certamente non solo economico – delle informazioni personali – principalmente “sensibili” che tutti i giorni raccolgono e gestiscono, avendo cura di comprendere che i rischi applicati al trattamento dei dati non si esauriscono nel contrasto agli attacchi informatici provenienti dall’esterno. Se una violazione di dati, il cosiddetto “data breach”, si realizza allorché ci troviamo difronte ad una “violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati” (art. 4 par. 1 n. 12 GDPR) spetta alle aziende approntare preventivamente le giuste misure e gli eventuali correttivi necessari a ridurre al minimo – non potendosi illudere di scongiurare completamente – il rischio che anche le informazioni contenute nelle DAT loro affidate o che nel proprio ambito dovessero essere consultate, vengano conosciute da chi non ne ha diritto o rimangano dimenticate18 o smarrite in caso di necessità di utilizzo. Solo in questo modo, infatti, prevenendo con gli strumenti della formazione, dell’autocontrollo, dell’attenta proceduralizzazione e degli investimenti in sviluppo tecnologico, si potrà garantire agli interessati la corretta applicazione dei principi di cui alla Legge 219 e la concreta tutela della dignità delle persone.
15 https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4956_1_file.pdf 16 Che dalla struttura sanitaria come tali devono essere individuate ai sensi del medesimo art. 29 GDPR e dell’art. 2-quaterdecies del Codice Privacy. 17 “Nel quadro della privacy, la dignità si precisa come un concetto riassuntivo dei principi di riconoscimento della personalità e di non riduzione a merce della persona, di eguaglianza, di rispetto degli altri, di eguaglianza, di solidarietà, di non interferenza nelle scelte di vita, di possibilità di agire liberamente nella sfera pubblica. Ad essa è estranea la pretesa di imporre valori. Non si impongono valori. Si pongono le premesse per l’autonomia ed il rispetto reciproco.” Stefano Rodotà - Privacy, libertà, dignità 2004 Discorso conclusivo della Conferenza internazionale sulla protezione dei dati (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1049293). 18 In tutti i casi, infatti, in cui la struttura avesse in cura un paziente in situazioni di incapacità di autodeterminarsi, indipendentemente dall’intervento di qualcuno che – come fiduciario o anche solo familiare, amico o conoscente – si preoccupasse di renderne nota l’esistenza, questa sarebbe tenuta a verificare presso la Banca Dati Nazionale il deposito di una DAT rilasciata dall’interessato.
pubbliche gare Eugenio Tristano - Studio legale Tristano-Roma
Bando di gara pubblica. La prevalenza dell’interpretazione letterale delle clausole
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interpretazione delle clausole del bando di gara è un tema sempre attuale e di massima importanza. L’operatore economico che si prepara a partecipare ad una procedura competitiva ha infatti la necessità di comprendere in anticipo l’esatta portata precettiva delle norme che governano la selezione pubblica, al fine di formulare la migliore offerta ed evitare di perdere tempo e denaro. Di seguito, illustreremo brevemente lo stato dell’arte in materia.
disposizione e l’altra del medesimo testo o fra il bando di concorso e la lettera di invito. In via subordinata, trovano poi applicazione le norme di interpretazione dei contratti, e in particolare gli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366, 1367 e 1369 c.c. L’art. 1362 c.c. prevede che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”. L’art. 1363 prevede che “Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”. L’art. 1364 c.c. stabilisce che “Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare”. L’art. 1367 c.c. stabilisce che “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”. L’art. 1369 prevede che “Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto”. Secondo la giurisprudenza “(…) sebbene tali principi si trovino generalmente enunciati per sottolineare l’effetto di autovincolo delle clausole del bando nei confronti dell’amministrazione che le ha poste, gli stessi ben possono essere richiamati anche per la ricostruzione dell’effettivo contenuto delle clausole della lex specialis (e la finalità di quest’ultima)
Le clausole del bando, ivi comprese quelle che individuano i requisiti di partecipazione alla gara, devono essere interpretate anche alla luce della normativa di settore rilevante nella specifica materia in cui si inserisce il contratto affidato in concreto tramite procedura ad evidenza pubblica
La normativa La norma principale che governa l’interpretazione delle clausole del bando è l’art. 12 delle preleggi, secondo il quale: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. L’applicazione del suddetto principio interpretativo attraverso l’attribuzione di importanza preminente al significato letterale e grammaticale delle parole è funzionale alla coordinata e coerente lettura della varie prescrizioni, nella loro logica connessione, coerentemente con la volontà autolimitativa espressa dalla stazione appaltante con la loro proposizione, privilegiando, nel dubbio, il senso che non comporti contradditorietà fra una
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pubbliche gare al fine di far emergere gli elementi di cui l’operatore economico concorrente deve tener conto per la formulazione della propria offerta”. (Consiglio di Stato sez. V, 1 ottobre 2021, n. 6598). Il bando deve poi essere interpretato secondo buona fede, ex art. 1366 c.c.
