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Penso che i collezionisti hanno dato un enorme contributo non solo al mercato ma anche agli stessi artisti... Queste persone che comprano, che fissano gli standard, fanno venire a tutti gli altri una gran voglia di emularli. Philip Johnson
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JANNIS KOUNELLIS
di Roberta Bernabei
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Se sono cavalli sono Kounellis
J
annis Kounellis, uno dei grandi artisti contemporanei,
maestro dell’Arte Povera, greco di nascita ma italiano a tutti gli effetti (così si considera da sempre, da quando arrivò a Roma, il giorno di Capodanno del 1956), viaggia in continuazione esponendo nelle gallerie e nei più celebri musei del mondo. Il mito di Ulisse rivive nel suo essere artista e alle molteplici fisionomie del viaggiatore in lui corrispondono i molti percorsi espressivi che ha intrapreso e che lo hanno condotto alla creazione di un codice visivo in cui convivono l’arcaico, il classico e il contemporaneo, in una dialettica semplice, aspra, in un’arte mai banalmente narrativa, antiidilliaca, ma anche pervasa da un senso di tragicità assorta, assolutamente singolare. I viaggi e i nomadismi hanno aggiunto in lui saperi a saperi, gli hanno suggerito un linguaggio sempre riconoscibile, che sovverte la rappresentazione tradizionale e che trova la sua espressione compiuta, ridotta ai minimi termini, attraverso materiali semplici, come il ferro, il carbone, i sacchi di iuta, le pietre, i cocci di ceramica, il bronzo: elementi primari naturali e frammenti di manufatti, scevri dal loro contesto originario, da trasformare in energia poetica, in eloquenti morfologie espressive di un mondo interiore che non appartiene solo all’artista ma che è collettivo, veicolo di allusioni e significati che servono a dare un senso a questo suo viaggio. Il percorso espressivo di Kounellis è riconducibile al movimento dell’Arte Povera, nato in Italia, tra Torino e Roma, nel 1966, quando il critico Germano Celant – ispirandosi al teatro “povero” di Jerzy Grotowski – lo utilizza per la prima volta per definire il lavoro di artisti tra i quali, oltre allo stesso Kounellis, si ricordano Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Luciano Fabro, Mario Merz, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, Pino Pascali, Giovanni Anselmo, Emilio Prini, Giuseppe Penone, Pier Paolo Calzolari, Marisa Merz. Si tratta di un’area di ricerca artistica molto vicina alle esperienze internazionali sia europee sia americane delle cosiddette Process Art, Land Art e Conceptual Art, una radicale ridefinizione dei modi e dei confini dell’arte che vengono ridotti ai minimi termini, impoveriti nei segni, ricondotti ai loro archetipi, che trova le sue motivazioni principali nel totale disinganno rispetto ai canoni e ai formulari tradizionali dell’arte pittorica sentiti come stantii ed espressivamente ormai del tutto inefficaci. Anche se ogni artista si distingue per una propria e originale poetica, molti degli esponenti dell’Arte Povera sono accomunati dall’interesse per la dimensione energetica e vitale dei materiali, da una poetica che tende a riappropriarsi delle cose reali, come le entità naturali, del significato più fisico e reale della terra, dell’acqua, degli animali, dell’energia, di ciò che è quotidiano e che appartiene alla storia dell’uomo.
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Senza titolo (part.), 1988, New York, Mary Boone Gallery, poi riproposto nellʼinstallazione alla Biennale di Venezia, lastra di ferro, sacchi di iuta, carbone e putrelle
«L’Arte Povera – afferma Kounellis – non è un movimento come il cubismo, di cui si può dire che il cubismo analitico è morto, mentre ora fa la sua comparsa il cubismo sintetico, cioè un nuovo periodo. No, l’Arte Povera è un’illuminazione, un’idea condivisa dalle personalità che hanno costituito quel gruppo. Naturalmente ogni artista ha avuto un suo sviluppo autonomo. Tuttavia, tutto ciò che allora era considerato fondamentale, esiste ancora oggi. Intendo l’idea della “uscita dal quadro”, cioè l’abbandono del sistema di una pittura intesa come rappresentazione. Tutti gli artisti del gruppo hanno continuato a lavorare mantenendo questa posizione; non è mai venuto loro in mente di negare quest’idea per fare pittura decorativa o altro ancora. Tutti rimangono legati all’idea primaria che ha fondato l’Arte Povera […]: si lavora con lo spazio e la materia, per andare verso l’oggetto, per fare un’arte fisica, oggettuale, in cui l’artista non “rappresenta” ma “presenta”. Il ricorso ai materiali concreti è una delle precise scelte che ci ha permesso di essere dialettici […]. Queste sono state le scelte della mia generazione, una generazione americana ed europea»(1). Il risultato di queste ricerche è un linguaggio per lo più criptico, silenzioso, limpido ed evidente solo per coloro che possiedono una “chiave” interpretativa per accedere alla dimensione speculativa e concettuale che è alla base di queste opere. L’Arte Povera si distingue per il rifiuto dei mezzi espressivi tradizionali, come la pittura e la scultura, e per l’impiego creativo e originale di materiali non tradizionalmente artistici, poveri appunto, sia naturali, sia organici, sia industriali – come terra, pietra, legno, vegetali, stracci, plastiche, neon, scarti industriali – assunti nella loro espressività primaria e immediatezza sensoriale e spesso proposti sotto forma di installazioni, e quindi in stretto rapporto con l’ambiente che li accoglie, o in performance dell’artista. L’Arte Povera è riconducibile al più ampio ambito dell’Arte Concettuale che si diffonde dagli Stati Uniti all’Europa nella seconda metà degli anni Sessanta e che non ha un oggetto – l’opera d’arte in senso tradizionale – come residuo espressivo ma concentra il suo campo d’indagine sull’idea stessa, anche se non realizzata visualmente. Gli anni Sessanta sono per gli Stati Uniti un periodo culturale caratterizzato da un’eccezionale vivacità ed esuberanza, da un desiderio irrefrenabile di eliminare ogni traccia di conformismo in favore di una libertà piena nell’espressione artistica. Contestualmente al rifiuto dell’Espressionismo astratto e della Pop Art, si afferma una corrente artistica, con un’attitudine molto speculativa, che prende il nome di Minimal Art (il termine Minimalism viene coniato dal filosofo inglese Richard Wollheim nel suo articolo Minimal Art pubblicato nel 1965 per definire alcune manifestazioni scultoree contemporanee di asettica composizione). La Minimal Art propone una semplificazione estrema della struttura e delle modalità esecutive e una riduzione
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Lʼartista al lavoro per la progettazione dellʼinstallazione Atto unico alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, 2006
del linguaggio espressivo alle sue condizioni primarie, all’essenzialità della geometria. Tale corrente viene anche detta, meno correttamente, ABC Art, Primary Structures, Systemic Art, Cool Art, Concrete Objects, Specific Objects, Single Image Art, The Art of the Real. Quest’arte è astratta, anonima – in quanto non contempla connotazioni personali dell’artista – legata alla semplicità e all’essenzialità delle forme. Il termine minimal viene poi adottato per definire un fenomeno artistico che interessa tutti gli Stati Uniti e che include il lavoro di numerosi scultori e pittori, tra i quali Donald Judd, Sol LeWitt, Richard Serra, Dan Flavin, Robert Morris, Tony Smith, Carl Andre, Jo Baer, Ronald Bladen, Robert S. Grosvenor, Robert Smithson, Anne Truitt, John McCracken, Brice Marden, Robert Mangold, Agnes Martin, Robert Ryman, Al Held, Larry Bell, ma viene utilizzato anche per indicare i lavori di artisti come Kenneth Noland, Barnett Newman, Ellsworth Kelly e Frank Stella, che fra tutti si può considerare il precursore del Minimalismo. Questa corrente artistica, diffusasi rapidamente anche in Europa, si caratterizza per la sua aspirazione antisoggettiva, per il distacco emozionale, per la freddezza, che è propria della speculazione alla base dell’intervento dell’artista che propone un’enfasi particolare verso l’oggetto e la sua fisicità, un oggetto che si pone all’osservatore attraverso l’identificazione con la sua struttura stessa, con gli elementi suoi propri, come la forma, la superficie, lo spessore, gli angoli, il cromatismo, la natura del materiale stesso, il dialogo tra le forme e la luce e lo spazio in cui è inserito. La scultura minimalista è un’arte che si impone attraverso una connotazione ottico-percettiva, ha spesso strutture gigantesche, che invadono lo spazio potenziando l’effetto di straniamento tra l’oggetto e l’ambiente in cui è collocato, tra l’oggetto e colui che lo osserva, rendendo quasi impossibile una relazione soggettiva con l’opera d’arte. L’ambiente circostante che accoglie queste opere d’arte diviene componente attiva del lavoro artistico: oggetto e ambiente – environment – interagiscono, le installazioni determinano il rapporto tra queste opere tridimensionali e lo spazio che occupano in un dialogo sempre serrato. Nel linguaggio espressivo di Richard Serra, che espone nella Galleria La Salita a Roma nel 1966 – la sua ricerca rappresenta un significativo esempio per la produzione di Kounellis come anche per altri artisti poveristi – l’opera d’arte si identifica con la sua struttura, con elementi come lo spessore, le distanze, le superfici, le forme, gli angoli, mentre la materia prende il posto della rappresentazione; parte attiva dell’opera è anche lo spazio in cui gli oggetti tridimensionali sono inseriti, oltre al tempo impiegato dal fruitore per girare intorno alla scultura e osservarla. Serra, come tutti i minimalisti, evita ogni traccia di manualità nella creazione delle sue opere, esaltando la materialità e mirando alla spersonalizzazione totale dell’oggetto tridimensionale.
