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TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE
BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA
Connect for Shape è un progetto che coinvolge autorevoli esperti del mondo della salute, con l’obiettivo di condividere e valorizzare best-practice e raccomandazioni relative ai processi di acquisto dei dispositivi medici.
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21|22|23 aprile 2021
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sommario maggio-giugno 2020
editoriale
3 L’orgoglio dell’appartenenza
articoli 4 10
4 10 21 Errata Corrige: nel numero di TEME, 2/2020, in copertina erroneamente non è stato scritto il nome dell’avv. Giuliano Di Pardo coautore insieme all’avv. Sara Di Cunzolo dell’articolo: “I contratti pubblici e la normativa emergenziale per contrastare la pandemia Covid -19”. Ci scusiamo con l’autore Ricordando Luigi Felicetti
Il 10 maggio, prendendo a prestito un’espressione in uso nel Corpo degli Alpini, Luigi Felicetti è “andato avanti “. Per le Sue intuizioni che lo videro tra i primi in Italia ad adottare il vassoio personalizzato per il pasto dei degenti e poi pioniere del sistema “Cook and chill” nella ristorazione ospedaliera viene spontaneo definirlo un entusiasta innovatore. Per i colleghi, ma anche per i rappresentanti delle Imprese che lo hanno conosciuto ed apprezzato a livello locale e nazionale per la sua figura di Economo (professione antica, ma ahimè, in via di estinzione) ma anche per gli amici dell’Associazione Triveneta degli Economi, miei coetanei Luigi Felicetti rimarrà per sempre un Socio storico. Per tutti noi, colleghi di quello che fu il Servizio Gestione Servizi Alberghieri della allora neo nata Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, resterà sempre un Grande Maestro. Per me, anche e soprattutto, un caro Amico.
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 Ripresa post-covid: luci e ombre del decreto rilancio normazione La rivoluzionaria pronuncia dell’Adunanza Plenaria sull’accesso agli atti normazione 14 Codice dei Contratti Pubblici: la necessaria rivisitazione non può essere rimessa ad iniziative estemporanee normazione 16 L’anticipazione del pagamento agli appaltatori, misura unica (finora) e piena di perplessità introdotta dalle leggi emergenziali negli appalti confindustria DM 19 Confindustria DM: Servono politiche industriali mirate e una revisione delle modalità di acquisto normazione 21 Indicazione separata dei costi della manodopera: l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenze nn. 7-8/2020) chiarisce i termini dell’obbligatorietà a pena di esclusione normazione 25 Indicazione degli oneri di sicurezza aziendale e dei costi della manodopera nelle gare d’appalto: i recenti approdi della giurisprudenza interna ed eurounitaria ospedale niguarda di milano 32 Ottenimento della certificazione uni en iso 9001:2015 nella asst grande ospedale metropolitano niguarda registro accessi 35 Il Registro degli Accessi: il nuovo parametro di trasparenza introdotto dalla Riforma Madia usl umbria 2 40 Usl Umbria 2: Il Covid si combatte con lo spray alcolico a costo zero procedura negoziata 42 Il ritorno alle procedure negoziate o nuove procedure negoziate: il Covid rende sistematico ciò che era episodico? Riflessione su una normativa che ha fatto il suo tempo
aziende informano
45 “CONNECT FOR SHAPE: una risposta ad un’esigenza del mondo sanitario”
gli esperti rispondono
47 Sull’avvalimento delle certificazioni del sistema qualità. 48 focus
Le foto all’interno sono di Marco Pasqualini Marco Pasqualini vive e lavora a Roma dove svolge attività di stampa, elaborazione grafica e post-produzione presso la Designer Press, azienda fondata dal padre Norberto Pasqualini nel 1972. La passione per la fotografia e le arti grafiche correlate nasce e si sviluppa parallelamente a questa professione.
Tecnica e metodologia economale Bimestrale di tecnica ed economia sanitaria fondato nel 1962 per l’aggiornamento professionale degli economi e provveditori della Sanità. ISSN 1723-9338 Organo ufficiale della FARE Federazione delle Associazioni Regionali Economi e Provveditori della Sanità
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editoriale Salvatore Torrisi - Presidente FARE
L’orgoglio dell’appartenenza
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lcuni giorni orsono, i colleghi dell’Associazione Lombarda dei Provveditori (ALE), hanno voluto riunire nell’ambito di un Webinar formativo da loro organizzato, i 4 Provveditori delle Aziende Sanitarie Lombarde maggiormente coinvolte nella emergenza da Covid 19 e segnatamente quelli di Lodi, Cremona, Brescia e Bergamo. Dai loro racconti è emersa la cruda realtà di un sistema sanitario colto di sorpresa da un virus sconosciuto, ma dal procedere del racconto è risultata evidente e in maniera inconfutabile, la determinazione di esperti professionisti che hanno saputo immediatamente adattarsi alle nuove esigenze ponendo in essere nuove metodologie e idonee strategie per garantire l’approvvigionamento necessario a supportare i clinici impegnati nella emergenza. Ognuno di loro, nel descrivere lo scenario apocalittico in cui hanno operato per mesi, ha voluto mettere in risalto il valore dell’esperienza, della formazione acquisita sul capo e della profonda conoscenza del “mestiere”, riscoprendosi, così come affermato dalla collega di Cremona, fieramente orgogliosi della attività professionale svolta. Mentre ascoltavo, emozionandomi alle loro parole, pensavo con rammarico e tristezza a quanto, invero, la nostra categoria di Provveditori sia stata vessata in questi anni: additati come co-responsabili degli sprechi in sanità e co-artefici delle disfunzioni della sanità nazionale, e per questo spesso sbattuti come mostri in prima pagina. Pensavo a come invero abbiamo assistito in questi anni, inermi ed attoniti, allo smantellamento del SSN, frammentato in piccoli SSR, agli irrazionali tagli lineari della spesa (sia in ambito nazionale che regionale), alla contrazione costante del numero di dipendenti amministrativi, alla illogicità delle politiche nazionali di approvvigionamento basate solo sulla spasmodica ricerca del prezzo più basso, ad una esasperata centralizzazione della domanda spesso fine a se stessa, al progressivo depauperamento del tessuto produttivo sanitario in ambito nazionale, alla crescita esponenziale del flusso informativo verso la Regione e il Ministero ma senza alcun ritorno in termini di informazioni utili per le Aziende. Pensavo a quanto siamo stati sottovalutati, noi Provveditori, da un sistema politico che, ormai da troppo tempo, pecca di scarsa lungimiranza valutativa e che non sa cogliere la rilevanza e l’importanza strategica di coinvolgere associazioni scientifiche, come la FARE, nei tavoli tecnici propedeutici alla asserita e prossima rivoluzione organizzativa nazionale post Covid. A fronte di tutti questi pensieri negativi, sono bastate le poche parole della collega di Cremona per ridarmi speranza. Quel pensiero espresso con umiltà ha esemplificato l’essenza del nostro lavoro quotidiano basato su un fiero e presuntuoso orgoglio di appartenere all’unica categoria professionale amministrativa del SSN operativa da oltre 70 anni, e che da 70 anni si confronta e si istruisce, autonomamente, fornendo al Paese esperti nell’approvvigionamento in grado di affrontare sia la routine che le sfide sanitarie estreme. Per cui non importa se a Roma, o a Milano o a Palermo non si accorgono di noi, perché ognuno di noi sa con certezza e con consapevolezza quanto sia importante il suo lavoro per il funzionamento del SSN e come la qualità e specificità della nostra professione, permettetemi di dire, sia molto rara nel mondo variegato della PA.
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decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 Pierluigi Piselli - Studio legale Piselli and Partners
Ripresa post-covid: luci e ombre del decreto rilancio
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o scorso 20 maggio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID19”. Numerose le misure previste nel provvedimento (c.d. Decreto Rilancio), ma molti anche gli aspetti non presi in considerazione e rinviati ad altri successivi atti normativi. Le logiche assistenziali hanno avuto il sopravvento rispetto alla necessità di favorire la ripresa produttiva e con essa la generazione della nuova ricchezza indispensabile per attuare un vero e proprio rilancio. In particolare, il Decreto è privo dell’atteso capitolo relativo agli investimenti infrastrutturali, cioè della parte riferita all’utilizzo, in termini incisivi, di questa importante leva, più che mai indispensabile per riportare al più presto il Paese sulla strada della ripresa economica, con l’auspicio di scongiurare, a fine anno, una flessione del PIL senza precedenti, che gli stessi documenti del Governo purtroppo hanno già stimato al 10%. Ad eccezione, infatti, di un limitato intervento destinato ad agevolare l’erogazione delle anticipazioni nei contratti pubblici, scelta ampiamente condivisibile, laddove inietta liquidità nel sistema produttivo senza pesare sull’indebitamento, per il resto l’assai corposo decreto (ben 266 articoli), si sostanzia in una lunga lista di interventi a pioggia, ispirati da logiche di sola distribuzione di risorse che, al di là delle affermazioni di rito, scarseggiano o comunque sono destinate ad aggravare il bilancio dello Stato. Edilizia privata; uso della blockchain Unica norma che potrebbe avere ripercussioni positive sul sistema produttivo riguarda il settore costruzioni. Il Decreto si occupa nello specifico di edilizia privata. Apprezzabile il meccanismo previsto all’articolo 121, volto ad innescare un ciclo virtuoso attraverso la concessione di
crediti d’imposta, cedibili a terzi, di importo addirittura superiori all’entità della spesa effettuata, laddove si tratti di realizzare interventi di ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare. Si tratta di una scelta coerente rispetto ad un’idea di evoluzione del Paese verso politiche ambientali di riduzione delle emissioni e lotta al CO2, in linea con gli obiettivi europei, che utilizza la leva fiscale per ottenere tale risultato, allo stesso modo attivando la ripresa del ciclo economico. L’intuizione è talmente positiva che se ne dovrebbe verificare, in fase di conversione, l’estensione anche all’edilizia pubblica, con il credito d’imposta rilasciato non ai proprietari, ma direttamente alle imprese. Manca, tuttavia, in questo schema un punto di non secondaria importanza: la predisposizione di modalità di controllo efficaci, ancorché non invasive, che non siano di ostacolo alla rapida implementazione dell’effetto moltiplicatore che tale politica è in grado di generare sull’economia, volto in sostanza ad evitare che l’operazione possa tradursi nella creazione di fatturazioni non rispondenti ai reali processi attivati, intestate ad operatori economici di dubbia capacità, reputazione e finanche esistenza. A parte i profili penali che questo scenario andrebbe a dischiudere, risulta evidente il rischio concreto testimoniato dalla previsione di cui al comma 14, dell’articolo 119 del decreto stesso, che introduce un forte apparato sanzionatorio, con il pericolo, peraltro, che resti tutto sulla carta per la complessità delle procedure. Ma a parte tale aspetto, di per sé molto problematico, ulteriore profilo da considerare è legato alla necessità di un controllo preventivo a livello statale. Ad avviso di chi scrive è indispensabile, per lo Stato, avere contezza delle risorse fiscali impegnate con tale misura e, per i privati, avere la certezza preventiva dell’ammissione a contributo e dell’entità dello stesso. Ciò, sotto altro profilo, permetterebbe in via immediata la cartolarizzazione del risparmio fiscale e la certezza sin dall’avvio dell’intervento, della fruizione del bonus. In tal modo,
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 subito dopo l’ammissione a contributo, si configurerebbe una sorta di future, subordinato alla sola realizzazione dell’intervento edile. Conseguentemente, l’adozione di strumenti di digitalizzazione nella gestione della procedura prevista per la creazione di ciò che, in caso di cessione a terzi del beneficio fiscale potrebbe divenire, nella sostanza, un titolo circolante (l’attuazione del sistema è rimessa dal comma 7 dell’articolo 12 ad un decreto ministeriale da emanarsi entro il 18 giugno), potrebbe rivelarsi fondamentale per garantire legalità, trasparenza e pieno risultato all’operazione. Ma non solo. Un ulteriore, prezioso aiuto potrà arrivare dalla tecnologia blockchain. Attraverso l’utilizzo della c.d. “catena di blocchi”, si potrebbe mettere a punto un sistema per subordinare il tempestivo rilascio del bonus fiscale, da incorporare in un titolo con cui il proprietario dell’immobile pagherà l’impresa esecutrice, che a sua volta potrà cederlo a terzi: un rapido ed efficace procedimento di notarizzazione informatica a cura dell’emittente del titolo stesso. A quest’ultimo, il privato richiedente potrebbe sottoporre, oltre alla fattura, gli altri elementi significativi, al fine di assicurare efficienza e correttezza all’intero processo; con le stesse forme andrebbero trattati anche i successivi passaggi. Detto sistema, che dovrebbe poter contare su una rete di operatori qualificati a svolgere l’operazione notarizzante, peraltro non di particolare difficoltà (controllo formale della documentazione richiesta e suo caricamento informatico in blockchain), garantirebbe la pronta attivazione dell’operazione, il rilascio del titolo (di pagamento) a vista e la possibilità di costituire nel frattempo una task force dedicata ai successivi controlli, con applicazione delle sanzioni che già la legge prevede, in questo caso con modalità efficaci.
il vagheggiato “modello Genova” non sia in grado di rappresentare la soluzione generale sulla quale acriticamente puntare per sbloccare l’intero comparto. Ciò in considerazione della non riproducibilità dell’operazione, se non in limitati casi dove le relative precondizioni risultino esser le stesse: il ripristino di un’opera esistente che, per questo, non necessita di processi autorizzativi a monte; una progettazione acquisita prontamente e a costo zero; la scelta del contraente priva di una procedura competitiva propriamente detta, di regola prescritta anche nell’ipotesi derogatoria di cui all’articolo 32 della Direttiva 2014/24/ UE, spesso evocata quale panacea risolutiva di tutti gli italici mali; la possibilità di retribuire l’opera a piè di lista da parte di soggetto terzo a ciò tenuto, diverso dal committente pubblico. Così come, sotto altro profilo, sembra inopportuna, nell’attuale contesto, l’emanazione del regolamento attuativo del Codice dei Contratti. L’immissione nel sistema di un grosso nuovo corpus normativo determinerebbe, infatti, un blocco degli affidamenti per almeno sei mesi. Un periodo, invece, da utilizzarsi in maniera decisa per far ripartire il settore e, al tempo stesso, rilanciare l’economia. In questo senso, ferma la necessità di operare in modo adeguato per lo sblocco delle grandi opere di cui il Paese ha da troppo tempo bisogno, l’altro punto indispensabile sul quale ribadire la necessità di intervenire, è la diretta attribuzione ai territori, in primis Comuni e Province, di importanti liquidità da utilizzarsi necessariamente entro precise scadenze e con destinazione vincolata agli investimenti, sulla falsariga di quanto è stato già fatto con le leggi di bilancio per il 2018 ed il 2019, accompagnando il tutto con la previsione, per un arco temporale circoscritto, di attribuzioni dirette una tantum, al fine di riattivare in modo pronto e diffuso sul territorio il ciclo economico connesso agli investimenti in opere pubbliche.
Sotto altro profilo, sembra inopportuna, nell’attuale contesto, l’emanazione del regolamento attuativo del Codice dei Contratti. L’immissione nel sistema di un grosso nuovo corpus normativo determinerebbe, infatti, un blocco degli affidamenti per almeno sei mesi
Opere pubbliche Sotto altro verso, eccettuato l’intervento sulle anticipazioni contrattuali, come detto, manca nel decreto tutto il capitolo opere pubbliche, rispetto al quale, ancor prima di valutare come la digitalizzazione possa essere d’aiuto nel migliorare i processi, occorre valutare le modifiche da apportare al quadro normativo vigente. Si tratta di un settore, in cui le sfide da affrontare sono molte e importanti. Una prima osservazione sul tema: è evidente come
Criticità nelle procedure Nell’ottica della diffusione degli interventi sul territorio da ultimo considerata rilevano anche alcune considerazioni sull’approccio seguito dal decreto “Rilancio” sul tema anticipazioni. Se, infatti, è del tutto condivisibile, come detto, la scelta di anticipare l’immissione di liquidità nel sistema rispetto all’esecuzione delle corrispondenti pre-
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decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 stazioni, in via generalizzata e financo laddove, ancorché in parte, erogazioni a tale titolo risultino già intervenute, l’ambito che resta paradossalmente fuori da tale corretta impostazione è quello dei cosiddetti accordi quadro, per lo più destinati ad attivare interventi di manutenzione diffusi, in quanto per natura parcellizzati, necessari per tenere in esercizio opere ed infrastrutture destinate a garantire servizi pubblici essenziali. L’inesistenza di un appalto propriamente detto, infatti, bensì solo di un accordo generale su prezzi e tempi che vincola l’operatore economico ad intervenire sulla singola necessità mediante attivazione di specifici contratti attuativi dell’accordo generale, impedisce di corrispondere anticipi congruenti al valore complessivo dell’accordo quadro. Ulteriore paradosso è che dette modalità operative rendono inutili, anche rispetto al solo singolo atto attuativo, le agevolazioni introdotte dalla norma; spesso, infatti, trattasi di interventi di rapida conclusione, dove l’esecuzione viene ad esaurirsi addirittura prima delle tempistiche necessarie ad erogare l’anticipazione, ciò che diventa ancor più oneroso laddove vengano attivati più contratti attuativi, con modalità ravvicinate e/o sostanzialmente contemporanee. Appare, quindi,
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necessario completare l’intervento avviato con il decreto rilancio, all’atto della sua conversione in legge, estendendo l’articolo 207 anche gli accordi quadro. Per quanto concerne, invece, l’atteso Decreto “Semplificazioni”, appare in effetti preferibile procedere a semplificare la generalità dei contratti, intervenendo direttamente sul codice con l’eliminazione, al suo interno, degli eventuali colli di bottiglia. Il problema della burocrazia Ma ancor più della semplificazione delle procedure merita attenzione l’esigenza di porre rimedio al tema blocco della firma o, come alcuni la definiscono, dell’amministrazione difensiva. La complessità e farraginosità del sistema normativo, unite ad una tendenza al “panpenalismo” del nostro sistema giudiziario, hanno progressivamente indotto i pubblici funzionari a rifuggire il più possibile da decisioni che possano essere in astratto foriere di addebiti di responsabilità. Secondo un sondaggio realizzato nel 2017 tra 1.800 lavoratori del settore pubblico dal Forum della pubblica amministrazione, gli statali d’Italia sono convinti ancora
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 più di prima che solo non facendo possono evitare rischi. Ma quali sono le misure anti-burocrazia? Sicuramento un ripensamento dell’organizzazione, secondo un sistema flessibile che fissi responsabilità ed obiettivi chiari. Riferendosi ai burocrati e alla burocrazia, Robert Merton nel secolo scorso parlò di “incapacità addestrata”, ossia, la conseguenza inattesa che si manifesta quando “le azioni basate sull’addestramento e l’abilità tecnica, che in passato avevano dato un risultato positivo, possono risultare inappropriate sotto mutate condizioni”. Il funzionario viene addestrato ad una certa procedura nella presunzione che la realtà da affrontare rimanga indefinitamente la stessa. Ma quando la realtà muta e sorgono problemi inediti, tutto l’apparato di tecniche, abitudini, riferimenti a procedure o a decisioni precedenti viene messo in crisi.La burocrazia si troverebbe così, secondo Merton, nell’incapacità di adattarsi al nuovo perché vincolata alla specializzazione per procedure, alla loro standardizzazione e al medesimo rispetto delle norme regolamentari; l’azione burocratica diviene rigida e statica, negando flessibilità all’addestramento, incapace di adeguare le norme al mutamento sociale. Il “ritualismo burocratico”, a sua volta, si traduce
in rigidità che rende difficile per l’organizzazione rispondere ed adattarsi a situazioni ed esigenze particolari. “In questo modo proprio le condizioni che normalmente portano all’efficienza in situazioni particolari e specifiche producono inefficienze. Le regole diventano ad un certo punto simboliche piuttosto che strettamente utilitarie”. La mancanza di duttilità nell’applicazione delle norme, in definitiva, dà luogo in un imperfetto raggiungimento degli scopi che ci si era prefissati. Ancora, sono necessari lo snellimento e la semplificazione dell’apparato legislativo, con la risoluzione di tutte le attuali sovrapposizioni e contraddizioni normative, e la riformulazione di tutte quelle disposizioni soggette ad interpretazioni incerte o oscillanti, che spingono i funzionari a condotte prudenziali ed attendiste. Ed è anche indispensabile una riconsiderazione del reato di abuso di potere, nonché della responsabilità erariale. Sotto quest’ultimo aspetto, è devastante il fatto che la nozione di colpa grave, richiesta dalla legge ai fini della configurazione dell’illecito, ha subito una progressiva erosione, fino ad essere identificato con qualunque comportamento non conforme ai canoni interpretativi più consueti. Anche in tale ambito, una risorsa preziosa per garantire
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l’efficacia delle procedure, dei controlli ed assicurare un più razionale utilizzo delle risorse pubbliche è senz’altro rappresentata dalla digitalizzazione della PA, che permetterebbe verifiche in tempo reale sull’andamento e sulla progressione cronologica delle pratiche e sul corretto esercizio dei poteri decisionali, scongiurando o limitando al massimo il rischio di contenziosi successivi. Anche il Governatore Ignazio Visco in occasione dell’assemblea annuale della Banca d’Italia lo scorso 29 maggio, ha parlato della burocrazia come di un freno per la crescita del Paese. La complessità del quadro normativo, l’inefficienza delle procedure e delle azioni dell’amministrazione pubblica e la carenza del sistema formativo, ha evidenziato Visco, tendono a frenare lo spostamento di risorse produttive e, di conseguenza, la crescita di produttività. In questo senso appare quindi indispensabile restituire, ovvero assicurare adeguate coperture all’azione del pubblico funzionario attraverso modalità che, sulla falsariga di quanto avviene per la responsabilità dei medici ai sensi della legge 24 del 2017, anche nel campo della contrattualistica pubblica possano escludere la colpa grave nei giudizi davanti alla Corte dei Conti, nel caso in cui sia dimostrata l’applicazione di una linea guida o di una circolare applicativa. Nella misura in cui tale approccio dovesse considerarsi condivisibile, le successive domande sono come poter verificare che l’impostazione seguita sia conforme ad una linea guida o ad un protocollo assumibile come modello qualificato tale da escludere la colpa grave e come la digitalizzazione dei processi possa aiutare in tal senso. La soluzione alle problematiche esposte può essere rappresentata dal c.d. procedimento amministrativo assistito, e cioè l’esperimento di un intera sequenza di atti propedeutici all’assunzione del provvedimento finale, ad esempio l’attribuzione di una commessa, attraverso software informatici predefiniti che contemplino la serie sequenziale degli atti e le modalità ottimali per la loro gestione, tale per cui l’applicazione dello stesso, unitamente alla fonte da cui promana, escludano a priori la possibilità di configurare un’azione distorta da parte dell’operatore e quindi colpa grave nell’attività compiuta. Si tratterebbe, in sostanza, dell’evoluzione del meccanismo delle linee guida che starebbero allo strumento del procedimento assistito come le mappe stradali stanno oggi ai navigatori. In tale ottica, anche la possibilità di utilizzo di opzioni diverse da parte dell’operatore verrebbe ad essere salvaguardata, così come il guidatore è libero di scegliere itinerari diversi da quelli indicati dal navigatore, con la sola conseguenza dell’assenza della non imputabilità ex lege di chi abbia operato in difformità. Digitale e innovazione; le proposte dell’ANAC Oltre a quanto già rilevato, Il Decreto Rilancio risulta carente altresì di riferimenti alla innovazione tramite
digitalizzazione dei processi che, se realmente perseguita, costituirebbe una delle riforme fondamentali di cui il Paese ha bisogno per recuperare competitività sul piano generale, nello specifico per rendere l’investimento nelle costruzioni efficace, accelerando le procedure ed assicurando efficienza ed efficacia ad una politica di sviluppo che voglia puntare su tale settore produttivo, garantendo altresì quei profili di legalità giustamente spesso invocati, da non trascurare anche laddove i processi vadano accelerati. Un appello in tale direzione è giunto dall’ANAC: secondo l’Autorità, per velocizzare le procedure e favorire la ripresa economica è necessario e urgente digitalizzare completamente le gare che, in circa un terzo dei casi, sono ancora svolte in modalità cartacea. La proposta è stata avanzata alla Presidenza del Consiglio e ai Ministri competenti, in vista dell’emanazione del Decreto Semplificazione. Notevoli i vantaggi della transizione al digitale: maggiore semplificazione e trasparenza; controlli più agevoli e più efficaci; tutela della concorrenza; garanzia dell’inviolabilità e della segretezza delle offerte; tracciabilità delle operazioni di gara; continuo monitoraggio dell’appalto. Secondo l’ANAC, tutto ciò consentirebbe di ridurre al minimo gli errori operativi e il contenzioso nonché di risparmiare in termini di tempi e costi (le commissioni di gara potrebbero lavorare a distanza, eliminando la necessità delle sedute pubbliche o limitandone il numero) e di dare attuazione al principio dell’invio unico dei dati, espressamente previsto dal Codice, snellendo gli obblighi di comunicazione e rendendo disponibili informazioni sui contratti pubblici per le varie finalità ai soggetti istituzionali e ai cittadini. Più in generale, si sottolinea, un adeguato livello di digitalizzazione e la disponibilità di personale tecnico dovrebbero divenire requisiti fondamentali nel processo di qualificazione delle stazioni appaltanti, affinché gli acquisti più complessi vengano svolti soltanto da amministrazioni dotate delle competenze necessarie, favorendo le economie di scala e contenendo i costi amministrativi per le imprese. Per sostenere la diffusione delle piattaforme, l’Anticorruzione suggerisce di mettere gratuitamente a disposizione le tecnologie telematiche e il supporto tecnico, prevedere politiche di incentivazione legate ai risultati raggiunti e assumere nuove risorse con competenze specifiche. Inoltre, viene proposto di ridurre i tempi di verifica dei requisiti nei casi in cui l’aggiudicatario di un appalto, entro un intervallo di tempo prestabilito (ad es. 6 mesi), sia già stato esaminato con esito positivo in una procedura di gara. Infine, per superare la grave situazione economica e fronteggiare i danni subiti dalle attività produttive, l’Autorità suggerisce di introdurre una norma che fino al 31 dicembre permetta alle amministrazioni di ricorrere motivatamente alle procedure di urgenza ed emergenza già consentite dal Codice.