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La giurisprudenza La giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito il principio secondo il quale “le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara. Ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale. Secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell’affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale”. Diversamente, la tendenziale certezza e stabilità della norma, che rappresentano valori primari di ogni ordinamento giuridico, potrebbe essere compromessa da letture di carattere personale, delle quali non si può escludere aprioristicamente l’intento di perseguire interessi non coincidenti con quelli che la regola intende tutelare, che nella fattispecie, vertendosi in materia di gare pubbliche e di una previsione di lex specialis relativa all’offerta tecnica, sono: quello della stazione appaltante a che la scelta dell’aggiudicatario avvenga all’esito della comparazione di offerte che, sotto il profilo tecnico, si attestino almeno al livello del comune denominatore minimo ragguagliato alle specifiche prescrizioni dettate dal disciplinare a pena di esclusione; quello dei concorrenti a che la procedura sia rigorosamente soggetta al principio della par condicio” (Cons. Stato, Sez. V, 26 marzo 2020, n. 2130; più recentemente, TAR Napoli, 22 settembre 2021 n. 5971). L’interpretazione degli atti amministrativi, fra i quali rientrano i bandi di gara, “soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, perché gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative”. “Pertanto, la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori e preclude ogni un’estensione analogica intesa ad evidenziare significati inespressi e impliciti, che rischierebbe di vulnerare
l’affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l’esigenza della più ampia partecipazione; mentre invece le ragioni immanenti, di matrice eurounitaria, di garanzia della concorrenza che presiedono al settore delle commesse pubbliche vogliono favorire la massima partecipazione delle imprese alla selezione, perché attraverso la massima partecipazione è raggiungibile il miglior risultato non solo per il mercato in sé, ma per la stessa amministrazione appaltante (cfr. Cons. Stato, V, 15 luglio 2013, n. 3811)” (Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2017, n. 4307). La c.d. etero-integrazione della lex specialis di gara Secondo un principio pacifico in giurisprudenza, le clausole del bando, ivi comprese quelle che individuano i requisiti di partecipazione alla gara, devono essere interpretate anche alla luce della normativa di settore rilevante nella specifica
pubbliche gare materia in cui si inserisce il contratto affidato in concreto tramite procedura ad evidenza pubblica. La cd. etero-integrazione va intesa nel senso che, pur in assenza di qualsivoglia richiamo alle disposizioni di legge nello specifico settore, queste, se esistenti, devono trovare applicazione, con conseguente contemperamento di detto meccanismo con il principio, di derivazione comunitaria, dell’affidamento (cfr. anche il novellato art. 1, comma 1, della L. n. 241/90; Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2008, n. 2959; Tar Sicilia, III, 11 gennaio 2010, n, 232; T.a.r. Abruzzo, sez. I, 3 giugno 2008, n. 537) (Tar Salerno, 26 marzo 2019 n. 482). Ne discende che, ad esempio, nel caso della verifica dei requisiti di partecipazione, il principio di esclusività del bando subisce una rilevante attenuazione, “ (…) non potendo essere considerato l’unica ed esclusiva fonte per la previsione e la disciplina dei requisiti di partecipazione ad una procedura
selettiva e non potendo esso prescindere dalle fonti esterne che, rispetto al bando stesso, in quanto disposizioni di legge, devono considerarsi prevalenti o, comunque, integrative” (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 27 luglio 2017, n. 3699). La possibilità di etero-integrazione della lex specialis “ (…) non può ritenersi illimitata, dovendo fare i conti, da un lato, con l’esigenza di tutela dell’affidamento dei concorrenti (i quali evidentemente contano sulla esaustività prescrittiva della lex specialis al fine di modulare i contenuti della propria offerta), dall’altro lato, con l’autonomia regolativa della stazione appaltante, cui compete fissare le condizioni di partecipazione alla gara, anche in relazione ai requisiti tecnici e normativi del prodotto da acquisire, conformemente alle esigenze perseguite: dall’intersecarsi di tale esigenze, può ricavarsi, quale tendenziale guida interpretativa, quella secondo cui la disciplina di gara è suscettibile di etero-integrazione quando il rispetto della norma etero-integrante sia indispensabile al fine di garantire il raggiungimento del risultato di interesse pubblico cui è preordinato lo svolgimento della gara (Consiglio di Stato sez. III, 12 dicembre 2018, n. 7023). Effetto di legge tra le parti La lex specialis vincola non solo i concorrenti ma anche la stazione appaltante,” (…) che non ha alcun margine di discrezionalità nella sua concreta attuazione, non potendo disapplicare le regole ivi contenute nemmeno qualora esse risultino formulate in modo inopportuno o incongruo, potendo nel caso, semmai, ricorrere all’autotutela (Consiglio di Stato sez. V, 15 novembre 2021, n. 7602). L’interpretazione letterale ed il divieto di analogia sono infatti posti a presidio dell’affidamento e dell’autodeterminazione degli operatori economici che partecipano alla procedura da possibili arbitrii della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, è innegabile che il testo letterale di un bando di gara possa spesso prestarsi a più interpretazioni, così da risultare talvolta difficile, se non impossibile per l’Amministrazione fornire un unico significato ad una o più clausole del bando. Qual è, allora, il limite alla discrezionalità interpretativa della Stazione Appaltante? La discrezionalità interpretativa può definirsi fisiologica ogniqualvolta consenta ai partecipanti alla gara di prefigurarsi ex ante le possibili scelte dell’Amministrazione attraverso la lettura della lex di gara. Al contrario, tale potere interpretativo riveste il carattere dell’arbitrarietà laddove questa possibilità di previsione sia negata agli operatori economici, con violazione dei principi di trasparenza e massima partecipazione alle procedure selettive. E’ quindi fondamentale procedere ad un’accurata interpretazione preventiva della lex di gara, anche in funzione di valutare l’eventuale opportunità di instaurazione contenziosi volti a contestarne la regolarità.