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Senza titolo, 1980, D端sseldorf, porta murata con calchi di gesso
Alle pagine successive: Senza titolo (part.), 1986, Vienna, Theater am Steinhof, ferro, calchi di gesso, piombo
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Nella pagina accanto: Senza titolo, 1969, Napoli, Galleria Amelio, scritta con gesso su lastra di ferro con mensola e candela
Senza titolo, 1960
Attraverso le sue sculture fa emergere le qualità fisiche dei materiali utilizzati, spesso metalli, quali lo spessore, il peso, l’equilibrio, la gravità, liberandosi di qualsiasi intento celebrativo o rappresentativo. Alla fine degli anni Sessanta il contenuto critico verso l’establishment della Minimal Art riemerge nella Conceptual Art che, polemicamente, elimina totalmente l’oggetto artistico, offrendo come opera d’arte solo idee scritte o tracce documentarie, mentre lo sconfinamento delle sculture nell’ambiente, la stretta coesione tra strutture e spazio, confluisce nella Land Art. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta avviene la svolta postminimalista e con il termine di Postminimal Art viene denominata una serie di movimenti e di artisti che, con maggiore o minore consapevolezza, propongono un’arte il cui approccio è essenzialmente concettuale e il cui lavoro spesso è difficilmente collocabile all’interno di un particolare movimento o identificabile con etichette ben definite in quanto caratterizzato da continue contaminazioni: nascono così i movimenti Conceptual Art, Environment, Land Art, Process Art, Anti Form, Body Art, Narrative Art, Performance Art. Le ricerche postminimaliste, esaltando l’espressività propria dei diversi materiali, elaborano un’estetica del provvisorio aperta, nuova, libera e vitale: nascono così opere disorientanti, effimere, non trasportabili, perché realizzate appositamente in occasione di una mostra, quindi legate indissolubilmente a un luogo e ad un contesto e spesso, successivamente, alla chiusura dell’esposizione, distrutte. La Conceptual Art, che rappresenta un ambito di ricerca strettamente connesso alla poetica dell’Arte Povera, è il prodotto dei fermenti politici dell’epoca, è una corrente artistica che si dichiara contraria a qualsiasi stile, a qualsiasi strumento tradizionale del fare arte, ma anche alla commercializzazione dell’arte: estrema manifestazione dell’Arte Concettuale è la dematerializzazione dell’arte, che si esprime attraverso testi, procedimenti logici, informazioni, fotografie, annotazioni, disegni, video, performance. Nell’Arte Concettuale non è più l’oggetto a costituire l’opera d’arte, ma l’idea, che può quindi essere esibita, realizzata attraverso scritte, parole, fotografie o altro. Il termine concettuale viene introdotto nel 1961 da Henry Flyn, artista appartenente alla corrente Fluxus, per designare un’arte «il cui materiale è il linguaggio», mentre è elaborato teoricamente per la prima volta nel testo Paragraphs on Conceptual Art, vero e proprio manifesto, pubblicato sulla rivista “Artforum” nel 1967 da Sol LeWitt, che nel 1969 pubblica anche Sentences on Conceptual Art. L’artista afferma che l’idea in se stessa, anche se non realizzata visualmente, è un’opera d’arte tanto quanto il prodotto finito, in quanto l’Arte Concettuale è fatta per impegnare la mente dell’osservatore piuttosto che il suo occhio o la sua emotività. L’artista aggiunge inoltre che qualsiasi cosa attiri l’attenzione sulla componente fisica dell’opera
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Senza titolo, 1972, Roma, l始artista a cavallo tiene una maschera di gesso davanti al viso in una stanza dipinta di giallo; nella pagina accanto, Senza titolo, 1969, Roma, Galleria L始Attico di Fabio Sargentini, dodici cavalli vivi nella sala principale
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costituisce un ostacolo alla comprensione dell’idea. Il testo che analizza la tendenza degli artisti a operare una riduzione dell’oggetto in favore del concetto è The Dematerialization of Art, dei critici Lucy Lippard e John Chandler, pubblicato nel 1968 sulla rivista “Art International”. L’opera di Sol LeWitt, che rappresenta un importante esempio per Kounellis, va inserita sia nella Minimal Art, sia nella Conceptual Art. L’artista inizia a realizzare nel 1968 i suoi Wall Drawings (disegni murali), elaborati concettuali che consistono in linee di matita, successivamente di pastello colorato, tracciate direttamente sulla parete della galleria: si parte dal presupposto che l’arte deve nascere da un’idea e non da un’emozione ed è sempre frutto di un’accurata e chiara idea progettuale, che ha origine in un processo concettuale, sia esso filosofico o matematico. L’arte si dematerializza per lasciare il posto all’idea, alla definizione linguistica dell’arte, a significati inediti: sulla stessa lunghezza d’onda l’approccio concettuale proposto da Joseph Kosuth. Nel panorama artistico degli anni Sessanta fanno la loro comparsa anche gli happening, performance destrutturate e articolate che coinvolgono anche gli spettatori, come quelle ideate da Fluxus – un gruppo nato negli USA nel 1962, a opera di George Maciunas – che propone esperienze artistiche, spesso estremamente provocatorie, caratterizzate dalla massima libertà espressiva, dall’interdisciplinarietà, dalla multimedialità, da uno strettissimo rapporto tra arte e vita, attraverso la simbiosi prima tra le varie forme espressive e poi tra realtà e creazione artistica. Sebbene i due termini siano spesso associati, l’happening è un’azione improvvisata e affidata al caso, e spesso prevede anche il coinvolgimento del pubblico, mentre la performance è un evento progettato dall’artista, quindi non casuale. La portata innovativa e dirompente di queste esperienze dell’arte statunitense sono strettamente connesse con la poetica della nascente Arte Povera. Equivalente italiano del Postminimalismo, nell’area della corrente dell’Arte Concettuale, è proprio questo movimento che si connota come aspirazione alla espressione di archetipi fisici e mentali che si offrono, come ha spiegato il critico Germano Celant, come dati di fatto: il senso dell’opera, anarchica dal punto di vista sia linguistico sia visuale, tende a coincidere con l’intervento dell’artista che esalta e mette in evidenza, con il suo nomadismo creativo, il processo fisico primario legato ai materiali scelti. Con l’eliminazione di tutti i valori rappresentativi comunemente associati all’opera d’arte, gli artisti poveri partono da un grado zero in cui la condizione materiale dell’opera e i processi messi in atto nel momento della creazione assumono il valore specifico di stimolare la riflessione sull’operare artistico. Pur nella diversità dei linguaggi dei rappresentanti di tale corrente artistica, le opere che si inseriscono in tale movimento
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Senza titolo, 1969, Roma, una donna seduta su un tavolo con accanto un cactus
Nella pagina accanto: Senza titolo, 1972, New York, due casse di ferro, una con una tenda e specchi dove lʼartista tiene una maschera di gesso davanti al viso, lʼaltra con mensole e spartiti in ferro dove un flautista esegue brani di Mozart
si collocano in uno spazio connotandolo, entrano in relazione con l’ambiente offrendo allo spettatore la possibilità di divenire elemento attivo nella loro percezione spaziale. Il fruitore non crea con l’opera un rapporto esclusivamente contemplativo, ma instaura con essa un rapporto più coinvolgente, intellettuale ma alle volte anche fisico, e questo perché spesso i materiali installati si offrono nello spazio espositivo come un vero e proprio percorso labirintico che propone un nuovo rapporto di fruizione, un’esperienza che amplia considerevolmente il significato estetico dell’opera: soggetto, opera d’arte e spazio divengono così i tre elementi centrali delle ricerche estetiche sperimentali poveristiche. «L’anno di riferimento dell’Arte Povera è il 1967 – spiega Germano Celant – ma il periodo in cui si forma va dal 1964 al 1966: un contesto segnato dalla messa in discussione della Pop Art come veicolo di colonizzazione culturale e artistica, e dal tentativo di apertura verso altre manifestazioni che non implicassero l’esaltazione dei prodotti di consumo ma piuttosto dei processi di pensiero e di reazione creativa verso una nuova realtà che si veniva affermando con la messa in discussione di qualsiasi sistema rigido del fare e dell’agire […]. Il cambio di segno si esprime nell’attitudine a progettare e pensare l’opera d’arte che non è più accettata come un fatto chiuso e definito, quindi cristallizzato in permanenza in uno stato rigido e fisso, ma come “cosa” aperta e cangiante, vivente e mutante, quasi un essere che continua a crescere e a modificarsi nel tempo e nello spazio. Una modalità di pensare l’arte che privilegia l’evento sulla forma, per cui il dipinto o la scultura presentano all’interno un “accadimento” […] come ad esempio il rinnovarsi della candela, e quindi della rivoluzione in Senza titolo di Jannis Kounellis (1969). Tale poesia, che scaturisce dal vivere momento dopo momento dell’arte, invita ad una fruizione del pubblico non passiva ma partecipativa. L’osservatore non è messo di fronte ad un’affermazione definitiva del prodotto estetico, ma dinnanzi al suo divenire, ed è invitato a mettersi in relazione con la cosa che si muove e si modifica […]. L’attitudine a pensare insieme la polarità della storia e del presente, del simulacro e del reale, del concreto e dell’astratto, del primitivo e del raffinato, della materialità e dell’immaterialità, del naturale e dell’artificiale, del bello e del brutto costituisce il presupposto di ogni azione o produzione attuata nell’ambito dell’Arte Povera»(2). Proprio perché nata alla fine degli anni Sessanta, un’epoca segnata da grandi utopie e da una forte carica contestativa, l’Arte Povera propone una visione deflagrante rispetto al modo tradizionale di fare arte, «postula – come dice Carmelo Strano – un “nuovo umanesimo” basato su un luogo comune assunto nell’arte: la pura presenza del fatto, della cosa, del soggetto (un principio di unicità del reale) al riparo dal mimetismo,
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dagli arricchimenti semantici e dagli arzigogolii concettuali. Un linguaggio libero da sovrastrutture narrative e storiche, l’effimero in contrapposizione al consumo. Povertà dei materiali, dei mezzi, degli effetti e dei segni fino alla loro riduzione ad archetipi […]. L’artista si immedesima nelle cose sino a renderle parte di se stesso, sue propaggini biologiche […]. L’Arte Povera cerca il nomadismo continuo per eludere la coerenza che è una caratteristica della concatenazione del sistema. Ne consegue: “decoltura”, “regressione”, “stato prelogico e preiconografico”. La dimensione “ricca” risulta quella tesa a interrompere “la catena del casuale per mantenere in vita la manipolazione del mondo”; la dimensione “povera” e quella “astorica” comportamentistica e mentale, contingente, basata sull’energia dirompente della vita la cui integrità è minacciata da connivenze con il sistema sociale. E allora si annuncia subito, a chiare lettere, un’arte povera, di guerriglia contro il mondo ricco»(3). Anche se l’Arte Povera rinuncia a ogni elemento che possa alludere al sistema tradizionale del fare arte, essa non rinuncia allo slancio poetico, trovando ispirazione nell’esaltazione dell’energia vitale e nella carica utopica che connotano l’opera di nuova palpitante attualità. «Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte – afferma Celant – L’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche, chimiche e biologiche e riinizia a sentire il volgersi delle cose del mondo, non solo come essere animato, ma come produttore di fatti magici e meraviglianti. L’artista-alchimista organizza le cose viventi e vegetali in fatti magici, lavora alla scoperta del nocciolo delle cose, per ritrovarle ed esaltarle […]. Il suo lavoro non mira però a servirsi dei più semplici materiali ed elementi naturali (rame, zinco, terra, acqua, fiumi, piombo, neve, fuoco, erba, aria, pietra, elettricità, uranio, cielo, peso, gravità, calore, crescita, ecc.) per una descrizione o rappresentazione della natura; quello che lo interessa è invece la scoperta, la presentazione, l’insurrezione del valore magico e meravigliante degli elementi naturali […] l’artista apre un rapporto nuovo con il mondo delle cose. Ciò con cui l’artista entra in rapporto non viene però rielaborato; su di esso non esprime un giudizio, non cerca un valore morale o sociale, non lo manipola: lo lascia scoperto ed appariscente, attinge alla sostanza dell’evento naturale, quale la crescita di una pianta, la reazione chimica di un minerale, il comportamento di un fiume, della neve, dell’erba e del terreno, la caduta di un peso, si immedesima con essi per vivere la meravigliante organizzazione delle cose viventi»(4). Le opere degli artisti appartenenti alla compagine dell’Arte Povera, che concentrano le loro ricerche sugli elementi naturali attraverso un’anarchia linguistica e visuale e operando un nomadismo creativo, riguardano archetipi mentali e fisici, offrendosi al fruitore come dati di fatto.