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 I settori che si prestano maggiormente a tali semplificazioni, per dimensione economica o per connessione diretta con attività in grado di far superare la crisi provocata dall’emergenza sanitaria, ad avviso dell’Autorità, sono le seguenti: manutenzioni, ristrutturazione/costruzione di ospedali e scuole, interventi sulla rete viaria, approvvigionamenti nel settore sanitario, informatico e dei trasporti. Conclusioni In definitiva, occorre finalmente avviare un percorso di evoluzione e trasformazione del sistema Paese, di cui l’inedita esperienza del lockdown prolungato ha mostrato chiaramente tutti i imiti. L’incompleta diffusione delle infrastrutture digitali ha soffocato le attività di smart working e di insegnamento a distanza; lo scarso utilizzo – rispetto ad altri Paesi Europei – dei pagamenti digitali ha penalizzato fortemente famiglie e imprese; l’ac-
cesso digitale ai servizi della PA a macchia di leopardo ha evidenziato i chiari segni di un’Italia frammentata. Occorre ripartire da tutto questo, investendo massicciamente proprio laddove oggi siamo carenti, trasformando questo momento di crisi in una grande opportunità. In conclusione, che si tratti dei processi realizzativi delle opere pubbliche o della concessione di detrazioni fiscali per questo o quell’intervento, ciò di cui il Paese ha realmente bisogno è la scelta di compiere un passo decisivo verso la digitalizzazione dei processi, come vera riforma di sistema che, proseguendo sulla strada intrapresa negli anni Novanta, successivamente smarrita, venga a dotare il Paese di una pubblica amministrazione veloce, efficiente ed efficace, in grado di limitare le distorsioni e di attrarre gli investimenti, aiutando il ciclo economico a ritrovare quegli obiettivi di crescita un tempo noti ma da tempo sempre più assenti.
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normazione Andrea Stefanelli - Studio Legale Stefanelli&Stefanelli
La rivoluzionaria pronuncia dell’Adunanza Plenaria sull’accesso agli atti
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l 2 aprile u.s. è stata pubblicata la sentenza n. 7 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Trattasi di una pronuncia storica, in quanto risolve alcune questioni fondamentali in materia d’accesso agli atti di un procedimento amministrativo, di portata generale ed applicabile a tutti i procedimenti che si compiono avanti una P.A.. Tre sono le questioni affrontate dalla pronuncia: la prima riguarda il rapporto fra il cd. “accesso documentale” (che si svolge ai sensi della L.n. 241/90 ed è esperibile solo da chi è legittimato e gode di un interesse all’accesso alla documentazione richiesta) e l’”accesso civico generalizzato” di cui al D.Lgs.n 33/2013 (che può essere invece avanzato da chiunque ma non consente l’ostensione di tutta la documentazione del procedimento), la seconda concerne invece la possibilità d’accedere alla documentazione relativa anche alla fase esecutiva di un rapporto con una P.A. (quindi un contratto, una concessione, un accreditamento, una convenzione ecc.), mentre infine la terza questione attiene all’applicabilità dell’accesso civico generalizzato allo specifico settore degli appalti, pur in presenza di una norma speciale (art. 53) espressamente previste nel Codice del 2016. Andiamo con ordine. Rapporto fra accesso documentale ed accesso civico generalizzato La prima problematica portata all’attenzione dell’Adunanza Plenaria riguarda la natura dell’istanza ostensiva presentata ad una P.A. e la possibilità di una sua differente qualificazione nell’ambito del procedimento d’accesso. Nel caso posto all’attenzione della Plenaria il richiedente non aveva qualificato la propria istanza, non avendo invocato né l’applicazione della L.n. 241/1990 (c.d. accesso documentale) né del D.Lgs.n. 33/2013 (c.d. accesso civico generalizzato).
Così il Consiglio di Stato, con un approccio nettamente sostanzialistico, ha ritenuto che, benché l’accesso documentale e quello civico differiscano “per finalità, requisiti ed aspetti procedimentali”, tuttavia la P.A. che riceva la richiesta d’accesso ha il dovere di esaminarla nel suo complesso (nel suo c.d. “anelito ostensivo”), evitando inutili formalismi procedurali che potrebbero condurre ad una duplicazione d’istanza. Qualora poi non sia individuabile l’esercizio di una specifica forma d’accesso, la P.A. deve “qualificarlo” allora quanto più ampia possibile, considerato come detta richiesta ben potrebbe essere legittimamente formulata sia con riferimento all’una che all’altra normativa; in altri termini è sempre ammissibile depositare un’istanza che richieda sia l’accesso formale che quello civico generalizzato (Si cumulo d’istanze), così come che non specifichi alcuna modalità di accesso. Sarà poi l’amministrazione a dover esaminare la sussistenza dei presupposti dell’una o dell’altra richiesta e concedere, conseguentemente, l’ostensione documentale (che, si badi bene, può attenere anche a documenti diversi) nel rispetto dell’una o dell’altra normativa. Diversamente invece, qualora l’istante espressamente indichi a quale modalità (“documentale” o “civica”) intende riferirsi nella sua istanza, in tal caso allora la P.A. non può “mutare normativa” e concedere l’ostensione documentale in assenza dei presupposti della normativa indicata, anche se in presenza dei presupposti dell’altra (No conversione procedimentale), così come non potrà essere il Giudice Amministrativo, se investito della questione e qualora l’istanza sia stata inoltrata ai sensi di una determinata normativa, concederla in ragione della sussistenza dei presupposti dell’altra (No Conversione giudiziale). Citando dunque testualmente la Plenaria “la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza
normazione di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della L.n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento”. In conclusione il 1° principio che si può trarre risulta il seguente: quando si formula un’istanza d’accesso è fondamentale individuare correttamente la normativa per cui si procede, non potendo la P.A. concedere poi l’ostensione documentale in assenza dei presupposti della legge per cui si è formulata l’istanza.
L’Adunanza Plenaria è perentoria nell’affermare che tutti gli operatori economici sono legittimati all’accesso, a condizione però che abbiano un interesse “attuale”, “concreto” e “diretto” a conoscere gli atti richiesti. Quindi non solo il 2° classificato alla gara e/o a chi ha presentato ricorso avverso la sua aggiudicazione, ma anche tutti gli altri concorrenti nonché (addirittura) anche tutti coloro che, pur non avendo concorso alla procedura, possono comunque vantare un interesse alla sua riedizione (con chance di aggiudicarsela). Detto interesse, però, deve godere anche di un altro requisito ovvero dev’essere “preesistente” all’istanza medesima, non potendo dunque assumere alcun valore esplorativo; ciò, d’altro canto, è proprio quello che distingue l’accesso documentale da quello civico generalizzato. Quanto sopraddetto porta due conseguenze, ovvero da un lato che non sussiste alcuna “superlegittimazione” del concorrente a conoscere gli atti esecutivi della gara a cui ha partecipato, dall’altro che il “bisogno di conoscenza” di tali atti non è necessariamente collegato alla legittimazione al ricorso, ovvero non deve obbligatoriamente servire a scopi giudiziali. Citando dunque la Plenaria “è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”. In conclusione dunque il 2° principio che si può trarre è il seguente: d’ora in poi è ammissibile presentare un’istanza d’accesso documentale anche agli atti esecutivi di un contratto pubblico, non rilevando alcun profilo soggettivo (2° classificato, ricorrente, concorrente ecc.) ma essendo sufficiente essere un operatore economico del settore; tuttavia, affinchè la P.A. possa concedere detto accesso, non basta adombrare un generico inadempimento dell’appaltatore e/o una differenza dalla sua offerta di gara, ma è necessario dimostrare di godere di uno “specialissimo” interesse concreto, attuale, diretto e del tutto preesistente alla conoscenza della documen-
L’Adunanza Plenaria è perentoria nell’affermare che tutti gli operatori economici sono legittimati all’accesso alla fase esecutiva , a condizione però che abbiano un interesse “attuale”, “concreto” e “diretto” a conoscere gli atti richiesti
Possibilità d’accedere alla documentazione relativa anche alla fase esecutiva La vera rivoluzione portata dalla sentenza della Plenaria è tuttavia contenuta nella 2° risposta ai quesiti posti al massimo Consesso di giustizia amministrativa, ovvero se un concorrente ad una gara pubblica possa accedere ex L.n. 241/90 agli atti della fase esecutiva del contratto (di natura privatistico) sottoscritto con l’aggiudicatario. La risposta è affermativa. La giustificazione a tale assenso risiede nel fatto che è proprio nell’esecuzione contrattuale che l’interesse pubblico trova la sua piena realizzazione, per cui anche la fase esecutiva ha una sua rilevanza “pubblicistica”, tale da giustificarne la relativa accessibilità; in altre parole l’esecuzione di un contratto non è la “terra di nessuno”, ma dev’essere soggetta sia al controllo pubblico che alla verifica dei privati (eventualmente interessati al subentro o alla riedizione della gara). Ciò anche perché è nell’adempimento contrattuale che si rinviene la veridicità di quanto offerto in gara, ovvero è solo nella fase dell’adempimento che si può effettivamente accertare se, quanto dichiarato in sede di gara (e che ha poi portato alla sua vittoria), corrisponda esattamente a quanto in seguito eseguito. Ma chi può presentare istanza d’accesso documentale agli atti esecutivi ?
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normazione tazione richiesta. Applicabilità dell’accesso civico allo specifico settore degli appalti Da ultimo la Plenaria affronta la questione relativa all’ap-
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plicabilità dell’accesso civico generalizzato alla specifica materia dei contratti pubblici. Il Collegio parte dall’analisi dei due contrastanti orientamenti giurisprudenziali:
normazione 1) il primo (Cons.St., sez. III° 5/6/2019 n. 3780) secondo cui il rinvio operato dall’art. 53 D.Lgs.n. 50/216 (norma ‘speciale’ sull’accesso nei contratti pubblici) agli artt. 22 segg. L.n. 241/90 (norma ‘generale’ sull’accesso) non può condurre all’esclusione generalizzata dell’accesso civico negli appalti, in quanto il richiamo dell’art. 53 D.Lgs. 50/2016 alla sola legge sull’accesso documentale (L.n. 241/90) non preclude, ex sé, anche l’applicabilità del successivo D.Lgs.n. 33/13; 2) il secondo orientamento (sez. V°, 2/8/2019, n. 5502 e 5503), invece, si fonda sull’assunto che il Codice appalti preveda una regolamentazione specifica dell’accesso (l’art. 53, appunto) e che esiste già, nel settore, un’Autorità (l’ANAC) preposta alla garanzia e rispetto della trasparenza, ragion per cui non si rinviene la necessità di veder applicato, anche al settore degli appalti, l’istituto dell’accesso civico generalizzato. A ciò si aggiunga che, se si concedesse detta applicabilità, si avrebbe un notevole aumento dei costi per le amministrazioni per gli accessi tentati dagli oo.ee., che peraltro risulterebbero soccombenti nella maggior parte dei casi per l’opposizione degli acceduti; per questo motivo, quindi, si deve diniegare l’applicabilità dell’accesso civico alla specifica materia degli appalti. La Plenaria tuttavia non risulta concordare con detta tesi, al contrario reputando che anche nelle procedure di gara (nonché nella fase esecutiva degli appalti) debba trovare legittima applicazione la disciplina che regolamenta l’accesso civico generalizzato. Partendo infatti dal presupposto che l’accesso civico costituisce una garanzia indefettibile per “l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale del nostro ordinamento” (art. 117, comma 2, lett m) della Costituzione) nonché configura, di per sé, un diritto tutelato anche dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea (artt. 10 e 42 CEDU), la Plenaria ritiene che mentre l’accesso documentale tuteli un interesse individuale, in cui l’interesse alla trasparenza è protetto solo“occasionalmente”,nell’accesso civico l’interesse tutelato è invece quello al “controllo democratico sull’attività amministrativa”,in cui il cd.“right to know (l’interesse individuale alla conoscenza)” appare protetto già di per sé. Se dunque l’accesso generalizzato è “assoluto”, il Legislatore del 2013 ha tuttavia espressamente previsto che“Il diritto di cui all’art. 5, comma 2, e’ escluso nei casi [.] di divieti d’accesso [.] previsti dalla legge [.] in cui l’accesso e’ subordinato [.] al rispetto di specifiche condizioni, modalita’ o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990” (art. 5-bis comma 3). La Plenaria risolve la predetta questione ritenendo che il rapporto fra le due discipline generali dell’accesso (documentale e civico) e fra dette e quelle settoriali (fra cui
l’art. 53 Codice appalti) non possa essere letto in termini di “specialità” (e, quindi, d’esclusione) delle seconde a scapito delle prime, ma secondo un canone di “completamento / inclusione”, in cui il rapporto vada indagato “caso per caso” ed il cui (eventuale) ‘conflitto’ risolto non precludendo l’applicabilità di una di dette discipline (generali) ad “interi ambiti di materie”. A riprova di ciò i giudici della Plenaria ricordano come l’accesso documentale in gara possa essere precluso in relazione alle informazioni fornite da un concorrente nell’ambito della propria offerta e della sua giustificazione, sempreche vi siano “segreti industriali e commerciali”; l’accesso generalizzato, al contrario, non può in assoluto venir precluso, rispetto ai medesimi documenti, una volta che, terminata la gara (nonché i termini di sua eventuale impugnazione) l’istante proponga una richiesta d’accesso generalizzato. È dunque necessario che la P.A. indaghi la portata dell’accesso e comprenda se i limiti posti dal Legislatore a determinati casi d’accesso documentale sia del tutto incompatibile (o meno) con quello civico generalizzato. Da ciò ne consegue come la Plenaria testualmente stabilisca che “la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e,in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.” In conclusione, quindi, si può affermare come il 3° principio preveda che l’accesso civico generalizzato operi di diritto nel nostro ordinamento, senza che sia necessaria una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività, anche in specifiche materie (quale quella dei contratti pubblici). Anzi in detta materia le esigenze dell’accesso civico assumono una particolare connotazione in quanto fisiologiche conseguenze della stessa natura delle procedure “ad evidenza pubblica”, per cui, in tale ambito, l’accesso civico generalizzato non solo è consentito ma risulta addirittura “doveroso perché connaturato, per così dire, all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica» ed opera «in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti”.