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il percorso autoassicurativo Antonino Oceano - Foro Palermo
L’errore in ambito sanitario e la controversa scelta tra assicurazione e autoassicurazione. Il ruolo centrale del “broker” assicurativo
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ome noto, ormai da diversi anni, molti Sistemi Sanitari Regionali hanno deciso di intraprendere un percorso Autoassicurativo ritenendo economicamente più vantaggioso accantonare direttamente le somme che la Struttura Ospedaliera, al termine di una valutazione interna dei rischi, ritiene dovrà pagare (ad esito di un contenzione giudiziale e/o stragiudiziale) a causa degli errori commessi all’inter-
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no del proprio nosocomio. Si pensi, ad esempio, alla Sicilia che sin dal 1° Luglio del 2014 si trova in regime di Autoassicurazione e impegna i dipendenti delle proprie strutture ospedaliere (spesso in sotto-organico) a svolgere una complessa attività di valutazione dei rischi, di stima ed accantonamento delle somme, con impiego a più livelli di tante risorse umane e professionali, spesso già occupate in altre mansioni e che si vedono
il percorso autoassicurativo appesantire ulteriormente il carico di lavoro con attività di cui non hanno, loro malgrado, piena competenza e conoscenza. Ed invero, va da un lato riconosciuto che negli ultimi anni, sulla spinta della Legge Gelli-Bianco, ciascuna Struttura Ospedaliera ha tentato un approccio più scientifico al tema dell’errore sanitario, al fine di prevederlo e conseguentemente, laddove possibile, escluderlo e scongiurarlo. Ciò deriva dalla crescente attenzione al tema dell’errore in sanità, unitamente alla maggiore consapevolezza dei pazienti circa le proprie patologie e connesse possibilità di cura, che hanno imposto all’intero sistema sanitario nazionale di rivedere il proprio approccio all’errore medico. L’errore, fino a poco tempo fa veniva taciuto, quasi ignorato ed oggi, in ossequio alla L. 24/2017, invece si tenta di evidenziarlo, catalogarlo ed esaminarlo. Per lo svolgimento di questa delicata attività di analisi del rischio, a parere dello scrivente, occorrono dei professionisti del settore al fine di scongiurare il pericolo che la Legge Gelli-Bianco, resti una utopica, quanto affascinante, normativa di settore priva di concreta ed effettiva applicazione. La figura a cui si fa riferimento è evidentemente quella del Broker Assicurativo che, tuttavia, almeno nel contesto sanitario siciliano non risulta ancora pienamente conosciuta dal personale dipendente delle strutture ospedaliere, sebbene questa figura professionale affondi le proprie radici storiche in tempi lontani. Ed infatti, l’intermediazione assicurativa nasce a Londra nella Coffe House di Mr Edward Lloyd dove, a partire dal 1688, iniziarono a riunirsi uomini d’affari al fine di assicurare le proprie navi dando così vita al più importante mercato assicurativo del mondo, il mercato dei Loyd’s. Il “Broker”, oggi, può definirsi come quell’intermediario assicurativo che opera sul mercato per facilitare la stipulazione di contratti di assicurazione, mettendo in relazione gli assicurandi con le diverse imprese di assicurazione, fornendo la necessaria consulenza e assistenza nella determinazione del contenuto dei relativi contratti, nonché nella successiva fase di gestione ed esecuzione degli stessi. Ma l’aspetto fondamentale, da rimarcare, è che il Broker agisce nell’interesse degli assicurandi, senza essere legato ad alcun rapporto con le imprese di assicurazione, essen-
do del tutto autonomo e indipendente dalle stesse. Una delle funzioni principali del Broker è proprio quella di fornire una serie di informazioni all’assicurando nella fase pre-contrattuale e ciò in ossequio all’art. 120 delle assicurazioni private, con cui il legislatore riduce le asimmetrie informative fra le imprese di assicurazione (contraente forte) e gli assicurandi (contraente debole). La Pubblica Amministrazione, in attuazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, è tenuta ad effettuare la selezione del Broker assicurativo attraverso procedure di evidenza pubblica appositamente previste per l’appalto dei servizi. Una volta selezionato a seguito di gara pubblica, lo stesso non sarà libero di scegliere autonomamente la compagnia assicurativa cui affidare la copertura dei rischi in quanto anche quest’ultima selezione dovrà avvenire nel rispetto delle norme di evidenza pubblica ed in base alla normativa prevista dal codice dei contratti pubblici. Anche in questa fase è affidata al Broker una funzione centrale essendo prevista la possibilità di affidare allo stesso le attività di assistenza e consulenza che precedono la deliberazione del bando di gara e la successiva attività di cura e gestione del bando di gara alle compagnie assicurative. Ma a parere di chi scrive, la funzione del Broker appare determinante anche nelle ipotesi in cui il SSR opti per il regime autoassicurativo svolgendo quella imprescindibile attività di monitoraggio, classificazione e stima del rischio condannatorio in maniera più distaccata, obiettiva e realistica, (se raffrontata all’autovalutazione interna cui la struttura è tenuta), attività fondamentale per l’accantonamento annuale delle somme da destinare alle richieste di risarcimento dei danni cui la struttura ospedaliera sarà effettivamente tenuta a pagare all’esito di un giudizio o di un accordo transattivo. In definitiva, appare evidente che il Broker sulla scorta dei dati raccolti, delle analisi effettuate e delle competenze professionali è indubbiamente il soggetto più indicato e qualificato per fornire ai propri “clienti” quelle conoscenze necessarie per la corretta gestione dei sinistri e del contenzioso, soggetto cardine per le strutture sanitarie per affrontare consapevolmente anche scelte cruciali come quella tra assicurazione ed autoassicurazione.
Negli ultimi anni, sulla spinta della Legge GelliBianco, ciascuna Struttura Ospedaliera ha tentato un approccio più scientifico al tema dell’errore sanitario, al fine di prevederlo e conseguentemente, laddove possibile, escluderlo e scongiurarlo
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normazione Francesca Petullà - Avvocato
Le aperture sugli incentivi per le funzioni tecniche: ultimi orientamenti operativi
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i recente la tematica degli incentivi di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016, è ritornata al centro del dibattito giurisprudenziale in modo prepotente in quanto alcune deliberazioni della Corte dei Conti e una sentenza del Tar del Lazio hanno acceso i riflettori su alcuni aspetti dell’applicazione della normativa rimasti insoluti dall’epoca della introduzione della disposizione di merloniana memoria. In primo luogo, è stata riconosciuta la necessità di adottare un regolamento interno, dovere che incombe per legge sulla Amministrazione, a cui questa non può sottrarsi; in secondo luogo, la possibilità, questa volta, che le amministrazioni possano adottare un regolamento che consente la incentivazione di attività già svolte per un’opera progettata in vigenza della precedente disciplina legislativa. In ordine alla obbligatorietà della adozione di un regolamento, il Tar del Lazio sez. I con sentenza del 23-30 giugno 2021, n. 7716, nel condannare il comportamento inadempiente del Ministero di giustizia che non aveva provveduto ad adottare il proprio regolamento, procede con una cristallizzazione normativa del suddetto obbligo che si rintraccia nell’art. 216, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 50/2016, norma che legittima una lettura dei precedenti artt. 92 e 93 del d.lgs. n. 163/2006 nel senso della loro ultrattività, a conforto della necessità, in specifiche e ben delimitate fattispecie, di un temperamento degli effetti che andrebbero a scaturire da una rigorosa applicazione del principio tempus regit actum. Sempre su questo aspetto, la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione del 26 ottobre 2021, n. 16, approccia un’interpretazione evolutiva del principio citato, secondo la linea già, tracciata dalla Cassazione
sez. lavoro, del tempus regit actiorem. Si deve sottolineare che l’indicazione è fornita dalla sezione autonomie, quindi ha un carattere impegnativo per tutte le successive pronunce dei giudici contabili. Tale deliberazione determina, in termini di fatto, la retroattività delle norme regolamentari. Sul punto, già altre pronunce delle Corti dei conti ribadiscono che il trattamento economico su cui calcolare il tetto del 50% degli incentivi deve essere calcolato in termini di competenza e non di cassa, quindi con riferimento ai compensi per il quali matura il diritto alla incentivazione e non con riferimento alla effettiva corresponsione e che per la definizione del trattamento economico non devono essere considerati gli incentivi per le funzioni tecniche corrisposti.