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Lʼartista con un pezzo di carbone in bocca, 1990, Amsterdam
Jannis Kounellis giunge a Roma nel 1956 e in quegli anni sono diverse le gallerie d’arte che svolgono un ruolo importante dal punto di vista dei collegamenti internazionali e per le ricerche d’avanguardia che promuovono, come la Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, La Salita di Gian Tommaso Liverani, L’Attico di Fabio Sargentini. Alla fine degli anni Cinquanta La Tartaruga ha stretti rapporti con l’ambiente artistico di New York grazie a Cy Twombly, che si stabilisce a Roma nel 1957 ed espone nella galleria e dove nel 1958 è presente anche Franz Kline. Nel 1960 nella galleria viene allestita la prima mostra personale di Kounellis: l’artista espone Alfabeti, opere connotate da grandi cifre, lettere, cifre spezzate, segni tracciati energicamente con smalto nero, una scrittura artistica indecifrabile, una lingua interrotta, spezzata che appare vicina alla pittura di Franz Kline e Cy Twombly. Nel 1958 la Galleria nazionale d’arte moderna, diretta da Palma Bucarelli, presenta la prima mostra di Jackson Pollock in Europa, un artista che appassiona il giovane Kounellis; mentre nel 1959 è Robert Rauschenberg a esporre a La Tartaruga alcuni “Combine” di gusto New Dada. Toti Scialoja fa conoscere i lavori di Rauschenberg ai suoi allievi dell’Accademia di Belle Arti: fra loro ci sono Pino Pascali e Jannis Kounellis. A Roma in quegli anni arriva anche il celebre gallerista newyorkese Leo Castelli, e con lui sua moglie Ileana, che poi tornerà con il secondo marito Michael Sonnabend. Ileana porta nella capitale importanti informazioni sull’arte degli americani di quegli anni e si mostra interessata ad alcuni giovani italiani, vuole aprire una galleria con De Martiis, ha già una galleria a New York, aperta nel 1957, e una a Parigi, inaugurata nel 1962. A Roma Ileana incontra Kounellis nel 1960, vede la mostra dell’artista alla Galleria L’Attico di Sargentini e gli chiede di esporre nelle due gallerie di Parigi e New York; il giovane artista, con questo tramite, si fa quindi conoscere negli ambienti dell’arte statunitense. Soho a New York in quegli anni è la neocapitale dell’arte ed è qui, presso la galleria Sonnabend, che espongono gli artisti poveri italiani, Merz, Kounellis, Calzolari, Zorio, ma anche Frank Stella e Cy Twombly, i neodada Jasper Johns e Robert Rauschenberg, gli action painters Pollock e De Kooning e i minimalisti Dan Flavin, Donald Judd e Robert Morris. La Sonnabend, dotata di una spiccata lungimiranza, apprezza molto il giovane artista greco poi naturalizzato italiano: «Ho un’idea eroica dell’arte – dichiara la gallerista – e ci sono qualità eroiche nel lavoro di artisti come Jannis Kounellis […]; lui è molto conscio dell’antichità, del senso dell’essere artista, e il suo lavoro contiene tutto questo […]; Kounellis era sempre molto interessante per il pubblico americano, però pensavano che anche quello fosse una mia stravaganza […]. Con Kounellis abbiamo fatto tante mostre, tuttavia anche lui s’è lasciato tentare da altre gallerie, come Mary Boone e il Ps1»(5). L’artista poi afferma: «Sì, sono andato con
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Senza titolo (part.), 1972, Roma, l始artista con le labbra ricoperte d始oro siede a un tavolo mentre una cantante esegue, accompagnata da una pianista, un brano dalla Carmen di Bizet
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altre gallerie ma non mancando di stima verso Ileana. È stato per soddisfare le mie curiosità e fare esperienza. Inizialmente la sua galleria era molto più […] non dico sperimentale, perché non condivido questa parola, però era più dinamica, più propositiva. Poi sono venuti quelli del gruppo che si rifaceva alla Pop Art, i Neo Geo, e lì ho capito che avevo un altro punto di vista, mantenendo però un grande affetto, innanzitutto. Ogni artista che nasce porta una problematica, in un certo momento si poteva seguire il messaggio ideologico di Pollock mentre si è preferito un nuovo tipo di Pop Art, una fisionomia che sta nella città di New York. Naturalmente capisco i motivi, ma questo mette un’immediata distanza tra la mentalità europea e quella americana: questi artisti si rifacevano alla visualizzazione tipicamente newyorkese. Dunque avevamo poco da condividere»(6). Ileana Sonnabend ricorda con stupore le lastre, i legni, i grandi disegni esposti nella mostra a New York e poi di nuovo, nel 1984, nella mostra nella sua galleria dove l’artista fa una perfomance arrivando su un cavallo: «Era un cavallo abituato alla gente – afferma la Sonnabend – perché lavorava per la moda, per le sfilate. Era molto carino e buono. Lo avevano portato sull’ascensore del retro, e ogni volta camminava attraverso la galleria per stabilirsi nel posto giusto. Kounellis stava sul cavallo con una maschera e la gente era veramente sorpresa». Kounellis racconta che un giorno dalla Sonnabend c’erano anche Leo Castelli e Germano Celant, Ileana raccontava al gallerista cosa voleva fare l’artista e gli chiese: «Ma tu cosa ne dici?» e Castelli rispose: «Mah, io non so, la galleria è tua». La gallerista ricorda che Kounellis era inafferrabile: «Era sempre ansioso, non si poteva mai sapere sino alla fine se avrebbe o non avrebbe fatto la mostra, se voleva tenerla solo per un giorno o di più. Fumava una sigaretta dietro l’altra camminando per la galleria avanti e indietro, o in circolo. Noi eravamo inquieti, perché sino all’ultimo non eravamo sicuri che si sarebbe fatta. Germano Celant era molto bravo, perché riusciva a calmarlo, e alla fine la mostra si faceva»(7). Gli americani reagiscono ai poveristi con grande entusiasmo anche se non è semplice collocare nei salotti dei collezionisti carbone, fascine di legna, cavalli, balle di fieno, e sarà solo più tardi che i musei iniziano ad acquistare le installazioni del gruppo. Kounellis aveva già utilizzato cavalli per una sua celebre performance nel 1969 quando a Roma, per la sua mostra personale presso L’Attico di Sargentini, aveva esposto dodici cavalli vivi. Lo stesso artista racconta che era stato ispirato dall’assurdità straniante di una frase di André Breton in Le Surrealisme au service de la revolution, secondo la quale «qualcosa potrebbe riuscire altrettanto impossibile quanto ai tartari portare i loro cavalli ad abbeverarsi alle fontane di Versailles». Da qui lo spunto di portare dei cavalli in una galleria privata,
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Nella pagina accanto: a sinistra, Lʼartista con un sacco nero sulle spalle, 1999, Città del Messico; a destra, Senza titolo, 1989, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, orci in terracotta colmi di acqua di mare e, sulle pareti, lastre di ferro con sacchi pieni di carbone
A destra, Senza titolo, 1998, New York, Ace Gallery, tre armadi di legno e corde; in basso, veduta dellʼinstallazione al CAPC (Musée dʼArt Contemporain), Bordeaux
per sua natura connotata da valenze economiche e sociali, opponendosi al concetto di fruizione tradizionale dell’arte. Con la loro presenza i cavalli intimidiscono lo spettatore che viene a trovarsi in una situazione di passività e di disagio, mentre lo spazio della galleria diventa uno spazio concretamente reale, legato alla vita quotidiana, disponibile a fungere da veicolo per un’espressione che coinvolge tutti i sensi. Il cavallo inoltre allude al nostro passato, è stato accanto all’uomo nei lavori agricoli, in guerra, nei viaggi, quindi rappresenta una memoria collettiva di un tempo che ci è appartenuto. È stato raffigurato molte volte nell’arte del passato, dai rilievi di Fidia del Partenone ai grandi ritratti equestri romani e rinascimentali, fino ai cavalli raffigurati dai grandi artisti romantici francesi, come Géricault e Delacroix, ma anche da Picasso. I cavalli di Kounellis connotano lo spazio della galleria che da luogo vuoto diviene il contenitore di un’azione, parte attiva dell’istallazione nata dall’attività intellettiva ed estetica dell’artista che lavora sul concetto di temporalità ininterrotta della sua arte che è viva, attuale, efficace. La mostra ebbe un grande impatto sull’ambiente artistico dell’epoca tanto che l’artista Claudio Cintoli affermò: «Dopo la mostra de L’Attico, come per i sacchi di Burri o il dripping di Pollock, si può affermare: se sono cavalli sono Kounellis»(8). I cavalli di Kounellis riappaiono anche nel 1976
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Installazione Solo show, 2009, Bergamo, Galleria Fumagalli, cappotti inchiodati tra lastre di ferro
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Qui e nella pagina accanto, installazione Senza titolo, 2009, Bergamo, ex Oratorio di S. Lupo
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Senza titolo, 1967, Roma, Galleria L始Attico, un pappagallo su una lastra di ferro; nella pagina accanto, Senza titolo, 1969, Napoli, Galleria Amelio, un uovo su una lastra di ferro
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Senza titolo, 1969, Roma, studio dellʼartista, rete metallica, lana
Nella pagina accanto, Senza titolo, 1998, Roma, Atelier di Villa Medici, cornice di ferro e quarti di bue