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normazione Cristina Lenoci - Foro Romano
Codice dei Contratti Pubblici: la necessaria rivisitazione non può essere rimessa ad iniziative estemporanee
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n questi ultimi anni assistiamo a ripetuti interventi normativi che, nell’esigenza di fronteggiare una qualsiasi forma di emergenza, sono tesi ad introdurre correttivi o deroghe al Codice dei contratti pubblici approvato con il D. Lgs. n. 50/2016. La forte crisi economica e la pressante esigenza di un rilancio hanno recentemente indotto il Legislatore ad innestare, attraverso la decretazione d’urgenza (vedi da ultimo il D.L. n. 32/2019, c.d. “Sblocca cantieri”), una serie di importanti modifiche nel corpo normativo di cui al D. Lgs. n. 50/2016, in alcuni casi stravolgendo la filosofia e la ratio di alcuni istituti (si pensi all’inversione del rapporto gerarchico fra i criteri di aggiudicazione negli appalti sotto soglia in un’ottica di semplificazione ed accelerazione delle procedure; ovvero, ancora, al ridimensionamento dello spazio operativo assegnato alle Linee Guida ANAC ed al sistema di soft law). Per altro verso, la legislazione emergenziale vigente nell’attuale periodo di diffusione epidemiologica da Covid-19 prevede diverse deroghe al Codice, con specifico riferimento all’approvvigionamento dei beni. Nella medesima prospettiva, non si contano le gestioni “commissariali” delle emergenze e il relativo corredo di poteri straordinari e derogatori assegnati proprio nell’ambito degli appalti pubblici. Emblematici sono, in tal senso, l’esperienza legata al sisma del 24 agosto 2016 e gli interventi urgenti che ne sono scaturiti in favore delle popolazioni colpite (cfr. D.L. 17 ottobre 2016, n. 189). Più recente è l’intervento normativo contenuto nel D.L. 28 settembre 2018, n. 109 (convertito in legge dall’art. 1, comma 1, della L. 130/2018), recante “Disposizioni urgenti per la città di Genova” in seguito al crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell’autostrada A10, noto come ponte Morandi. Il decreto ha previsto la nomina di un Commissario straordinario per la ricostruzione, al fine di velocizzare le operazioni di ripristino dell’infrastruttura e, al contempo, ha dettato specifiche disposizioni volte a semplificare le procedure per l’affidamento di lavori, forniture e servizi in relazione alle
esigenze del contesto emergenziale. A tal ultimo proposito, l’art. 1, comma 7, del suddetto D.L. n. 109/2018 stabilisce che “il Commissario straordinario affida, ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, la realizzazione delle attività concernenti il ripristino del sistema viario, nonché quelle connesse, ad uno o più operatori economici diversi dal concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento e da società o da soggetti da quest’ultimo controllati o, comunque, ad esso collegati, anche al fine di evitare un ulteriore indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali e, comunque, giacché non può escludersi che detto concessionario sia responsabile, in relazione all’evento, di grave inadempimento del rapporto concessorio”. Viene, pertanto, individuato uno strumento di semplificazione e accelerazione procedimentale nella “procedura negoziata senza bando”, qual è quella disciplinata dall’art. 32 della direttiva 2014/24/UE, secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare appalti pubblici mediante il meccanismo della “negoziazione” in presenza di casi tassativamente identificati. Fra le ipotesi enumerate, la norma indica le “ragioni di estrema urgenza derivanti da eventi imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice” come possibilità di deroga ai “termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione”, che quindi “non possono essere rispettati. Le circostanze invocate per giustificare l’estrema urgenza non sono in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici” [cfr. art. 32, comma 2, lettera c) direttiva cit.]. Si tratta, invero, di un sistema di affidamento degli appalti che è già noto al nostro ordinamento, trovando addentellato nella disposizione normativa di cui all’art. 63, comma 2, lett. c) del D. Lgs. n. 50/2016, i cui presupposti applicativi ricorrono tutti nella situazione di emergenza che il decreto “Genova” è stato chiamato a fronteggiare (ovvero ragioni di estrema urgenza derivanti
normazione da eventi imprevedibili e non imputabili all’amministrazione aggiudicatrice). L’elemento di novità risiede, invece, nel prescritto divieto di affidamento dei lavori al concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento e a società o soggetti da quest’ultimo controllati o, comunque, ad esso collegati, ciò “anche al fine di evitare un ulteriore indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali e, comunque, giacché non può escludersi che detto concessionario sia responsabile, in relazione all’evento, di grave inadempimento del rapporto concessorio” (cfr. art. 1, comma 7, D.L. n. 109/2018 cit.). La ratio di tale preclusione risiede nell’“impossibilità di escludere che il crollo del viadotto del Polcevera sia ascrivibile a responsabilità dell’attuale concessionaria e, quindi, all’esigenza di evitare un ulteriore indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali” (cfr. art. 1, comma 7, ultimo cpv., D.L. n. 109/2018). Tanto è precisato nelle Ordinanze del 6 dicembre 2019, n. 928, n. 929, n. 930, n. 931, n. 932, con le quali il Tar Liguria ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale del citato disposto normativo in relazione agli artt. 3, 24, 41 e 111 Cost.. Rileva, in proposito, il TAR che “le misure escludenti adottate dal legislatore non si fondano… sull’accertata responsabilità della concessionaria autostradale o su elementi atti a fornire anticipata evidenza di tale eventualità, bensì su un assunto ipotetico e perplesso relativo alla ‘non certa irresponsabilità’ della concessionaria medesima che, in quanto tale, palesa anche aspetti di incoerenza rispetto al principio di non arbitrarietà delle scelte legislative.” Tali profili di irragionevolezza ed arbitrarietà si stagliano con evidenza ancora maggiore nel caso delle società controllate dalla o collegate alla concessionaria, stante la loro “incontestata estraneità alla causazione dell’evento che ha determinato l’adozione della misura escludente” e “l’attuale insussistenza di un regime concorrenziale nell’ambito delle concessioni autostradali” ad esse riferibili (cfr. Tar Liguria, sez. I, Ordinanza n. 930 del 06.12.2019). In attesa che la Consulta si pronunci sul merito della questione, per quanto sin qui detto, ferme restando le criticità del metodo utilizzato dal Legislatore per sopperire alla perdurante e grave assenza di un intervento riformatore organico di tutto l’ordito delle norme regolanti la materia degli appalti, detto inter-
vento è e resta, invece, evidentemente urgente e non più differibile, come è testimoniato dalla numerose “correzioni” fino ad oggi apportate al Codice (vedi su tutte il D. Lgs. n. 56/2017 e il già menzionato D.L. n. 32/2019) e dai reiterati “espedienti” normativi a cui lo stesso Legislatore ha fatto ricorso per scardinare la rigidità delle prescrizioni codicistiche in nome della maggiore rapidità e flessibilità d’azione richiesta, soprattutto, nelle fasi emergenziali. Non è più tollerabile che la necessaria rivisitazione della disciplina legislativa contenuta nel vigente Codice dei Contratti Pubblici, che per definizione rappresenta uno strumento di classificazione normativa complesso e sedimentato, sia rimessa ad iniziative estemporanee, contingenti e prive della necessaria sistematicità, con il rischio di ingenerare ulteriore confusione, di produrre soluzioni frettolose ed errate e di concorrere ad una già ipertrofica stratificazione delle leggi di settore. In questo senso il D.L. n. 32/2019, c.d. “Sblocca cantieri”, rappresenta la plastica dimostrazione di un intervento normativo che, pur mosso dal lodevole e condivisibile intento di rispondere ad istanze di semplificazione delle procedure e delle regole codicistiche, nell’ottica di un rilancio dell’economia, ha finito per rivoluzionare, nel breve volgere di qualche mese, molte delle idee “fondanti” recepite nel nuovo Codice, in buona parte obliterando i risultati di un iter legislativo lungo e gravido di momenti di studio e approfondimento (tipico dei decreti “delegati”). Allo stesso modo, deve esprimersi più di qualche perplessità sulle proposte di emendamento al decreto “Cura Italia”, recentemente formulate dall’Anci con specifico riferimento ad alcune norme del Codice. Anche in questo caso il ragguardevole obiettivo di apportare le dovute modifiche ad un impianto normativo che si è rivelato inadeguato alle istanze del mercato e dell’economia sembra essere perseguito nell’impeto e nella contingenza della fase emergenziale e nella totale assenza di un approccio meditato e organico che una materia così complessa e articolata invece richiede. Auspichiamo, pertanto, che il Governo affronti una volta per tutte e in maniera seria la questione, non più rinviabile, di una riforma complessiva e strutturale del Codice degli appalti, che, pure in un’ottica di semplificazione e sburocratizzazione, resti aderente alla disciplina comunitaria, abbandonando la logica.
La necessaria rivisitazione della disciplina legislativa contenuta nel vigente Codice dei Contratti Pubblici non può essere rimessa ad iniziative estemporanee con il rischio di concorrere ad una già ipertrofica stratificazione delle leggi di settore
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normazione Maurizio Zoppolato - Studio Legale Zoppolato & Associati - Milano
L’anticipazione del pagamento agli appaltatori, misura unica (finora) e piena di perplessità introdotta dalle leggi emergenziali negli appalti
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ell’ambito dell’alluvionale produzione normativa tesa a fronteggiare l’emergenza pandemica e le sue conseguenze economiche e sociali, spicca la pressoché totale assenza di disposizioni sugli appalti. Certo, sono intervenute alcune previsioni sugli approvvigionamenti di materiale sanitario urgente1; ma, fuori dalle strette necessità connesse all’emergenza sanitaria, ogni intervento sulla disciplina dei contratti pubblici risulta rinviato al futuro “Decreto Legge Semplificazioni”. Si tratta certamente di una lacuna grave: la contrattualistica pubblica richiede accelerazione e semplificazioni nell’emergenza, ancor più che nell’ordinario, e dovrebbe costituire il primo combustibile del percorso di ripresa economica, da agevolare normativamente in ogni modo legittimo ed efficiente. Il che vale a maggior ragione in ambito sanitario, per i fondi a disposizione e per le necessità manifestate durante l’emergenza (oltre che, verrebbe da dire, per i meriti che il settore ha dimostrato, che andrebbero compensati con adeguati investimenti anche strutturali). Invece, non solo i molteplici decreti (legge o presidenziali o ministeriali) non hanno previsto nulla; ma addirittura, rispetto alla bozza del D.L. “Rilancio” circolata sino al giorno stesso della sua approvazione, è stato all’ultimo momento stralciato proprio l’articolo che contemplava una serie di misure acceleratorie sugli appalti pubblici. Così, a parte l’esenzione dal pagamento ANAC per i concorrenti a gare pubbliche indette dopo il 19 maggio 2020 (ben poca cosa, in effetti), nel Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 (appunto, il D.L. “Rilancio”) è rimasta
all’art. 207 solo una norma, titolata come “urgente per la liquidità delle imprese appaltatrici”, relativa unicamente alle anticipazioni. L’anticipazione del compenso di appalto Dopo ondivaghe vicende legislative tra la fine degli anni ‘80 del secolo scorso e i tempi recenti, a seguito della legge 55/2019 di conversione del c.d. “D.L. Sbloccacantieri” (D.L. 32/2019), l’attuale versione dell’articolo 35 comma 18 del Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) prevede una anticipazione del 20% del prezzo di appalto, da corrispondere entro 15 giorni dall’inizio della esecuzione, per tutti gli appalti di lavori, servizi e forniture. Ecco dunque la novità emergenziale Il citato art. 207 del D.L. 34/2020, nei suoi due commi, aumenta al 30% la percentuale di tale anticipazione rispettivamente per le gare in corso e future (primo comma) e per i contratti già affidati (secondo comma). In effetti, l’incremento dell’anticipazione potrebbe rappresentare una significativa “boccata di ossigeno (finanziario)” per le imprese di tutti i settori, duramente colpite dalla crisi indotta dalla pandemia. Sennonché la formulazione dell’art. 207 appare talmente infelice ed equivoca da lasciar presumere il sorgere di complesse questioni e controversie; il che, se può far felici gli avvocati del settore (e chi scrive è avvocato del settore), certamente non pare coerente con gli obiettivi perseguiti almeno dal titolo dell’articolo e con le urgenze della situazione.
1 Si vedano: Art. 34 DL 2 marzo 2020 n. 9: «Il dipartimento di protezione civile e i soggetti attuatori … sono autorizzati … ad acquisire dispositivi di protezione individuali (DPI) … e altri dispositivi medicali … in deroga al d.lgs. 50/2016». Art. 17 DL 17 marzo 2020 n. 18: Disposizioni urgenti in materia di sperimentazione dei medicinali e dispositivi medici, che attribuisce ad AIFA la possibilità di accedere a tutti i dati sugli studi sperimentali e gli usi compassionevoli dei medicinali, per pazienti con COVID-19. Art.72 DL 17 marzo 2020 n. 18, per gli interventi per l’internazionalizzazione del sistema Paese (promozioni all’estero, n.d.r.), in base al quale i contratti di lavori, forniture e servizi possono essere aggiudicati con la procedura di cui all’art. 63, comma 6, del D.Lgs. 50/2016. Art. 99 comma 3 DL 17 marzo 2020 n. 18: «L’acquisizione di forniture e servizi da parte delle aziende, agenzie e degli enti del SSN da utilizzare nelle attività di contrasto dell’emergenza COVID-19, qualora sia finanziata in via esclusiva tramite donazioni di persone fisiche o giuridiche private … avviene mediante affidamento diretto, senza previa consultazione di due o più operatori, fino all’importo di 214.000,00 €».
normazione Che dire? “Già che avete lasciato una sola norma, almeno scrivetela bene”. Ma no.
ne … può essere riconosciuta» (comma 2). Può, non deve. Senza alcuna indicazione sui casi in cui la si debba o possa concedere. Trattandosi di una misura emergenziale per la liquidità delle imprese appaltatrici, logica vorrebbe che fosse pressoché automatica; ma la norma va chiaramente in direzione opposta. Quindi, pare una scelta discrezionale; sicché l’eventuale richiesta dell’impresa (si veda sotto) ben può essere respinta, ma con diniego motivato.
Quali contratti? Apparentemente, tutti, sia da aggiudicare che in esecuzione. In particolare, il primo comma riguarda le gare in corso ma per le quali non sono scaduti i termini delle offerte, e tutte le gare da indire sino al 30 giugno 2021. Dal canto suo, il comma 2 comprende apparentemente tutte le ipotesi residue, «fuori dei casi previsti dal comma 1»: quindi i contratti già aggiudicati e in corso di esecu- Quanto? zione; e gli appalti da aggiudicare in procedure ancora Altra incertezza: i due commi, rispettivamente, affermano in itinere, ma per le quali sono già scaduti i termini di che l’anticipazione «può essere incrementata sino al 30%» e che l’importo deve essere «non presentazione delle offerte. superiore al 30%». Dato l’intento di includere Partendo dalla base normativa tutti gli appalti, appare incoerente la ripartizione in due La contrattualistica pubblica (il citato art. 35) che la fissa al 20%, potrebbe dunque spaziacommi delle varie ipotesi, se richiede accelerazione re dal 20,1% al 30%, ancora poi la disciplina è sostanzialuna volta senza che la norma mente uguale; anzi, come e semplificazioni si premuri di individuare vedremo tra poco, problemi nell’emergenza, ancor parametri di quantificaziosorgono proprio per la riparpiù che nell’ordinario, e ne. Laddove, sempre perché tizione in due commi distinti. dovrebbe costituire il primo si tratta di misura emergenziale in favore delle imprese, Anche servizi e forniture combustibile del percorso dovrebbe essere automatica la precedenti? Nella versione originaria, di ripresa economica, da concessione nel massimo. Anche qui, dunque, scelta l’articolo 35 del Codice preagevolare normativamente discrezionale, con motivazione vedeva l’anticipazione solo in ogni modo legittimo ed interamente lasciata all’ufficio per gli appalti di lavori; come che decida di erogarla. accennato, la legge 55/2019 efficiente Almeno per fugare timori, si l’ha estesa anche agli appalti può osservare che, essendo di servizi e forniture. prevista da una norma (per di La modifica riguarda i contratti affidati a seguito di gare indette dopo il giugno 2019, più emergenziale e in favore delle imprese), chi conceda una anticipazione maggiorata, anche sino al massimo, non sicché ha trovato sin qui modesta applicazione. Ora però il comma 2 dell’articolo 207 ammette l’incre- può in nessun modo risponderne in termini di responsamento dell’anticipazione sino al massimo del 30% «anche bilità erariale. in favore degli appaltatori … che abbiano già dato inizio Ovviamente, qualora l’appaltatore abbia già percepito alla prestazione senza aver usufruito di anticipazione»: l’anticipazione al 20%, l’incremento comporta solo una senza esigere che l’anticipazione fosse comunque prevista maggiorazione: il che pare essere il senso dell’ultimo alinea del secondo comma, secondo cui «la determinazione contrattualmente. Sembra discenderne che tutti i contratti di servizi e forni- dell’importo massimo attribuibile viene effettuata dalla stature in corso, anche se affidati prima della legge 55/2019 zione appaltante tenendo conto delle eventuali somme già e quindi senza anticipazione, vedano ora la possibilità di versate a tale titolo all’appaltatore»; anche se il “a tale titolo” una “anticipazione in corsa”. Possibilità, appunto, per- appare oscuro almeno per la grammatica, dato che né in questo passaggio, né nelle frasi che lo precedono si menché… ziona nulla che possa configurare un “titolo”. Obbligatoria? Neanche per sogno. L’importo dell’anticipazione «può E rispetto ai lavori già svolti? essere incrementato» (comma 1) e addirittura «l’anticipazio- Si è visto che il secondo comma prevede la possibilità di
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bacchettone normazione incremento dell’anticipazione anche per gli appalti in via di esecuzione, purché l’anticipazione non superi il “30% del prezzo”. Sennonché, se l’appalto è in esecuzione, è ben possibile che una parte delle prestazioni sia già stata eseguita e remunerata; e la norma non prevede riduzioni per questa eventualità. Vero è che lo stesso secondo comma richiama (tra gli altri) il quinto alinea dell’art. 35 comma 18 del Codice; secondo cui l’anticipazione è recuperata durante l’esecuzione, in proporzione ai pagamenti. Così, si dovrebbe concludere che se l’anticipazione è recuperata progressivamente, allora anche al momento di erogarla occorre ridurla in proporzione ai compensi già percepiti dall’appaltatore; pur se così non è più una percentuale “del prezzo”, come recita l’art. 207, ma una percentuale dell’importo residuo da percepire.
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Con quali risorse? Entrambi i commi confinano l’anticipazione «nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante». Che si tratti di risorse a disposizione sarebbe pacifico, trattandosi di una anticipazione sul compenso contrattuale, per definizione incluso tra gli importi a disposizione; quel che rileva è quindi il riferimento “annuale”: se il contratto è pluriennale, e le somme stanziate per il primo anno non consentono l’anticipazione, deve essere negata. A quali condizioni? Solo il secondo comma richiama l’articolo 35, comma 18, periodi dal secondo al quinto, relativi alla garanzia e al recupero progressivo. Nulla viene invece indicato nel primo comma, né il secondo si preoccupa di estendere al primo questo passaggio. Letteralmente, si dovrebbe concludere che le anticipazioni del primo comma (gare in corso con termini per le offerte ancora aperti e gare future) non debbano essere garantite e neppure recuperate progressivamente. Ma per logica, il richiamo sembra invece da riferire a tutte le anticipazioni
future. Dunque, la corresponsione dell’anticipazione è necessariamente coperta da garanzia di pari importo aumentato degli interessi fino al recupero, rilasciata da banca, compagnia assicuratrice o intermediario finanziario; e l’importo è recuperato progressivamente. Da restituire in caso di ritardi? Però non sono richiamati i periodi 6 e 7 dell’art. 35 comma 18; secondo i quali, in caso di ritardi (imputabili all’esecutore) nell’esecuzione rispetto ai tempi contrattuali, l’appaltatore decade dall’anticipazione con obbligo di restituzione, maggiorata di interessi legali. Salvo che la legge di conversione non ponga rimedio, qui non ci sono margini interpretativi neppure per l’esperto più smaliziato: il mancato richiamo proprio di quei due periodi esime dall’obbligo di restituzione, in caso di ritardi. Con una ulteriore complicazione: se nel contratto era già prevista l’anticipazione del 20% in base all’art. 35, a quella si applica l’obbligo di restituzione; mentre l’appaltatore può trattenere l’eccedenza sino al 30%. Dove sia la logica, è un altro discorso. Come e quando? Infine, l’art. 207 non precisa né le modalità di richiesta, né la tempistica. Certamente la richiesta è con modalità libera, non occorrendo formalità (ad es. riserva) o termini particolari. Più complessa la questione della tempistica per l’erogazione, a fronte della domanda dell’impresa. Infatti, l’art. 35 comma 18 prevede il termine di 15 giorni per l’erogazione dell’anticipazione, dopo l’avvio della prestazione; ma lo prevede al primo periodo, che non è tra quelli richiamati dal secondo comma dell’art. 207. Apparentemente, quindi, la stazione appaltante non ha un termine né per pronunciarsi sulla domanda di anticipazione, né per erogare il relativo importo. Il che, per una “disposizione urgente per la liquidità delle imprese appaltatrici” assunta in piena emergenza pandemica, costituisce il paradosso finale.