È possibile una iscrizione successiva della voce di costo legata agli incentivi nel quadro economico, la quale, se non giustificata da fatti sopravvenuti e non prevedibili utilizzando l’ordinaria diligenza, potrebbe essere sintomatica di un difetto di programmazione
La fonte normativa: l’art. 113 del dlgs 50/2016 e s.m.i. L’art. 113, dopo aver definito dove collocare la spesa per le prestazioni attinenti alla realizzazione di un’opera, servizi o fornitura, si occupa di stabilire la collocazione di un fondo risorse finanziarie (fanno capo al medesimo capitolo di spesa degli interventi ammissibili, stanziamenti non afferenti ai capitoli di spesa del personale ma ricompresi nel costo complessivo dell’intervento), in misura non superiore al 2 per cento posti a base di gara, per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti della stazione appaltante (S.A.). Da ciò discende che il diritto all’incentivo non deriva dall’applicazione del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL), ma direttamente dalla legge, che deroga al principio della onnicomprensività della retribuzione. Ma sempre da ciò discende che possono essere finanziate esclusivamente le prestazioni previste nella norma quali, l’attività di programmazione della spesa
normazione per investimenti; la valutazione preventiva dei progetti; la predisposizione e controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici. E che possono, esser incentivati solo alcune figure tra cui il RUP (responsabile unico del procedimento), di direzione dei lavori ovvero direzione dell’esecuzione; i collaudatori, i soggetti che supportano amministrativamente il RUP nel singolo intervento di cui si abbia prova del loro apporto lavorativo. Anche la competenza alla ripartizione discende dalla Legge, perché l’erogazione dell’incentivo è un atto di competenza del dirigente (il quale, peraltro, è escluso dalla ripartizione del fondo) o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, subordinatamente alla verifica (accertamento) delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti: si tratta di un controllo ex post che legittima l’erogazione del compenso, che per singolo dipendente (in relazione alla deroga del principio di onnicomprensività) nel corso dell’anno, anche da diverse Amministrazioni, non può superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo. Ne consegue che superato il limite (da intendersi quale sommatoria degli incarichi eseguiti, anche parzialmente), l’eventuale eccedenza dell’incentivo rispetto al limite normativo costituisce economia acquisita definitivamente al bilancio dell’ente e non redistribuibile al personale destinatario dell’incentivo né, tanto meno, alla medesima unità di personale nell’anno successivo a quello di esecuzione dell’incarico, altrimenti, verrebbe meno la funzione di limite di spesa chiaramente ed espressamente assegnata allo stesso. In questo senso, le somme non corrisposte incrementano la quota del fondo poiché o non accertate, ovvero con accertamento negativo (ossia, previa verifica della documentazione di gara, dei preventivi acquisiti anche in via informale che devono comunque essere protocollati, nel senso di essere tracciati con un grado di verità) o non svolte in quanto affidate a personale esterno. Ad esclusione di risorse derivanti da finanziamenti europei o da altri finanziamenti a destinazione vincolata, resta fuori sempre per legge il 20% dell’incentivo, perché sempre per legge destinato ad investimenti patrimoniali e formazione. In buona sostanza, è chiaro che si è di fronte ad una norma che introduce un compenso aggiuntivo di natura retributiva in funzione premiale (ma anche di riconoscimento delle professionalità interne e di miglioramento degli apparati pubblici in termini di efficienza ed efficacia, oltre che di contenimento della spesa) e derogatoria rispetto al principio della onnicomprensività della retribuzione ordinaria, correlato allo svolgimento di specifiche e tassative attività definite dalla fonte dell’art. 113, attività che diversamente si dovrebbero esternalizzare affidandola a liberi professionisti nell’ambito della prestazione intellettuale di lavoro
autonomo. Ecco pure, perché non possono costituire il fondo per gli incentivi quelle Amministrazioni aggiudicatrici per le quali sono in essere contratti o convenzioni che prevedono modalità diverse per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti, nel senso che le prestazioni sono diversamente retribuite, ovvero costituiscono parte della prestazione attinente al contenuto negoziale; mentre per gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di committenza possono destinare tutto il fondo, o parte, ai dipendenti che forniscono il servizio di committenza. Si pensi ai soggetti che operano nei cd. settori speciali (acqua trasporti energia) Il regolamento interno tardivo Come sopra anticipato, l’incentivo ha carattere retributivo, ma la nascita del diritto è condizionata sospensivamente, non dalla sola prestazione dell’attività incentivata, bensì dall’adozione del regolamento (e per completezza anche da un aspecifica previsione nella contrattazione decentrata), in assenza del quale il dipendente avente titolo potrà eventualmente esercitare un’azione risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il Legislatore ha posto a carico delle amministrazioni appaltanti. La sez. delle Autonomie della Corte dei Conti, con la deliberazione del 26 ottobre 2021, n. 16 citata, ha provveduto a rispondere ad un quesito di un’Amministrazione locale che aveva ritenuto di procrastinare l’adozione del regolamento interno, in esecuzione della disciplina normativa di riferimento vigente ratione temporis (legge n. 109/1994; d.lgs. n. 163/2006 e n. 50/2016), autorizzando, poi per deliberare l’adozione di un atto regolamentare necessario a consentire la distribuzione degli incentivi per l’attività realizzata sotto la vigenza di quella normativa medesima, adottando, ex post, con efficacia retroattiva. In effetti, la presenza del regolamento è una condizione ex ante per la prestazione dell’attività incentivata, in assenza del quale il dipendente può vantare comunque un’azione di tipo risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il legislatore ha posto a carico delle Amministrazioni appaltanti, rilevando, tuttavia, che medio tempore le prestazioni sono state espletate, e le relative somme possono essere state accantonate nel quadro economico (disponibilità di cassa non erogabile). La Corte richiama il principio tempus regit actum, individuando la norma applicabile al provvedimento amministrativo, nel regime esistente al momento della sua adozione, non anche nel regime in vigore al momento di avvio del procedimento, e quindi, in ipotesi di sopravvenienze normative nel corso del procedimento, dovendo imporre l’applicazione dello jus superveniens in luogo della norma vigente al momento di avvio del procedimento.