alla Biennale di Venezia, ma in quel caso per sottolineare, attraverso lo stupore degli spettatori, la delusione per l’immobilità della condizione culturale e sociale seguita alle tensioni ideali e rivoluzionarie del ’68. Ormai l’artista è definitivamente uscito dai canoni tradizionali del fare arte, ha stretto un rapporto sempre più serrato tra arte e vita ed è entrato fisicamente con tutte le potenzialità del corpo nell’evento creativo (Senza titolo, 1969, Roma, una donna seduta su un tavolo con accanto un cactus; Senza titolo, 1972, New York, due casse di ferro, una con una tenda e specchi dove l’artista tiene una maschera di gesso davanti al viso, l’altra con mensole e spartiti in ferro, dove un flautista esegue brani di Mozart; Senza titolo, 1972, Roma, l’artista a cavallo tiene in mano un calco in gesso in una stanza dipinta di giallo; Senza titolo, 1972, Roma, l’artista con le labbra ricoperte d’oro siede a un tavolo mentre una cantante esegue, accompagnata da un pianista, un brano della Carmen di Bizet; L’artista con un pezzo di carbone in bocca, 1990, Amsterdam; L’artista con un sacco nero sulle spalle, 1999, Città del Messico). L’evento prende forma nella galleria che, come ha affermato Kounellis, è «una cavità drammatica, teatrale»(9). Le opere di Kounellis sono come tracce che l’artista lascia nell’ambiente, installazioni alle volte più elementari (Senza titolo, 1981, Torino, frammenti di calchi in gesso anneriti con fumo su mensole di ferro, frammenti di calchi in gesso conficcati nella parete; Senza titolo, 1993, Recklinghausen, travi di legno con pietre di Pulheim fissate al muro; Senza titolo, 1998, New York, tre armadi di legno e corde; Senza titolo, 2000, Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires, armadi, lastre di ferro, sacchi di iuta; Senza titolo, 2001, Galleria No Code, Bologna, mensole di ferro e sacchi di iuta), altre volte più articolate, spesso monumentali (Senza titolo, 1985, CAPC, Musée d’Art Contemporain, Bordeaux, ferri, carta, legni, sacchi; Senza titolo, 2004, Oxford, putrelle di ferro e tappeti; Senza titolo, 2009, ex Oratorio di S. Lupo, Bergamo, cappotti, scarpe, cappelli, lastre e barre di ferro) capaci di esaltare la fisicità, la pesantezza, la natura essenziale dei materiali, anche grazie alle relazioni formali e culturali che i diversi elementi stabiliscono nella loro sinergia. Queste installazioni offrono intensi percorsi anche emotivi sui temi eterni dell’arte e dell’uomo, esplorati con l’immediatezza e l’essenzialità delle risorse formali proprie dell’Arte Povera. L’ambiente dove Kounellis mette in scena le sue composizioni di materiali e oggetti non è mai estraneo all’opera, ma anzi ne è parte costitutiva: le installazioni hanno sempre un rapporto molto serrato con lo spazio che le ospita e alle volte esso è già connotato di per sé, come nel caso dell’intervento dell’artista nella Biblioteca Nazionale di Sarajevo. Kounellis ha scelto di presentare il suo lavoro in questo edificio (costruito dagli austroungarici nel 1896 in stile moresco quale sede del
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Qui e nella pagina accanto, installazione Senza titolo, 2004, Sarajevo, Biblioteca Nazionale, porte murate da libri o pietre
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Senza titolo, 1973, Roma, Galleria La Salita, lʼartista con una maschera di gesso sul volto, seduto a un tavolo con frammenti di statue antiche e un corvo, mentre un musicista suona il flauto
Nella pagina accanto, Senza titolo, 1981, Torino, frammenti di calchi in gesso, alcuni anneriti con fumo, altri conficcati nella parete
municipio) perché venne bombardato durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina nell’agosto del 1992 con bombe incendiarie, che hanno incenerito migliaia di manoscritti e libri e lasciato in piedi solo lo scheletro dell’edificio. L’artista riempie poeticamente di libri e pietre gli spazi sotto gli archi delle dodici porte mancanti, pensate come cavità teatrali, per alludere alla distruzione disumana della guerra e alla perdita del sapere contenuto nel patrimonio librario bruciato. Le opere di Kounellis, con la loro complessità compositiva e linguistica, pur nella diversità delle conformazioni e dei materiali scelti, hanno un carattere di precarietà che rivendica però l’identità nel tempo della loro integrità strutturale e del loro significato in quanto arte. Spesso le installazioni hanno un carattere ambientale, quindi la loro osservazione avviene attraverso il movimento intorno e attraverso di esse: questi lavori mettono in relazione il tempo e lo spazio, così la dimensione temporale diviene parte integrante della fruizione dell’opera, del suo valore estetico. La giustapposizione e l’accostamento di materiali diversi, stimolando la riflessione intorno alla loro percezione, raggiungono spesso un effetto di costante estraneità dell’oggetto e dei diversi materiali rispetto all’ambiente, rendendo difficile, spesso impossibile, lo stabilire un rapporto soggettivo e interiore con l’opera. Nel 2002 Kounellis ha presentato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma una delle sue installazioni più monumentali, Atto unico, un imponente labirinto composto da 143 elementi di lamiera riempiti di carbone e disseminato di oggetti – una branda, sacchi di iuta, carbone, caffè, una lampada spenta – che simboleggiano allusivamente i ricordi anche minimi, ma vivi nella memoria, del viaggiatore: il tema del viaggio, molto caro alla ricerca artistica di Kounellis, è reso emblematico dalla struttura labirintica nel cui percorso gli oggetti intendono rappresentare alcuni momenti che emergono dall’oblio. «Sono un partigiano di tutte le teorie che, benché radicali – afferma Kounellis – permettono la sopravvivenza delle contraddizioni, delle sfumature, delle stratificazioni»(10). NOTE (1) Arte Povera, a cura di G. Lista, Milano 2011, p. 81. (2) G. Celant, Arte Povera, in «Art&Dossier», allegato n. 284, gennaio 2012, pp. 4 e 7. (3) C. Strano, Gli anni Settanta. Gli orientamenti dell’arte occidentale tra società, pensiero, tecnologia, Milano 2005, pp. 27 e 29.
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(4) G. Celant, Arte Povera, Milano 1969, p. 225. (5) M. Gandini, Ileana Sonnabend. The Queen of Art, Roma 2008, pp. 264-265.
(8) C. Cintoli, Se sono cavalli sono Kounellis, a cura di J.C. Ammann e M. Grüterich, catalogo della mostra (Lucerna), Milano 1983, p. 66.
(6) Ibidem, pp. 265-266.
(9) J. Kounellis, Odissea lagunare, Palermo 1993, p. 62.
(7) Ibidem, p. 266.
(10) Ibidem, p. 72.
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L’arte incontra l’arte
L’arte di Kounellis è sempre connotata da una solenne e arcaica sobrietà, da una libertà coniugativa che nasce dalla capacità assolutamente unica di far vibrare insieme, poeticamente, materiali dalla natura diversa, spesso dissonante, in uno scambio dialettico che genera una tensione eloquente. Nelle sue opere viene presentata una collimazione assai originale di contesti materici e culturali distinti, spesso associati in un equilibrio precario, alle volte anche stridente, che è un’attitudine creativa, ma anche la cifra caratterizzante del suo percorso d’artista. La poetica dell’Arte Povera ha tra i suoi obiettivi primari proprio il rapporto tra natura e cultura e nel percorso espressivo di Kounellis si osserva una progressiva riduzione all’essenziale, alla primarietà, un’aspirazione dell’opera verso uno stato originario preiconico, arcaicizzante. Nella produzione dell’artista, «che associa materiali come il carbone, il ferro arrugginito, il cotone, con frammenti di oggetti disparati, spesso ricchi di connotazioni storico-culturali (porte, sedie, bilance, armadi, libri, risme di carta), si può individuare senz’altro – scrive Massimo Fusillo – un nuovo modello di feticismo antropologico, attratto dall’alterità misteriosa della materia, e che cerca, pur assecondando la frammentazione postmoderna dei linguaggi, una dimensione arcaica, quasi totemica»(1). Senza titolo è un’opera realizzata nel 2011 e composta di due elementi diversi: una litografia ritagliata al centro, che presenta quindi una larga lacerazione del suo nucleo, dalla quale emerge una lastra di ferro, inserita perfettamente nel groviglio dei segni. La pietra litografica è stata disegnata con un grosso pastello nero chiamato oil bar, una tecnica più volte utilizzata dall’artista, che spesso ricorre alla grafica, per ottenere un segno dalla forza perentoria, molto congeniale alla sua espressività. Il caotico tracciato nero dei segni si stende sulla superficie dell’opera con vigore, in una disposizione libera, priva di formalità compositiva, con una incisività che allude all’energica e vitalistica espressività segnico-gestuale di Franz Kline, ma anche allo spazio infinito e magmatico di Jackson Pollock, ai suoi percorsi cromatici sovrapposti, al caotico intreccio di linee e macchie colorate, ai grovigli di segni, ma decantato, anche dal punto di vista cromatico, dalla tensione emotiva che caratterizza l’Action Painting. I vitalistici segni neri che connotano lo spazio dell’opera di Kounellis, i quali ricordano allusivamente il gorgo nero dei sogni irragionevoli di Goya, col loro andamento a vortice che copre quasi ogni spiraglio luminoso, affiorano alla superficie in un movimento spontaneo, nella totale assenza di qualsiasi tentativo di organizzazione razionale o iconica. Un intreccio di percorsi segnici sovrapposti che sembra porti impressa la memoria mitica dei meandri labirintici. E il labirinto è un tema più volte indagato dall’artista come in occasione della mostra Atto Unico, allestita nel 2002 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna
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Nella pagina dʼapertura, Senza titolo, 1967
di Roma. In Senza titolo i segni fluttuano nello spazio dell’opera saturandolo, con un procedimento analogo al riempimento delle porte con libri o pietre nell’installazione della Biblioteca Nazionale di Sarajevo (2004); le due opere sono accomunate dall’esigenza di interpretare l’impossibilità di una visione unitaria del mondo ed esprimere piuttosto una perdita di unità allusiva, la frammentarietà che caratterizza il nostro tempo. «Il labirinto – spiega Kounellis – ha un’entrata, ma quella è anche l’uscita. Ti costringe a un percorso, ma tu segretamente sai che questa è l’unica realtà. Se pensi di risolvere il problema non considerando questa condizione di fondo, non arriverai mai a liberarti»(2). Il labirinto quindi come metafora della complessità cognitiva, come simbolo dell’approccio a una realtà che appare molteplice e articolata e delle possibilità di dominio della complessità della conoscenza. Il labirinto è il trionfo di una progettualità che raggiunge un livello tale di sofisticatezza da far perdere la percezione unitaria di un percorso, la razionalità che confonde se stessa nella sovrabbondanza di informazioni, di segni in questo caso, che inibiscono una lucida capacità di scelta: da qui l’evidente consapevolezza dell’incapacità di dominare la complessità del mondo che ci circonda. «Com’è noto la frequenza con cui Kounellis affronta gli impegni – spiega Bruno Corà – non è più solamente la conseguenza di una concatenazione di scadenze, ma una nuova pulsione del tutto analoga alla gestualità diretta della pittura d’azione. Ed è su questo fronte che si delinea un altro indizio della labirinticità del suo attuale percorso. Il confronto con l’incognita spaziale muove Kounellis a una gestualità tanto libera quanto immediata, tale da “eliminare ogni chiaroscuro” e porre in luce, in modo rabdomantico, la soluzione puntuale di ogni tracciato compositivo e spaziale. Sono eloquenti di quest’attitudine in progressiva accelerazione non solo i tempi che distinguono tra loro gli episodi espositivi […] ma anche alcuni cicli di lavoro che ruotano ossessivamente attorno a un nucleo segnico. È il caso di un gruppo di opere su carta, in cui la traccia di pastello oleoso nero muove continuamente attorno allo stesso centro, con vibrazioni e tremiti che descrivono un segno diverticolare, spesso ritornante sullo stesso percorso. Questi labirinti sono “rose” dai contorni neri, rose immaginate come penetrabili dal pensiero entro petali-dedali che crescono attorno a un centro che è caverna e thólos […] sono tracciati di labirinti immaginari, diagrammi segnici di una danza liberatoria rivolta all’individuazione di una nuova koiné linguistica per nuova spazialità»(3). L’opera Senza titolo, percorsa da vertigini labirintiche, una creazione impetuosa che allude alla formalizzazione di nuovi percorsi creativi e spaziali, ma anche a quella perdita di coesione e di unitarietà di pensiero propria della condizione esistenziale dell’oggi, è connotata dalla serrata giustapposizione di quei tratti che