confindustria DM Enza Colagrosso - TEME
Confindustria DM: Servono politiche industriali mirate e una revisione delle modalità di acquisto
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ernanda Gellona, Direttore generale, Confindustria Dispositivi Medici, si è mostrata disponibile a raccontare il punto di vista dell’industria su quello che in questi giorni, è il giallo delle mascherine chirurgiche, grandi assenti nella lotta contro il Covid19. L’industria, nel prendere la parola, disegna un quadro in cui solo delle scelte errate, fatte nell’ambito delle politiche industriali e degli acquisti, hanno determinato la mancanza di questo dispositivo medico in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo. Un dispositivo medico, come le mascherine chirurgiche, oggi così importante per contrastare la diffusione del Coronavirus perché è stato, ed è così difficile da reperire? In Italia, a causa dei prezzi portati ad un livello molto basso, la produzione di questi dispositivi medici non esiste più già da diverso tempo. Tutta la produzione si è spostata in Cina, principalmente ad Wuhan, mentre sul nostro territorio sono rimaste solo le aziende che distribuiscono il prodotto cinese. La Cina, ormai da diversi anni, produce mascherine chirurgiche non solo per noi, ma per tutta l’Europa. Per far chiarezza inoltre torno a ripetere che quasi tutta la produzione di questo dispositivo medico è concentrata a Wuhan, nella zona quindi da cui è partita la pandemia. Ecco perché, scoppiato il Coronavirus, la produzione si è bloccata a fronte, almeno nel nostro paese, di una totale assenza di riserve. Cosa intende per totale assenza di riserve, vuol dire che
i nostri magazzini sono vuoti? Perché? I tagli alla sanità hanno prodotto quelle che potremmo definire nuove scelte nel fare acquisti. Per risparmiare non si compra più prevedendo delle riserve, gli ordini vengono fatti man mano che gli armadi si svuotano. La totale assenza di riserve ha prodotto quello che abbiamo vissuto in Italia nel momento in cui la Cina ha interrotto la sua produzione. A fine pandemia spero che, sulla base dell’esperienza vissuta, si arrivi a fare una lucida riflessione sulle conseguenze dell’esternalizzazione completa di una produzione e su un sistema di gare d’appalto, per lo più giocate solo sul prezzo più basso, che produce, tra l’altro, proprio l’esternalizzazione. Ad un certo punto le mascherine chirurgiche sono riapparse sul mercato ma con prezzi a dir poco inaccessibili per l’uso che se ne dovrebbe fare contro il Covid19. Questa è la conseguenza della più antica legge del mercato: a fronte di un forte incremento della domanda è salito il prezzo. Quando la Cina ha potuto riaprire la sua produzione si è trovata davanti a una grande richiesta del mercato ed ha alzato i prezzi. Ci sono state delle aziende che hanno cercato di riconvertire la loro produzione, per portare mascherine italiane sul mercato. Si, e a mio avviso giustamente. L’Italia ha deciso di promuovere la riconversione e così molti industriali hanno pensato di trasformare la loro attività tornando a produrre questi dispositivi medici, in Italia. A questo
I tagli alla sanità hanno prodotto quelle che potremmo definire nuove scelte nel fare acquisti. Per risparmiare non si compra più prevedendo delle riserve, gli ordini vengono fatti man mano che gli armadi si svuotano
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punto è stato però inevitabile dover fare un distinguo tra mascherine chirurgiche e non chirurgiche; con marchiatura e senza marchiatura; per capire bene cosa si andava a produrre e, non posso nascondere, che tutto ciò ha creato tanta confusione. Le mascherine chirurgiche sono dispositivi medici, e come tali per circolare sul mercato devono avere il marchio CE. Poi è arrivata una deroga che ne permetteva la diffusione anche senza marchio CE, previa però la validazione dell’Istituto superiore di sanità. Tutte queste regole, che molti vedono solo come mera “burocrazia” sono in realtà norme che vengono applicate a tutela della nostra salute. Sono quindi i tempi di validazione a rallentare l’arrivo del prodotto sul mercato? No, i tempi di validazione sono velocissimi, massimo 3 giorni. Questo è uno dei punti su cui si è generata tanta confusione. La validazione è velocissima, sono le aziende che spesso non hanno fornito la documentazione corretta. Solo per questo, a fronte di circa 700 domande presentate all’Istituto superiore di sanità sono pochissime le imprese che hanno avuto il via libera alla produzione e alla commercializzazione del prodotto. Tale situazione rappresenta l’ulteriore conferma del fatto che una mascherina chirurgica non è un prodotto banale, ma è un dispositivo medico pensato per la salvaguardia della nostra salute. In questi giorni la querelle si è spostata però sul prezzo. Arcuri chiede una distribuzione al costo di 0,50 centesimi, ma il mercato sembra far di nuovo un passo indietro di fronte a tale richiesta. L’Istituzione ha pensato di chiudere un accordo con un pool di aziende italiane garantendogli l’acquisizione di tutta la produzione. Si è pensato che in tal modo il prodotto, fatto e commercializzato in Italia potesse mantenere un prezzo molto contenuto. Soluzione, a mio avviso assolutamente legittima da parte dello Stato, tanto più in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo. Il problema è sorto quando, stretto l’accordo, sempre l’Istituzione ha imposto il prezzo delle mascherine: (e lo ha potuto fare perché viviamo un’emergenza altrimenti voglio ricordare che il nostro è un mercato libero, in cui il prezzo è per lo più stabilito con gare pubbliche) l’ormai noto 0,50 centesimi. I risultati sono nelle cronache di questi giorni, ma in definitiva quello che si è prodotto è un nuovo arresto della produzione e della commercializzazione perché il prezzo imposto non copre le spese. La Spagna, ad esempio, ha fatto una cosa simile, ma ha imposto un prezzo di 0,90 che ha già molto più senso. Il Commissario, invece ha voluto uscire con un diktat di grande impatto mediatico ma il risultato, secondo noi, è stato una sorta di boomerang visto che
le mascherine non sono arrivate. Forse un incontro con l’associazione di categoria per conoscere meglio il mercato e pianificare le azioni avrebbe potuto essere utile. Parlando di distributori, si è poi ragionato di prevedere dei rimborsi per i farmacisti. Si, è stata avanzata l’eventualità, per i farmacisti, di essere rimborsati della differenza del costo da loro sostenuto. Discorso però che per esempio, non è stato fatto ai distributori. Noi abbiamo preso contatto con alcune aziende proprio per avere un’idea chiara della situazione e ci siamo sentiti dire che solo per rientrare nei costi di spesa, si dovrebbe arrivare alla cifra di 0,60/0,70 centesimi a fronte dello 0,50 imposto. A questo punto è chiaro che Arcuri ha fatto uno sbaglio di valutazione importante. Non voglio far finta di non sapere che ciò può esser stato anche prodotto da alcune speculazioni inaccettabili che ci sono state, speculazioni inaccettabili soprattutto per noi, cioè per quelle imprese serie che non hanno speculato. Siamo stanchi di passare sempre per quelli che hanno un comportamento un po’ “furbesco” perché in realtà di aziende serie che non hanno speculato, ce ne sono tantissime e continuano a produrre e distribuire nonostante abbiamo un monte crediti con la Pubblica amministrazione pari a circa 2 miliardi. Quella che stiamo vivendo è una situazione di emergenza e noi non stiamo certo chiedendo aiuti o finanziamenti, ci basterebbe soltanto che ci pagassero il dovuto e questo rappresenterebbe un primo grande segnale di rispetto, mentre l’atteggiamento avuto dal commissario Arcuri ovviamente non si può leggere come un segnale di rispetto. Un’ultima riflessione vorrei farla sul tipo di domanda che è stata rivolta al mercato. Si dice che sia mancata una regia attenta. Vero? Direi proprio di sì, è mancata, e cerco di spiegarle perché. Protezione Civile, Istituto superiore di sanità, Regioni, Commissario straordinario tutti hanno iniziato a chiedere gli stessi dispositivi, magari per la stessa struttura, in modo assolutamente disordinato. Perché se un soggetto chiede dei dispositivi per un ospedale, ma poi ne arriva un altro e chiede sempre dei dispositivi per quell’ospedale e poi ancora un altro e ancora un altro fanno la stessa richiesta, il mercato percepisce che il bisogno di quell’ospedale si sia quadruplicato cosa che nella realtà non è poi vero. A tal proposito noi abbiamo più volte segnalato come si stesse generando il rischio di produrre una domanda ben superiore ai reali bisogni e, come questo modo di procedere, potesse mandare in confusione sia il mercato che le nostre aziende che, voglio ricordarlo, appartengono ad una filiera che genera PIL.
normazione Vincenza Di Martino - avvocato cassazionista
Indicazione separata dei costi della manodopera: l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenze nn. 7-8/2020) chiarisce i termini dell’obbligatorietà a pena di esclusione
L’
art. 95, comma 10, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (d’ora in poi solo il “Codice”), come emendato dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, impone agli operatori economici che partecipano alle gare pubbliche di indicare separatamente (i) i costi della manodopera e (ii) gli oneri aziendali della sicurezza. La normativa in argomento è stata variamente interpretata dalla giurisprudenza amministrativa che, in taluni casi, ha ritenuto legittima l’esclusione automatica dell’operatore economico che aveva omesso l’indicazione dei costi della manodopera e, in altri, ha inteso favorire i principi di libera concorrenza e massima partecipazione ammettendo il ricorso al soccorso istruttorio. In considerazione del contrasto giurisprudenziale formatosi tra diverse Sezioni del Consiglio di Stato, l’Adunanza Plenaria è stata investita della questione e, prima di prendere una decisione definitiva, ha interrogato, a sua volta, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla compatibilità della suddetta normativa con il diritto eurounitario. La decisione, infatti, involge profili di libera concorrenza e di massima partecipazione alle gare già affrontati in precedenza dalla CGUE1. All’esito, sono state pubblicate le sentenze del 2.04.2020, nn. 7 e 8, con le quali, come si dirà meglio infra, il
Consiglio di Stato ha risolto il contrasto giurisprudenziale chiarendo in quali casi si debba procedere all’esclusione dell’operatore economico che non abbia indicato separatamente, nella propria offerta, i costi relativi alla manodopera. Per comprendere la decisione è necessario passare brevemente in rassegna le due tesi contrapposte. La giurisprudenza favorevole all’esclusione automatica Un primo indirizzo giurisprudenziale sosteneva che la violazione dell’art. 95, comma 10, comportasse l’esclusione automatica dell’operatore economico in ragione della natura imperativa della norma. Nel caso di omessa indicazione separata dei costi della sicurezza aziendale (fattispecie del tutto analoga a quella dei costi della manodopera), il Consiglio di Stato aveva chiarito che “l’inadeguata indicazione degli oneri per la sicurezza cc.dd. ‘interni o aziendali’ non lede solo interessi di ordine dichiarativo o documentale, ma si pone ex se in contrasto con i doveri di salvaguardia dei diritti dei lavoratori cui presiedono le previsioni di legge, che impongono di approntare misure e risorse congrue per preservare la loro sicurezza e la loro salute”.2 Conseguentemente, non sarebbe stato applicabile il soccorso istruttorio, perché la carenza rientrava tra le mancanze essenziali “afferenti all’offerta economica
Ai sensi dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. 50/2016, vanno esclusi dalla gara gli operatori economici che non hanno indicato separatamente i costi della manodopera a prescindere dalla circostanza che tale onere fosse previsto dalla lex specialis di gara
1 Cfr. CGUE Causa C-309/18 (Lavorgna S.r.l. c./ Comune di Montelanico) 2 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 7.02.2018, n. 815.
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normazione e all’offerta tecnica” (cfr. art. 83, comma 9, del Codice). La regolarizzazione tramite il soccorso istruttorio sarebbe in contrasto con “il generale principio della par condicio concorrenziale, consentendo in pratica a un concorrente (cui è riferita l’omissione) di modificare ex post il contenuto della propria offerta economica”. Tutto ciò, si badi, anche nel caso in cui la lex specialis non avesse previsto l’obbligo di indicare separatamente tali costi. La giurisprudenza contraria all’esclusione automatica In antitesi rispetto all’orientamento giurisprudenziale più “rigorista” si è collocato un secondo orientamento, maggiormente incline a valorizzare il principio del favor partecipationis. Secondo questo diverso indirizzo, la violazione dell’obbligo sancito dall’art. 95, comma 10, del Codice, non poteva comportare automaticamente l’esclusione, ma tutt’al più legittimare il soccorso istruttorio3. Questo approdo trovava il proprio fondamento in un duplice ordine di ragioni: (i) da una parte, l’art. 95, comma 10, non prevede la sanzione escludente in caso di violazione dell’obbligo ivi previsto; (ii) dall’al3 Cfr. Cons. Stato, sez. III, 27.4.2018, n. 2554. 4 Cfr. sempre Cons. Stato, sez. III, 27.4.2018, n. 2554.
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tra, bisogna garantire un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in parola tendente, per l’appunto, alla massima partecipazione. Infatti, la ratio ispiratrice della legge delega n. 11 del 2016 era quella di perseguire la “sburocratizzazione” delle procedure di gara, puntando a limitare al minimo gli oneri amministrativi in capo ai privati. In conclusione, “l’isolato esame dell’art. 95, comma 10, del d. lgs. n. 50 del 2016 non è, dunque, in sé decisivo, … per affermare il suo carattere imperativo, a pena di esclusione, e l’effetto ipso iure espulsivo della mancata formale evidenziazione degli oneri per la sicurezza nel contesto dell’offerta economica, poiché esso deve essere letto insieme con l’art. 97, comma 5, lett. c), dello stesso codice, il quale prevede al contrario – e in coerenza con l’art. 69, par. 2, lett. d), della Direttiva 2014/24/UE e con tutto l’impianto della nuova normazione europea – che la stazione appaltante escluda il concorrente solo laddove, in sede di spiegazioni richieste dalla stazione appaltante, detti oneri risultino incongrui”.4 Questo filone interpretativo si poneva in continuità con la giurisprudenza eurounitaria che, sotto
normazione la vigenza del d.lgs. 163/2006, aveva promosso un’interpretazione conforme al principio del “clare loqui”. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (nella sentenza “Pippo Pizzo”) aveva infatti stabilito senza mezzi termini che “il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di consentire all’operatore economico di regolarizzare la propria posizione e di adempiere tale obbligo entro un termine fissato
dall’amministrazione aggiudicatrice”5. Le sentenze nn. 7 e 8 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato Le decisioni “gemelle” dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato traggono origine da una gara in cui l’aggiudicatario non aveva indicato separatamente i costi della manodopera, ma era stato ammesso ad indicarli tramite il soccorso istruttorio. La seconda classificata impugnava l’aggiudicazione ed il TAR Puglia-Lecce, con la sentenza del 13 aprile 2018, n. 641, respingeva il ricorso richiamando il principio del legittimo affidamento; l’obbligo di indicare separatamente i costi della manodopera non era infatti previsto né nel bando, né nel disciplinare di gara e neppure nella modulistica predisposta dalla stazione appaltante. La ricorrente promuoveva appello dinanzi al Consiglio di Stato e la Sezione Quinta, rilevato un contrasto giurisprudenziale,6 deferiva all’Adunanza plenaria il compito di individuare la corretta interpretazione delle norme citate. La questione è in tal modo
5 CGUE, Causa C-27/15 (Pippo Pizzo c./CRGT Srl). Principio successivamente applicato in materia di costi aziendali, sempre dalla Corte di Lussemburgo, nella causa C-140/16 (Edra costruzioni). 6 Un primo indirizzo interpretativo faceva capo a Cons. Stato, sez. V, 7.2.2018, n. 815, cui hanno aderito Cons. Stato, sez. V, 28.2.2018 n. 1228; id. 12.3.2018, n. 1228; id. 25.9.2018, n. 653. Il secondo indirizzo interpretativo è stato, invece, patrocinato da Cons. Stato, sez. III, 27.4.2018, n. 2554.
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sintetizzabile: nonostante l’art. 95, comma 10, preveda un obbligo inequivocabile di indicare i suddetti costi, la sanzione automaticamente escludente è di origine pretoria, con la conseguenza che l’omesso richiamo nella lex specialis di tale norma è potenzialmente idoneo a trarre in inganno un operatore di ordinaria diligenza. Per questo, il Consiglio di Stato (forte anche di analoghe rimessioni effettuate da altri giudici) ha interpellato, a sua volta, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo se il diritto dell’Unione europea ostasse “… a una disciplina nazionale in base alla quale la mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, laddove la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione” . La Corte di Lussemburgo, in risposta alle questioni pregiudiziali sollevate da più parti, ha precisato che “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza … devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale … secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera … comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione” . La CGUE ha, però, puntualizzato che “se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”. Della risposta della Corte di Lussemburgo è stata fatta applicazione in alcune recenti pronunce del Giudice amministrativo7. Tuttavia, le incertezze non sono state definitivamente risolte dalla giurisprudenza UE, che ha
comunque lasciato un margine di discussione con riferimento all’ampiezza dell’eccezione alla regola. In poche parole, non è chiaro quando si versi nei casi in cui “le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche”. Quindi, la giurisprudenza nazionale si è immediatamente divisa: da una parte quella che ha limitato la portata di tale deroga ai soli casi di “impossibilità materiale” di indicare i costi della manodopera8, dall’altra quella che, invece, ha ricompreso in questa fattispecie anche i casi in cui “il modulo predisposto dall’amministrazione … non reca spazi per inserire i costi per la manodopera”, soprattutto nei casi in cui sia “precluso agli offerenti la presentazione di documenti che non fossero stati espressamente richiesti dall’amministrazione aggiudicatrice”.9 Le sentenze dell’Adunanza Plenaria hanno recepito il dictum della CGUE e hanno dato una lettura restrittiva dell’ipotesi eccezionale accennata dalla Corte di Lussemburgo chiarendo che, ai sensi dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. 50/2016, vanno esclusi dalla gara gli operatori economici che non hanno indicato separatamente i costi della manodopera a prescindere dalla circostanza che tale onere fosse previsto dalla lex specialis di gara10. L’obbligo di indicazione persiste, dunque, anche se non vi è un espresso richiamo nella lex specialis e se non vi sono indicazioni specifiche - o spazi appositi - nei modelli per la presentazione dell’offerta predisposti dalla stazione appaltante. L’unica eccezione a questa regola è ravvisabile nel caso di materiale impossibilità di indicazione, ipotesi che, secondo l’Adunanza Plenaria, è esclusa nel caso in cui altri concorrenti alla gara abbiano assolto l’onere di indicazione. La giurisprudenza di merito sembra essersi allineata a quanto statuito dall’Adunanza Plenaria11. Tuttavia, si segnala una recente pronuncia del TAR Lazio12 che, in ossequio ai richiamati principi di trasparenza e favor partecipationis, ha ammesso il soccorso istruttorio per il concorrente che non aveva potuto indicare i costi della manodopera per assenza di un apposito spazio nel modulo di offerta economica disponibile sul MePA, nonostante un altro partecipante avesse indicato detti costi con una dichiarazione separata. In conclusione la stazione appaltante non può esimersi dal valutare la singola fattispecie, ma soprattutto, per evitare argomenti di discussione in sede giudiziale, deve predisporre moduli per la formulazione dell’offerta economica con la previsione di un apposito spazio per l’indicazione dei costi della manodopera.
7 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 24.01.2020, n. 604; Cons. Stato, sez. V, 10.02.2020, n. 1008. 8 Cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 20.12.2019, ord. n. 8407. 9 Cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. II-bis, 4.02.2020 n. 1994. 10 Nel caso di specie, infatti, “… l’appellante … ha depositato in giudizio la documentazione della propria offerta, dalla quale si evince come la stessa avesse materialmente rispettato gli oneri dichiarativi di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, smentendo così per tabulas l’esistenza di una situazione impeditiva alla dichiarazione”. 11 Cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 23.4.2020, n. 4139. 12 T.A.R. Lazio – Roma, sez. III-ter, 1.06.2020, n. 5780.
normazione Stefano Cresta - Cresta & Associati - Torino, Milano, Bologna
Indicazione degli oneri di sicurezza aziendale e dei costi della manodopera nelle gare d’appalto: i recenti approdi della giurisprudenza interna ed eurounitaria
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ome noto agli operatori del settore, la tematica dell’indicazione, nelle offerte dei concorrenti a gare d’appalto sanitarie (e non) degli oneri della sicurezza c.d. aziendale nonché dei costi della manodopera contribuisce a una larga parte del contenzioso in materia1. Le applicazioni pratiche delle disposizioni vigenti in materia impingono su un duplice aspetto, nell’ottica
dell’Azienda appaltante: la possibilità o meno di esercitare il soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione dei costi della manodopera e degli oneri della sicurezza aziendale2. La valutazione dell’anomalia dell’offerta Ulteriori dubbi applicativi discendono poi, nell’ipotesi di indicazione di costi di sicurezza pari a zero3 (con riferimento all’effettivo rispetto delle norme in materia di
1 Occorre ricordare la distinzione presente nell’ordinamento tra “oneri di sicurezza” e “costi od oneri della sicurezza c.d. aziendale”, focalizzando l’attenzione ai fini del presente articolo su questi ultimi (indicati, breviter, anche solo, “oneri aziendali”). Gli oneri di sicurezza sono quelli derivanti dalla stima effettuata nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC) nei cantieri di lavori, ai sensi dell’articolo 100 del d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i., o dall’analisi effettuata dalla stazione appaltante, quando il predetto piano non sia previsto. Gli oneri aziendali della sicurezza attengono, invece, ai costi aziendali necessari per la riduzione o risoluzione dei rischi specifici propri dell’appaltatore, relativi sia alle misure per la gestione del rischio dell’impresa, sia alle misure operative per i rischi legati all’esercizio dell’attività di ciascun operatore economico e della propria organizzazione imprenditoriale. La differenza sostanziale, pertanto, tra le due categorie consiste nella diversità delle caratteristiche e della funzione dei relativi obblighi gravanti, rispettivamente, sulla stazione appaltante e sull’operatore economico. Infatti, mentre la quantificazione degli oneri di sicurezza per i cantieri è rimessa alle stazioni appaltanti, la determinazione e l’indicazione in sede di offerta dei costi aziendali della sicurezza rappresenta, invece, un obbligo posto a carico degli operatori economici concorrenti. Nel caso degli oneri di sicurezza (ovvero la stima dei costi connessi alle misure preventive e protettive finalizzate alla sicurezza dei lavoratori negli appalti di lavori), è la stazione appaltante a definirli secondo le prescrizioni di cui al d.lgs. n. 81/2008 e ad indicarli nel bando di gara, nel rispetto della normativa sulla prevenzione o riduzione dei rischi. Si tratta, dunque, di costi predeterminati, non suscettibili di ribasso in sede di offerta. Diversamente, gli oneri della sicurezza c.d. aziendale sono queli che l’impresa sostiene per attuare la normativa vigente in materia, relativi sia all’organizzazione della sicurezza aziendale, ovvero alle voci relative ai principali obblighi in materia di sicurezza di ogni operatore in base alla normativa vigente (banalmente: sedie e scrivanie da ufficio, dotazioni video per i dipendenti, corsi di formazione, etc.). La quantificazione degli stessi è indicata dall’operatore economico nella propria offerta, di cui costituisce un elemento essenziale (cfr. Consiglio di Stato, Adunanze Plenarie n. 19/2016 e n. 20/2016). Pertanto, la quantificazione di tali oneri (che varia da operatore ad operatore, in base all’organizzazione imprenditoriale di ciascuno) non è (né può essere) effettuata preventivamente dalla stazione appaltante, ed è quindi rimessa al singolo concorrente (che è tenuto ad indicarne l’importo in sede di offerta). Si tratta degli uni, dunque, sono oneri (rectius costi) non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze, gli altri sono oneri concernenti i costi specifici della sicurezza, connessi all’attività delle imprese, che devono essere indicati dalle stesse nelle rispettive offerte. I primi attengono, peranto, allo specifico appalto, per come definito dalla stazione appaltante, gli altri sono costi interni che l’impresa sostiene per la sicurezza nell’ambito dell’espletamento della propria attività economica (v. Delibera Anac, n. 100 dell’8.02.2017). 2 Si ricorda sul punto l’acceso dibattito giurisprudenziale tra due contrapposte posizioni interpretative: a) la prima, c.d. sostanzialista, a mente della quale - nel silenzio o, comunque, nella mancanza di una espressa sanzione di esclusione ex lege - l’omissione dell’informazione circa i costi della manodopera e gli oneri della sicurezza non comportava automaticamente l’esclusione dell’operatore economico laddove tali costi ed oneri della manodopera fossero estrapolabili dagli elaborati prodotti in sede di gara dal concorrente, nel caso, ammettendo anche la possibilità del c.d. “soccorso istruttorio” (v. ex muultis Tar Brescia 6.03.2020 n. 200); b) la seconda in virtù della quale la decisione di escludere il concorrente che avesse omesso la dichiarazione veniva legittimata, pur nel silenzio da parte della lex specialis di gara, sulla base del meccanismo di eterointegrazione dalla norma imperativa (ex art. 1339 c.c.), presupponendo che tale fosse l’art. 95, comma 10 del Codice (v. ex muultis Tar Firenze, Sez. III, 5.03.2020 n. 279). 3 Tar Campobasso, 3.06.2019, n. 204 che ha ritenuto inammissibile l’indicazione degli oneri della sicurezza “pari a zero”, affermando che: “in materia di appalti di lavori gli oneri per la sicurezza rappresentano un costo normalmente non eludibile, e che – a rigor di logica – eventuali vantaggi conseguiti in precedenti commesse, non assumono immediata e diretta rilevanza rispetto alla commessa a cui si riferisce la dichiarazione. Invero, l’obbligo dichiarativo concernente i costi della sicurezza non si stempera in una dimensione dinamica e soggettiva (rapportata cioè alla gestione dell’impresa nel tempo) ma ha una rigida rilevanza statica ed oggettiva, essendo volto ad esplicitare gli oneri in argomento rispetto alla esecuzione del singolo contratto, onde garantire, in concreto, il soddisfacimen-
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normazione sicurezza sui luoghi di lavoro da parte dei concorrenti alle gare) e di non indicazione ex lege (art. 95, c. 10 del Codice) dei costi della manodopera per le forniture senza posa in opera, con la conseguente necessità di definire quali tipi di forniture rientrino sotto tale etichetta4.
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La Corte di Giustizia conferma l’automatismo espulsivo mitigato solo dalla materiale impossibilità La Corte di Giustizia UE, pronunciando con la sentenza emessa dalla sez. IX, 2.05.2019, C‑309/18 su un rinvio pregiudiziale del Tar Lazio5, ha affermato che le norme nazionali del Codice sugli appalti, ove escludono il rimedio del soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione separata dei costi della manodopera (la pronuncia non ha preso in considerazione gli oneri della sicurezza), sono in linea di principio compatibili con la direttiva n. 2014/24/UE, salva tuttavia la situazione – che spetta al giudice nazionale verificare – in cui sussista una “materiale impossibilità”, per l’offerente, di indicare separatamente quei costi. In particolare il Tar capitolino ha posto il condivisibile quesito alla Corte di Giustizia circa la conformità o meno al diritto eurounitario della normativa nazionale che non consente il soccorso istruttorio, “nei casi in cui l’offerta economica, che non riporta l’indicazione dei costi della manodopera, sia stata redatta dall’impresa partecipante alla gara di appalto in conformità alla documentazione all’uopo predisposta dalla stazione appaltante”. In risposta al quesito i Giudici del Lussemburgo hanno affermato che: “I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principa-
le, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice”. Sinteticamente è possibile affermare che secondo la Corte di Giustizia l’obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza aziendale in sede di offerta discende dal combinato disposto dell’art. 95, comma 10 e dell’art. 83, comma 9 del Codice appalti. Inoltre, qualsiasi operatore economico “ragionevolmente informato e normalmente diligente” si presume sia a conoscenza dell’obbligo in questione (par. 27). Tuttavia, nei casi in cui il bando di gara preveda la compilazione di modelli dichiarativi ad uso obbligatorio, che risultino privi di “uno spazio fisico per l’indicazione separata dei costi della manodopera”, deve demandarsi al giudice la verifica della “materiale impossibilità” di evidenziare i costi in questione, legittimandosi – in presenza di circostanze idonee a “generare confusione” in capo agli offerenti – l’eventuale attivazione del soccorso istruttorio6.
Secondo la Corte di Giustizia l’obbligo di indicare separatamente gli oneri per la sicurezza aziendale in sede di offerta discende dal combinato disposto dell’art. 95, comma 10 e dell’art. 83, comma 9 del Codice degli appalti
to degli interessi pubblici di riferimento”. 4 La fornitura con posa in opera presuppone che per fruire del bene fornito sia necessaria un’attività ulteriore, accessoria e strumentale rispetto alla prestazione principale della consegna del bene, finalizzata alla messa in funzione dello stesso, mentre nella fornitura senza posa in opera il bene fornito può essere fruito immediatamente dal destinatario una volta consegnato (cfr. Tar Milano, IV, 19.07.2019, n. 4380). 5 Tar Lazio, sezione II-bis, ordinanza 24.04.2018, n. 4562. 6 A simili conclusioni era gia giunta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che – nel rimettere anch’essa la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea allo scopo di dirimere una controversia che aveva visto contrapposte alcune Sezioni del medesimo Consiglio − con le ordinanze del 24.01.2019, nn. 1, 2 e 3 aveva già affermato che le norme del nuovo codice dei contratti (in specie, il com-
normazione La Corte europea ha, pertanto, offerto un’interpretazione mitigata del c.d. “automatismo espulsivo”, in quanto nelle situazioni di accertata “materiale impossibilità” – concetto invero piuttosto astratto − di effettuare l’indicazione separata dei costi di manodopera, si riespande la piena possibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice “in considerazione dei principi della certezza del diritto, di trasparenza e di proporzionalità”, di procedere al soccorso istruttorio. Cenni alle norme di riferimento L’art. 95, c. 10 del Codice degli appalti prescrive che “Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a). Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d). L’art. 97, comma 5 lett. d) prevede, poi, che: “La stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni. Essa esclude l’offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa in quanto: […] d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16” Come noto – e come si specificherà nel prosieguo − tale norma contiene un errore lessicale in quanto le tabelle ministreriali (per pacifica giurisprudenza amministrativa) contengono valori medi e non minimi, con ricadute particolari sulle valutazioni di anomalia compiute dalla stazione appaltante. L’art. 83 comma 9 prevede, inoltre, che: “Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui
all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso dalla gara. Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa”. Le recenti posizioni della giurisprudenza nazionale sull’automatismo espulsivo per mancata indicazione di costi della manodopera ed oneri della sicurezza. Un’indicazione sulla “materiale impossibilità” citata dalla Corte di Giustizia come unico caso in cui la stazione appaltante può ancora esercitare il soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione dei costi della manodopera (e per estensione anche degli oneri di sicurezza aziendali) è stata recentemente offerta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze 2.04.2020, nn. 7 e 8. I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che, stante l’esaustività della decisione pronunciata dalla Corte Europea in relazione all’automatismo espulsivo, agli stessi non rimaneva nel caso di specie che delineare la portata dell’eccezione alla regola dell’esclusione automatica, collegata all’accertamento in fatto della possibilità di indicare le voci stesse nei modelli predisposti dall’amministrazione. Secondo la Plenaria, infatti, “ Va infatti ricordato che la citata sentenza della Nona Sezione, 2 maggio 2019, causa C-309/18, ha demandato al giudice del rinvio di verificare se nel caso di specie «fosse in effetti materialmente impossibile indicare i costi della manodopera conformemente all’articolo 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici e valutare se, di conseguenza, tale documentazione generasse confusione in capo agli offerenti, nonostante il rinvio esplicito alle chiare disposizioni del succitato codice” (punto 30), al fine di fare eventualmente applicazione del soccorso istruttorio”. Nel caso deciso dall’indicata decisione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “L’equazione indicata dalla Corte (materiale impossibilità di indicazione come fatto legittimante il soccorso istruttorio) è però nel caso di specie inficiata dagli elementi di fatto, la cui valutazione spetta
binato disposto dell’art. 83, comma 9, con l’art. 95, comma 10 del D. Lgs. n. 50/2016) devono essere interpretate nel senso di imporre l’esclusione dell’offerta in caso di mancata indicazione separata dei costi per la manodopera e per gli oneri di sicurezza, senza alcuna possibilità di invocare, da parte dell’impresa così esclusa, il rimedio del c.d. soccorso istruttorio. Più nello specifico secondo la Plenaria l’obbligo di dichiarare gli oneri nell’offerta “non costituisce affatto un adempimento meramente formale, in quanto la presenza della dichiarazione non preclude la verifica della sua correttezza sostanziale attraverso la richiesta ‘di spiegazioni’, di cui all’articolo 69 della Dir. 2014/24 (ed all’art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2014), che è tipica della fase successiva all’apertura delle offerte economiche ed ha un profilo eminentemente oggettivo”, anche se, a parere di chi scrive, tale verifica è stata codificata solo per i costi della manodopera e non anche per gli oneri della sicurezza. Secono Palazzo spada, quindi non si tratta di “soccorso istruttorio”, “che come tale afferisce propriamente alla fase dell’ammissione e della verifica dei requisiti e quindi a profili tipicamente soggettivi”.
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appunto al giudice nazionale”. In particolare, l’impossibilità materiale di indicare i costi della sicurezza non si era realizzata nella fattispecie in ragione del raffronto operato dal giudice tra le diverse condotte tenute dai concorrenti in sede di gara: l’aggiudicataria aveva del tutto omesso nella sua offerta economica l’indicazione dei costi della manodopera come previsto dall’art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dalla lex specialis. Solo successivamente, dopo la notifica del ricorso introduttivo da parte della seconda classificata, la stazione appaltante chiedeva all’aggiudicataria, in sede di soccorso istruttorio, chiarimenti in ordine ai “costi del personale al fine di verificare il rispetto di quanto previsto dall’art. 97, comma 5 lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016”. La seconda classificata, invece, aveva depositato in giudizio la documentazione della propria offerta, dalla quale si evince come la stessa avesse materialmente rispettato gli oneri dichiarativi di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, smentendo così per tabulas l’esistenza di una situazione impeditiva alla dichiarazione. La posizione assunta dalla Plenaria sembra, pertanto, affermare che se anche la modulistca predisposta dalla stazione appaltante non prevede lo “spazio” per indicare i costi per la manodopera, il modulo va semplicemente modificato, senza che si concretizzi l’ipotesi scusante (materiale impossibilità di indicazione come fatto legit-
timante il soccorso istruttorio) desumibile dalla sentenza della IX Sezione, 2 maggio 2019, causa C-309/18. Solo pochi giorni dopo la V Sez. del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2350 del 9.04.2019, ha affermato che nel caso in cui il modello predisposto dalla stazione appaltante per la presentazione dell’offerta economica non contenga alcun riferimento al costo della manodopera e la lex specialis non lo contempli, (in difformità di quanto disposto dall’art. 23, comma 16, del D.lgs. n. 50 del 2016), legittimamente la Stazione appaltante – pur in presenza di una formale violazione dell’art. 95, comma 10, del citato Codice ed in conformità a quanto chiarito dalla Corte di Giustizia U.E. (n. 309 del 2.05.2019), e comunque in applicazione dei principi generali di tutela dell’affidamento e di massima partecipazione alla gara – ha consentito alla concorrente di esprimere le proprie giustificazioni, valutate in sede di verifica della congruità dell’offerta (secondo quanto configurato dal combinato disposto degli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. f), del d.lgs. n. 50 del 20167). La medesima modalità operativa del raffronto del comportamento tra operatori e conomici viene seguita da Cons. Stato, Sez. V, 28.04.2020, n. 272 in un caso in cui l’appellante aveva indicato in gara gli oneri di sicurezza aziendale mediante l’espressa aggiunta della menzione degli stessi, (nonostante non fossero contem-
7 Cfr. anche Tar Piemonte, Sez. I, 13.01.2020, n. 31; Tar Brescia, 6.03.2020 n. 200.
normazione plati dal modulo predisposto dall’Amministrazione), ma non avev fatto altrettanto per quelli della manodopera, come, invece, aveva fatto l’aggiudicataria appellata. Si aggiunga che nel citato caso la lex specialis di gara richiamava il codice degli appalti, (come nella fattispecie esaminata dalla Corte di giustizia prima richiamata) e non obbligava ad utilizzare il modello specifico allegato dalla stazione appaltante alla documentazione di gara, limitandosi a sanzionare con l’esclusione le offerte “non compilate correttamente”. Anche in tal caso non sono stati ritenuti sussistenti, dunque, i presupposti enucleati dalla Corte di Giustizia per ritenere che l’amministrazione aggiudicatrice dovesse accordare all’offerente la possibilità di sanare la sua situazione (tramite il soccorso istruttorio) e di ottemperare agli obblighi previsti dalla legislazione nazionale in materia entro un termine stabilito dalla stessa amministrazione aggiudicatrice in ragione della “confusione” ingenerata nell’offerente dalla documentazione di gara predisposta dalla stessa Amministrazione. Le recenti posizioni della giurisprudenza nazionale in ordine al rispetto delle tabelle ministeriali sui valori medi del costo del lavoro e sulla valutazione di anomalia dell’offerta
Come accennato sopra, nell’ordinamento sussiste una netta distinzione tra: a) il costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriali, distinto in relazione alle aree territoriali, di cui al combinato disposto degli artt. 97, c. 5, lett. d) e 23, c. 16, del D.Lgs. n. 50 del 2016 (concernente le Tabelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali), da cui ci si può discostare, nonostante l’art. 97, comma 5 lett. d) indichi erroneamente nel testo i “minimi salariali” e b) “i trattamenti salariali retributivi inderogabili” (c.d. minimi salariali in senso tecnico) per legge o per una fonte autorizzata dalla legge, cui si riferisce l’art. 97 c. 6 del Codice, essendo solo i secondi insuscettibili di derogabilità in peius8. Le menzionate “tabelle” indicano il costo medio (teorico) del lavoro per area territoriale e inglobano la c.d. paga base o minimo salariale retributivo, che costituisce una voce, essa sì inderogabile in quanto variante esogena e predeterminata, e compone, unitamente ad altri elementi, quel costo (come precisato anche dal legislatore al comma 6 dell’art. 97 del D. Lgs. 50/2016). Nei contenziosi in cui il giudizio di non anomalia e congruità dell’offerta viene “strumentalizzato” dagli operatori economici come campanello d’allarme di un eventuale mancato rispetto dei minimi salariali, occorre dunque, da un lato, tenere a mente la distinzione normativa
8 Sia per la necessaria garanzia e tutela dei lavoratori e sia per profili attinenti al rispetto dei princìpi di leale concorrenza tra operatori sul mercato.
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sopra menzionate e, dall’altro, ricordare i consolidati principi giurisprudenziali secondo cui è giustificabile uno scostamento tra il valore astratto contenuto nella tabella per la specifica tipologia di servizio e il costo del lavoro (complessivo) sostenuto dal singolo operatore economico. Ciò in quanto rientra nell’autonomia organizzativa dell’imprenditore anche il potere di gestire e organizzare in maniera efficiente le risorse umane, “abbattendo” i costi della manodopera (eventualmente usufruendo delle misure di flessibilità o di incentivazione previste dall’ordinamento: es part-time, sgravi determinati dall’apprendistato o dovuti ad assunzioni agevolate; sgravi contributivi previsti eventualmente anche dalle diverse leggi di bilancio annuali), o anche applicando un contratto collettivo nazionale diverso da quello dello specifico settore merceologico preso in considerazione dalla tabella, purché ad esso congruente. Anche tale scelta rientra nelle prerogative di “riserva organizzativa” di ogni impresa e nella libertà negoziale delle parti, col solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto9 (sul punto ulteriore riflessione - che in questa sede non è possibile trattare - riguarda l’applicazione della c.d. clausola sociale e l’armonizzazione del personale). Quanto alle modalità di svolgimento del giudizio di anomalia è stato recentemente affermato che una volta che una procedura di gara (per effetto dell’annullamento in sede giursisdizionale e del conseguente remand), sia regredita alla fase di verifica dell’anomalia, questa deve essere ripetuta nella sua integralità, fermi i vincoli espressamente posti dal giudicato che, annullando l’aggiudicazione, abbia ordinato il rifacimento del giudizio di congruità dell’offerta10. In tal caso è consentito all’aggiudicataria, nell’ambito del contraddittorio nuovamente instaurato, la presentazione di ulteriori giustificazioni e compensazioni tra sottostime e sovrastime, in modo da consentire alla stazione appaltante la valutazione di affidabilità complessiva dell’offerta al momento della rinnovata aggiudicazione (Cons. Stato, Sez. V, 14.04.2020. n. 2383). Cio sempre nel rispetto del principio per cui in sede di verifica delle offerte sospettate di essere anomale, l’importo totale dell’offerta economica indicato in gara deve restare fermo e immutabile, in ossequio alla regola della immodificabilità dell’offerta11. Le singole voci di costo possono, come accennato, essere modificate solo per sopravvenienze di fatto o normative che comportino una riduzione dei costi o per originari comprovati errori di calcolo o per altre plausibili ragioni12.
Conclusioni Il quadro normativo e giurisprudenziale sinteticamente tratteggiaro impone delle riflessioni sulle future ricadute pratiche della diciplina prevista per i costi della manodopera e gli oneri aziendali. Una prima considerazione riguarda le applicazioni concrete offerte dalla giurisprudenza nazionale (Ad Plen 2.04.2020, n. 7 e 8, Cons Stato, Sez. V. 28.04.2020, n. 2720) alla dizione elaborata deala Corte di Giustizia di “materiale impossibilità” di indicare i costi manodopera e gli oneri della sicurezza. A parere di chi scrive il metodo basato unicamente sul raffronto del comportamento degli operatori economici concorrenti − in virtù del quale se un concorrente indica costi della manodopera e gli oneri aziendali nonostante la lex specialis non lo richieda (oppure nonstante la modulistica di gara non lo consenta) allora non può dirsi integrata l’ipotesi eccezionale di “materiale impossibilità” − non può essere considerato esaustivo. Ciò in quanto, ad esempio, difficilmente un operatore economico che non ha indicato i costi del personale e gli oneri della sicurezza insorgerà in giudizio denunciando la mancata indicazione degli stesssi da parte dell’aggiudicatario che lo precede in graduatoria. In una siffatta situazione non si vede dove possa rinvenirsi il carattere di eccezionalità tale da giustificare il ricorso al soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante, né l’apporto ulteriore che possa fornire la valutazione caso per caso offerta dal Giudice (atteso che, statisticamente, in una gara ci sarà sempre un operatore che ha indicato i costi in questione che può lamentare in sede giudiziaria la mancata indicazione dei medesimi da parte dell’aggiudicatario). Oltretutto sulla base di tale indirizzo decisorio seguito dalla giurisprudenza viene completamente obliterato quell’orientamento atto a valorizzare la discrezionalità della stazione appaltante, a mente del quale per elementari esigenze di ragionevolezza e di proporzionalità, la mera non corretta dichiarazione da parte del concorrente (di dati, anche essenziali, che potrebbero emergere nel corso della procedura) non dovrebbe portare ad un automatismo espulsivo, pena l’estromissione di un concorrente magari valido ed affidabile, dovendo semmai l’Amministrazione valutare, ai fini espulsivi, la rilevanza della fattispecie e le sue conseguenze caso per caso. Un’ulteriore riflessione riguarda, infine, il fatto che le disposizioni analizzate nel presente scritto prevedono la verifica di congruità da parte delle stazioni appaltanti
9 Tar Napoli, Sez. II, 11 dicembre 2019 n. 5892; Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2019, n. 6148; Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885; Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 750; Cons. Stato, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 726. 10 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 agosto 2019, n. 5674; C.G.A., sent. 18 aprile 2018, n. 228. 11 Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1449; V, 8 gennaio 2019, n. 171. 12 Cons. Stato, sez. V, 16 marzo 2020, n. 1874; V, 26 giugno 2019, n. 4400; V, 10 ottobre 2017, n. 4680.
normazione prima dell’aggiudicazione esclusivamente per i costi della manodopera e non anche per gli oneri della sicurezza. Il costo della manodopera costituisce un dato numerico la cui “congruità” è verificabile rispetto a dei valori di riferimento predeterminati (cfr. art. 23 comma 16); gli oneri aziendali della sicurezza costituiscono, invece, un elemento indefinito a livello normativo.
Ciò comporta che l’indicazione dei costi aziendali della sicurezza sia privata della propria funzione di effettivo strumento di tutela della sicurezza dei lavoratori, frustrando la ratio della normativa preordinata ad assicurarne il rispetto - specie nell’attuale epoca di pandemia da COVID-19 - che si riflette anche sulla corretta competitività delle imprese nel settore degli appalti.
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ospedale niguarda di milano Katiuscia Carota - Ingegnere Biomedico ASST Ospedale Niguarda di Milano - Chiara Labate - Ingegnere Biomedico ASST Ospedale Niguarda di Milano Gian Luca Viganò - Vice Presidente ALE - Direttore S.C. Approvvigionamenti, Ingegnere Biomedico ASST Ospedale Niguarda di Milano
Ottenimento della certificazione uni en iso 9001:2015 nella asst grande ospedale metropolitano niguarda
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a Struttura Complessa (S.C.) Approvvigionamenti dell’Ospedale Niguarda di Milano, collegata funzionalmente al Dipartimento Amministrativo, gestisce il processo di selezione dei fornitori e di definizione delle condizioni dei contratti di fornitura di beni, servizi e lavori, nel rispetto della normativa vigente, con le ditte fornitrici per consentire il raggiungimento degli obiettivi aziendali in ambito di sanità e per garantire la disponibilità di tutti gli strumenti, sia mezzi operativi che logistici, per poter lavorare e offrire ai pazienti un servizio di cura di elevata qualità ai pazienti. Per raggiungere tale obiettivo la S.C. si interfaccia da un lato tramite una costante e continua collaborazione con tutte le strutture interne dell’ospedale e dall’altro con il mercato dell’acquisto dove deve ricercare e rilevare in maniera mirata, efficace ed efficiente qualunque tipologia di prodotto necessario all’azienda. La certificazione di qualità, secondo i principi della norma UNI EN ISO 9001:2015, rappresenta un valido supporto per la Struttura nella razionalizzazione di attività e strumenti, secondo le logiche della gestione per processi con maggiore attenzione agli eventi che possono generare rischi, criticità, errori, sia internamente che nell’interazione con le diverse aree dell’Ospedale. La S.C. Approvvigionamenti è una struttura molto complessa ed articolata con un ruolo di coordinazione degli acquisti di tutta l’attività all’interno dell’ospedale composta da un team multidisciplinare di 20 operatori i cui compiti sono suddivisi in Area amministrativa e Area acquisti. Per realizzare il percorso di Certificazione, all’interno della S.C. Approvvigionamenti, è stato nominato un Referente Qualità che si è avvalso della collaborazione di un Gruppo Qualità costituito da personale tecnico ed amministrativo all’interno della Struttura e da due tirocinanti del Politecnico di Milano - laurea quinquennale in Ingegneria Biomedica.
Il Gruppo Qualità della S.C. Approvvigionamenti ha la responsabilità di predisporre e mantenere costantemente aggiornata la documentazione per consentire a tutte le funzioni interessate la verifica diretta sullo stato di validità della documentazione utilizzata sensibilizzando il personale della struttura all’implementazione e allo sviluppo del SGQ e costituendo l’interfaccia con il servizio Qualità e Rischio Clinico nelle fasi di implementazione e sviluppo. I Sistemi di Gestione della Qualità devono essere definiti secondo le caratteristiche proprie di ogni organizzazione e devono essere adattabili, variando nel corso del tempo in funzione del mutare delle condizioni del contesto sia interno che esterno rispetto all’organizzazione stessa. Il SGQ mira alla comprensione, razionalizzazione e standardizzazione operativa e documentale dei processi/attività al fine di aumentarne l’efficienza e l’efficacia attraverso l’analisi dei processi e la loro sintesi in istruzioni operative e procedure. Per realizzare il Sistema di Gestione della Qualità è stato necessario un costante affiancamento ai collaboratori della struttura definendo sia l’assetto organizzativo della struttura sia le principali competenze di ciascun operatore. Gli step del percorso di certificazione per l’implementazione di un SGQ basato sui principi della norma ISO 9001:2015, in vista della visita ispettiva dell’ente di certificazione, sono: Attivazione del percorso di certificazione: in Italia la certificazione è richiesta ad organismi indipendenti accreditati da SINCERT. L’azienda presenta la domanda con la documentazione necessaria per applicare i requisiti della norma ISO 9001:2015 così che la società la esamini e ne verifichi l’applicazione attraverso una visita valutativa che si concluderà con una delibera favorevole o un invito ad eliminare le non conformità; Analisi del quadro normativo di riferimento; Stesura del piano di progettazione e sviluppo: in collaborazio-
ospedale niguarda di milano ne con S.C. Qualità e Rischio Clinico sono state pianificate e definite le tempistiche e le responsabilità nel processo di attuazione del SGQ prevedendo la definizione di un cronoprogramma nel quale definire le varie tappe del percorso di ottenimento della certificazione; Mappatura dei processi primari e di supporto della Struttura: è realizzata con il ciclo PDCA attraverso l’analisi approfondita delle interviste agli operatori e degli elementi che caratterizzano i processi principali della Struttura. In questo modo sono stati identificati l’organigramma, il funzionigramma e la matrice delle competenze ovvero i documenti per definire l’assetto organizzativo della Struttura; Elaborazione della politica e degli obiettivi della qualità: la politica per la qualità è un’informazione documentata contenente il livello di qualità accettabile, le responsabilità dei membri nell’assicurare la qualità aziendale e l’insieme delle azioni e delle strategie messe a punto dall’organizzazione per il raggiungimento degli obiettivi della qualità; Pianificazione e avviamento del percorso informativo e formativo del personale: per diffondere il piano strategico e per motivare i dipendenti a svolgere nel miglior modo possibile i loro compiti nel rispetto degli obiettivi prefissati. Nel piano di formazione aziendale sono delineate le aree di miglioramento, gli interventi e gli strumenti da utilizzare per apportare cambiamenti all’organizzazione. Sono state programmate riunioni interne con il personale della struttura complessa per sensibilizzare il personale e audit interni con i membri del SGQ per ottimizzare la documentazione; Analisi e gestione del rischio: permette l’individuazione dei rischi nelle varie fasi dei processi principali e la definizione dei livelli di rischio. Per analizzare e gestire i rischi, il gruppo qualità ha analizzato il scontesto nel quale la struttura opera individuando i clienti con i quali si interfaccia ed identificando i punti di debolezza che si possono incontrare nelle attività della struttura. A livello aziendale si è deciso di analizzare e controllare il rischio tramite la metodologia FMEA/FMECA. Quest’ultimo consiste nella scomposizione del processo in macroaree a loro volta analizzate in base alle singole attività che le compongono per individuare i possibili errori e per associarle ad un livello di rischio. Il rischio è una combinazione tra la probabilità di accadi-
mento di un danno, la gravità delle sue conseguenze e la possibilità di rilevarlo prima che lo stesso si verifichi. Il valore numerico di ogni area di rischio (livello di rischio) è dato dal prodotto dei singoli valori (da 1 a 5) associati alla gravità e alla probabilità. Nella S.C Approvvigionamenti sono emerse aree con rischio “rilevante” e nessuna area con rischio “critico”; Definizione degli indicatori e delle azioni proattive: gli indicatori identificano l’andamento del lavoro consentendo l’analisi dei processi in modo quantitativo. Il gruppo qualità dapprima identifica i fattori di rischio che si possono presentare durante le macro fasi di un processo e, in seguito, durante le micro attività specifiche definendo e implementando, in questo modo, delle azioni di miglioramento per evitarne l’accadimento; Stesura e aggiornamento continuo dell’elenco della documentazione attuativa del SGQ: i processi che concretizzano le attività quotidiane degli operatori vengono tradotti in procedure, documenti, regolamenti, moduli e istruzioni operative al fine di realizzare un miglioramento dell’efficienza gestionale. La redazione della documentazione prescrittiva è richiesta dalla norma ISO 9001:2015 per definire le regole, le linee guida e le specifiche tecniche che sono alla base di un buon SGQ; Stesura del riesame della direzione: a seguito dell’audit interno con i membri della SGQ aziendale e programmazione di un piano di miglioramento; Verifica di certificazione: l’ente di certificazione verifica la conformità del SGQ implementato ai principi della norma UNI EN ISO 9001:2015. In data 14/06/2018 si è svolta la visita ispettiva dell’ente certificatore esterno durante la quale si è verificata l’esistenza, la correttezza e la corrispondenza della documentazione prescrittiva alla norma ISO 9001:2015 richiedendo, talvolta, la corrispondente evidenza documentale. La verifica ispettiva - conclusasi con esito positivo - ha garantito la conformità del Sistema Qualità della S.C. Approvvigionamenti allo standard di riferimento ISO 9001:2015; difatti, dalla verifica ispettiva, è emerso che non sono state rilevate non conformità, ma consigliate solo azioni di miglioramento.
Il percorso di certificazione non è terminato con l’ottenimento della certificazione di qualità ma, nell’ottica del miglioramento continuo, la documentazione deve essere periodicamente revisionata e i processi quanto più standardizzati per velocizzare le attività e ridurre le cause di possibili errori
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ospedale niguarda di milano Il certificato ha validità triennale. In questo periodo la struttura certificata è soggetta a verifiche annuali di sorveglianza al fine di documentare, attuare, mantenere attivo e aggiornato un SGQ verificando il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti, l’ottimizzazione dei processi e lo stato delle azioni proattive. Le norme della ISO, infatti, danno evidenza del fatto che la struttura certificata lavora secondo un determinato standard di riferimento nell’ottica del miglioramento continuo. L’ente di certificazione potrà annullare la certificazione qualora dovesse riscontrare forti anomalie o non conformità tali da compromettere la garanzia della qualità. Il percorso di certificazione non è terminato con l’ottenimento della certificazione di qualità ma, nell’ottica del miglioramento continuo, la documentazione deve essere periodicamente revisionata e i processi quanto più stan-
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dardizzati per velocizzare le attività e ridurre le cause di possibili errori. Esso è anche alla base dell’ottimizzazione del sistema di gestione dei flussi di dati, in ingresso e in uscita, difatti solo da una documentazione standardizzata è possibile l’estrazione automatica dei dati e l’interazione tra database differenti. È possibile creare un percorso di miglioramento continuo ed efficiente solo se gli obiettivi che si propone la struttura siano misurabili, quindi, quest’ultima dovrà provvedere costantemente alla revisione e all›aggiornamento del documento contenente gli indicatori dei processi. Si conclude che solo da un’analisi attenta e rigorosa dei risultati si possano stabilire gli interventi da effettuare in futuro per una vera e propria prevenzione e attenzione ai rischi determinando, gradualmente, l’implementazione di metodologie per migliorare il processo.
registro accessi Paola Bardasi - Direttore Amministrativo Azienda ULSS 6 Euganea Alberto Fabbri - Dirigente M.O. Affari Istituzionali e di Segreteria Azienda Usl di Ferrara - RPCT
Il Registro degli Accessi: il nuovo parametro di trasparenza introdotto dalla Riforma Madia
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ra le novità di maggior interesse derivanti dall’introduzione delle disposizioni del Decreto Lgs 97/2016 di riforma del Decreto Lgs 33/2013 e s.m.i. recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” che ha avuto il pregio di introdurre nel nostro ordinamento il diritto di accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) emerge senza dubbio l’istituzione del c.d. “Registro degli Accessi” che come vedremo sarà previsto e dettagliato da successive delibere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e da Circolari del Ministro per la Pubblica Amministrazione. Premesso che non è oggetto della presente trattazione l’analisi dettagliata dei singoli istituti dell’accesso che confluiscono del “registro”, non è possibile però esimersi da una breve definizione della nuova forma di “accesso civico generalizzato” inteso come “il diritto esercitabile da parte di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, in relazione a tutti i dati e documenti detenuti dalle P.A., ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela degli interessi giuridicamente rilevanti”, che ha dato origine alla realizzazione del nuovo parametro di trasparenza. A parere degli scriventi, si rileva come nel testo unico in materia di trasparenza aggiornato dalla novella del 2016 non venga espressamente prevista l’istituzione del “Registro” in argomento ma quest’ultima verrà successivamente formalizzata con specifico provvedimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. In particolare la delibera Anac n. 1309 del 28 dicembre 2016 ad oggetto: “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del D. Lgs. 33/2013” e la Circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 2 del 30 maggio 2017 raccomandano l’istituzione di un “registro degli accessi” (suddivisi in civico semplice, civico generalizzato e documentale) per perseguire una pluralità
di scopi fra i quali vengono in rilievo: 1) la semplificazione della gestione delle richieste e le connesse attività istruttorie; 2) favorire l’armonizzazione delle decisioni su richieste di accesso identiche o simili; 3) agevolare i cittadini nella consultazione delle richieste già presentate; 4) monitorare l’andamento delle richieste di accesso e la trattazione delle stesse da parte dei soggetti responsabili del procedimento. Per la realizzazione del registro vengono prospettate diverse soluzioni: si evidenzia al proposito come nella circolare FOIA n.2/2017 venga suggerito alle pubbliche amministrazioni di riutilizzare le funzionalità dei sistemi di protocollo informatico, in quanto si tratta di una soluzione di facile attuazione, che non prevede l’acquisizione di altre piattaforme e al contempo è in grado di rendere più efficiente il processo complessivo di gestione delle richieste. Più precisamente la sopra richiamata delibera n. 1309 del 28/12/2016 nel porre l’accento sulle differenze tra le due forme di accesso civico definite: 1) Accesso civico semplice; 2) Accesso civico generalizzato; dispone che a decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni del Decreto Madia e precisamente dal 23/12/2016 deve essere data immediata applicazione all’istituto dell’accesso generalizzato, con la valutazione caso per caso delle richieste presentate. La delibera prevede che da ciò discenda l’opportunità che le Pubbliche Amministrazioni: a) adottino nel più breve tempo possibile soluzioni organizzative al fine di coordinare la coerenza delle risposte sui diversi tipi di accesso; b) adottino una disciplina interna sugli aspetti procedimentali per esercitare l’accesso; c) sia istituito presso ogni amministrazione un registro delle richieste di accesso presentate (per tutte le tipologie di accesso).
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registro accessi Chiaramente tali disposizioni hanno comportato un enorme sforzo organizzativo da parte delle Pubbliche amministrazioni italiane che oltre a dover affrontare le delicate ed in certi casi complesse interpretazioni relativamente al nuovo diritto di accesso, si sono dovute adoperare per assicurare la presenza di un nuovo obbligo di trasparenza all’interno della sezione “Amministrazione Trasparente” in ossequio a quanto disposto con successiva delibera Anac n. 1310/2016 di cui si tratterà nel paragrafo successivo.
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Il Registro degli accessi: finalità e obbligo di pubblicità L’Autorità Nazionale Anticorruzione nel prevedere la realizzazione di una raccolta organizzata delle richieste di accesso concretizzatasi per l’appunt o nel “cd. registro degli accessi” da pubblicare sul sito istituzionale di ciascuna P.A. detta anche modalità e regole per organizzare le informazioni. Il registro, come strutturato ai sensi della sopra citata delibera dell’Autorità n. 1309/16, dovrà contenere l’elenco delle richieste con i seguenti elementi descrittivi: • Data di ricevimento della richiesta; • Descrizione dell’oggetto della richiesta; • Data della decisione (riscontro richiesta); • Indicazione della presenza di Controinteressati; • Esito della richiesta. Il “registro” deve essere pubblicato, oscurando i dati personali eventualmente presenti a tutela della riservatezza degli interessati, e tenuto aggiornato almeno ogni sei mesi Denominazione sotto-sezione livello 1 (Macrofamiglie)
Denominazio- Riferimento ne sotto-sezione normativo 2 livello (Tipologie di dati)
nella sezione Amministrazione trasparente, in una specifica sezione di II livello denominata “altri contenuti – accesso civico” del sito web istituzionale. Tale pubblicazione, nell’ottica dell’Autorità, assolve a due precise finalità: • Dovrà essere funzionale al monitoraggio che l’Autorità intende svolgere sull’accesso generalizzato; • Dovrà essere utile strumento alle stesse Pubbliche Amministrazioni stesse che in questo modo rendono noto su quali documenti, dati o informazioni è stato consentito l’accesso in una logica di semplificazione delle attività. Con la successiva delibera n. 1310/2016 ad oggetto “Prime Linee Guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni contenute nel D. Lgs n. 33/2013 come modificato dal D. Lgs n. 97/2016”, l’Autorità conferma l’obbligatorietà della pubblicazione del “registro degli accessi” evidenziandolo espressamente nell’allegato tecnico contenente la mappa ricognitiva degli obblighi di pubblicazione previsti per le pubbliche amministrazioni ai sensi del D. Lgs n. 33/2013, integrato con le modifiche introdotte dal D. Lgs n. 97/2016 relativamente ai dati da pubblicare e introduce le conseguenti modifiche alla struttura della sezione dei siti web denominata “Amministrazione trasparente”. Di seguito si riporta l’estratto dell’allegato tecnico: dal quale è possibile evincere che per quanto riguarda la sezione oggetto di disamina viene espressamente richiesta
Denominazione del singolo obbligo
Contenuti dell’obbligo
Aggiornamento
Altri contenuti Accesso civico
Art. 5, c. 1, d.lgs. n. 33/2013 / Art. 2, c. 9-bis, l. 241/90
Accesso civico “semplice” concernente dati, documenti e informazioni soggetti a pubblicazione obbligatoria
Nome del Responsabile della preTempestivo venzione della corruzione e della trasparenza cui è presentata la richiesta di accesso civico, nonchè modalità per l’esercizio di tale diritto, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale e nome del titolare del potere sostitutivo, attivabile nei casi di ritardo o mancata risposta, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale
Altri contenuti Accesso civico
Art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013
Accesso civico “generalizzato” concernente dati e documenti ulteriori
Nomi Uffici competenti cui è preTempestivo sentata la richiesta di accesso civico, nonchè modalità per l’esercizio di tale diritto, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale
Altri contenuti Accesso civico
Linee guida Anac FOIA (del. 1309/2016)
Registro degli accessi
Elenco delle richieste di accesso (atti, Tempestivo civico e generalizzato) con indicazione dell’oggetto e della data della richiesta nonché del relativo esito con la data della decisione
registro accessi la pubblicazione delle richieste di accesso in riferimento alle seguenti tipologie: • accesso agli atti ex art. 22, L. 241/90 e s.m.i.; • accesso civico semplice ex art. 5, co. 1 D. Lgs 33/13 e s.m.i.; • accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2 D. Lgs 33/13 e s.m.i. L ’ANAC introduce, rispetto alla lettera della legge, un ulteriore obbligo di pubblicazione per le PP.AA. prevedendo l’ostensione delle informazioni di tre tipologie di accesso non limitandosi pertanto solamente alle tipologie degli accessi civici. La successiva Circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la P.A. recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)” ritorna sull’argomento evidenziando come “tra le soluzioni tecnico-organizzative che le amministrazioni potrebbero adottare per agevolare l’esercizio del diritto di accesso generalizzato da parte dei cittadini e, al contempo, gestire in modo efficiente le richieste di accesso, la principale è la realizzazione di un registro degli accessi, come indicato anche nelle Linee guida ANAC (del. n. 1309/2016)”. La Circolare amplia lo spettro delle finalità che deve perseguire il registro degli accessi indicando espressamente i seguenti punti: • semplificare la gestione delle richieste e le connesse attività istruttorie; • favorire l’armonizzazione delle decisioni su richieste di accesso identiche o simili; • agevolare i cittadini nella consultazione delle richieste già presentate; • monitorare l’andamento delle richieste di accesso e la trattazione delle stesse. Inoltre nella stessa Circolare viene posto in evidenza che per favorire la realizzazione del registro, le attività di registrazione, gestione e trattamento delle richieste dovrebbero essere effettuate utilizzando i sistemi di gestione del protocollo informatico e dei flussi documentali, di cui le amministrazioni sono da tempo dotate ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, del d.lgs. n. 82/2005 (Codice
dell’amministrazione digitale) e delle relative regole tecniche (D.P.C.M. 3 dicembre 2013) auspicando in tal senso la piena informatizzazione dei flussi di cui trattasi. Viene evidenziato altresì che i dati da inserire nei sistemi di protocollo sono desumibili dalla domanda di accesso o dall’esito della richiesta e che le amministrazioni potrebbero ricavare i dati rilevanti attraverso estrazioni periodiche dai sistemi di protocollo informatico, ferma restando la necessità di non pubblicare i dati personali nel rispetto delle cautele derivanti dalla tutela della “Privacy” degli interessati. L’obiettivo finale è la realizzazione di un registro degli accessi che consenta di “tracciare” tutte le domande e la relativa trattazione in modalità automatizzata, e renda disponibili ai cittadini gli elementi conoscitivi rilevanti.
La delibera n. 1309 nel porre l’accento sulle differenze tra le due forme di accesso civico dispone che a decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni del Decreto Madia deve essere data immediata applicazione all’istituto con la valutazione caso per caso delle richieste presentate
La Circolare n. 1/2019 del Ministro per la Pubblica Amministrazione Il Ministro per la Pubblica Amministrazione con la Circolare n. 1/2019 recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)” (medesimo oggetto della precedente Circolare del 2017) ritorna sull’argomento evidenziando come i sistemi di protocollo informatico e gestione documentale più evoluti permettano di gestire il procedimento di accesso in tutte le sue fasi, dall’acquisizione della richiesta alla decisione finale. Tali sistemi, infatti, opportunamente configurati consentirebbero altresì, di realizzare il registro degli accessi, nel quale – come raccomandato nelle Linee Guida ANAC e nella Circolare FOIA n. 2/2017 precedentemente citati – ciascuna amministrazione andrà ad indicare gli estremi delle richieste ricevute e il relativo esito, omettendo la pubblicazione di dati personali eventualmente presenti. Per agevolare il processo di informatizzazione del “registro degli accessi”, il Dipartimento della funzione pubblica ha predisposto un documento contenente specifiche tecniche denominato “Indicazioni operative per l’implementazione del registro degli accessi FOIA”, disponibile sul sito www.foia.gov.it . Questo documento, in linea con le regole sui metadati
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registro accessi
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previste dalle regole tecniche per il protocollo informatico, definisce: • lo schema di metadati per la realizzazione del fascicolo informatico dedicato alla gestione di istanze FOIA, contenente i campi già previsti nella Circolare FOIA n. 2/2017; • gli schemi di metadati per la pubblicazione del registro degli accessi. La Circolare conclude prevedendo che le pubbliche amministrazioni che dispongono di sistemi di protocollo informatico in grado di rispondere alle regole tecniche vigenti sono invitate ad adottare i citati schemi e a pubblicare il registro degli accessi nel formato standard indicato, al fine di facilitare la produzione del registro sia ai fini della sua pubblicazione che della eventuale trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica per l’acquisizione delle informazioni rilevanti per attività di monitoraggio, senza gravare ulteriormente sulle stesse amministrazioni. Si sottolinea, ad ogni buon conto, che, nonostante tra i campi previsti per il registro degli accessi non siano inclusi il nome del richiedente né tantomeno quelli degli eventuali controinteressati, di porre la massima attenzione per evitare che il registro contenga comunque dati personali (ad esempio nel campo “oggetto della richiesta”). La trasparenza si attua sia ottemperando a quanto prevede la normativa, sia dando a tutti visibilità di come si sta operando. Ed è in questo senso che l’istituzione del “Registro degli accessi” rappresenta uno snodo fondamentale sotto un duplice aspetto: quello esterno, perché offre piena visibilità sulle richieste pervenute e sulle risposte fornite e quello interno, perché i sistemi documentali sono la cinghia di trasmissione di ogni procedimento ammini-
strativo. Per supportare le amministrazioni interessate ad adottare tale soluzione, il Dipartimento della funzione pubblica ha, come detto sopra, prodotto un set di indicazioni operative, minime ed omogenee che definiscono: • i dati minimi che ogni Registro degli accessi deve rendere disponibili a fronte di una richiesta di accesso (sia ai fini di una loro estrazione e pubblicazione sul sito, sia per essere acquisiti per funzioni di monitoraggio periodico a cura di ANAC); • i metadati, definibili in un sistema di protocollo informatico già in uso presso l’amministrazione, affinché la creazione del Registro degli accessi non richieda sviluppi ad hoc, ma sia realizzabile attraverso semplici interventi di configurazione e manutenzione dei sistemi già in essere. Il percorso seguito nel 2017 dalla Funzione pubblica è stato quello della consultazione pubblica, sul proprio sito, per acquisire il più ampio consenso – anche da parte dei fornitori di sistemi di protocollo informatico – intorno ad un set di istruzioni condivise per la gestione delle richieste e sul formato di esportazione delle informazioni da pubblicare sul sito. Percorso encomiabile, che ha fatto sì che nella circolare che disciplina il FOIA, si sia fatto riferimento ad una particolare modalità di realizzazione del Registro degli accessi, basata sul riutilizzo di sistemi di protocollo informatico e gestione documentale. Ma naturalmente ciascuna amministrazione può realizzare una autonoma versione del Registro degli accessi, anche difforme con quanto indicato nella circolare, purché tale soluzione garantisca agli utenti e ai soggetti che monitorano l’applicazione del FOIA la fruibilità dei dati e dei metadati definiti in dettaglio nelle indicazioni operative oggetto di consultazione. In tale quadro normativo orientato sempre
registro accessi maggiormente alla più ampia evoluzione tecnica ed informatica, si aprono nuove sfide in materia di trasparenza ma soprattutto per assicurare la principale finalità disposta dal FOIA e cioè quella del controllo sociale dei cittadino sull’operato della Pubblica Amministrazione anche nell’ottica della reciproca crescita tecnologica e culturale. Non dimentichiamo che tali sfide richiedono un cittadino sempre più attento, informato ma soprattutto profondo conoscitore delle normative dell’accesso. L’esposizione di dati e metadati serve per monitorare e per orientare la procedura ed il procedimento amministrativi: • monitorare, ovvero fornire tutte le informazioni che permettano di poter fare analisi sulle richieste di accesso ed i rispettivi esiti. A tal fine sono necessari dati che permettano di sviluppare categorie delle diverse tipologie di richieste e di esiti; • orientare la pratica amministrativa, prevedendo una struttura dati che sia in grado di rappresentare le motivazioni associate agli esiti delle richieste in modo tale da guidare le altre amministrazioni nel trattamento di analoghe richieste. Le attese derivanti dai sistemi improntati alla trasparenza sono molti ed in particolare il “registro degli accessi” non deve essere inteso come un ulteriore adempimento, ma come uno degli strumenti “pratici” per attuare il diritto libero all’accesso del cittadino (FOIA), con soluzioni tecniche siano facili da usare ma soprattutto improntati al criterio della massima efficienza. Una sfida da lanciare ad una moderna Pubblica Amministrazione al passo con i tempi in grado di utilizzare sistemi documentali che tengano conto sia degli aspetti privacy che di forme aperte di comunicazione per ridurre inefficienze organizzative.
Bibliografia: – Rivista Ragiusan n. 359–360/14: “Trasparenza: l’accesso civico quale nuovo diritto per il cittadino. (L’esperienza dell’Azienda USL Ferrara) (P. Bardasi – A. Fabbri) – Rivista MIS (Management in Sanità) n. 2/2016 – “La Trasparenza quale principio guida dell’azione amministrativa: dal diritto all’accesso ai documenti al Fredoom of Information Act previsto dalla Riforma Madia” (P. Bardasi – A. Fabbri) – “Rivista trimestrale Sanità Pubblica e Privata” edito da Maggioli n. 2/2018 - “Le forme e gli strumenti per realizzare la “trasparenza” nella Pubblica Amministrazione del terzo millennio” (P. Bardasi – A. Fabbri); Normativa di riferimento: – Decreto Lgs 33/2013 e s.m.i. recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”; – Delibera Anac n. 1309 del 28/12/2016 ad oggetto: “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del D. Lgs. 33/2013”; – Delibera Anac n. 1310/2016 ad oggetto “Prime Linee Guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni contenute nel D. Lgs n. 33/2013 come modificato dal D. Lgs n. 97/2016”; – Circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”; – Circolare n. 1/2019 del Ministro per la Pubblica Amministrazione recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”.
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usl umbria 2 Fausto Bartolini - Direttore Dipartimento Assistenza Farmaceutica - USL Umbria 2
Usl Umbria 2: Il Covid si combatte con lo spray alcolico a costo zero
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rende vita da due mega contenitori di mille litri ciascuno, di alcool isopropilico donato dalla Protezione Civile Nazionale, il progetto della Usl Umbria 2, di produzione di migliaia di flaconi da 100150 ml spray di soluzione alcolica al 70% per soddisfare le necessità dei 6000 pazienti fragili del territorio regionale per la disinfezione delle mani e per la disinfezione di vari oggetti di uso comune: telefonini, chiavi, occhiali, tastiere, telecomandi. “Un’iniziativa lodevole ed utile, ‘fatta in casa’, grazie a prodotti donati e alla grande professionalità, nonché allo spirito di iniziativa, dei nostri operatori dell’Azienda Usl2, ha sottolineato la presidente Donatella Tesei. Ringrazio la Fondazione Carla Fendi per il contributo, tutti gli altri donatori che hanno cooperato e tutto il personale che ha messo a disposizione le proprie competenze”. Il progetto ha infatti visto una donazione di 8000 euro da parte della Fondazione Carla Fendi, impegnata in prima linea nel sostegno alle attività sanitarie e ospedaliere in questa fase emergenziale, per l’acquisto dei flaconi spray in cui mettere il disinfettante da distribuire ai pazienti particolarmente fragili e vulnerabili, oncologici e oncoematologici, dializzati, con malattie rare e trapiantati di tutta la regione, un presidio fondamentale per la prevenzione del contagio del COVID 19. I flaconi spray di soluzione alcolica sono stati distribuiti, insieme al gel disinfettante, sempre prodotto dal laboratorio galenico della Farmacia interna del Presidio Ospedaliero di Foligno dell’Azienda Usl Umbria 2. Il tutto ha avuto
inizio con il trasporto del prezioso carico di alcool isopropilico, ceduto a titolo gratuito al “San Giovanni Battista” di Foligno grazie all’intervento della Protezione Civile Nazionale, eseguito da una squadra dei Vigili del Fuoco che ha posizionato, con la massima cautela, il contenitore all’interno di un bunker antincendio della struttura ospedaliera nei pressi del laboratorio galenico centralizzato dell’Azienda Usl Umbria 2. I venti quintali di alcool isopropilico, opportunamente trattati, hanno garantito una concentrazione della soluzione pari al 75% (come da indicazioni dell’OMS) che, preparata dallo staff dei farmacisti del laboratorio galenico aziendale, verrà distribuita ai pazienti in flaconi di 100-150 ml. Si tratta di un progetto decisamente innovativo, unico in Italia, fortemente supportato dalla Regione Umbria e dalla direzione strategica dell’Azienda Usl Umbria 2 per fronteggiare la diffusione del Covid-19. L’iniziativa si aggiunge, all’autoproduzione di un gel alcolico come da Farmacopea e già distribuito ai vari reparti di degenza, Pronto soccorso dei vari presidi ospedalieri, Servizio 118 e al personale sanitario dei distretti e delle Usca che si recano a domicilio per praticare il tampone per il test del Covid-19 e monitorare le condizioni cliniche dei pazienti. Viste le difficoltà che hanno un po’ tutti i Paesi di approvvigionarsi di tali prodotti, avere la possibilità di produrre in proprio e distribuire flaconi spray con soluzione alcolica al 70% e gel disinfettante per l’igiene delle mani risulta di grande utilità, se non indispensabile in questa fase emergenziale
Un progetto decisamente innovativo, unico in Italia, fortemente supportato dalla Regione Umbria e dalla direzione strategica dell’Azienda Usl Umbria 2 per fronteggiare la diffusione del Covid-19
usl umbria 2 in quanto rappresentano presidi principali di prevenzione da adottare per evitare il contagio. Il ministero della Salute, tra le azioni di prevenzione per combattere il contagio del Covid-19, raccomanda insistentemente di procedere con un accurato e continuo lavaggio delle mani nonché la disinfezione delle stesse con un disinfettante alcolico dopo aver toccato qualsiasi oggetto o superficie. Sarebbe opportuno lavarsi accuratamente le mani e poi disinfettarle. Oppure se non si è nelle condizioni di lavarsi le mani procedere con la disinfezione. L’utilizzo del gel risulta migliore della soluzione in quanto tale formulazione consente una permanenza maggiore sulla cute che non la soluzione che evapora più rapidamente e quindi ha una maggiore efficacia contro Virus e batteri presenti. Discorso analogo per la produzione del disinfettante alcolico con soluzione al 70 per cento. La soluzione alcolica che viene nebulizzata è indicata per la disinfezione di vari
oggetti (chiavi, telefonini, occhiali, tastiera del computer, superfici, portafogli maniglie, ecc..) che quotidianamente manipoliamo e che rappresentano un veicolo molto pericoloso di virus e batteri. Nell’emergenza attuale, la produzione, su scala nazionale, del disinfettante gel alcolico e ancor più della soluzione alcolica presenta ormai da tempo delle enormi difficoltà, legate essenzialmente alla carenza di principi attivi e soprattutto alle difficoltà produttive (molte aziende importanti hanno i siti produttivi nel Nord Italia). Diventa quindi fondamentale avere a disposizione, peraltro gratuitamente tale quantità di materia prima, alcool e contenitori gratuiti, nonché professionisti qualificati che si sono resi disponibili a lavorare a questa iniziativa fuori orario di servizio senza percepire compenso aggiuntivo, e tecnologie in grado di trattare e produrre autonomamente tali presidi. Tutto a costo zero per il Sistema Sanitario Regionale.
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procedura negoziata Francesca Petullà - Foro Romano
Il ritorno alle procedure negoziate o nuove procedure negoziate: il Covid rende sistematico ciò che era episodico? Riflessione su una normativa che ha fatto il suo tempo
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emergenza Covid ha riportato alla ribalta un dibattito molto acceso sui sistemi di scelta del contraente nel panorama normativo italiano. Mentre ci si appassionava, senza passione, a temi quale “contraente uscente sì/no “o rotazione sì/no” “tre, cinque venti preventivi o offerte” la pandemia ci ha riportato alla realtà e, cioè, ad una normativa che contempla le procedure negoziate per esigenze episodiche e non sistematiche. Infatti, a ben vedere proprio la Commissione Europea nel suo provvido intervento con la Comunicazione n. 108/2020 ha portato il dibattito su un nuovo piano di ricostruzione del diritto individuando metodologie estemporanee per superare lo sfavore nei confronti delle forme dirette di affidamento diversi da quelli concorsuali ed arrivare a forme di negoziazione incisive ed immediate con il coinvolgimento degli operatori economici. Un altro emisfero per noi italiani, che quando si parla di procedura negoziata pensiamo sempre a favoritismi ma soprattutto dal 2014, dopo l’avvento dell’ANAC, pensiamo sistematicamente alla procedura negoziata come ad un sistema che si porta con sé al minimo un reato ascrivibile all’ambia sfera della corruzione. L’ottica errata e distorta da cui muove il Legislatore nazionale fa sì che per contrastare fenomeni criminosi (che certo non possono negarsi che attanagliano il settore degli appalti come altri settori dell’economia, non solo in Italia) si sia posta in essere una normativa di derivazione comunitaria per episodi sporadici che possono accadere nella stazioni appaltanti nel corso della regolare gestione della propria programmazione. In questo frangente, invece, non v’è nulla di episodico, ma si è di fronte ad una situazione generale a sistema per molto tempo che via via si evolverà e chiederà interventi mirati per i quali sarà difficile gestire la quotidianità come l’ordinario finora svolto sia come procedure di scelta del contrente che come contratti. Lo strumentario giuridico stenta a trovare risposte, perché nello stesso contratto è
difficile gestire l’emergenza Covid con istituti quale la impossibilità sopravvenuta, l’eccessiva onerosità sopravvenuta o la tanto invocata forza maggiore il cui utilizzo lo releghiamo nella casistica alla pioggia violenta, al terremoto. Addirittura anche nei Paesi di Common Law, cioè non legati ad un sistema rigido quale quello degli ordinamenti di derivazione romanistica, hanno difficoltà a reagire a trovare risposte. La procedura negoziata nella Comunicazione della Commissione Ue del 1 aprile 2020: un iter procedimentale di ampio respiro Ecco, in questo panorama, in un momento difficilissimo di inizio aprile, la Commissione con atto di responsabilità istituzionale interviene è indica una strada da adottare nelle negoziazioni, nella scelta delle tempistiche di gara e nella individuazione delle norme attualmente esistente nelle direttive, ma corroborandole di una motivazione concreta. Sotto il profilo delle negoziazioni, le tanto vituperate negoziazioni, si legge nella Comunicazioni “gli acquirenti pubblici dovrebbero inoltre prendere in considerazione la ricerca di soluzioni alternative e interagire con il mercato” ; tra le indicazioni date poi segue : “– contattare i potenziali contraenti, nell’UE e al di fuori dell’UE, telefonicamente, via e-mail o di persona; – incaricare agenti che abbiano contatti migliori sui mercati; – inviare rappresentanti direttamente nei paesi che dispongono delle necessarie scorte e possono provvedere a una consegna immediata; – contattare potenziali fornitori per concordare un incremento della produzione oppure l’avvio o il rinnovo della produzione; – gli acquirenti pubblici possono avvalersi di strumenti digitali innovativi per suscitare un ampio interesse fra gli operatori economici in grado di proporre soluzioni alternative, come eventi hackathon per trovare nuove soluzioni, – gli acquirenti pubblici possono inoltre collaborare più strettamente con ecosistemi di innovazione o reti di imprenditori,
procedura negoziata che potrebbero proporre soluzioni.” Come si fa con una normativa ingessata e una giurisprudenza censoria che obbliga a fare consultazioni di mercato anche per 40.000,00 euro? Un serio cambio di passo della legislazione in via immediata si impone, altrimenti, non potremmo fronteggiare questa situazione che non è, si ribadisce, episodica. Nella stessa Comunicazione poi, si precisa che se nel caso di impossibilità oggettiva di rispettare i tempi, ovvero di non avere margini temporali sufficienti tale circostanza impone il ricorso ad una procedura negoziata senza previa pubblicazione “le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione «nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti da eventi imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati. Le circostanze invocate per giustificare l’estrema urgenza non sono in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici.» (articolo 32, paragrafo 2, lettera c), della direttiva). La Corte di giustizia esige che il ricorso a questa procedura rimanga eccezionale. Tutte le condizioni devono essere soddisfatte cumulativamente e interpretate in senso restrittivo. Una «procedura negoziata senza previa pubblicazione» consente alle amministrazioni aggiudicatrici di negoziare direttamente con i potenziali contraenti; l’aggiudicazione diretta a un operatore economico preselezionato rimane l’eccezione ed è applicabile ove solo un’impresa sia in grado di fornire i risultati richiesti nel rispetto dei vincoli tecnici e temporali imposti dall’estrema urgenza. Ogni amministrazione aggiudicatrice dovrà valutare se siano soddisfatte le condizioni per il ricorso a tale «procedura negoziata senza previa pubblicazione» e dovrà giustificare la scelta di detta procedura in una relazione unica. Nella valutazione individuale di ogni singolo caso dovranno essere soddisfatti i criteri cumulativi illustrati qui di seguito, per come previsto dagli articoli 27 e 28 della direttiva 2014/24/ UE.” Secondo la giurisprudenza il ricorso alle procedure ordinarie è la regola, sebbene in regime accelerato, solo in via successiva consentendo il ricorso all’istituto eccezionale di cui all’articolo 63, secondo comma, lettera c) (cfr., Tar
Campania, Sez. I, 5 marzo 2019, n. 1223). La decisione del RUP di optare per termini abbreviati o procedura negoziata, comunque è sindacabile nel merito? E’ la Commissione UE che precisa che, proprio per situazioni quali la crisi Covid-19, che presenta “un’urgenza estrema e imprevedibile, le direttive dell’UE non contengono vincoli procedurali. La procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara consente agli acquirenti pubblici di acquistare forniture e servizi entro il termine più breve possibile. L’articolo 32 della direttiva 2014/24/UE consente agli acquirenti pubblici di negoziare direttamente con i potenziali contraenti e non sono previsti obblighi di pubblicazione, termini, numero minimo di candidati da consultare o altri obblighi procedurali. Tanto consente alle autorità di agire il più rapidamente possibile, nei limiti di quanto tecnicamente/fisicamente realizzabile. La procedura è, dunque, di fatto, un’aggiudicazione diretta, soggetta unicamente ai vincoli fisici/tecnici connessi all’effettiva disponibilità e rapidità di consegna.” Pertanto, il ricorso alla procedura negoziata per quanto concerne le acquisizioni ascrivibili al fenomeno Covid e a quanto necessario collateralmente (non certo la internalizzazione del Paese come si legge, invece, nel decreto n.18/2020) può esser acquisito con questa metodologia anche per noi italiani che abbiamo una visione contabilistica dei contratti. I commi n.5 e n. 6 dell’art.41 del RD 827/1924 prevedevano, infatti, per il caso della procedura senza gara requisiti di “eccezionali circostanze” e “urgenza”. Ancora per l’art.92 del RD 827/1924 la “gara ufficiosa tra le offerte oggetto di trattativa privata aveva luogo dopo avere interpellato, se ciò sia ritenuto conveniente, più persone o ditte”. La normativa italiana è piena di norme in cui si parlava di estrema urgenza, imperiosa urgenza, impellente urgenza. Forse la migliore per comprenderne appieno la portata è quella contenuta nella legislazione dei lavori la legge Merloni del 1994 al cui art. 24 si prevedeva che si potesse procedere senza bando (sopra i 150.000 ecc) per il ripristino di opere rese inutilizzabili da eventi imprevedibili di natura calamitosa qualora motivi di imperiosa urgenza rendessero incompatibili i termini imposti dalle procedure di affidamento degli appalti, purché fossero state invitate almeno 15 concorrenti e fosse stato motivato il
Lo strumentario giuridico stenta a trovare risposte, perché nello stesso contratto è difficile gestire l’emergenza Covid con istituti quale la impossibilità sopravvenuta, l’eccessiva onerosità sopravvenuta o la tanto invocata forza maggiore
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procedura negoziata
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provvedimento. La eccezionalità della situazione giustifica un sacrificio di un bene primario quale è la concorrenza, questo in buona sostanza il connotato che deve esistere per poter attivare simili procedure, una eccezionalità per la quale si aspetta dalla stazione appaltante non è esigibile altro comportamento che quello adottato. Se prima la giurisprudenza rilevava che non costituisce circostanza imprevedibile la necessità di dovere garantire un sistema di sicurezza ai malati, ai dipendenti ed ai visitatori finalizzato alla assistenza sanitaria senza pericoli. Tale previsione non è caso di emergenza o di circostanza imprevedibile poiché rientra a regime nei doveri delle pubbliche amministrazioni di svolgere servizi di pubblica utilità (Tar Abruzzo L’Aquila sez. I 10 gennaio 2011 n.3) ora evidentemente in questo frangente la decisione dovrebbe esser rivista. Ma questa ultima conclusione a cui siamo giunti solo guardando alle norme costituisce un primo elemento di riflessione per una normativa nuova di “emergenza” che detti semplificando norme ad hoc, perché l’“eccezionale” è la regola . L’attuale art. 63 del Codice non è sufficiente per potere gestire questa situazione neppure per l’estrema urgenza imprevedibile attuale. Non può ricordarsi che la giurisprudenza ha affermato che le eccezioni ai principi di libera concorrenza e pubblicità sono consentite solo presenti le ragioni tassative declinate nella norma che non consentono alcuna interpretazione estensiva. La giurisprudenza sempre ha confermato l’esclusione dell’estrema urgenza nel provvedere in quanto tale presupposto non è giustificato nei casi di carenza di adeguata organizzazione o programmazione né in caso di inerzia da parte della pubblica amministrazione. (TAR Lazio, Roma sez. I, 4 settembre 2018, n. 9145. Nel caso l’amministrazione aveva affidato un servizio di pulizia per 6 mesi con procedura negoziata senza previa pubblicazione di avviso nelle more della definizione della procedura aper-
ta (nel settore della sanità si ricorre spesso a “gare ponte semestrali”). Né tale presupposto è ammesso allorché tra le circostanze non imputabili alle pubbliche amministrazioni vengano fatte rientrare il periodo feriale e la conseguente minore operatività degli uffici per lo smart working (Cds, sez. V 10 settembre 2009 n.5426). Conclusioni In questi giorni si parla tanto di decreto semplificazioni, la sottoscritta è venti anni che legge di semplificazione amministrativa. La necessità di non sbagliare, anche se un Legislatore non dovrebbe mai sbagliare o al più prevedere e gestire i giusti rischi dell’impatto di una normazione, forse ci porterà ad una semplificazione, ma non è questo il momento, ovvero lo è, occorre per la gestione Covid una normazione ad hoc “a scadenza” altrimenti anche quella semplificata costituirà una complicazione perché dovrà esser recepita dalle amministrazioni. In altri termini, si tratta di immaginare una nuova giuridicità, nuove regole sì sempre meno condizionata da strutture giuridiche risalenti nel tempo e non più adeguate alla realtà, che veda un recupero dell’autonomia decisionale dell’amministrazioni e un reale ritorno agli obiettivi che un contratto pubblico si prefigge, cioè la esecuzione di un servizio e la realizzazione di un lavoro. L’attuale codice dei contratti pubblici ha difficoltà operative congenite prima tra tutte l’aver voluto introdurre nella normativa un elemento spurio “Anac” che certo non può dettare normativa, applicare, controllare, fare Autorità garante, Agenzia Governativa, Amministrazione aggiudicatrice e giudicatrice un organismo pantagruelico ingestibile. Bisognerebbe poter ripartire da una Autority che sia di supporto per le amministrazioni e che svolga quei ruoli propri di collaborazione che le amministrazioni si aspettano, perché fare rilievi alle amministrazioni significa aver fallito il proprio mandato.
AZIENDE INFORMANO
“CONNECT FOR SHAPE: una risposta ad un’esigenza del mondo sanitario” 1. “Connect for Shape”: ridisegnare insieme il futuro del public procurement dei medical devices Introduzione Partendo dalla centralità dei bisogni del paziente e dalla necessità di confluire gli sforzi verso un progressivo miglioramento dell’outcome clinico, le tecnologie sanitarie e le innovazioni tecnologiche, più in particolare, giocano sicuramente un ruolo fondamentale nel contribuire alla soluzione dei problemi di salute.
nire un elenco di beni e dei relativi prezzi, al di sopra dei quali le amministrazioni devono rivolgersi per gli acquisti ai soggetti aggregatori stessi.
Per questa ragione, negli ultimi anni, l’ambito del public procurement è stato interessato da importanti sforzi di carattere istituzionale per ottimizzare la funzione di acquisto dei dispositivi medici e in Italia numerosi e profondi cambiamenti hanno interessato le regole, gli assetti organizzativi e i pesi relativi dei vari stakeholder notoriamente coinvolti nel processo.
* Il decreto ministeriale del 10 agosto 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2018 e recante “documento d’indirizzo per la stesura dei capitolati di gara per l’acquisizione di dispositivi medici”, ha definito i requisiti essenziali ai quali attenersi nella fase programmatoria, definitoria, nonché nella succes-
L’attuale sfida è quella di attribuire maggior peso al “valore” delle tecnologie e declinarlo in criteri espliciti delle gare di appalto, evitando il rischio che solo pochi elementi (magari soltanto quelli economici) vengano tenuti in considerazione. Con l’obiettivo di condividere e valorizzare best practice e raccomandazioni relative ai processi di acquisto dei dispositivi medici è quindi nato il progetto “Connect for Shape” (“Connect for Supreme Healthcare and Procurement Excellence”, su iniziativa di Methodos Spa e con il supporto non condizionante da parte di Olympus. La legislazione - le tappe * Il DL 66/2014 ha ridisegnato il sistema degli acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione (PA), istituendo i soggetti aggregatori che si aggiungono a Consip. Costoro, attraverso l’organismo del “Tavolo Tecnico dei soggetti aggregatori”, provvedono a una programmazione tra Stato, Regioni e aziende per defi-
* La legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) ha espressamente previsto che gli enti del Servizio Sanitario Nazionale sono tenuti a effettuare acquisti, relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario, in via esclusiva, tramite i soggetti aggregatori di riferimento (attualmente 33, registrati nell’apposito elenco).
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AZIENDE INFORMANO siva fase di monitoraggio dell’esecuzione dei contratti, avendo riguardo alla specificità tecnica del settore dei dispositivi medici.
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2. Connect for Shape - Le tappe del Progetto Il progetto si è avvalso di un apposito Advisory Board e di un tavolo di lavoro entrambi multidisciplinari e indipendenti, che hanno coinvolto autorevoli esperti del mondo della salute, del public procurement e dei dispositivi medici. Sul piano metodologico, si è costituito l’Advisory Board, così composto: Luigi Boni, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano Vincenzo Cennamo, Azienda Unità Sanitaria Locale, Bologna Americo Cicchetti, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Gianluca Giaconia, Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli, Napoli Lorenzo Leogrande, Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli, Roma Vittorio Miniero, Appaltiamo s.r.l.s., Bologna Paolo Torrico, Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale (ESTAR), Toscana e si è poi proceduto a realizzare alcune interviste preliminari ai suoi componenti. A queste è seguito un apposito First Advisory Board Meeting che il 13 febbraio 2019 ha segnato il vero e proprio avvio dei lavori; in tale occasione sono stati condivisi i punti emersi dalle interviste preliminari, così da inquadrare lo scenario di riferimento e sono state formulate le prime ipotesi dei temi e delle questioni da affrontare. Nei giorni 19 e 20 giugno 2019, è stato organizzato un intenso workshop progettuale (che ha ricevuto il rico-
noscimento del patrocinio del Ministero della Salute) in occasione del quale i componenti dell’Advisory Board hanno illustrato le loro proposte a un’apposita “Faculty” multidisciplinare composta da professionisti invitati a discuterle e metterle a punto. Il risultato di questo lavoro è stato elaborato un documento di consensus, che ha l’ambizione di favorire un’applicazione concreta e diffusa delle prime raccomandazioni emerse dai lavori. 3. Connect For Shape - I principi del Progetto Come far sì che il “valore” possa avere la giusta rilevanza in tema di politiche di acquisto dei dispositivi medici? Partendo da questo spunto, nel consensus paper si sono andati a delineare i seguenti principi: *CENTRALITÀ DEL PAZIENTE: La persona va posta al centro dell’analisi dei bisogni di acquisto *INNOVAZIONE COME OPPORTUNITÀ DI MIGLIORAMENTO E SVILUPPO: Questo è quanto indica altresì il legislatore europeo secondo il quale “Le autorità pubbliche dovrebbero utilizzare gli appalti pubblici strategicamente nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione. Ciò contribuisce a ottenere un rapporto qualità / prezzo più vantaggioso nonché maggiori benefici economici, ambientali e per la società attraverso la generazione di nuove idee e la loro traduzione in prodotti e servizi innovativi, promuovendo in tal modo una crescita economica sostenibile” (Considerando 47 della Direttiva UE 2014/24 sugli appalti pubblici). *VALORE DELLA QUALITÀ: Questo va declinato in requisiti qualitativi significativi ai fini della selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità / prezzo. *SPECIFICITÀ DEI DISPOSITIVI MEDICI E DEI CONTESTI SANITARI IN CUI TROVANO IMPIEGO L’acquisto e poi l’impiego appropriato di un dispositivo medico presentano maggiori complessità rispetto ad altri beni e servizi. Sotto il nome “dispositivi medici” vanno infatti tecnologie molto diverse tra loro per: finalità, funzione svolta, complessità, tipo di prodotto, classe di rischio, tasso di innovazione, investimenti sottesi, mercato di riferimento, ordine di prezzo e di spesa. *APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE: La stessa evoluzione tecnologica spinge a una sempre più stretta interazione tra le diverse professioni sanitarie e a ciascuna di esse, nessuna esclusa, va riconosciuto un importante ruolo nei processi decisionali di acquisto. *CONCORRENZA TRA LE IMPRESE Favorire la concorrenza tra le imprese porta alla possibilità di scelta tra un maggior numero di offerte. www.connectforshape.com
gli esperti rispondono Monica Piovi e Piero Fidanza
Sull’avvalimento delle certificazioni del sistema qualità. “Un operatore economico ci chiede se l’istituto dell’avvalimento possa essere utilizzato per avvalersi della certificazione del sistema di qualità della ditta ausiliaria e se in tal caso si abbia diritto alla riduzione dell’importo della garanzia fideiussoria”.
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avvalimento è un istituto di derivazione europea che potremmo definire “aggregativo e pro-competitivo” mediante il quale è consentito agli operatori economici di partecipare a procedure di evidenza pubblica integrando i propri requisiti di partecipazione con quelli di altri operatori economici, avvalendosi dei mezzi, delle risorse e degli strumenti in possesso di questi ultimi. Pertanto, il contratto di avvalimento ha come scopo principale quello di favorire la maggior partecipazione possibile alle gare di appalto anche da parte dei soggetti di per sé privi dei necessari requisiti speciali di partecipazione. Le ricadute positive dell’istituto si verificano sia per la P.A., la quale ha interesse ad ampliare la partecipazione a quanti più operatori possibili al fine di individuare la miglior offerta che il mercato è in grado di produrre; sia per gli operatori economici, i quali sono posti nelle condizioni di accedere anche a procedure che, sulla base delle proprie capacità, sarebbero loro precluse. Come chiarito dalla giurisprudenza (ex multis, Cons. di Stato, Sez. V, n. 6693/2018) l’istituto in parola può essere impiegato al fine di soddisfare la richiesta relativa al possesso, da un lato, dei requisiti di carattere economico-finanziario e, in particolare, del fatturato globale o specifico (c.d. avvalimento di garanzia), dall’altro, dei requisiti di capacità tecnico-professionale. Quest’ultimo caso ricorre qualora l’ausiliaria metta a disposizione le proprie risorse tecnico-organizzative indispensabili per l’esecuzione del contratto (c.d. avvalimento tecnico o operativo). I due tipi di avvalimento rispondono ad un regime giuridico parzialmente diverso: l’avvalimento di garanzia non comporta che il relativo contratto si riferisca alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare con precisione, ma è sufficiente che dalla dichiarazione emerga l’impegno contrattuale a prestare ed a mettere a disposizione dell’ausiliata la complessiva solidità finanziaria ed il proprio patrimonio; specularmente l’avvalimento tecnico od operativo presuppone che il contratto sia ben definito in ordine alle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria: per l’avvalimento operativo “sussiste sempre l’esigenza di una messa a disposizione in modo specifico di risorse determinate: onde è imposto alle parti di indicare con precisione i mezzi aziendali messi a disposizione dell’ausiliata per eseguire l’appalto” (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 30/01/2019, n.755). Orbene, dal momento che anche la certificazione di qualità può esser ricondotta nell’alveo dei requisiti tecnico-professionali, è necessario che il relativo contratto di avvalimento, riconducibile alla categoria dell’av-
valimento “operativo”, fornisca una espressa e specifica elencazione di tutti i mezzi e le risorse aziendali messi a disposizione dall’ausiliaria, per consentire alla Stazione appaltante una previa verifica sulla specificità e determinatezza del contratto stesso e quindi sulla completa ed effettiva soddisfazione del requisito mancante al concorrente. Più nel dettaglio, la giurisprudenza maggioritaria si orienta nel richiedere che l’ausiliaria metta a disposizione l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 17/5/2018, n. 2953). La ratio di tale richiesta risiede nell’esigenza di evitare che il rapporto di avvalimento si trasformi in una sorta di “scatola vuota”, atteso che “l’avvalimento, per com’è configurato dalla legge, deve essere reale e non astratto, cioè non è sufficiente “prestare” il requisito o la certificazione posseduta ed al contempo assumere sul punto impegni del tutto generici, a pena di svuotare di significato l’essenza dell’istituto” (cfr. Cons. di Stato, sez. III, 12/11/2014, n. 5573, richiamata di recente dda Cons. di Stato, sez. V, 30/1/2019, n. 755). Inoltre, lo scopo della specificazione delle “risorse” imposta dallo stesso art. 89 D. Lgs. 50/2016 è raggiunto ogniqualvolta la Stazione appaltante sia messa in grado di comprendere quali siano gli impegni concretamente assunti dall’ausiliaria nei confronti della concorrente e di verificare, in sede di gara, e controllare, in sede di esecuzione, che “la messa a disposizione del requisito non sia meramente cartolare ma sia basata sulla prestazione effettiva di attività e/o di mezzi dall’una impresa in favore dell’altra.” (TAR Lazio, Sez. III, 10/05/2019, n. 5880). Nello stesso senso si esprime anche l’Anac, la quale ha mostrato di aderire all’orientamento giurisprudenziale favorevole alla sua ammissibilità, a condizione che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata la propria organizzazione aziendale (Parere di precontenzioso n. 707 del 24/7/2018). Soddisfatti ed integrati i presupposti richiesti ai fini della legittimità e correttezza dell’avvalimento delle certificazioni di qualità, non vi sono ragioni che ostano al riconoscimento del beneficio della riduzione della garanzia fideiussoria, ai sensi dell’art. 93, co. 7, D. Lgs. 50/2016, pena un’irragionevole differenziazione e discriminazione tra i concorrenti in gara (Cons. di Stato, Sez. V, 10/09/2018, n.5287: “Invero, l’esame del contratto di avvalimento consente a questo Collegio di ritenerne la piena idoneità a trasferire al concorrente i mezzi per l’esecuzione dell’appalto e, con essi, per le ragioni descritte, anche il certificato di qualità […]. Discende dalla disponibilità del certificato di qualità per le ragioni precedentemente esposte la possibilità della concorrente di fornire la garanzia provvisoria in misura ridotta”).
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Coopservice rafforza i propri presidi di legalità La cooperativa ha ottenuto la certificazione ISO 37001, uno standard che prevede, nella gestione dell’attività d’impresa, impegni nella prevenzione della corruzione attraverso l’adozione di procedure e controlli (audit interni) volti a monitorare e quindi a prevenire eventuali fenomeni di corruzione attiva e passiva sia in ambito pubblico che privato. La norma ISO 37001 – Anti-Bribery Management Systems, definisce i requisiti di un sistema di gestione per la prevenzione della corruzione. Tali requisiti sono il frutto della conoscenza acquisita in materia negli ultimi anni, in particolare nella cultura anglosassone (e.g. British Standard, ABC, FCPA, COSO ERM) e sono considerati anche da ANAC come un valido riferimento. La decisione di rafforzare i presìdi di legalità attraverso la certificazione ISO 37001 si integra con la strategia di crescita di Coopservice che già da diversi anni ha adottato il Codice Etico, il modello 231, le linee guida Anticorruzione, le linee guida Antitrust e si è dotata di un Risk Manager per la gestione integrata dei rischi aziendali. Il concetto di corruzione definito dalla ISO 37001 si estende ben oltre la definizione prevista dalla norma penale, arrivando a chiedere di prevenire ogni comportamento che possa anche soltanto eticamente essere considerato inappropriato, a prescindere dal fatto che possa essere lecito e usualmente tollerato. Questo sistema è un modello organizzativo con il quale ci si impone risultati superiori a quanto già previsto dal modello 231. www.coopservice.it Michele Magagna – Direttore Generale Coopservice
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Covid-19, Exposanitá posticipata ad aprile 2021 Exposanità, la biennale internazionale al servizio della sanità e dell’assistenza, inizialmente in programma quest’anno, è stata posticipata a causa dell’emergenza sanitaria e si terrà dal 21 al 23 aprile 2021 sempre negli spazi della Fiera di Bologna. “Dobbiamo tutti aver cura della nostra salute, per il nostro bene e per il bene degli altri”, si legge nel comunicato ufficiale. “È in base a questa convinzione, e in considerazione delle settimane impegnative che aspettano tutti coloro che si occupano di sanità, che ci vediamo costretti a posticipare l’edizione 2020 di Exposanità.” La XXII edizione della manifestazione presenterà servizi, prodotti e soluzioni di ultima generazione per rendere più efficiente la gestione del sistema sanitario e più efficace il percorso di cura alla persona. Nell’ultima edizione sono stati 30.199 gli operatori che hanno visitato i 25.470 mq dell’area espositiva di Exposanità. Numeri che la attestano il fatto che sia l’unica fiera italiana dedicata al settore sanitario e la seconda in Europa per numero di espositori e ampiezza della gamma di prodotti. Nata nel 1982, la fiera unisce alla funzione puramente commerciale quella di occasione di incontro fra tutti gli attori del mondo della sanità. www.exposanita.it
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TEME - TECNICA E METODOLOGIA ECONOMALE
BIMESTRALE DI TECNICA ED ECONOMIA SANITARIA
Connect for Shape è un progetto che coinvolge autorevoli esperti del mondo della salute, con l’obiettivo di condividere e valorizzare best-practice e raccomandazioni relative ai processi di acquisto dei dispositivi medici.
BARDASI - FABBRI
IL REGISTRO DEGLI ACCESSI: IL NUOVO PARAMETRO DI TRASPARENZA INTRODOTTO DALLA RIFORMA MADIA FAUSTO BARTOLINI
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OTTENIMENTO DELLA CERTIFICAZIONE UNI EN ISO 9001:2015 NELLA ASST GRANDE OSPEDALE METROPOLITANO NIGUARDA
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MAURIZIO ZOPPOLATO
ISSN 1723-9338
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USL UMBRIA 2: IL COVID SI COMBATTE CON LO SPRAY ALCOLICO A COSTO ZERO
L’ANTICIPAZIONE DEL PAGAMENTO AGLI APPALTATORI, MISURA UNICA (FINORA) E PIENA DI PERPLESSITÀ INTRODOTTA DALLE LEGGI EMERGENZIALI NEGLI APPALTI