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AZIENDE INFORMANO
Ausili assorbenti: risparmio o qualità? Quale obiettivo perseguire nelle procedure d’acquisto.
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International Continence Society (ICS) definisce l’incontinenza urinaria come “l’emissione involontaria di urina in luoghi e tempi inappropriati, oggettivamente dimostrabile e di grado tale da costituire un problema igienico e sociale”; una condizione, quindi, che influisce sulla qualità di vita delle persone in proporzione alla gravità del disturbo. Questa condizione colpisce solo in Italia circa 5 milioni di persone, il 70% delle quali, di entrambi i sessi, ha più di 80 anni; nemmeno i più giovani però ne sono esenti. Le cause sono correlate con situazioni fisiologiche ma anche patologiche, come l’obesità, la stipsi, le broncopneumopatie ostruttive, causate spesso dal fumo di sigaretta, il diabete mellito, i fallimenti della chirurgia uro-ginecologica, le alterazioni cognitive ed alcune patologie neurologiche come il Morbo di Parkinson o patologie neurodegenerative. È la patologia con il più alto tasso di crescita annuo e le principali cause sono da individuare: • nell’invecchiamento della popolazione • nelle abitudini alimentari scorrette • nello stile di vita poco attivo o sedentario. Si tratta di disturbo altamente invalidante, soprattutto da un punto di vista psicologico e sociale, che può portare ad una condizione di isolamento della persona: chi ne soffre, spesso, non riesce a svolgere le
più normali attività quotidiane e lavorative in serenità, con il timore di bagnarsi o emettere cattivi odori. Ricorrendo però all’utilizzo del giusto prodotto assorbente, le perdite possono essere gestite, andando a migliorare la qualità di vita e l’igiene della persona, in modo pratico, sicuro e discreto. Diventa cosi possibile rispondere ad una situazione transitoria o permanente in modo efficace e non invasivo, rendendo le persone più autonome possibile. Sul mercato esistono diverse tipologie di ausili ad assorbenza riconosciuti dal SSN in grado di fornire una risposta adeguata e differenziata rispetto alle esigenze del singolo (si ricorda che gli ausili ad assorbenza per incontinenza da parte del SSN sono disciplinati dal DPCM 12/01/2017- nuovi LEA). La scelta di un buon ausilio dovrebbe essere quanto più oggettiva possibile e basarsi sulla taglia, sul livello di assorbenza, coerente con l’abbondanza della perdita urinaria e sulla tollerabilità cutanea della persona. A fronte della possibilità di normalizzare le condizioni di vita di chi ne soffre, esistono delle evidenti criticità nell’attuale sistema di approvvigionamento da parte del SSN.
Per garantire efficacia ed efficienza, il paziente dovrebbe riacquistare la propria centralità nelle procedure di acquisto ed essere libero di scegliere l’ausilio più consono in autonomia
Gare monofornitore La scelta e l’acquisto degli ausili ad assorbenza da parte del SSN è solitamente effettuata tramite procedure di
AZIENDE INFORMANO gara volte ad identificare un solo fornitore. Le procedure di gara, pure nel rispetto dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, dovrebbero tenere in dovuta considerazione gli elementi qualitativi e distintivi dei diversi prodotti e servizi offerti dalle aziende presenti sul mercato. In questo contesto, la scelta di un unico fornitore difficilmente può garantire la piena soddisfazione delle esigenze individuali e determinare un livello medio di soddisfazione elevato. Il servizio monomarca oltre a colpire l’utente finale, rischia di penalizzare anche le aziende partecipanti, portando ad un sostanziale inaridimento del mercato che vede coinvolti attivamente un numero limitato di attori. Appiattimento della qualità Considerando lo sviluppo tecnologico degli ausili attualmente a disposizione, un’ulteriore evidente criticità dell’attuale sistema riguarda la mancata considerazione dei requisiti di praticità, sicurezza, protezione e discrezione che garantiscono performance di prodotto tali da coprire qualsiasi tipo e livello di incontinenza. Questo fatto determina, inevitabilmente, ripercussioni negative sulla qualità dell’assistenza, costringendo l’utente ad accontentarsi di ciò che eroga il SSN o acquistando in autonomia ausili più innovativi, non potendo accedere ad una gamma di prodotti adatti alle proprie esigenze. Competizione sui prezzi Conseguenza diretta delle problematiche sopra esposte è che il prezzo diventa spesso il principale criterio e driver di valutazione delle proposte in fase di valutazione di una gara pubblica. Le formule di gara presentano un alto valore della componente qualitativa (anche 70 punti) che si basa su parametri a volte non importanti e rappresentativi del bisogno effettivo degli utenti, mentre le formule di aggiudicazione premiano in modo non proporzionale i ribassi di costo. L’inappropriatezza delle forniture erogate crea ulte-
riori costi indiretti dovuti ad un maggior consumo di prodotti, alla gestione di eventi avversi come terapie legate alla cura di irritazioni della cute, infezioni, dermatiti, piaghe da decubito che potrebbero insorgere a causa della scarsa qualità del prodotto utilizzato. Questa inefficienza si ripercuote negativamente su un sistema già indebolito dalla grave crisi mondiale delle materie prime causata prima dalla pandemia e poi dall’instabilità a livello geopolitico che ha portato molte aziende a rimodulare la propria produzione. Sotto questo aspetto i produttori di ausili per incontinenza sono particolarmente sotto pressione. Questi prodotti sono composti da plastiche, cellulose e richiedono molta energia per essere costruiti, diventa quindi di estrema attualità la rinegoziazione dei prezzi di fornitura in corso, ma ancor più sarà fondamentale una evoluzione della analisi del fabbisogno nell’immediato futuro. Per dare una giusta risposta alla domanda degli incontinenti, ad oggi, non servirebbe una rivoluzione copernicana: basterebbe un ripensamento dell’approccio all’erogazione degli ausili in un’ottica sistemica. Per garantire efficacia ed efficienza, il paziente dovrebbe riacquistare la propria centralità nelle procedure di acquisto ed essere libero di scegliere l’ausilio più consono in autonomia. Il tema del contenimento della spesa potrebbe rendere appetibile una riorganizzazione del sistema, partendo dal paradigma che un valido dispositivo, anche se inizialmente più caro, produce nel tempo un reale risparmio per il SSN non gravato dai costi causati dalle inefficienze. Sarebbe auspicabile, inoltre, che la scelta potesse essere compiuta sulla base di una molteplicità di fornitori accreditati attraverso il modello dell’Accordo Quadro. Per analizzare in concreto queste e altre soluzioni percorribili si rimanda all’editoriale pubblicato sul numero successivo della rivista.