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Qui e nella pagina accanto, Senza titolo, 1999, incisioni
fluttuano con vitalità nello spazio col nucleo centrale: da qui emerge la lastra di ferro che conferisce un nuovo equilibrio compositivo scaturito proprio dalla metamorfosi nata da contrasti concettuali e materiali in una dimensione spaziale anch’essa fortemente ambigua. Il ferro è un materiale più volte utilizzato da Kounellis per le sue qualità materiche ma è anche traccia di una memoria, di una storia che ci appartiene, e questo è suggerito dalla forma che l’artista ha tracciato nel cuore del magma bituminoso del foglio: quella di un ferro da stiro. In precedenza l’artista aveva fatto ricorso a oggetti che appartengono al nostro passato recente, come le macchine per cucire molto comuni in tutte le case – le espose nella mostra antologica al Museum of Contemporary Art di Chicago nel 1986 – che non sono altro che tracce di una radice culturale comune, riflessioni sul concetto stesso di memoria collettiva, quindi oggetti carichi di una valenza culturale e temporale fortemente evocativa. In un’altra serie di opere grafiche realizzate tutte presso la stessa stamperia litografica, quella dei fratelli Bulla a via del Vantaggio, a due passi dall’Accademia di Belle Arti di via Ripetta a Roma, l’artista ha abbinato a una litografia un vero e proprio vecchio ferro da stiro ed è andato numerosissime volte insieme a Romolo Bulla al mercato di Porta Portese per trovare questi oggetti che alludono a una dimensione di quotidianità lontana, dal punto di vista temporale, dall’oggi. Come raccontano Romolo e Rosalba Bulla, stampatori da diverse generazioni, l’incontro con Kounellis è avvenuto moltissimi anni fa, nel 1969, quando ancora nella stamperia lavorava il padre Roberto. All’inizio le opere di Kounellis hanno suscitato non poche perplessità in quanto il suo fare arte era del tutto diverso da quello di qualsiasi altro artista entrato in quelle stanze piene di inchiostri, torchi, lastre litografiche, barattoli, carte, progetti, disegni, attrezzi vari. Poi pian piano quel pittore così silenzioso e meditativo, ma creativamente vulcanico e innovativo, li ha conquistati e ancora oggi una solida e profonda amicizia li lega a Kounellis. «Quando Kounellis ha un’idea in testa – racconta Romolo Bulla – te ne parla, io preparo le pietre e il materiale che pensa gli possa essere utile. Quando viene in stamperia noi chiudiamo e gli lasciamo a disposizione tutta la stamperia in modo da consentirgli di fare suo lo spazio. Prepara l’immagine non come se fosse una cosa di tutti i giorni, ma con un’enorme tensione, cammina avanti e indietro prima di decidere come deve essere il suo segno e poi si butta sulla pietra come per aggredirla e sottometterla. Il suo corpo è nervosissimo in quel momento, non ascolta niente, solo questo matrimonio tra lui e la pietra litografica che è impressionante, ti mette quasi soggezione quando lavora. Non è un lavoro tranquillo ma una continua ricerca del gesto che per lui è molto importante […]. Gianni per noi non è più solo un artista, quando
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Qui e nella pagina accanto, alcuni momenti dell始allestimento della mostra Atto unico alla Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, 2006
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Qui, alle pagine precedente e successiva: alcuni momenti della lavorazione dell始opera di Kounellis nel laboratorio romano dei fratelli Bulla, dall始inchiostratura con sostanze grasse al trattamento con gomma arabica e trementina, dalla stampa con il torchio litografico all始operazione di fustellatura
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Nella pagina accanto: Senza titolo, 72,5 x 56 cm, litografia e collage con lastra di ferro su cartone Canson, tiratura 60 esemplari, 2011
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Installazione Labirinti (part.), 2003, Milano, Galleria Christian Stein, macchine da cucire e sacchi di iuta su tavoli di legno
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viene in stamperia o quando noi andiamo da lui c’è un bellissimo rapporto, c’è una fiducia enorme, estrema, che ci fa molto piacere e che si sente a pelle. Ogni volta che fai un lavoro nuovo devi ridare la stessa massima fiducia»(4). Rosalba e Romolo hanno visto nascere nella loro stamperia la litografia Senza titolo in quanto l’artista è andato numerose volte da loro in via del Vantaggio per realizzarla sotto i loro occhi, nella tranquillità silenziosa di quelle stanze. La litografia, una tecnica che consente di affrancare il procedimento delle tecniche incisorie dai limiti dell’espressione puramente lineare, è spesso adottata da Kounellis proprio per le sue straordinarie qualità e per la sua apertura verso valori espressivi diversi, poiché sulla lastra di pietra calcarea è possibile disegnare direttamente anche con la matita o il pennello. È un metodo di stampa con matrice piana che utilizza un procedimento fisico-chimico basato sulla repulsione fra acqua e sostanze grasse: la delineazione dell’immagine avviene attraverso l’umidificazione delle zone del foglio destinate a rimanere bianche, in quanto l’acqua respinge i grassi, e l’inchiostratura con sostanze grasse delle zone che si vogliono scure. Tale tecnica incisoria, usata per la prima volta dal praghese Johann Alois Senefelder dopo il 1796, utilizza come matrice della stampa la superficie levigata di una pietra calcarea porosa che può avere spessori diversi, anche di 10 centimetri, e un peso anche notevole, fino a parecchie decine di chilogrammi. Il disegno viene eseguito direttamente sulla pietra con una matita contenente inchiostro formato da grassi e resine, con aggiunta del pigmento; ma può essere anche riportato da un foglio sulla pietra con un decalco a pressione. Una volta realizzato il disegno con una matita grassa – Kounellis ha utilizzato in questo caso un oil bar composto da cera vergine e nerofumo – sulla superficie litografica già predisposta viene eseguita una serie complessa di procedimenti per fissare meglio il disegno sulla pietra: dopo aver utilizzato il talco, la superficie viene cosparsa da uno strato di mordente leggero, una soluzione di gomma arabica e acido nitrico in acqua, per renderla più porosa e far penetrare in profondità gli acidi grassi. Questo strato viene lasciato essiccare e poi tolto con l’acqua, un successivo passaggio con la gomma arabica e un lavaggio con la trementina eliminano i residui di inchiostro ancora presenti: il disegno è ora appena visibile sulla pietra, a questo punto per rafforzarlo vi si stende colofonia – una resina vegetale gialla solida, trasparente, residuo della distillazione delle trementine (resine di conifere), nota anche con il nome di pece greca – e la si fissa sulla pietra col calore della fiamma ossidrica. La superficie è poi sottoposta a morsura con acido nitrico per diverse ore fino a ottenere l’intensità del nero desiderata, poi si pulisce la superficie della pietra con talco e si rimette un sottile strato di gomma arabica. A questo punto i fratelli
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Qui e nella pagina accanto: Senza titolo, 2003, pastello nero su carta
Bulla bagnano i fogli di carta Canson spessa 3 mm per farla ammorbidire e per rendere più agevole ed efficace la realizzazione della stampa, dopo aver inchiostrato la pietra, con il torchio litografico che imprime il disegno sul foglio. Successivamente i fogli sono tagliati al centro secondo il disegno di Kounellis e, una volta che il fabbro ha preparato le lastre di ferro, queste sono applicate sul retro del foglio – che è stato scelto spesso proprio per poter supportare tale inserto – in modo da ottenere sulla superficie come una finestra aperta su questo diverso ambito materico. Kounellis ricorre spesso nel suo percorso d’artista alla grafica: «La stampa è moltiplicazione dell’immagine – afferma l’artista in un’intervista – e io credo all’unicità, ma ho fatto anche delle incisioni. C’è un’idea di rapporto in qualche maniera, la litografia ad esempio è un rapporto che hai con la materia e con la pietra. Quando parlo della mia generazione è ovvio che noi non possiamo fare la Venere che esce dall’acqua di Fragonard, è un rapporto quello dell’incisione, intendendo anche il rapporto che hai con la pietra e con la matita grassa. Cerchi di ritrovare qualcosa in quello che fai, di riprendere l’idea di una centralità che continuamente svanisce e tu la cerchi e qualche volta trovi una minima parte e la noti. Questa è l’incisione. Però il vero problema è la centralità, che ormai dall’epoca di Fautrier è fantasmagorica. Fautrier ha un fantasma di centralità, la vuole, ma la sua idea di centralità è ossessiva, non è liberatoria, mentre io penso che l’apertura di Pollock è liberatoria, cioè si libera del problema della centralità. Di fronte a un mondo tonale, a una poetica crepuscolare, al quadro da cavalletto, Pollock vive il quadro dall’interno. È una novità assoluta. Anche la nostra ipotesi di pittura vive lo spazio dall’interno. Nessuno ha più un cavalletto però rimane il rapporto, l’idea del peso che indica una strada per vivere l’esperienza pittorica diversamente». Kounellis da quarant’anni collabora con la stamperia litografica Bulla perché «il rapporto con gli stampatori è un rapporto apocrifo, non è mai detto, non c’è la chiarezza industriale, è un rapporto da carbonari»(5).