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AZIENDE INFORMANO
L’accesso agli atti e il bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco
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accesso agli atti è un tema che interessa quotidianamente le stazioni appaltanti, che si trovano a dover bilanciare il diritto di difesa dell’istante con il contrapposto diritto dei controinteressati a vedere tutelati i propri “segreti commerciali”. Ma che cosa sono questi segreti commerciali o come si pone la giurisprudenza, oggi, rispetto alla loro tutela? A differenza di quanto avveniva qualche anno fa, oggi la giurisprudenza amministrativa ammette con maggior favore la secretazione dei processi gestionali, ovvero di quello che si definisce “know-how”, “…vale a dire l’insieme del “saper fare” e delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente riservate, maturate ed acquisite nell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la specifica competitività dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza. Si tratta, del resto, di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa e cui l’ordinamento, ai fini della corretta esplicazione della concorrenza, offre tutela di loro in quanto segreti commerciali (cfr. artt. 98 e 99 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale).” (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2020, n. 64). A fronte di questo ampliamento del raggio di applicabilità del diniego all’accesso, è necessario che la secretazione sia articolata e puntuale, con esplicazione delle ragioni sottese al diniego, in modo da rendere la dichiarazione “motivata” e “comprovata” secondo quanto previsto dall’articolo 53 co. 5 lettera a) del D.Lgs. 50/2016. Pertanto, dichiarazioni generiche e non contestualizzate o, peggio ancora, che riguardino l’intera offerta, non possono considerarsi sufficienti a suffragare la secretazione. 1 Gli arresti giurisprudenziali sono cambiati anche
riguardo al rapporto tra l’interesse all’ostensione totale del richiedente e quello, contrapposto, alla secretazione del controinteressato. Sul punto, era un tempo consolidato l’orientamento secondo il quale il diritto alla difesa, riconosciuto dal comma 6 del citato articolo 53, dovesse sempre e comunque superare l’interesse alla segretezza; la scelta di prendere parte ad una procedura competitiva, si diceva, implica l’accettazione del rischio di divulgazione di segreti industriali o commerciali. Oggi il Consiglio di Stato, con una serie di pronunce anche recenti2, chiarisce che in materia di accesso agli atti l’onere della prova incombe su chi agisce per ottenere l’ostensione e non può essere ribaltato sul soggetto che si oppone all’accesso; ne deriva che il richiedente deve presentare istanza spiegando i motivi per cui l’accesso ai quegli specifici documenti e/o parti di progetto siano necessari e strumentali per la sua difesa in giudizio, non potendosi limitare alla generica affermazione “ai fini della tutela in giudizio dei propri diritti ed interessi”. Volendo sintetizzare, il Consiglio di Stato ha delineato i seguenti principi in materia di accesso agli atti in merito all’offerta tecnica: sono assoggettabili a secretazione, purché motivatamente, le specifiche e riservate capacità tecnico-industriali o gestionali proprie dell’impresa in gara (know-how); del diritto di accesso non si può fare un uso emulativo, al solo scopo di venire in possesso delle specifiche conoscenze industriali o commerciali acquisite e detenute da altri; per esercitare il diritto di accesso agli atti in merito all’offerta tecnica non basta essere in possesso genericamente di un concreto ed obiettivo interesse al ricorso, ma è necessario motivare dettagliatamente in quale misura le informazioni richieste in merito ai contenuti
1 cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 21 agosto 2020, n. 5167; Cons. Stato, v, 14 agosto 2020, n. 5036 2 Cons. Stato, V, 7 febbraio 2022, n. 851; Cons. Stato, v, 14 agosto 2020, n. 5036; Cons. Stato, Ad. plen., 19 febbraio 2020, n. 10; Cons. Stato, V, 27 dicembre 2019, n. 8829.
AZIENDE INFORMANO tecnici siano indispensabili e strumentali ai fini della presentazione di un ricorso giurisdizionale. Nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la stazione appaltante deve pertanto tenere in considerazione questi principi e, contestualmente, effettuare una valutazione in concreto del reale interesse all’accesso dell’istante. Ciò significa chiedersi, inizialmente, chi sia questo istante: si tratta del secondo in graduatoria o si tratta di un altro concorrente, classificatosi più oltre? Il secondo in classifica ha certamente un interesse concreto (che dovrà, tuttavia, ben motivare in istanza rispetto alla strumentalità delle informazioni a cui chiede accesso) a conoscere i contenuti dell’offerta del primo, perché l’eventuale accoglimento del ricorso contro l’aggiudicazione lo porterebbe a vincere la gara. Ciò non toglie che anche altri concorrenti possano, ben motivando, dimostrare di avere un concreto interesse all’accesso delle offerte che lo precedono, ma in questo caso il bilanciamento con l’interesse dei controinteressati deve essere effettuato con maggiore rigore, quantomeno riguardo alle offerte diverse da quella prima in graduatoria. E qui entra in gioco un altro elemento di fondamentale importanza ai fini della valutazione dell’interesse all’accesso: l’offerta dell’istante è stata valutata singolarmente, con l’attribuzione di giudizi tradotti in coefficienti e, quindi, in punteggi (caso 1)? Oppure ha ottenuto il punteggio a seguito di raffronto con le altre offerte, con applicazione del metodo del confronto a coppie (caso 2)? Nel caso 1, l’interesse all’accesso perde concretezza via via che si scenda nella graduatoria: al concorren-
te classificatosi oltre il secondo posto potrebbe essere sufficiente la conoscenza dei contenuti dell’offerta del primo graduato per capire se ci siano margini per contestare il provvedimento di aggiudicazione; se questi margini non ci sono, a nulla varrà dimostrare di poter scalare la graduatoria superando gli altri concorrenti, non aggiudicatari, che lo precedano. Nel caso 2, l’istante, in qualunque posizione si sia classificato, deve invece poter conoscere i contenuti di tutte le altre offerte che lo precedono, per decifrare le preferenze attribuite dalla commissione e, se del caso, rinvenire elementi per la contestazione del provvedimento di aggiudicazione. In quest’ottica, deve ritenersi che esclusivamente nel caso 1, ovvero nelle procedure affidate con il confronto a coppie, un’istanza di accesso ben motivata possa prevalere, di regola, sulla secretazione di tutti i controinteressati. Nel caso 2, un’istanza di accesso ben motivata dovrà prevalere rispetto alla secretazione del solo aggiudicatario; il bilanciamento con la tutela dei segreti tecnici e commerciali degli altri controinteressati richiederà, invece, un maggior rigore, purché – beninteso - tali controinteressati abbiano adeguatamente motivato la propria dichiarazione di secretazione. Il diagramma in figura descrive il flusso del sub-procedimento di accesso agli atti, tenendo in considerazione i richiamati principi giurisprudenziali e le diverse modalità di attribuzione dei punteggi tecnici descritte.
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Dott.ssa Piera Franceschini - Avv. Michele Leonardi “Appaltiamo S.r.l.”
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gli esperti rispondono Monica Piovi e Piero Fidanza
Sull’esclusione delle offerte riconducibili ad un unico centro decisionale nel caso di appalti suddivisi in distinti lotti Un nostro lettore chiede di sapere se l’esclusione prevista nel caso di riconducibilità ad unico centro decisionale trovi applicazione nel caso di gara suddivisa in lotti plurimi
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art. 80, co. 5, lett. m), D.Lgs. n. 50/2016 dispone l’esclusione dalla procedura di gara per l’operatore che “si trovi rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale”. La finalità della disposizione è quella di sanzionare le offerte imputabili ad un unico centro decisionale e garantire, con ciò, i principi di segretezza e serietà delle offerte e di leale ed effettiva competizione (Consiglio di Stato, sez. V, 1.8.2015, n. 3768). Trattasi, invero, di una previsione che intende dequotare il profilo formale della pluralità soggettiva, per far valere la sostanziale unitarietà della proposta negoziale “la cui automatica inammissibilità discende recta via dal principio di unicità dell’offerta (art. 32, comma 4, prima parte d. lgs. n. 50/2016)” (Consiglio di Stato, sez. V, 14.12.2021, n. 8340). Orbene, nel caso di appalto suddiviso in separati lotti tale preclusione tendenzialmente non opera: sicché è ammessa la presentazione di offerte in lotti distinti, da considerarsi alla stregua di “autonome procedure di affidamento”, anche da parte di operatori economici riconducibili ad un unico centro decisionale, al fine di assicurare la massima partecipazione ed il più ampio confronto concorrenziale in gara. Ciò, beninteso, sempreché la Stazione Appaltante, nell’esercizio della pro-
pria discrezionalità, non abbia ritenuto di precludere la facoltà dei concorrenti di partecipare contestualmente a più lotti distinti ai sensi dell’art. 51, co. 2, D.Lgs. 50/2016. Quest’ultima disposizione riconosce infatti all’Amministrazione la possibilità di limitare la partecipazione della medesima impresa a più lotti, mediante la previsione di un vincolo di aggiudicazione (ex art. 51, co. 3), nella prospettiva “distributiva (propriamente antitrust), intesa come tale a disincentivare la concentrazione di potere economico, a precludere l’accaparramento di commesse da parte operatori ‘forti’, strutturati ed organizzati facenti capo ad unico centro decisionale” (Consiglio di Stato, sez. V, 21.1.2022, n. 383). Nel caso, dunque, in cui sia limitato “il numero di lotti che possono essere aggiudicati ad un solo offerente” (art. 51, co. 3), la cui ratio è quella di favorire la massima partecipazione possibile da parte delle piccole e medie imprese, con finalità squisitamente proconcorrenziali (Consiglio di Stato, sez. III, 18.1.2021, n. 518), pare evidente che le offerte imputabili ad un unico centro decisionale debbano essere parimenti considerate uniche, in quanto riferibili ad un “solo offerente” sostanziale, tornando ad applicarsi il motivo di esclusione di cui all’art. 80, co. 5 cit., lett. m) “in quanto ne riemerge la ratio di preservare condotte elusive anticoncorrenziali, che nella specie si sostanziano nell’aggirare il divieto di aggiudicazione plurima imposto dalla stazione appaltante” (T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 26.1.2022, n. 44).