NOTE (1) M. Fusillo, Feticci. Letteratura, cinema, arti visive, Bologna 2012, p. 171.
(3) B. Corà, Kounellis. Labirinti, Prato 2003, p. 54. (4) Ibidem, pp. 109 e 111.
(2) Le tecniche in piano. Litografia serigrafia, a cura di G. Mariani, Istituto nazionale per la grafica, Lineamenti di storia delle tecniche, vol. 4, Roma 2006, p. 105.
(5) Ibidem, p. 104.
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Jannis Kounellis
Jannis Kounellis (Pireo, Atene, 1936), artista greco che da cinquant’anni è presente nelle più prestigiose collezioni d’arte internazionali ed espone nei musei di tutto il mondo, si trasferisce in Italia nel 1956 e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ha tra i suoi insegnanti Toti Scialoja. La sua formazione avviene nell’ambito dell’arte espressionista astratta e informale anche se presto se ne discosta: Jackson Pollock, Franz Kline, Lucio Fontana e Alberto Burri, ma anche Kazimir Malević e Piet Mondrian, sono comunque gli artisti che rappresentano importanti punti di riferimento negli anni iniziali della sua attività artistica. Dagli anni Sessanta la pittura, la scultura, le installazioni e le performance di Kounellis con la loro materialità poverista – l’artista è stato associato al movimento dell’Arte Povera fin dagli esordi – ridefiniscono i parametri di nuove esigenze speculative e compositive, conferendo all’opera d’arte, un’“opera aperta” in grado di coinvolgere totalmente lo spettatore, anche dal punto di vista ambientale, una gamma espressiva molto ampia e variegata che, fin dall’inizio della sua carriera, stimola in colui che osserva nuove modalità di fruizione. La prima mostra personale di Kounellis risale al 1960 e viene organizzata presso la Galleria La Tartaruga di Roma: l’artista vi espone Alfabeti, lenzuoli appesi alle pareti segnati da cifre, lettere, segni, simboli tipografici stesi con smalto nero legati all’emblematicità pop, simboli della civiltà di massa, tracce provenienti da contesti urbani e industriali. A partire dal 1967 Kounellis abbandona il concetto tradizionale di “quadro” e la pittura – anche se si è sempre definito un pittore – per approdare ad allestimenti di ambienti, a una materialità e a una monumentalità elementari, non artificiali, a ricerche su un nuovo concetto di spazialità e su un uso innovativo di materiali primari o naturali, come il carbone, che l’artista riesce a trasformare fino a esprimere energie poetiche e significati allusivi riferibili a un mondo immaginario, mitico, classico, religioso, a conoscenze di cui si è arricchita la sua cultura fin dagli anni della formazione. Con le sue metafore visive, caratterizzate da un’energia deflagrante, che alludono al significato fattuale, concreto, delle cose reali, rende fisici dei concetti, quindi dà materialità a idee attraverso l’uso di elementi naturali diversi, spesso abbinati in coesistenze stridenti, uscendo definitivamente dalla formalizzazione convenzionale della pittura. Nel 1968 partecipa alla rassegna Arte Povera + Azioni Povere presso gli Antichi Arsenali di Amalfi; nel 1969 presenta la celebre opera con dodici cavalli vivi alla Galleria L’Attico di Roma ed espone alla mostra Arte Povera alla Galleria La Bertesca di Genova. Inizia a creare in questi anni grandi installazioni utilizzando oggetti desunti dal quotidiano oltre a un variegato vocabolario di elementi naturali, che alludono al suo interesse per l’alchimia, come piante, pietre, lana, carbone,
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Nella pagina dʼapertura, Senza titolo, 1989, lʼartista con una candela in bocca
Nella pagina accanto, Senza titolo, 1978, Bologna, modello di nave, sacchi di iuta e olio su tela
Omaggio a Morris Louis, 1971, Belgrado, lʼartista con la mano sinistra dipinta siede accanto a una custodia di violino con lo spartito bruciato della Sinfonia “dal Nuovo Mondo” di Dvořák
legno, tappeti, vele, sacchi di iuta, lastre di ferro, fuoco sprigionato da fiamme ossidriche, vestiti, animali vivi, persone, frammenti di copie di sculture classiche, lampade, binari. In queste installazioni l’artista non persegue alcun intento narrativo, ma piuttosto cerca di concretizzare un’idea costruendo un’immagine che della realtà non è che un frammento, adatto a esprimere poeticamente la condizione umana e le sue tensioni, ma anche l’alienazione della società contemporanea. Molto stretto è il rapporto dell’artista con la città di Napoli, dove sin dal 1969 ha realizzato lavori importanti sia presso la galleria di Lucio Amelio sia in spazi pubblici, come in piazza del Plebiscito nel 1996, in via Ponte di Tappia nel 1998 e nel museo Madre nel 2005. Fin dall’inizio della sua attività Kounellis si è dedicato anche a progetti e scenografie per il teatro. Ha partecipato per sette edizioni alla Biennale di Venezia a partire dal 1972 e a Documenta a Kassel nel 1972 e nel 1982. Oltre alle numerose partecipazioni a rassegne nazionali e internazionali con il gruppo dell’Arte Povera, tra le esposizioni si ricordano quella a New York nel 1972 presso la Galleria Sonnabend, la mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris nel 1980, l’esposizione al CAPC (Musée d’Art Contemporain) di Bordeaux nel 1985, l’antologica al Museum of Contemporary Art di Chicago nel 1986 e le mostre allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1990, al Museo Nacional Centro Reina Sofia di Madrid nel 1996, al Ludwig Museum di Colonia nel 1997, al Museo Pecci di Prato nel 2001. Nel 2002 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma allestisce un imponente labirinto di lamiera; nel 2003 sotto il patronato del United Nations Department of Public Information (UNDP) e della città di Venezia presenta all’interno del progetto Art of the World una serie di opere concepite per il Monastero Armeno sull’Isola San Lazzaro a Venezia. Nel 2004 propone nove grandi installazioni nella Biblioteca Nazionale di Sarajevo ed espone un suo lavoro negli spazi del Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Atene. Kounellis è tra gli artisti che operano in Italia quello che ha esposto più frequentemente nei più importanti musei del mondo. Negli ultimi dieci anni Kounellis ha sviluppato un vocabolario artistico sempre più architettonico creando ambienti labirintici e manipolando lo spazio espositivo, i materiali che utilizza, l’esperienza estetica che suscita nello spettatore. Kounellis è stato recentemente premiato con importanti mostre tra le quali quelle allestite presso il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli (2006) e la Neue Nationalgalerie di Berlino (2008). Nel 2007 inaugura a Roma la Porta dell’Orto Monastico della Basilica di S. Croce in Gerusalemme, un’imponente cancellata di ferro impreziosita da elementi cromatici realizzati in pietre di vetro di diversi colori. Nell’ottobre del 2011, nell’ambito della IV Biennale di Arte Contemporanea di Mosca, di cui l’artista è special
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In basso, Senza titolo, 2006, Meisenthal, cento travi di legno appese con cavi dʼacciaio
Nella pagina accanto, Sipario, Porta dellʼOrto Monastico della chiesa di S. Croce in Gerusalemme, Roma
guest, ha realizzato un’installazione ascetica e poetica negli spazi della fabbrica dismessa Red October Chocolate Factory. Il suo peregrinare l’ha portato anche a trascorrere un anno e mezzo in Cina, periodo che si è concluso con una celebre esposizione a Pechino delle opere realizzate nel suo studio nella capitale cinese. La mostra, inaugurata il 18 novembre 2011 al Today Art Museum, è stata la prima personale di Jannis Kounellis in Cina. In questa mostra, organizzata nell’ambito del progetto Translating China concepito e realizzato da Giuseppe Marino della Galleria Marino di Roma, tra le altre opere, è stata esposta un’installazione a forma di “Z” che consiste in 15 moduli di ferro, larghi circa due metri e alti due e mezzo, contenenti ognuno 160 chili di carbone; su questi moduli l’artista ha appeso pannelli su cui sono posizionati frammenti di porcellana antica cinese, opere ispirate dall’incontro con Pechino, dalla convivenza stridente tra i ritmi della metropoli contemporanea e il fascino antico di una cultura millenaria. I “cocci” di diverse provenienze, selezionati uno a uno da Kounellis, sono ciò che resta dei vasi e dei servizi da tavola che appartenevano alla classe borghese cinese, rastrellati
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A sinistra, Senza titolo, 1973, l始artista tiene in bocca una fiamma ossidrica; sotto, una fase dell始allestimento della Porta dell始Orto Monastico di S. Croce in Gerusalemme a Roma, 2007; in basso e nella pagina accanto, l始artista al lavoro per la mostra Atto unico, 2006, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro
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Lʼartista al lavoro nel progetto Translating China, 2011, Pechino; in basso, Senza titolo, 1969, Napoli, Galleria Lucio Amelio, sassi parzialmente intinti in pittura nera
Nella pagina accanto, Atto unico, 2006, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro
in massa e sfasciati dalle Guardie Rosse di Mao durante la Rivoluzione culturale in quanto simbolo di borghesia, la stessa sorte toccata ai libri che furono bruciati. Tutti gli oggetti, che sono parte integrante delle opere in esposizione, sono stati trovati in Cina da Kounellis stesso e sottolineano anche la straordinaria capacità dell’artista di capire la natura dei luoghi in cui si trova ed esprimere attraverso le sue opere il genius loci del posto in cui si trova a operare. Come è accaduto più volte l’opera, così concepita, viene contestualizzata e quindi racconta con efficacia l’ambiente che ha ispirato la creazione stessa: la cultura del luogo in cui l’artista lavora diventa in questo modo parte integrante dell’opera stessa. Kounellis, che nel corso della sua vita ha attraverso moltissimi paesi e visitato tutti i continenti, vive e lavora a Roma e in Umbria, in una casa-studio presso Umbertide, immersa nella natura.
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PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI
1960 Galleria La Tartaruga, Roma 1964 Galleria La Tartaruga, Roma 1966 Galleria Arco di Alibert, Roma Galleria La Tartaruga, Roma 1967 Galleria L’Attico, Roma Galleria dell’Ariete, Milano
Städtisches Museum Abteiberg, Mönchengladbach Galleria La Tartaruga, Roma 1979 Jean & Karen Bernier Gallery, Atene Galerie Konrad Fischer, Düsseldorf Museum Folkwang, Essen Salvatore Ala Gallery, New York
Museum of Contemporary Art, Chicago 1987 Sonnabend Gallery, New York Galleria Sprovieri, Roma Artsite Gallery e Walcot Chapel, Bath ICA (Institute of Contemporary Arts), Nagoya Musée d’Art Contemporain, Montreal
1980 Galerie Konrad Fischer, Düsseldorf 1988 Galleria Lucio Amelio, Napoli Galleria Christian Stein, Milano Sonnabend Gallery, New York Galerie Sparta-Petit, Chagny 1968 ARC (Musée d’Art Moderne de la Ville de Mary Boone Gallery, New York Galleria Gian Enzo Sperone, Torino Paris), Parigi Castello di Rivoli, Museo d’Arte Galleria Mario Diacono, Roma Contemporanea, Torino 1969 Galleria Mario Pieroni, Roma Galerie Konrad Fischer, Düsseldorf Galleria L’Attico, Roma Galleria Marilena Bonomo, Spoleto Galerie Iolas, Parigi Galerie Annemarie Verna, Zurigo 1989 Penso che i collezionisti hanno dato un enorme contributo Galleria Lucio Amelio, Napoli Donald Young Gallery, Chicago non1981 solo al mercato ma anche agli stessi artisti...Studio d’Arte Barnabò, Venezia 1971 Greve, Colonia Galerie Lelong, Parigi Queste Galerie personeKarsten che comprano, che fissano gli standard, Galleria Gian Enzo Sperone, Torino Stedelijk Van Abbemuseum, Eindhoven Espai Poblenou, Barcellona fanno venire a tutti gli altri una gran voglia di emularli. Galleria L’Attico, Roma (poi: Obra Social, Caja de Pensions, Ameliobrachot Pièce Unique, Parigi Galerie Folker Skulima, Berlino Madrid, 1982; Museo di Capodimonte, Napoli Whitechapel Art Gallery, Londra, 1982; 1972 Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden, 1990 Sonnabend Gallery, New York 1982) Anthony d’Offay Gallery, Londra Galleria Salvatore Ala, Milano Margo Leavin Gallery, Los Angeles 1973 Galerie Schellmann & Klüser, Monaco Stedelijk Museum, Amsterdam Galleria La Salita, Roma Galerie Liliane et Michel Durand-Dessert, Haags Gemeentemuseum, L’Aia (poi: Sonnabend Gallery, Parigi Parigi The Henry Moore Sculpture Trust at Leeds City Art Gallery, Leeds, 1991; 1974 1982 Arnolfini Gallery, Bristol, 1991; ICA, Galleria Forma, Genova Galleria Anna d’Ascanio, Roma Londra, 1991; Sonnabend Gallery, New York Fundació Tàpies, Barcellona, 1991/1992) Galleria L’Attico, Roma 1983 Galleria del Cortile, Roma Galerie Konrad Fischer, Düsseldorf 1991 Galleria Christian Stein, Torino Galerie Art in Progress, Monaco The Henry Moore Sculpture Trust Studio Galerie Folker Skulima, Berlino Sonnabend Gallery, New York at Dean Clough, Halifax Galerie Liliane et Michel Durand-Dessert, Kestner-Gesellschaft, Hannover 1975 Parigi Casa Centrale degli Artisti, Nuova Galerie Rudolf Zwirner, Colonia Musei Comunali, Rimini Tret`jakov, Mosca Galleria Area, Firenze Galleria Christian Stein, Torino Galleria Lucio Amelio, Napoli 1992 Studio d’Arte Contemporanea, Roma 1984 Galleria Lucio Amelio, Napoli Galleria Mario Pieroni, Pescara Museum Haus Esters, Krefeld Galleria Christian Stein, Milano Galleria La Salita, Roma Galerie Schellmann & Klüser, Monaco Padiglione d’Arte Contemporanea, Galleria Lucio Amelio, Napoli Milano 1976 Sonnabend Gallery, New York Galleria L’Attico, Roma 1993 Galerie Art in Progress, Düsseldorf 1985 Galerie Lelong, Parigi Galleria Salvatore Ala, Milano Jean Bernier Gallery, Atene Belvedere, Giardini reali del Castello, CAPC (Musée d’Art Contemporain), Praga 1977 Bordeaux Real Albergo dei Poveri, Palermo Jean & Karen Bernier Gallery, Atene Galleria Christian Stein, Milano Galería Estiarte, Madrid Kunstmuseum, Lucerna Städtische Galerie im Lenbachhaus, Marian Goodman Gallery, New York Villa Pignatelli, Napoli Monaco Galleria Pio Monti, Roma Galerie Liliane et Michel Durand-Dessert, 1994 Museum Boymans-Van Beuningen, Parigi Galerie Lelong, Parigi Rotterdam Cargo Ionion, Pireo, Atene Studio Tucci Russo, Torino 1986 Jean Bernier Gallery, Atene Anthony d’Offay Gallery, Londra Anthony d’Offay Gallery, Londra 1978 Galleria Ugo Ferranti, Roma Galerie Konrad Fischer, Galleria Mario Diacono, Bologna Galerie Konrad Fischer, Düsseldorf Düsseldorf
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1995 Galleria d’Arte Moderna, Bologna Hamburger Kunsthalle, Amburgo 1996 Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid Piazza del Plebiscito, Napoli 1997 Rechts-Sozial und Wirtschaftswissenschaftliche Fakultät, Karl-Franzens-Universität, Graz Museum Ludwig in der Halle Kalk, Colonia Galleria del Gruppo Credito Valtellinese, Palazzo delle Stelline, Milano Galleria Alfonso Artiaco, Pozzuoli, Napoli Ace Gallery, Los Angeles 1998 Galleria No Code, Bologna Fondazione Volume!, Roma Ace Gallery, New York Galerie Lelong, Parigi Scultura permanente in via Ponte di Tappia, Napoli 1999 Galerie Karsten Greve, Colonia Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Vienna 2000 Castello Colonna, Genazzano Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires Galleria Christian Stein, Milano 2001 Museo Nacional de Artes Visuales, Montevideo Galerie Karsten Greve, Colonia Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato Kunst-Station Sankt Peter, Colonia
2002 Galerie Lelong, Parigi SMAK (Stedelijk Museum voor Actuele Kunst), Gand Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 2003 Galleri Bo Bjerggaard, Copenhagen Monastero Mechitarista, Isola di San Lazzaro degli Armeni, Venezia Aula del Palazzo dell’UNESCO, Parigi Kunstraum Innsbruck, Innsbruck Galleria Fumagalli, Bergamo 2004 Sprovieri Gallery, Londra Vijecnica/National Library, Sarajevo Megaron Mousikis -The Athens Concert Hall, Atene Galerie Karsten Greve, Colonia Modern Art Oxford, Oxford 2005 Isola Madre, Isole Borromeo, Lago Maggiore, Stresa Edinburgh College of Art e Scottish National Gallery of Modern Art, Edimburgo Hôtel des Arts, Centre Méditerranéen d’Art du Conseil Général du Var, Tolone Galerie Karsten Greve, Parigi Albertina, Vienna Teatro Attis, Atene 2006 Galería Nieves Fernandez, Madrid MADRE (Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina), Napoli Kunstmuseum Liechtenstein, Vaduz Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano Art Cologne, Koelmesse, Colonia Cheim & Read, New York Galleria dell’Oca, Roma
2007 Galería de Arte Contemporáneo GACMA, Malaga Galerie Lelong, Parigi Pescali & Sprovieri Gallery, Londra Musée d’Orsay, Parigi Neuen Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin, Berlino S. Croce in Gerusalemme, Orto Monastico, Roma Auditorium Parco della Musica, Roma 2008 Fundación Caixa Galicia, Santiago de Compostela Galería Carles Taché, Barcellona Galleria Christian Stein, Milano Galerie Lelong, Zurigo Neue Nationalgalerie, Berlino 2009 SS. Apostoli, Roma (installazione) Galleria Fumagalli, Bergamo Galerie Elisabeth & Klaus Thoman, Innsbruck Galleria Alfonso Artiaco, Napoli Galería Nieves Fernandez, Madrid Fundación Marcelino Botín, Santander 2010 Sprovieri Gallery, Londra Bernier/ Eliades Gallery, Atene 2011 Kewenig Galerie, Colonia Galerie Lelong, Parigi Schinkel Pavillon, Berlino Galerie Karsten Greve, Parigi Galeriartist, Istanbul Jannis Kounellis. S.T., 4° Biennale di Arte Contemporanea, Red October - Chocolate Hall, Mosca Translating China - Solo Exhibition of Jannis Kounellis, Today Art Museum, Pechino
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PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE
1961 Kounellis, Rauschenberg, Schifano, Tinguely, Twombly, Galleria La Tartaruga, Roma 1963 Accardi, Castellani, Festa, Kounellis, Schifano, Galleria Notizie, Torino 1965 9 quadri e una scultura, Galleria La Tartaruga, Roma 1966 Aspetti dell’arte italiana contemporanea, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 1967 Arte Povera Im-Spazio, Galleria La Bertesca, Genova 1968 Arte Povera, Galleria de’ Foscherari, Bologna Fabro, Kounellis, Paolini, Galleria Editalia, Qui Arte Contemporanea, Roma 1969 Op Losse Schroeven, Stedelijk Museum, Amsterdam Verborgene Strukturen, Museum Folkwang, Essen 1970 Conceptual Art Arte Povera Land Art, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino Fine dell’alchimia. De Dominicis, Kounellis, Pisani, Galleria L’Attico, Roma Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-1970, Palazzo delle Esposizioni, Roma 1971 Arte Povera: 13 Italienische Künstler, Kunstverein, Monaco 1972 Documenta 5, Kassel XXXV Biennale, Venezia 1973 X Quadriennale, La ricerca estetica dal 1960 al 1970, Palazzo delle Esposizioni, Roma Galleria Lucio Amelio, Napoli 1974 La ripetizione differente, Studio Marconi, Milano Arman, Cane, Christo, Kienholz, Kounellis, Tacchi, Musée d’Art Moderne, Strasburgo XXXVI Biennale, Venezia
1975 Thirteen Italian Artists, P.M.J. Self Gallery, Londra
1985 Nuovi lavori. Buren, Kounellis, LeWitt, Paolini, Galleria Ugo Ferranti, Roma
1976 Qui Arte Contemporanea. Dieci anni, Galleria Editalia, Qui Arte Contemporanea, Roma XXXVII Biennale, Venezia
1986 A Sculpture Show, Marian Goodman Gallery, New York Sol LeWitt, Jannis Kounellis, Galleria Mario Pieroni, Roma
1977 Beuys, Kounellis, Lee Byars, Sperone Westwater Fischer, New York Arte in Italia 1960-1977. Dall’opera al coinvolgimento, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino Documenta 6, Kassel
1987 Terrae Motus, Grand Palais, Parigi Italie hors d’Italie, Musée des BeauxArts, Nîmes
1978 XXXVIII Biennale, Venezia 1979 Fabro, Kounellis, Merz, Paolini, Galleria Salvatore Ala, Milano Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Ettore Spalletti, Galleria Mario Pieroni, Roma 1980 Incontri 1980: 20 installazioni di artisti contemporanei a Spoleto, XXIII Festival dei Due Mondi, Spoleto Cento anni d’arte italiana moderna 18801980, Istituto Italiano di Cultura, Tokyo XXXIX Biennale, Venezia 1981 A New Spirit in Painting, Royal Academy of Arts, Londra Linee della ricerca artistica in Italia 19601980, Palazzo delle Esposizioni, Roma Identité italienne. L’art en Italie de 1959 à aujourd’hui, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi 1982 Arte Povera, Antiform, CAPC (Musée d’Art Contemporain), Bordeaux The Italians. From Arte Povera to Transavanguardia, Marianne Deson Gallery, Chicago Kunst wird Material, Nationalgalerie, Berlino Documenta 7, Kassel 1983 New Art at the Tate Gallery 1983, Tate Gallery, Londra The Sculpture Show, Hayward Gallery and Serpentine Gallery, Londra 1984 Il modo italiano, Frederick S. Wight Art Gallery, University of California, Los Angeles XLI Biennale, Venezia
1988 Charta, Palazzo Reale, Milano Kounellis, Serra, Tapies, Jean & Karen Bernier Gallery, Atene XLIII Biennale, Venezia 1989 Italian Art in the Twentieth Century, The Royal Academy of Arts, Londra John Chamberlain, Luciano Fabro, Dan Flavin, Donald Judd, Jannis Kounellis, Mario Merz, Margo Leavin Gallery, Los Angeles Dalla Pop Art in poi. La Collezione Sonnabend, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma Verso l’Arte Povera, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano 1990 Anselmo, Chamberlain, Fabro, Flavin, Judd, Kounellis, Long, Merz, Nauman, Steingladstone, New York Affinities and Intuitions, The Art Institute of Chicago, Chicago Memoria del futuro, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid Roma Anni ’60 - Al di là della pittura, Palazzo delle Esposizioni, Roma 1991 Metafore, Galleria dell’Oca, Roma 1992 Allegories of Modernism: Contemporary Drawing, Museum of Modern Art, New York Reperti, Museu Nacional de Belas Artes, Rio de Janeiro Terrae Motus alla Reggia di Caserta, Palazzo Reale, Caserta 1993 Gravity and Grace, Hayward Gallery, Londra Richard Serra, Jannis Kounellis, Akira Ikeda Gallery, New York David Hammons, Jannis Kounellis, American Academy in Rome, Roma XLV Biennale, Venezia
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1994 The Tradition of the New: Postwar Masterpieces from the Guggenheim Collection, Solomon R. Guggenheim Museum, New York The Italian Metamorphosis, 1943-1968, Solomon R. Guggenheim Museum, New York 1995 Figure-Image, Galerie Lelong, Zurigo 1996 Recaptured Nature, Marian Goodman Gallery, New York Art Summit, Fortezza da Basso, Firenze Qui Arte Contemporanea. Trenta anni, Galleria Edieuropa, Qui Arte Contemporanea, Roma 1997 Arte italiana. Ultimi quarant’anni. Materiali anomali, Galleria d’Arte Moderna, Bologna Che cosa sono le nuvole?, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Guarene (Cuneo) 1998 Bandiere di maggio, Piazza del Plebiscito, Napoli Collezione permanente, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato Wall Works, Paula Cooper Gallery, New York Kounellis, Paladino, Bianchi, Galleria Stein, Milano 2000 Castelli in aria. Arte a Napoli di fine millennio, Castel S. Elmo, Napoli
Terrae Motus. La collezione Amelio alla Reggia di Caserta, Caserta Arte Povera in collezione, Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Torino 2001 Odissee dell’arte, Civico Museo Revoltella, Trieste Le tribù dell’Arte, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma Zero to Infinity: Arte Povera 1962-1972, Tate Modern, Londra I Bulla. Editori stampatori d’arte tra XIX e XX secolo, Accademia Nazionale di S. Luca, Roma 2002 De Gustibus. Collezione privata italiana, Palazzo delle Papesse, S. Maria della Scala, Siena Grande Opera Italiana, Castel S. Elmo, Napoli Artepovera. Art from Italy 1967-2002, Museum of Contemporary Art, Sidney Ipotesi di collezione, MACRO, Museo d’Arte Contemporanea, Roma 2003 Futuro italiano, Parlamento Europeo, Bruxelles 2004 L’Europa nella grafica del ‘900, Istituto Nazionale per la Grafica, Palazzo Poli, Roma Da Balla alla Transavanguardia. Cento anni di arte italiana alla Farnesina, Triennale di Milano
2005 Acqua, Aria, Terra, Fuoco, Palazzo della Borsa, Genova Atto secondo. La collezione, MADRE (Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina), Napoli 2006 Where Are We Going? Opere scelte dalla Collezione François Pinault, Palazzo Grassi, Venezia Corrispondenze. Dal presente al passato, Spazio Collezione, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato La litografia e la serigrafia, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma 2007 Lo spazio e la misura: Universitas Artis, Università LUISS Guido Carli, Roma 2008 Colori di Roma, Auditorium Parco della Musica, Roma 2009 Costanti del classico nell’arte del XX e del XXI secolo, Fondazione Puglisi Cosentino, Palazzo Valle, Catania 2010 Il Grande Gioco, Forme d’arte in Italia 1947-1989, Rotonda della Besana, Milano Il Museo privato, GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea), Bergamo Arte Povera in Accademia, Accademia di Belle Arti, Carrara 2011 Dublin Contemporary 2011, varie sedi, Dublino
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Jannis Kounellis, a cura di A. Boatto, catalogo della mostra (Roma), Roma 1967 Kounellis, a cura di B. Corà, catalogo della mostra (Napoli), Napoli 1990 Kounellis, a cura di G. Celant, catalogo della mostra (Milano), Milano 1992 B. Corà, Kounellis. Mistral, Bergamo 1996
Jannis Kounellis. Works, Writings 19582000, a cura di G. Moure, Barcellona 2001 Kounellis, a cura di B. Corà, catalogo della mostra (Prato), Prato 2001
Jannis Kounellis. Eco nell’oscurità. Scritti e interviste 1966-2002, a cura di M. Codognato e M. d’Argenzio, Londra 2002
F. Buranelli, Jannis Kounellis. Sipario. La porta dell’Orto monastico di Santa Croce in Gerusalemme, Roma 2007
Jannis Kounellis, a cura di B. Corà, catalogo della mostra (Gand), Milano 2002
F. Fanelli, Jannis Kounellis, Milano 2009
B. Corà, Kounellis. Labirinti, Prato 2003
Arte Povera, a cura di G. Lista, Milano, 2011
Jannis Kounellis, a cura di S. Bann, Londra 2003 Kounellis, a cura di E. Cicelyn e M. Codognato, catalogo della mostra (Napoli), Milano 2006 Kounellis. Atto unico, a cura di B. Corà, catalogo della mostra (Milano), Milano 2006
G. Celant, Arte Povera. Storia e storie, Milano 2011
Arte Povera, a cura di G. Celant, catalogo della mostra (varie sedi), Milano 2011
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MUSEI PUBBLICI CHE ESPONGONO OPERE DELL’ARTISTA
Museum of Contemporary Art, Los Angeles
Art Gallery of New South Wales, Sidney
Guggenheim Museum, Bilbao
Bonnefanten Museum, Maastricht
Guggenheim Museum, New York
CAPC (Musée d’Art Contemporain), Bordeaux
Hallen für Neue Kunst, Schaffhausen, Svizzera
Museum of Modern Art, New York
Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Torino
Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington
Museo di Arte Moderna e Contemporanea, Trento
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato
Kaiser Wilhelm Museum, Krefeld
Museum of Contemporary Art, Sidney
Contemporary Art Museum, Naoshima Courtauld Institute of Art, Londra
Kunstmuseum Wolfsburg, Wolfsburg, Germania Louisiana Museum of Modern Art, Humlebaek
Fundaçao Serralves, Porto Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, Vicenza
MADRE (Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina), Napoli Migros Museum, Zurigo
GAM (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea), Torino Goetz Collection, Monaco
Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi
National Museum of Contemporary Art, Atene Royal Museums of Fine Arts of Belgium, Bruxelles Scottish National Gallery of Modern Art, Edimburgo SMAK (Stedelijk Museum voor Actuele Kunst), Gand Tate Gallery, Londra Walker Art Center, Minneapolis
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Coordinamento editoriale Cecilia Sica Progetto creativo e impaginazione Daniela Tiburtini Redazione Sonia Springolo, Laura Orbicciani Grafico Fabrizio Midei Fotolito Fotolito Gamba Srl, Roma Stampa e Allestimento Marchesi Grafiche Editoriali SpA, Roma
Finito di stampare nel mese di dicembre 2012