Sistema PCHS®: efficace nella prevenzione e contrasto del COVID-19 per 24 ore Il sistema di sanificazione PCHS®, brevettato e realizzato da COPMA, previene e contrasta il COVID-19 con una stabilità d’azione fino a 24 ore. È questo il principale risultato di un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Viruses, condotto dal centro ricerche CIAS dell’Università degli studi di Ferrara in collaborazione con il Prof. Walter Ricciardi dell’Università Cattolica di Roma. Il nuovo studio ha verificato la capacità antivirale del sistema di sanificazione PCHS®, nell’ottica di poterlo utilizzare per il controllo e la prevenzione della diffusione del COVID-19. I risultati hanno mostrato un’ottima attività su tutti i virus inviluppati testati, incluso COVID-19, con una efficacia simile a quella dei disinfettanti chimici. In più l’attività antivirale del sistema PCHS® a differenza di quella dei disinfettanti chimici che si esaurisce dopo solo 1 ora dall’applicazione, permane stabilmente sulle superfici trattate fino a 24 ore. Il PCHS® è un innovativo sistema di sanificazione che si basa sulla naturale competizione biologica tra i microrganismi attraverso l’utilizzo di particolari detergenti contenenti selezionate spore di Bacillus, particolari materiali e attrezzature e un controllo microbiologico del risultato. La sinergia di tutti questi elementi attiva la massima azione dei microrganismi del PCHS® portando ad una un’igiene bassa e stabile nel tempo. www.copma.it
Dott. Filippo Barbieri Responsabile Innovazione e Sviluppo
Igiene assicurata con A-B Plus Adottare rigorose procedure di pulizia e sanificazione contribuisce a favorire ambienti sicuri; non è però sufficiente per assicurare elevati standard igienici. In particolar modo nelle strutture sanitarie, è essenziale affidarsi a strumenti adeguati e altamente professionali. Filmop ha realizzato a tal proposito un sistema completo di pulizia composto da carrelli, telai e microfibre trattati con additivi antibatterici in modo da proteggerli contro la proliferazione di batteri, funghi e muffe. Il trattamento con zinco piritione eseguito sui componenti in plastica assicura una riduzione della contaminazione batterica fino al 99,99%: questo è quanto emerso dall’analisi eseguita secondo lo standard ISO 22196:2011 da un Istituto indipendente accreditato che ha confermato l’efficacia nei confronti dei batteri responsabili delle infezioni più comuni. L’azione antibatterica è garantita per l’intero ciclo di vita dei prodotti, rendendoli la soluzione ideale per la pulizia degli ambienti sanitari. La microfibra utilizzata per le frange e i panni è invece trattata con ioni d’argento per contrastare la proliferazione dei batteri, favorendo il mantenimento di un alto livello di igiene I test condotti secondo la ISO 20743:2013 da un laboratorio indipendente hanno rilevato una forte attività antibatterica nei confronti dello Staphyloccocus aureus e della Klebsiella pneumoniae, garantita per l’intero ciclo di vita dei prodotti. www.filmop.com
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CLAUDIT - Accreditamento di qualità La partnership con HCRM e Disinfezione.org è finalizzata all’implementazione del sistema CLAUDIT, con l’obiettivo di verificare attraverso un validato sistema di controlli e verifiche gli indicatori di risultato delle attività di sanificazione e disinfezione nelle strutture sanitarie pubbliche e private, con particolare riferimento al rispetto degli aspetti di carattere normativo e dei protocolli ufficiali ed al risultato in termini di efficienza e di efficacia rispetto agli indicatori di igiene e sicurezza ambientale. Gli esiti dell’attività di rilevazione costituiranno elementi per l’aggiornamento della coerenza normativa e del protocollo del Manuale di sanificazione realizzato da HCRM in collaborazione con ANIP e costituirà lo strumento più avanzato a supporto delle attività di disinfezione e sanificazione nelle strutture sanitarie. L’attività di rilevazione, di aggiornamento della piattaforma e di tutte le metodologie presenti sulla stessa, saranno valutati da un Board Tecnico-Scientifico multidisciplinare costituito da tecnici, professionisti e rappresentanti del mondo scientifico. La pubblicazione, la divulgazione e l’attività formativa relative alle evidenze rilevate saranno pubblicate su disinfezione.org. www.claudit.it
Una nuova generazione di detergenti disinfettanti a base di rame 46
La barriera attiva prodotta dagli ioni di rame, ancorata alle superfici, è la risposta più concreta ed efficace alla crescente richiesta di prodotti sicuri e performanti per i professionisti dell’igiene e della pulizia. La capacità biocida dello ione rame è conosciuta fin dai tempi antichi e da secoli il rame è utilizzato come disinfettante ad azione profonda e sicura. SANICuS e IGENFLO sono detergenti disinfettanti che contengono il principio attivo solfato di rame pentaidrato. SANICuS è un virucida spray per superfici dure, IGENFLO è un detergente liquido concentrato per pavimenti e grandi superfici, nato soprattutto per il sistema a preimpregnazione. Sulle zone trattate si crea uno strato di ioni di rame che blocca la riproduzione dei batteri, la barriera sanificante si riattiva in presenza di umidità. Il prodotto è di Manica Spa, distribuito da Determash Group: in particolare Manica è stata la prima Società in Europa a registrare il principio attivo Solfato di Rame Pentaidrato come BIOCIDA PT2 attivo contro i batteri, funghi e virus ad involucro, presso l’ECHA (European Chemical Agency) secondo il regolamento BPR 528/2012. Inoltre dispone della EN 14476 ed EN 16777 efficace contro il virus ma senza alcun simbolo di pericolo e con un impatto sull’ambiente pressoché nullo, specie se confrontato con quelli attualmente disponibili sul mercato. www.determashgroup.com
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LA SINERGIA AL CENTRO
RIVOLTI AL FUTURO 11 ● 13 MAGGIO 2022 BOLOGNA
Riduzione stabile nel tempo
delle farmaco-r esistenze
Riduzione delle infezioni correlate all’assistenza
Riduzione dei costi complessivi della terapia antimicrobica
della contaminazione patogena
Progetto e direzione
In collaborazione con
Il 13 Maggio in contemporanea con ®
BOS srl T. +39 051 325511
e
13 - 15 maggio 2022
www.exposanita.it ● info@exposanita.it
3/4.22
DIGITALIZZAZIONE DEL SERVIZIO DI PULIZA E DISINFEZIONE
TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE
BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA
Progettare Verificare
S. CASSAMAGNAGHI - A. C. SALZANO
Pianificare DIGITALIZZAZIONE= OTTIMIZZAZIONE
Eseguire
LE PROCEDURE DI ACQUISTO DEI FARMACI BIOLOGICI E BIOTECNOLOGICI ORIGINATOR AVENTI IL MEDESIMO CODICE ATC DI V LIVELLO A. ALIQUÒ - S. TORRISI
ASP DI RAGUSA, CONNECTED CARE E TELEMEDICINA, SCENARI PER L’INNOVAZIONE DIGITALE IN SANITÀ CLAUDIT, è un Supporto Tecnologico indispensabile per la gestione condivisa (tra l’Ente Appaltante e il Gestore del servizio) e il monitoraggio continuo dell’andamento di un appalto di Servizi di Pulizia e Disinfezione. Pensato, sviluppato e creato da un gruppo di specialisti del settore del Facility Management, con esperienza ventennale nella gestione di appalti e di servizi.
ISSN 1723-9338
VINCENZA DI MARTINO
Visita il sito:
www.Claudit.it
PROCEDURA CONSIP, GARE AGGREGATE DI LIVELLO REGIONALE E AUTONOMIA DELLE SINGOLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE