StuporMundi_Paladino

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Credo che i collezionisti abbiano dato un enorme contributo non solo al mercato ma agli stessi artisti‌ Queste persone che comprano, che stabiliscono i valori del mercato, fanno venire a tutti gli altri una gran voglia di emularli. Philip Johnson


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PALADINO

di Roberta Bernabei


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Un’arte che si nutre di memorie

E’

un invito la pittura di Paladino, un invito a lasciare

l’esperienza ordinaria del quotidiano per immergersi, in silenzio, in luoghi emozionali dove informale e formale, storia e natura, mito e modernità, evocazione di un’antichità lontana e frammenti del presente, si fondono in un flusso libero di immagini potenti e coinvolgenti, opere che posseggono il fascino estetico del frammento ma sono capaci di alludere a forme universali che ci appartengono, che invitano a recuperare quella capacità di osservazione che rende disponibili e attenti a cogliere l’affascinante equilibrio dei contrasti di questo originale linguaggio visivo. «Ciò che più mi interessa – afferma l’artista – è l’assoluta libertà di lettura attraverso il dato fantastico che propongo: così il casuale stratificarsi di tutte le possibilità di decifrazione, che contemporaneamente danno scacco alla schematicità intellettualistica, generano uno stato di duplicità di riflesso, e quindi di ambiguità, che credo sia una costante di tutto il mio lavoro» (1). L’arte di Paladino non è narrativa ma simbolicamente evocativa: molteplici segni e forme figurative e astratte, ora descrittive, ora indecifrabili, vocaboli intercambiabili di un lessico pittorico unico, e quindi inconfondibile, convergono sulla superficie articolata del dipinto originando insiemi significativi che rendono la sua opera immediatamente riconoscibile. Dopo l’iniziale esordio nell’ambito dell’arte concettuale, che aveva monopolizzato per alcuni anni il panorama artistico internazionale, e dopo la realizzazione alla metà degli anni Settanta di fotografie contaminate dall’irruzione della scrittura, Mimmo Paladino rivendica il piacere della figurazione e nel 1977 appare un’opera che annuncia tutta la produzione successiva: Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro. Il dipinto è un punto di svolta nella sua opera e segna la fuga dal dogmatismo intellettualistico e dai rigorismi del concettuale, indicando all’artista la strada di un “ritorno” alla forma del quadro, alla pittura e alle sue infinite possibilità espressive. Questa nuova fase, ascrivibile alla corrente denominata Transavanguardia, teorizzata e definita criticamente da Achille Bonito Oliva, è caratterizzata da un nomadismo stilistico e dal recupero di miti, simboli e memorie silenti e ancestrali, che non denunciano regressione o anacronismo ma rivendicano una libertà eclettica, la volontà di lavorare sul tempo e sul recupero di un passato, anche molto lontano, che appartiene alla storia della nostra cultura figurativa. Un recupero per nulla rassicurante o addomesticato, anzi notevolmente sperimentale, inquietante, eccessivo e a tratti anche audace. I cinque autori prediletti da Bonito Oliva, Enzo Cucchi, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Francesco Clemente e Nicola De Maria, sono artisti che, come afferma il critico, operano nel campo della Transavanguardia inteso come attraversamento della nozione di avanguardia senza alcuna preclusione, adottando rimandi stilistici, formali, iconografici, narrativi, in tutte le direzioni.

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Nella pagina accanto, Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro, olio su tela, 70 x 50 cm, 1977

LʼArtista al lavoro

Determinanti per la nascita della Transavanguardia sono state una serie di pubblicazioni di Achille Bonito Oliva, come La Transavanguardia italiana (Milano, 1980) e La Transavanguardia internazionale (Milano, 1982), e alcune mostre alle quali partecipano i cinque artisti: la sezione Aperto della Biennale di Venezia nel 1980 – e inoltre nel 1982 la grande rassegna Transavanguardia Italia/America tenutasi alla Galleria d’Arte Contemporanea “Emilio Mazzoli” di Modena, la settima edizione di “Documenta” a Kassel, la mostra Avanguardia/Transavanguardia 68/77 tenutasi a Roma presso le Mura Aureliane (2). «L’arte finalmente ritorna ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto – scrive Achille Bonito Oliva nel 1980, nel volume La Transavanguardia italiana, che segna l’esordio critico del movimento (3) – inteso come “lavoro dentro”, come escavo continuo dentro la sostanza della pittura. L’idea dell’arte alla fine degli anni Settanta è quella di ritrovare dentro di sé il piacere ed il pericolo di tenere le mani in pasta, rigorosamente, nella materia dell’immaginario, fatta di derive […] e mai di approdi definitivi. L’opera diventa una mappa del nomadismo, dello spostamento progressivo praticato fuori da ogni direzione precostituita da parte di artisti che sono dei ciechi-vedenti che ruotano la coda intorno al piacere di un’arte che non si reprime davanti a niente, nemmeno davanti alla storia. […] L’arte degli anni Settanta trova nella creatività nomade il proprio movimento eccellente, la possibilità di transitare liberamente dentro tutti i territori senza alcuna preclusione con rimandi aperti a tutte le direzioni. Artisti come Chia, Clemente, Cucchi, De Maria e Paladino operano nel campo mobile della transavanguardia, intesa come attraversamento della nozione sperimentale dell’avanguardia, secondo l’idea che ogni opera presuppone una manualità sperimentale, la sorpresa dell’artista verso un’opera che si costruisce non più secondo la certezza anticipata di un progetto e di un’ideologia, bensì si forma sotto i suoi occhi e sotto la pulsione di una mano che affonda nella materia dell’arte, in un immaginario fatto di un incarnamento tra idea e sensibilità». Fra gli artisti della Transavanguardia, Paladino è quello più interessato alla continuità perfino con la precedente arte concettuale e minimalista – Joseph Beuys e Jannis Kounellis – infatti nella sua opera affiorano influenze dell’arte italica e di quella primitiva, dei mosaici di Pompei e di quelli paleocristiani, dell’atmosfera rarefatta e meditativa delle icone bizantine, suggestioni da Giotto, Paolo Uccello, Piero della Francesca, echi dell’immediatezza e dell’intensità cromatica di Matisse ma anche di Hans Hofmann, della deformazione corrosiva e della violenza coloristica adottate dagli artisti espressionisti tedeschi, degli impalpabili labirinti segnici ideati da Paul Klee, allusioni all’incisività di figure e maschere che appaiono nella pittura di Picasso,

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Veliero, pigmenti su tela, 50 x 70 cm, 1978

alle inquietanti atmosfere di De Chirico, alla pittura poeticamente rarefatta di Osvaldo Licini, alla sintesi stilistica operata da Mario Sironi, alla forza espressiva dell’Action Painting (conosciuta attraverso viaggi a New York). Nelle sue creazioni scultoree – che iniziano ad apparire all’inizio degli anni Ottanta – sono evidenti legami con Arturo Martini, Alberto Giacometti, Constantin Brancusi. A tutto questo va aggiunta la fascinazione operata sull’immaginario dell’artista campano dalla religiosità misterica della sua terra, dalla potenza del mito, ma anche riflessioni su tradizioni altre, lontane, come quella del Brasile, dove Paladino ha compiuto diversi viaggi che gli hanno dato l’occasione di conoscere la ritualità e il primitivismo di una cultura distante non solo geograficamente, la quale ha lasciato sulla sua pittura un’emotività profonda e un’intensità nuova. Il concetto di libertà eclettica nell’ispirazione e il nomadismo stilistico rappresentano nella loro complessità temi nei quali l’artista si identifica: «nomadismo per me significa attraversare i vari territori dell’arte, sia in senso temporale sia in senso geografico, con il massimo della libertà tecnica e creativa» (4). Nell’evoluzione del linguaggio espressivo di Paladino il 1977 rappresenta un anno importante perché realizza Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro, opera che, come suggerisce il pittore stesso, va anche contemplata in silenzio – nel silenzio l’artista invita a recuperare le infinite “sonorità” dell’esperienza emotiva – e nella quale sono presenti già molti elementi che si ritroveranno nella produzione successiva. «È un quadro che dichiara il senso del dipingere – spiega Paladino: stanco dell’immagine fotografica che pure accostavo ai disegni, comprai una tela standard 50x70 cm, i tubetti di colore a olio, e mi misi a dipingere un quadro con la coscienza e lo scopo preciso di non voler dipingere nulla, se non l’atteggiamento stesso del dipingere. Ma ero ben sicuro che sarebbe rimasto un unicum. Poco dopo averlo terminato feci una mostra a Torino e lo esposi contestualizzandolo nello spazio della galleria segnato da disegni sulle pareti, e nel frattempo cominciai a fare grandi superfici monocrome. La rinuncia a dipingere un quadro narrativo come Silenzio l’avevo ben chiara, mentre pittori della mia generazione esploravano proprio questa via. In realtà mi sentivo ancora legato al mondo dell’astrazione» (5). Nel dipinto compaiono tinte vivacissime e una evidente intenzione di annullare ogni aspirazione narrativa o autobiografica, seppur poi accennata nel titolo dell’opera. Memorie, atmosfere sospese, simboli, segni, tornano faticosamente a connotare la superficie pittorica, recuperati a fatica dopo innumerevoli naufragi e oblii. Nonostante il sentimento di enigmatica solitudine e assorto silenzio, l’opera è pervasa da un’atmosfera di pacata gaiezza che connota l’ambiente che accoglie la figura sulla destra, raffigurata in un atteggiamento che svela il lato insolito ed enigmatico del reale. Quest’opera non narra una storia

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Veliero, pigmenti su tela, 40 x 60 cm, 1978; in basso, Stregato, tecnica mista su tela, 200 x 300 cm, 1978

ma si offre secondo associazioni inconsce, non reali, che non spiegano ma alludono disvelando una dimensione temporale ferma, enigmatica, che trova il suo motivo d’essere in una manifesta aspirazione alla ieraticità del classico, come sarà evidente, successivamente, nelle opere che appartengono al suo stile maturo. Nei dipinti di poco successivi, Senza titolo (1978), Stregato (1978), Notturno (1978), Pieno di stelle (1979), Poeta all’ombra (1979), Sul muro di novembre (1980), Senza titolo (1980), Con due dita (1980), Plenilunio (1981), Paladino crea grandi campiture, spesso adottando colori vividi e accesi, da cui echeggiano schegge

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Notturno, pigmenti su tela, 50 x 60 cm, 1978; in basso, Con due dita, tecnica mista su tela, 200 x 360 cm, 1980; nella pagina accanto, Porta, tecnica mista su tela, 220 x 80 x 15 cm, 1980

di figurazioni arcane, indecifrabili, che alle volte assumono consistenza tridimensionale, come in Senza titolo (1979), Porta (1980), Sul muro di novembre (1980), Rosso silenzioso (1980): sono memorie silenti, immagini dal significato fuggevole, allusioni ad un mondo oscuro, ctonio, che si insediano sulla superficie del dipinto incastonandosi alle volte timidamente, altre con notevole capacità assertiva. Poi segni e simboli prendono il sopravvento con libertà eclettica sulla stesura colorata – alle volte pastosa e materica – degli sfondi, e sono segni decisi e inquieti, vitalistici, un mondo di frammenti testimoni di una sotterranea oscurità, l’intuizione di una spiritualità di sorprendente visionarietà, narrazioni enigmatiche che non si esauriscono nell’immagine: Vieni qui a prendermi (1981), Giocolieri (1981), Notte di Pasqua (1981), Gli spiriti delle case (1981), Nuotatori (1981), Grande Cabalista (1981-82), Senza titolo (1982), Senza titolo (1983), Viandante (1983), Scorticato (1983).

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In alto, Rosso silenzioso, tecnica mista su tela, 300 x 465 cm, 1978; in basso, Vieni qui a prendermi, encausto su tela, 200 x 400 cm, 1981

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Nella pagina accanto, Quadro muto pittura bugiarda, olio su tela e legno, 220 x 150 cm, 1983


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Nella pagina accanto, Plenilunio, olio su tela, 110 x 90 cm, 1981

Notte di Pasqua, olio su tela, 200 x 305 cm, 1981

L’agile fluttuazione di segni e simboli con il passare del tempo assume quasi la forma di un racconto intenzionalmente incoerente dal punto di vista narrativo, un evocativo sincretismo capace di creare un incanto di notevole incisività emotiva, un mondo arcaico assorto che si rivela e prende energia nella sapiente orchestrazione di forme e di colori, spesso squillanti e vitalistici – Senza titolo (1983), Tre comete (1983) – icone che raccolgono nello spazio del quadro pensieri dipinti, di un realismo sempre e comunque intriso di mistero, di attesa fremente, di sospesa evocazione di atmosfere ancestrali, mitiche, di potente suggestione: si vedano

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Grande cabalista, olio e pigmenti su tela in due parti, 225 x 280 cm, 1981-82

Nella pagina accanto, Senza titolo, olio su tela e legno dipinto, 330 x 221 cm, 1983

ad esempio Alle prime luci dell’alba (1981), Senza titolo (1982), Ara (1982), Senza titolo (1983), Spiriti che abitate le mie mura (1984), Sonno al tempio (1984), Vasca (1984), Una pittura lontana venti anni (1984), Senza titolo (1985), 1953-Film (1985). Sono questi gli anni in cui l’artista inizia l’esperienza appassionante e fertile d’esiti creativi nel mondo dell’incisione: acquaforte, acquatinta, xilografia, linoleografia, diventano tecniche essenziali all’ulteriore sviluppo espressivo. Dal 1983 in poi Paladino avvia inoltre una ricerca autonoma della terza dimensione in sculture anche di grande formato: da questo momento pittura e scultura si svilupperanno di pari passo nella sua produzione artistica. «Quasi seguendo la raffinata composizione della simbologia araldica, le icone di Paladino dispiegano un esoterico dizionario iconografico attraverso il quale è possibile ridefinire la mappa di una delle più interessanti poetiche contemporanee – scrive Danilo Eccher: infatti proprio la ricca enciclopedia di immagini raccolta nelle icone consente, quasi come fossero le pagine di un intimo e segreto manuale di magia, di estendere i criteri interpretativi a tutto il complesso linguaggio artistico di Paladino. [...] Nelle icone l’immagine non rappresenta, è. La sua sacralità risiede proprio nell’assoluto mistero del simbolo che assorbe in sé il peso intero della verità. Come de Chirico, anche Paladino utilizza i propri dettagli per scombinare lo sguardo, liberarlo dall’ossessione dell’immagine, consentire sobbalzi e nuove fantasie interpretative. La superficie è così percorsa dall’ansia di scorgere nuovi frammenti, di imbattersi in dettagli inattesi, sulla cui scia accedere a nuove emozioni. [...] Abbandonarsi alla lettura delle icone – conclude Eccher – significa affrontare il viaggio nel buio dei segreti della poetica di Mimmo Paladino, significa riconoscere il suo carattere, abitare le sue memorie, frequentare il popolo delle sue visioni. Allora sarà possibile riconoscere le icone nascoste nelle grandi tele, affiorare nei disegni, emergere nelle sculture, sarà possibile cioè ridefinire la complessa articolazione di quest’arte» (6). Dall’inizio degli anni Ottanta Paladino, che ha sempre lavorato portando a termine più di un’opera contemporaneamente, crea una serie di dipinti che spesso si appropriano, come superficie pittorica, anche dello spazio tradizionalmente attribuito alla cornice. Sono opere sagomate e quindi a metà strada tra la pittura e la scultura, creazioni che spesso presentano inserzioni polimateriche, capaci di appropriarsi con audacia creativa della materia che contiene in sé tutto il potenziale espressivo. Queste icone quindi non cercano più solo di riprodurre lo spazio della rappresentazione ma lo costruiscono in termini reali e concreti facendone il luogo eletto ad accogliere interazioni eterogenee tra materiali non omogenei, suggerendo l’idea di una spazialità

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Nella pagina accanto, Spiriti che abitate le mie mura, olio su legno e tela, 69 x 87 cm, 1984

Scorticato, olio su legno e tela, Ă˜ 300 cm, 1983

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intrinseca all’opera: si tratta di un nuovo modo di guardare la materia e le sue molteplici possibilità espressive. In opere quali VINCItore/Tutta la musica del bosco/qui davanti/Passaggio di segreti (1982), La virtù del fornaio in carrozza (1983), Senza titolo (Tronchi d’albero) (1983), Quadro muto pittura bugiarda (1983), Le tane di Napoli (1983), Senza titolo (1983), Una pittura lontana vent’anni (1984), Film 1953 (1985), Veglia (1985), Parade (1985), Vento orfico (1985), Porta d’Occidente (1988), Choral (1988), Paladino evoca segreti di cui ha scarso desiderio di svelare il significato, mette in scena immagini che sono fuori da ogni codice, che hanno un forte carattere rituale, sotterraneo, esoterico, che sembrano appartenere a una civiltà lontana nel tempo, scomparsa, di cui viene evocata sulla superficie dell’opera una traccia, una testimonianza. Queste opere notturne, umbratili, popolate da figure che emergono da fondi scuri, che abitano spazi dall’atmosfera sospesa e silenziosa, imitano le strategie narrative e compositive dei dipinti antichi, con la potenza arcaica della loro simbologia che sfugge ad ogni tentativo di districarne il significato in quanto la narrazione si esaurisce proprio nell’immagine, nella forza dei segni, di primitivistica forza espressiva, i quali è come se azzerassero secoli di civiltà pittorica per tornare ad origini tribali, ad un passato ancestrale. La stregonesche e visionarie presenze che abitano questi dipinti appartengono ad un’iconografia inquietante che prepotentemente allude alla morte e ai suoi riti, immagini di lontananza mitica che appartengono al mondo immaginativo dell’artista ma anche alla storia dell’arte e della cultura. L’artista non vuole abbandonare il linguaggio scritto all’unilateralità e all’astrazione del concettuale, né – come scrive Germano Celant – «il desiderio, inconscio nella scelta, di condurre in altro territorio, più sensuale e storico, l’arte, riavvicinandola al mito genuino e naturale di culture che sono ‘evocate’ e vanno

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Nelle pagine precedenti: Zenith, alluminio, 290 (h) x 50 x 50 cm, 2007, installazione al Museo dellʼAra Pacis, Roma, 2008; I dormienti, installazione con sculture di terracotta e ferro, Poggibonsi, Fonte delle Fate, 2000

Nella pagina accanto, lʼartista al lavoro per Romanzo epico, 2005

salvaguardate. Un’aspirazione ad attingere in entrambi i territori del presente e del passato, per costruire una lingua non fredda e indifferente, ma vissuta e storica» (7). A partire dagli anni Novanta Paladino approda, in opere di sempre maggiori dimensioni, ad un vitalismo sincretico, ad una dilatazione espressiva e compositiva, ad una soggettività enigmatica ma energica, che si nutre della polivalenza di motivi e di stimoli espressivi anche attraverso la libera associazione di forme inattese, segni di grande forza, raffinati e sorprendenti accostamenti cromatici, che apportano alle sue creazioni nuovi riflessioni e inaspettate aperture. In questa fase la scultura, che aveva costituito una sorta di naturale proseguimento e una esplorazione parallela alla matericità della pittura, si afferma e assume presto anche un carattere di monumentalità: nascono in questo contesto le grandi installazioni a carattere ambientale, come La montagna di sale a Napoli (1990-95), Dormienti (1998), Caduto a ragione (1998), Carro (1999), Senza titolo (2000), Guerriero di pace (2002), Disco per Beuys (2004), forme spesso essenziali che non hanno alcun intento narrativo, espressioni evocative polimateriche e polifoniche, arricchite dalla consapevolezza della modernità, capaci di coniugare emozioni colte ed energia dirompente, un’esperienza estetica dove immagini, idee, materia convivono, forme che si offrono alla luce con la loro compattezza, capaci di attrarre lo sguardo annullando tutto ciò che sta intorno e che tendono spesso anche verso l’architettura. «Non ricordo quali possono essere stati gli inizi – spiega Paladino, raccontando quando ha avuto inizio il suo rapporto con l’architettura – forse però la costruzione del mio studio [a Paduli, presso Benevento] è stato un momento importante: mi sono trovato a dover costruire uno spazio in relazione alle mie esigenze di movimento, di studio e di lavoro all’interno di esso. In particolare, quando dipingo, è importante che la luce sia in un determinato posto piuttosto che in un altro. Poi nel tempo, venendosi ad accumulare una serie di lavori architettonici, per ragioni di committenza o di mio personale interesse, mi sono reso conto che ciò che io immaginavo spazialmente lo avevo già realizzato sul disegno e in pittura: quando leghiamo insieme tre linee nel disegno, per un gesto istintivo, innato, siamo portati a dargli un senso nello spazio» (8). Lo stesso Paladino racconta il suo incontro con la scultura: «mi ritrovai per caso a modellare, o comunque in seguito a una coincidenza fortuita. Nel 1982 il gallerista Emilio Mazzoli mi chiese di provarci, consigliandomi di lavorare a Pietrasanta, ne uscì Giardino chiuso. Dovendo pensare alla scultura, il mio punto di riferimento naturale non poté che essere Arturo Martini con la sua composizione geometrica e la fissità arcaica delle sue figure, forse in maniera anche imprevedibile per un artista che lavorava in un periodo orientato verso altri maestri» (9).


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Nella pagina accanto, una tavola del libro dʼartista Don Chisciotte edito da Editalia in 100 esemplari, acquaforte, acquatinta e collage, 2005

Fotogramma dal film Quijote, 2006, con Peppe Servillo; in basso, Vento dʼacqua, bronzo, circa 120 x 200 cm (ogni scultura), 2005; nelle pagine successive, Canto I, olio su tela, 225 x 325 cm, 1995

La poliedrica versatilità e i suoi molteplici interessi culturali hanno portato l’artista ad operare anche in ambito teatrale e cinematografico: risale alla fine del 2005 la grande mostra dedicata al Don Chisciotte di Cervantes allestita al Museo di Capodimonte a Napoli con dipinti, sculture, disegni e il film Quijote che è stato poi presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2006. Nella stessa occasione Paladino realizza un libro d’artista con 60 opere grafiche e gli acquerelli che illustrano l’edizione integrale del Don Chisciotte, pubblicati dalla casa editrice Editalia/Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, e successivamente presentati in mostra a Palermo, a Palazzo Sant’Elia (2008). «Il quadro o la scultura – spiega Germano Celant – si tramutano allora in un habitat che si nutre di sacralità e di enigmi, di colori e di geometrie, di parole e di simboli. Un territorio iniziatico dove tra tutti i segni esiste continuità. [...] Paladino costruisce “soglie”, in forma di pitture, attraverso cui passano le contraddizioni e le possibilità dei diversi gradi del pensare immagini. Sono momenti bifronti in cui si allude alla polarità del suo muoversi, dove la parola e la figura sono estremamente solidali. […] L’arte è allora scrittura solidificata, quella che mette in armonia tutti i linguaggi, scrittura, architettura, cinematografia, musica e teatro, tanto che Paladino, negli anni a venire, si impegnerà in essi» (10). Diverse opere degli anni ’90 e dell’ultimo decennio appaiono realizzate intorno alla riflessione sul sacro e sulla religiosità che connotano il concetto di icona. «L’idea dell’icona mi piace – afferma Paladino – perché mi pare che storicamente il monaco prima di dipingere meditasse per lungo tempo. L’icona stessa era un’esperienza di meditazione e quest’idea della concentrazione massima su un piccolo oggetto mi piace» (11). L’artista

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Paladino nello studio di Paduli

In basso, Senza titolo, olio su tela montata su legno, Ø 250 cm, 1993; nella pagina accanto: a sinistra, Euclide II (part.), olio su tela, 250 x 195 cm, 1999; al centro, Senza titolo (part.), olio su tela, 200 x 300 cm, 2004; a destra, Euclide I (part.), olio su tela, 250 x 195 cm, 1999

recupera il significato contemplativo attraverso l’adozione di volti enigmatici, tondi, stelle, carri, croci e, in alcune opere, anche l’uso dell’oro, che conferiscono a queste immagini una complessità di significati, un clima di religioso trasporto, un’accentuata aspirazione all’estasi della contemplazione. «Assumo l’idea della croce – afferma Paladino – solo come segno che riporti bellezza estetica e non tanto per il valore simbolico di cristianità o di primitivismo. L’oro è per me materia di alchimia, di mutazione di qualcosa di prezioso, di sfolgorante, che viene dal sottosuolo, in quanto nella mia pittura è importante la qualità luminosa. Intendo la luce dell’oro come per i Bizantini, una qualità che voleva annullare qualunque cosa, una specie di horror vacui, delle figure che navigano quindi in un’idea di inafferrabile» (12). L’opera Senza titolo del 2003, una narrazione per immagini, assorte e contemplative, emergenti – alcune tridimensionalmente – da una preziosa superficie oro, veicolo per esprimere una visione anche spirituale che coinvolge la sfera del sacro suscitando un vibrante sentimento di arcaico misticismo, esprime perfettamente questa nuova riflessione intorno al concetto di icona. «L’oro e l’immaterialità dell’imperscrutabile superficie splendente – scrive Rudy Fuchs – hanno affascinato anche gli artisti moderni, come Yves Klein e Lucio Fontana. Questo è inevitabile: nella cultura cristiana europea l’oro è un materiale altamente liturgico, il divino portatore di luce. Luce non solo come lucentezza e splendore, ma come luce che incorona. […] Paladino suona l’oro come il violinista il suo strumento» (13). Elementi distintivi nell’opera di Paladino, sempre in

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equilibrio sul crinale tra astrazione gestuale e figurazione evocativa, sono cifre e forme come le teste – alle volte più definite, altre volte semplici sagome – e i palmi di mani aperte, che emergono con calibrata eloquenza interrompendo l’integrità della superficie pittorica vigorosamente connotata da colori spesso accesi e violenti: sono archetipi di emblematica allusività con un valore puramente evocativo, i quali si riferiscono a tematiche di ordine mitico che rimandano ad un contesto culturale ellenico (Canto I, 1995; Euclide I, 1999; Euclide II, 1999), italico (L’Etrusco, 1998-99; Monte di Lucania, 1999; Paesaggio di Tarquinia, 1999), o più in generale mediterraneo (Parade, 1994; Canto I, 1995; Rapsodia IV, 1997-98). Tali frammenti di idoli, vagamente reliquiari, dal valore quasi oracolare, totemico, magico-sacrale, invitano all’introspezione, ricongiungono i tempi recuperando profondi echi della storia e dell’esistenza (L’ospite della sera, 1994; Miracolo I, 1995; Testa, 1999; Paesaggio con testa, 1999; Senza titolo, 2003; La stanza danzante, 2004; Senza titolo, 2004), sono segni di un tempo perduto, immagini introiettivamente evocate che connotano in modo unico il linguaggio di Paladino che trova ispirazione proprio in tali memorie ancestrali. «L’opera di Paladino si espande nel futuro e fino ad oggi in tutte le direzioni possibili, manifestando un’attitudine propositiva del tutto singolare nel panorama contemporaneo. Dal disegno al quadro, dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla scenografia, sembra che l’arte possa ricostruire ordine e senso, ricreando un universo senza tempo, in cui tornino a circolare storie e leggende che renderanno abitabile la terra e affascinante la vicenda umana» (14). NOTE (1) Mimmo Paladino. L’opera su carta 1970-1992, catalogo della mostra (Trento, Galleria Civica d’Arte Contemporanea) a cura di D. Eccher, Milano 1992, p. 8. (2) Tale tendenza al recupero di sistemi tecnici tradizionali come la pittura, il disegno, la scultura, e della figurazione come linguaggio espressivo privilegiato, viene ulteriormente confermata anche dal padiglione tedesco ai Giardini di Castello della biennale veneziana dove a rappresentare la Germania sono chiamati Georg Baselitz e Anselm Kiefer. Tali nuove correnti artistiche, parallele alla Transavanguardia, sono indicate con la più generica definizione di Neo-Espressionismo, termine usato anche per le strette relazioni tra i pittori tedeschi (fra cui Gerhard Richter) e un filone dell’arte americana contemporanea (JeanMichel Basquiat, Julian Schnabel, David Salle)

diversa dal punto di vista formale ma ugualmente neoespressionista. (3) A. Bonito Oliva, La Transavanguardia italiana, Milano 1980, p. 44 e sgg. (4) A. Vettese, Mimmo Paladino, in “Flash Art International”, n. 134, maggio 1987, p. 99.

(8) R. Fuchs, La luce coronata, in Paladino. I maestri di Terrae Motus, catalogo della mostra (Reggia di Caserta) a cura di E. Cicelyn, Milano 2004, pp. 117-118. (9) F. Arensi, cit., p. 157. (10) G. Celant, cit., p. 57. (11) Ibidem, pp. 59-60.

(5) F. Arensi, Cortocircuito, in Paladino Palazzo Reale, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale) a cura di F. Arensi, Firenze 2011, p. 154. (6) D. Eccher, Il segreto delle icone di Mimmo Paladino, in J. Sallis, D. Eccher, Paladino. Una monografia, Milano 2001, pp. 48-56.

(12) Il testo dell’intervista a Paladino di G. Politi, G. Di Pietrantonio, H. Contova è pubblicato in: G. Celant, cit., p. 60. (13) R. Fuchs, cit., pp. 8-16. (14) Ibidem, p. 82.

(7) G. Celant, Tra le radici: Mimmo Paladino, in Paladino Palazzo Reale, cit., p. 48.

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L’Arte incontra l’Arte

È un’esperienza estetica ed emozionale, una gratificazione ottica e interiore, avere tra le mani un’opera di un grande artista, osservarla, leggere i dettagli, assaporare con la mente i colori, i loro abbinamenti, i contrasti, seguire le linee che si susseguono e dialogano in un discorso muto ma avvincente, guardare come ogni forma magicamente si nutre e si esalta nella sapiente giustapposizione che trova, nell’insieme di quella creazione, l’equilibrio perfetto che sa esprimere pensiero, sentimento e significato in un’armonica risonanza di particolari perfettamente orchestrati. Un’opera d’arte è sempre e comunque un viaggio verso un paesaggio della mente che è fatalmente anche un paesaggio di idee, di immagini, di allusioni a una dimensione collocata tra realtà, percezione, immaginazione. Mimmo Paladino è un grande sperimentatore ma è anche un artista che ama una tecnica tradizionale come l’incisione, che trova avvincente impegnarsi per trovare il giusto modo di piegare modalità esecutive antiche e ormai acquisite a una sensibilità nuova, nutrita di suggestioni e di immagini che trovano ispirazione in un mondo ricco e variegato. Stupor Mundi è un’opera nata in questo contesto di ricerca continua che caratterizza tutta la brillante carriera di Paladino. Questa xilografia eseguita nel 2010, realizzata utilizzando ventidue legni incisi e sagomati e poi stampata con diciassette colori, è dedicata ad uno dei più celebri personaggi del Medioevo, l’imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), la cui corte divenne un luogo di incontro e fusione di molte culture. Questa straordinaria figura, che ha saputo lasciare una traccia profonda nella cultura della sua epoca e nella storia del Meridione d’Italia, ha attirato l’attenzione di Paladino il quale, da uomo del Sud, gli ha voluto rendere omaggio. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, Federico II era popolarmente conosciuto come Stupor Mundi, ovvero “meraviglia del mondo”, un appellativo che derivava dalla sua inesauribile curiosità intellettuale e da un eclettismo che lo portò ad approfondire numerosi ambiti del sapere: la filosofia, l’astrologia, la matematica, la letteratura, la medicina. Federico II scrisse anche un libro, un manuale sull’arte della falconeria, il De arte venandi cum avibus, “L’arte della caccia con gli uccelli”, che Paladino cita in questa xilografia di grande formato. L’opera, composta di varie sezioni giustapposte tra loro e connotate attraverso l’uso di colori diversi, ruota intorno alla figura dell’imperatore, raffigurato al centro, di profilo, ieratico, assorto, quasi un’evocazione. Osservando l’opera di Paladino viene immediatamente alla mente la celebre immagine che raffigura Federico II in trono, con accanto l’aquila imperiale contenuta nel manoscritto del trattato duecentesco De arte venandi cum avibus, conservato nella Biblioteca Vaticana (Pal. Lat. 1071). Nella xilografia di Paladino in alto a sinistra

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Nella pagina precedente, lʼartista al lavoro per la mostra I Maestri di Terraemotus alla Reggia di Caserta, 2004

Strumenti di lavoro e “lista degli artisti” nel laboratorio di Romolo e Rosalba Bulla

è raffigurato un profilo incombente, scuro, enigmatico, che affiora come un ricordo, mentre a destra appare la sagoma di un uccello allusivo sia al vessillo imperiale sia ai falconi con i quali l’imperatore andava a caccia. Federico II ha il braccio alzato simbolo della volontà del potere, quello imperiale, che comanda. La luce di una candela, non solo fisica ma anche fortemente simbolica, allusiva alla luce della conoscenza, è posta in alto, mentre più in basso, sempre a sinistra, appare una tazza, dalla forma semplice, che conferisce valore e significato alla potente evocazione di una storia lontana e pregnante di significati. A sinistra dell’immagine dell’imperatore appare una porta, un efficace simbolo del concetto di “passaggio” da uno stato ad un altro, tema che Paladino ha più volte affrontato. La porta – con il concetto di soglia: luogo in comune tra ambiti diversi – sta a simboleggiare il dialogo e la necessaria accessibilità che diverse culture producono (pro-ducere) per gli stessi significati fondamentali dell’esistenza dell’uomo, proprio come avveniva nel cenacolo culturale che si riuniva attorno a Federico II, principe organizzatore delle diversità in ossequio all’ideale di Imperium romano che con lui vivrà il definitivo tramonto. La porta restando chiusa sta a significare una potenzialità allo stato puro che a tutt’oggi resta ancora da poter essere colta. Da Stupor Mundi a Imago Mundi. Le sigle araldiche che connotano i diversi spazi di cui è composta questa xilografia appaiono decantate da ogni aspirazione mimetica del reale e si riducono all’essenziale, a una salda bidimensionalità, assumendo un carattere più mentale, meditato, assorto. I tratti forti, decisi, i colori intensi, la sapiente giustapposizione delle singole parti conformano e connotano un insieme che è suggestivo, inedito e complesso, e che sa dialogare con il passato ma anche inserirsi in modo straordinariamente unico nell’espressività contemporanea. Paladino ha più volte scelto la xilografia come tecnica per realizzare le sue incisioni, una tecnica con una storia che risale a moltissimi secoli fa. La xilografia è l’arte di incidere il legno per ottenere una matrice di stampa che viene successivamente inchiostrata e utilizzata per la realizzazione di più esemplari dello stesso soggetto, su carta e a volte su seta. Sulla matrice l’intaglio è eseguito attraverso l’uso di coltellini affilati e sgorbie, risparmiando il disegno da riprodurre che quindi risulta a rilievo. La tecnica è di origine cinese e risale al VI secolo d.C., fu introdotta in Giappone nel corso dell’VIII secolo e per circa ottocento anni fu monopolio quasi esclusivo dei monasteri buddisti che se ne servivano per diffondere i testi sacri. Conosciuta in Europa fin dal XII secolo, fu utilizzata a partire dal Trecento per la stampa di immagini sacre, carte da gioco e per l’illustrazione di testi: essendo un tipo di incisione a rilievo, la matrice di legno veniva inserita nelle forme tipografiche e così era possibile stampare contemporaneamente il testo e le immagini. Nel XVI secolo la xilografia

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Prove di stampa in controparte; in basso, disposizione delle sagome e montaggio della matrice xilografica

assurse a una grande dignità artistica, che il celebre incisore Albrecht Dürer condusse a livelli altissimi. Sempre nel Cinquecento si diffuse la tecnica di incisione detta a chiaroscuro con due, tre e quattro legni, per ottenere stampe a colori: l’invenzione è da attribuirsi al veneto Ugo da Carpi. Caduto in oblio nei secoli XVII-XVIII per l’affermarsi della calcografia e della litografia, il linguaggio netto e sintetico della xilografia venne recuperato da parte di numerosi esponenti del Post-Impressionismo e dell’Espressionismo alla fine dell’Ottocento, anche grazie alla diffusione delle stampe giapponesi che cominciarono a circolare in Occidente. Paladino ha lavorato a quest’opera in stretta sintonia con gli artigiani che hanno saputo tradurre il suo segno netto e pregnante. L’artista è partito dalla testa di profilo al centro del foglio, quasi un’icona sacra moderna, che ha personalmente sagomato nel legno e poi inciso attraverso l’uso di coltellini affilati e sgorbie. La xilografia prevede diversi colori e quindi l’artista, lavorando presso lo studio della Stamperia litografica Bulla di Roma, ha preparato matrici diverse, ognuna destinata ad essere inchiostrata con un particolare colore. L’opera Stupor Mundi non è stata solo stampata presso questa stamperia, ma è proprio nata negli stessi

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Il baren, strumento di origine giapponese con il quale il foglio, attraverso movimenti circolari, viene pressato sulla matrice per il trasferimento dellʼinchiostro; nella pagina accanto, messa a registro dei clichés

Nelle pagine successive, strumenti per la sagomatura e lʼinchiostratura delle matrici xilografiche; la stesura dei colori, dalle tinte più chiare alle cromie più accese; prove di stampa con la pregiata carta giapponese Okawara

ambienti dove da circa cinquant’anni lavorano Romolo e Rosalba Bulla, in via del Vantaggio, a due passi dall’Accademia di Belle Arti di via Ripetta: Paladino, come raccontano i fratelli Bulla, ha iniziato a lavorare a questa xilografia con grande impegno, e loro hanno potuto assistere con emozione e partecipazione a tutte le fasi creative che hanno condotto all’opera compiuta. La collaborazione tra l’artista e questa stamperia storica di Roma risale a diversi anni fa: i Bulla hanno incontrato Paladino nel 1994 in occasione delle stampe realizzate per il libro Dogana, una raccolta di litografie originali, poesie e fotografie di diversi autori, e da allora hanno collaborato spesso con l’artista campano. Paladino, come ricordano i fratelli Bulla, è sempre stato un forte sperimentatore, un artista che si è dedicato alla grafica con grandissima competenza, con esperienza e inventiva, ricercando con costanza e impegno nuove tecniche per poter raggiungere risultati inediti e innovativi. Stupor Mundi è nata in questi ambienti dove sono passati negli ultimi cinquant’anni numerosissimi e celebri artisti non solo italiani, che hanno trovato nelle mani e nei gesti dei Bulla la più perfetta collaborazione e intesa per realizzare le loro opere di grafica. Paladino quindi, una volta sagomate e definite le diverse matrici di legno che compongono la sua opera, con le sgorbie ha praticato le incisioni sulla superficie del legno riducendo le figure e le immagini agli elementi espressivi fondamentali. Una volta raggiunta la conformazione definitiva nella giustapposizione dei diversi elementi, l’artista ha scelto i diciassette colori, sempre in stretta sintonia con i fratelli Bulla. A questo punto è iniziato il lavoro certosino dei due artigiani che hanno proceduto nel definire il registro sul quale comporre le matrici di legno ognuna con il suo colore. Infatti per i vari colori si devono preparare matrici diverse, ognuna specificamente inchiostrata, e ricomporre poi sul registro la posizione delle singole parti che andranno a formare l’opera compiuta. Per registro dei clichés, nella stampa a più colori, si intende il segno che indica il limite esatto per la distribuzione dei colori di cui si effettua la stampa con ciascun cliché (mettere a registro significa collocare i clichés in modo che i segni del registro si sovrappongano esattamente). La differenza fondamentale tra la xilografia giapponese e quella occidentale è che i giapponesi non usano il torchio ma stampano a mano con uno strumento particolare detto baren, che spesso amano costruire da soli con fibre di bambù intrecciate intorno ad un supporto circolare formato dalla sovrapposizione di più fogli di carta incollati fra loro. Il foglio per la stampa è precedentemente inumidito, viene quindi posizionato sulla matrice o sulle matrici di legno inchiostrate – sistemate utilizzando le tacche di registro – su di esso viene posto un altro foglio di carta stavolta asciutto: col baren si esercita, attraverso sapienti movimenti circolari, la pressione

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Lʼartista firma e numera ogni singolo multiplo

Nella pagina accanto, Stupor Mundi, 108x79 cm, xilografia a 17 colori incisa su 22 legni stampata a mano con baren giapponese su carta pregiata Okawara, 30 copie di cui 25 numerate con numeri arabi e 5 con numeri romani, 2010

necessaria al trasferimento dell’inchiostro sulla carta. È quello che hanno fatto i Bulla per realizzare le stampe dell’opera di Paladino, recuperando la tecnica giapponese. Come loro stessi raccontano, la stampa dei colori chiari ha preceduto quella delle cromie più accese. Ogni volta che hanno inchiostrato una matrice con un piccolo rullo seguendo movimenti ormai consueti ma derivati da una pratica più che trentennale, l’hanno posizionata sul registro sul quale hanno adagiato il grande foglio di carta – in questo caso molto pregiata, la Okawara delle cartiere giapponesi Awagami – e poi attraverso il baren hanno trasferito il colore sul foglio. Una volta utilizzati i primi colori si è proceduto alla stampa dei successivi aspettando per ogni passaggio che l’inchiostro tipografico fosse perfettamente asciutto sul foglio. I Bulla hanno una grandissima esperienza in quanto sono i discendenti di una famiglia franco-elvetica di stampatori ed editori d’arte con una lunga tradizione alle spalle, che si dedica a questa attività con grande successo da quasi duecento anni. François Bulla giunse a Parigi dal Canton Ticino con la moglie e i cinque figli nel 1818 e fu attratto dalla nuova tecnica della litografia che ebbe da subito un grandissimo successo: si trattava di un metodo di stampa con lastra piana che adoperava come matrice la superficie levigata di una pietra e che utilizzava per l’inchiostratura un procedimento fisico-chimico, adottato per la prima volta dal praghese Alois Senefelder, basato sulla repulsione fra acqua e sostanze grasse. Presentata ufficialmente al Salon parigino del 1817, la tecnica monopolizzò l’attività di François Bulla e successivamente di tutti i suoi figli, impegnati nel laboratorio parigino. Anselmo, il bisnonno di Romolo e Rosalba, aprì a Roma nel 1840 una stamperia litografica che iniziò presto a lavorare per il Vaticano e le maggiori istituzioni romane. Nel corso degli anni Roberto ha affiancato il padre nell’attività di famiglia così come hanno fatto cinquant’anni fa Romolo e Rosanna, imparando da ragazzi tutti i segreti della stampa, compreso il recupero di una tecnica antica e difficile come la xilografia. Attraverso le stanze della stamperia Bulla sono passati grandi artisti: da Giuseppe Capogrossi a Giorgio De Chirico, da Jim Dine a Pietro Dorazio, da Giacomo Manzù a Carla Accardi, da Mimmo Paladino a Jannis Kounellis. «Realizzare una stampa con un grande artista è un’esperienza davvero stimolante – afferma Romolo – ogni volta impariamo qualcosa di nuovo anche noi. Quando un artista arriva nella nostra stamperia deve sentirsi a suo agio per esprimere al meglio quello che ha in mente, l’opera che dovrà compiersi attraverso il nostro supporto». «Ogni opera d’arte che realizziamo – aggiunge Rosalba – è un viaggio che si fa insieme all’artista, un viaggio molto piacevole che ti conduce ogni volta verso nuovi traguardi tecnici».

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Mimmo Paladino

omenico Paladino, meglio noto come Mimmo, nasce a Paduli (Benevento) il 18 dicembre 1948, è un pittore, scultore e incisore italiano. È tra i principali esponenti della Transavanguardia, movimento fondato da Achille Bonito Oliva nel 1980 che individua un ritorno alla pittura, dopo le varie correnti concettuali sviluppatesi negli anni Settanta. Lo zio paterno, Salvatore, è pittore e lo avvia ad interessi artistici, che confluiranno nella frequentazione del Liceo Artistico di Benevento (1964-68). Nel 1964 visita la Biennale di Venezia dove sono esposte nel padiglione americano opere di Robert Rauschenberg che gli suscitano una grande impressione e che gli rivelano le ultime tendenze dell’arte americana. Nel 1968 si diploma al Liceo artistico di Benevento e, appena ventenne, espone suoi lavori in una mostra alla Galleria Carolina di Portici (Napoli) presentata dal giovane critico Achille Bonito Oliva, che lo affiancherà nel corso di tutta la sua carriera artistica, includendolo successivamente nel novero dei più importanti esponenti della Transavanguardia. L’anno successivo lo Studio Oggetto di Caserta di Enzo Cannaviello organizza una sua personale, presentata da Bonito Oliva. In questi anni di esordio Paladino è attratto dall’arte concettuale ed esprime un forte interesse per la fotografia, orientamenti espressivi che trovano un ampio riscontro nella sua personale presso la Galleria Nuovi Strumenti di Brescia (1976). Il trasferimento a Milano nel 1977 apre nuovi orizzonti alla sua ricerca espressiva: in questo anno realizza Silenzioso, mi ritrovo a dipingere un quadro, un’opera che è stata considerata un simbolo del ritorno degli artisti alla pratica della pittura dopo la lunga stagione delle proposte concettuali. Sempre nel 1977, affascinato dal disegno, Paladino realizza un grande murale a pastelli per la Galleria Lucio Amelio di Napoli. Amelio aveva aperto la sua galleria nel 1965 dando grande rilievo alla cultura e all’arte tedesca, che culminerà nel ’71 con la prima mostra in Italia di Joseph Beuys. Il gallerista espose i più importanti artisti europei e americani degli anni Sessanta e Settanta – tra i quali Warhol, Rauschenberg, Kounellis, Paolini, Gilbert&George – e dette l’occasione di far conoscere la propria attività tra il post-Concettuale e la Transavanguardia a molti giovani artisti, tra i quali, oltre a Paladino, anche De Maria, Ontani, Tatafiore. La tecnica delle realizzazioni su muro viene utilizzata altre volte in questi anni, in particolare nel 1978, in occasione delle personali presso la Galerie Paul Maenz di Colonia e presso la Galleria Toselli di Milano dove realizza Il Brasile si sa è un pianeta dipinto sul muro di Franco Toselli. In questo periodo emerge nella sua opera la scoperta della figurazione pittorica e iniziano a comparire maschere, rami, segni geometrici su un fondo monocromo, elementi che rimarranno costanti nel suo lavoro.

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Nella pagina precedente, lʼartista al lavoro su una matrice calcografica

En de re, tecnica mista su carta e vetro, 9 x 12 cm, 1977

Nel 1978 compie il suo primo viaggio a New York, città nella quale tornerà spesso e dove esporrà negli anni successivi. Nel 1979 Bonito Oliva comprende Paladino tra gli artisti della Transavanguardia le cui opere vengono esposte nelle mostre Le stanze al Castello dei Colonna di Gennazzano presso Roma, Opere fatte ad arte, nel Palazzo della Città di Acireale, e poi nel 1980 in Aperto ’80, all’interno della Biennale di Venezia, dove il movimento viene ufficialmente presentato: Paladino espone I giardini dei sentieri che si biforcano, Lampeggiante e Porta. Nello stesso anno espone in diverse personali organizzate in varie città europee che segnano l’inizio di un successo internazionale confermato della prima mostra a New York, dove è presente contemporaneamente alla Marian Goodman Gallery e presso Annina Nosei. Nelle opere realizzate in questo periodo, di grandi dimensioni, prende forma un repertorio iconografico popolato da forme allegoriche ricche di evocazioni rituali primitive. La passione per il disegno, che lo porterà a collezionare carte di diversi artisti, da Balla a Picasso a Licini, lo conduce, a partire dal 1980, a sperimentare le tecniche incisorie: l’acquaforte, l’acquatinta, la xilografia, la linoleografia. Successivamente, nel 1984, l’incontro a Milano con lo stampatore Giorgio Upiglio gli consentirà di acquisire notevoli capacità tecniche in questo ambito artistico ottenendo risultati di altissimo livello, ampliati anche dalla collaborazione con Alberto Serighelli, con il quale produrrà fogli di grande formato. Nel 1980 realizza anche il suo primo libro-oggetto dal titolo EN DE RE con la Galleria Mazzoli di Modena, anche quest’ultima punto di riferimento della sua carriera espositiva. Il 1981 è un anno molto importante: sue personali sono allestite presso il Kunstmuseum di Basilea, presso la Kestner Gesellschaft di Hannover e nella Galleria d’Arte Moderna di Bologna. È dello stesso anno una importante partecipazione all’esposizione A New Spirit in Painting presso la Royal Academy di Londra, che rappresenta una significativa riflessione sui nuovi linguaggi pittorici emersi a livello internazionale. Nel 1982 partecipa a Documenta 7 a Kassel ed espone in personali ad Anversa, Monaco, Napoli, Parigi, Roma, Zurigo. Inizia ad esporre per la Galleria Waddington di Londra, prestigioso spazio dedicato all’arte contemporanea internazionale: comincia un rapporto che si consoliderà negli anni ed è tuttora fecondo. Ancora nel 1982 compie viaggi in Brasile, dove ha occasione di conoscere l’animismo primitivo della cultura locale che porterà a riflessioni molto importanti per la produzione successiva. Durante gli anni Ottanta Paladino compie numerosi viaggi negli Stati Uniti, dove nel 1983 allestisce due personali, la prima presso la Galleria Sperone Westwater di New York e una seconda al New Port Harbour Art Museum di Los Angeles. Sempre

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Enzo Cucchi e Mimmo Paladino

Senza titolo (Disco per Beuys), terracotta e ferro, Ø 500 cm, 2004 (esposizione Reggia di Caserta, 2004)

nel 1983 realizza a Paduli, insieme all’architetto Roberto Serino, la sua abitazione e i suoi studi. In questi anni le sue opere vengono acquistate ed esposte dalla Galerie Beyeler di Basilea. Nel 1985 partecipa a diverse collettive tra cui A New Romanticism all’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington. A partire proprio dal 1985 è sempre più serrato il dialogo espressivo tra la pittura e la scultura. Nel 1988 gli viene assegnata una grande sala alla XLIII Biennale di Venezia, dove espone la grande installazione Sculture nel parco, la Porta di bronzo di sette metri già presentata nella mostra di Basilea, e i

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Paladino con Giorgio Upiglio nel laboratorio di Milano, 1997; nella pagina accanto, Fondazione Gori, Celli (Pistoia), 1982

primi Testimoni in pietra. Partecipa inoltre alla mostra L’autoritratto non ritratto, per Arte Fiera ’88, poi espone alla Pinacoteca di Ravenna con l’opera L’albero della vita, che entrerà a far parte delle collezioni permanenti del Museo d’Arte della città. Nel 1989 realizza tredici illustrazioni che accompagnano versi poetici di Lévy-Strauss (Bielefeld, Edition Jesse). Sue personali si tengono al Belvedere di Praga (1991), al Museu de Arte di San Paolo (1992), al Forte Belvedere di Firenze (1993), al Museo de Arte Contemporaneo di Monterrey (1994). Nel 1994 la prima mostra antologica dell’opera grafica, con la pubblicazione del catalogo completo del suo lavoro, è stata allestita, a cura di Enzo Di Martino, al Palacio Revillagigedo di Gijon (Spagna). È il primo artista contemporaneo italiano a tenere una mostra in Cina, alla Galleria Nazionale delle Belle Arti di Pechino (1994). Negli anni ’90 comincia a realizzare importanti interventi sugli spazi urbani come l’installazione permanente Hortus conclusus nel chiostro di San Domenico a Benevento (1992). Nel 1995 Napoli dedica a Paladino una mostra alle Scuderie di Palazzo Reale, a villa Pignatelli-Cortes e in Piazza Plebiscito dove l’artista installa la Montagna di sale. Nel 1999 presso la South London Gallery viene organizzata una grande mostra che include le sculture Testimoni, un nuovo gruppo completo di 20 opere in pietra bianca di Vicenza, e Zenith, una serie di lavori in tecnica mista su alluminio. L’installazione i Dormienti, ideata nel 1998, viene presentata l’anno successivo nel sotterraneo della Roundhouse di Londra: viene accompagnata dalla musica composta da Brian Eno. Lo stesso anno la Royal Accademy di Londra lo insignisce del titolo di Membro Onorario. In questi anni Paladino ha realizzato le scenografie di Veglia (1992) a Benevento, con la regia di Mario Martone, La sposa di Messina di Schiller (1994) a Gibellina con la regia di Elio De Capitani e ancora l’Edipo a Colono (2000) al Teatro Argentina di Roma, con la regia di Mario Martone. Nel 2001 viene pubblicato il catalogo generale della sua opera grafica – Opera Grafica 1974-2001 – a cura di Enzo Di Martino. Nello stesso anno Paladino illustra l’Illiade e l’Odissea di Omero, pubblicati dalla casa editrice Le Lettere di Firenze. Lo stesso anno realizza un’installazione per la stazione della metropolitana Salvator Rosa a Napoli. Nel 2002 il Centro d’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato gli dedica la più completa mostra retrospettiva organizzata da un museo italiano, a cura di Bruno Corà. Allo stesso anno risale l’inaugurazione del mosaico realizzato per il nuovo Museo dell’Ara Pacis di Roma, progettato dall’architetto americano Richard Meier. Al Museo di Arte Contemporanea Castello di Rivoli, nel 2003 viene allestita la mostra Transavanguardia 1979-1985, curata da Ida Gianelli, dove le opere di Paladino sono presentate accanto a

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Paladino con la moglie Imma durante l始allestimento della Biennale di Venezia, 1988; in basso, Montagna del sale, sale, bronzo e ferro, installazione in Piazza del Plebiscito, Napoli, 1995

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Nella pagina accanto, Paladino con Brian Eno, installazione alla Roundhouse di Londra, 1999


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quelle di Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Nicola De Maria. Una sua mostra su Pinocchio viene esposta nei musei d’arte moderna di otto città giapponesi, nella settecentesca Scola dei Battioro a Venezia, al Museo Civico di Udine, nel Museo di Palazzo Pio a Carpi e infine a Rotterdam (2004-2006). Nel 2004 realizza le porte per la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo progettata da Renzo Piano; nel 2005 presenta grandi sculture in una mostra curata da Enzo Di Martino alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro a Venezia. Alla fine del 2005 allestisce nel Museo Capodimonte di Napoli la grande mostra dedicata al Don Chisciotte di Cervantes con dipinti, sculture, un libro d’artista e il film Quijote. Il progetto prosegue l’anno dopo con l’illustrazione di una nuova edizione integrale del Don Chisciotte, pubblicata come libro d’artista da Editalia/Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Il film, su invito di Marco Müller, direttore artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, viene presentato con grande successo al Festival del 2006. Nello stesso anno Paladino realizza le porte per la chiesa di San Giovanni Battista a Lecce (progetto di Franco Purini) e porta a termine l’intervento nella Piazza dei Conti Guidi a Vinci (Firenze). Nel 2007 realizza due scenografie per gli spettacoli Oedipus Rex e Cavalleria Rusticana per il Teatro Regio di Torino. Sempre nel 2007 espone al Museo Madre al Palazzo Donnaregina di Napoli, sede del Museo di Arte Contemporanea, e alla Galleria Civica di Modena. Nello stesso anno viene inaugurato il mosaico realizzato per il Teatro Argentina a Roma in pendant con quello coevo di Enzo Cucchi. L’anno successivo è presente al museo dell’Ara Pacis di Roma con musiche di Brian Eno ed espone opere di grafica in una mostra antologica itinerante a cura di Enzo Di Martino in Sud America, a Buenos Aires, Brasilia, Rio de Janeiro e Lima. Sempre del 2008 è una mostra all’interno della chiesa di Donnaregina a Napoli, con l’intervento dell’architetto Massimiliano Fuksas. Nel 2009 un gruppo di sculture realizzate dall’artista viene esposto en plein air a Orta San Giulio, sul Lago d’Orta, in una mostra curata da Flavio Arensi. Nel 2010 Mimmo Paladino ha firmato la scenografia di Work in progress, il tour musicale che ha visto riunirsi dopo trent’anni la coppia Lucio Dalla e Francesco De Gregori. Nello stesso anno viene installato nell’anfiteatro del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (Brescia), la casa-museo di Gabriele d’Annunzio, un grande cavallo blu. Per l’Abruzzo nel 2011 Paladino realizza la nuova sala permanente del Museo Nazionale Archeologico di Villa Frigerj a Chieti dedicata al celebre Guerriero di Capestrano e viene inaugurata al Palazzo De Mayo di Chieti la mostra di sculture Mimmo Paladino e il nuovo Guerriero - La scultura come cosmogonia.

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Nella pagina accanto, un intenso ritratto di Mimmo Paladino

Paladino con Lucio Dalla sul set di Quijote, 2006; in basso, “…la fantasia gli si riempiva di tutto quel che leggeva sui libri…”, acquerello dal Don Chisciotte versione integrale edito da Editalia, 2006

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Lʼartista con Ferdinando Scianna e Marco De Guzzis, AD Editalia, alla presentazione del libro dʼartista Ombre, 2008; in basso, una pagina dellʼopera, acquaforte

Nella pagina accanto, stampa originale al carborundum da libro dʼartista Ombre, edito da Editalia in 125 esemplari nel 2008

Ad aprile 2011 il Comune di Milano dedica all’artista una grande mostra retrospettiva a Palazzo Reale dal titolo Paladino Palazzo Reale, curata da Flavio Arensi, che comprende anche l’installazione della Montagna di sale collocata in piazza Duomo, davanti al Palazzo Reale e accanto all’Arengario. Nel 2012 Paladino espone circa un centinaio di opere nella mostra che il MIC-Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza gli dedica: sculture di grandi dimensioni e installazioni complesse accanto a produzioni minori, a testimonianza della colta, fertile e poliedrica personalità dell’artista.

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PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI

1969 Galleria Carolina di Portici, Napoli Studio oggetto, Caserta 1976 Galleria Nuovi Strumenti, Brescia Galleria Nuova Duemila, Bologna 1977 Galleria Lucio Amelio, Napoli Galleria dell’Ariete, Milano 1979 Centre d’Art Contemporain, Ginevra Galleria Lucio Amelio, Napoli Galleria Emilio Mazzoli, Modena Art and Project, Amsterdam

1988 Galleria Gian Enzo Sperone, Roma Waddington Galleries, Londra Galleria In Arco, Torino Richard Art Gallery, Chicago 1989 Galerie Daniel Templon, Parigi Contemporanea di Giampaolo Becherini, Firenze Galleria Lucio Amelio, Napoli 1992 Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Trento Museu de Arte Moderna, Rio de Janeiro Convento San Domenico, Benevento Galleria Emilio Mazzoli, Modena

2007 Galleria Civica, Modena Museo Madre, Palazzo e Chiesa Donnaregina, Napoli 2008 Galleria Scognamiglio, Napoli Nouveau Musée National, Monaco Centro Recoleta, Buenos Aires Centro Cultural Banco do Brasil, Brasilia Museo de Arte Moderna, Rio de Janeiro Sala de la Municipalitad de Miraflores, Lima Villa Pisani, Stra (Venezia) Museo Ara Pacis, Roma Palacio Sastago, Saragozza

2009 Antico Seminario Piazza del Duomo, Lecce 1980 Penso che i collezionisti hanno dato un enorme contributo 1993 Mozarteum, Salisburgo Galerie Paul Maenz, Colonia nonForte solo al mercato ma anche agli stessi artisti... Belvedere, Firenze Cripta Medievale, Positano Galleria Giorgio Persano, Torino Queste persone che comprano, che fissano gli standard, Vari luoghi, Orta S. Giulio (Novara) Marian Goodman Gallery, New York 1994 Galerie Kluser, Monaco fanno venire a tutti gli altri una gran voglia di emularli. Galleria dell’Ariete, Milano Waddington Graphics, Londra Galleria In Arco, Torino Galerie Tanit, Monaco National Gallery of Fine Arts, Pechino Laboratorio d’Arte Grafica Gatti, Modena Kunsthalle, Basilea Centro Saint-Benin, Aosta Galleria Emilio Mazzoli, Modena Stedelijk Museum, Amsterdam Mario Diacono Gallery, Boston Galleria Franco Toselli, Milano 2010 Galleria Arte ’92, Milano Galerie Marlborough, Monaco 1981 Galleria Cardi, Pietrasanta (Lucca) 1995 Galleria Lucio Amelio, Napoli Galleria Stein, Milano Scuderie di palazzo Reale, Kunstmuseum, Basilea Galleria Valentina Bonomo, Roma Piazza Plebiscito, Museo Diego Aragona Galleria Comunale d’Arte Moderna, Galleria Givon, Tel Aviv Pignatelli Cortes, Napoli Bologna Galerie Daniel Templon, Parigi 2011 1997 Galleria San Fedele, Milano Fondazione Stelline, Milano Palazzo Reale, Milano 1982 TR3 Gallery, Ljubljana Waddington Galleries, Londra 2000 Palazzo De Mayo, Chieti Louisiana Museum of Modern Art, Castello di Brunnenburg, Merano Museo Archeologico Nazionale Humlebaek Galleria Scognamiglio, Napoli d’Abruzzo, Villa Frigerj, Chieti Galleria Lucio Amelio, Napoli Zane Bennett Contemporary Art, Marian Goodman Gallery, New York 2001 Santa Fe (Usa) Galleria Christian Stein, Milano 1985 Boca Raton Museum of Art, Florida 2012 Richard Gray Gallery, Chicago Centro Espositivo Sloveno, Venezia Galleria Lucio Amelio, Napoli 2002 Galleria Mazzoli, Modena Sperone Westwater, New York Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Ex Mercato Comunale, Novoli (Lecce) Galerie Michael Haas, Berlino Pecci, Prato Alan Cristea Gallery, Londra Dolan/Maxwell Gallery, Filadelfia Valentina Bonomo Arte Contemporanea, MIC Museo Internazionale Virginia Museum of Fine Arts, delle Ceramiche, Faenza Roma Richmond Villa Fiorentino, Sorrento Volume!, Roma Pinacoteca Provinciale, Bari 1986 2004 Galleria Gian Enzo Sperone, Roma Reggia di Caserta Waddington Graphics, Londra Richard Gray Gallery, Chicago 2005 Galerie Bernd Klüser, Monaco Museo d’Arte della città di Ravenna Galerie Holtmann, Colonia Museo di Capodimonte, Napoli Sperone Westwater, New York James Corcoran Gallery, Los Angeles 2006 Marisa del Re, New York Galleria l’Ariete, Bologna Galleria Franco Toselli, Milano Claudio Parmiggiani, Torino Institute of Contemporary Art, Boston Istituto Cervantes, Milano


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PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE

1985 A New Romancicism, Hirschhorn Museum and Sculpture Garden, Washington Images and Impressions, Institute of Contemporary Art, Filadelfia 1986 Scultura da camera, Castello Svevo, Bari 1987 Works on Paper, Waddington Galleries, Londra Avant-Garde in the Eighties, Los Angeles County Museum of Art 1988 Tracce-Materialmente, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna XLIII Biennale Internazionale d’Arte, Venezia 1989 Boetti, Castellani, De Maria, Fontana, Gilardi, Manzoni, Paladino, Paolini, Pistoletto, Salvo, Edward Totah Gallery, Londra Italian Art in the 20th Century, Royal Academy of Fine Arts, Londra Disegno Italiano 1908-82, Staatliche Museen, Berlino 1990 Focus on the Image, Laguna Gloria Art Museum, Austin, Texas 1991 Mirror Image, Gian Ferrari Arte Contemporanea, Milano La Metafisica della luce, John Good Gallery, New York Francesco Clemente, Mimmo Paladino: gli anni 70, Studio d’Arte Cannaviello, Milano Bruno Ceccobelli, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Galerie Brinkham, Amsterdam 1992 Terraemotus alla Reggia di Caserta, Fondazione Amelio, Caserta Group Sculpture Show, Sperone Westwater, New York

1995 Stars, Galleria Cardi, Milano 1997 Mediterraneità, Fondazione Palazzo Bricherasio, Torino 1998 Alighiero Boetti, Nicola de Maria, Mimmo Paladino, Galleria Cardi, Milano 1999 Bianchi, Paladino, Kounellis, Galleria Christian Stein, Milano New Works, Jamileh Weber Gallery, Zurigo 2001 Bianchi, Paladino, Kounellis, Galleria No Code, Bologna Summer Exhibition, Royal Academy of Fine Arts, Londra 2002 Transavanguardia, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, RivoliTorino Grande opera italiana, Castel Sant’Elmo, Napoli 2003 Summer Exhibition, Royal Academy of Fine Arts, Londra 2004 XXIV Andamenti Sol LeWitt-Mimmo Paladino, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 2005 Intersezioni. Cragg, Fabre, Paladino, Parco Archeologico di Scolacium, Roccelletta di Borgia (Catanzaro) 2006 Transavanguardia, Nuova Scuola Romana, Galleria L’Immagine, Milano 2007 Il Settimo Splendore. La modernità della malinconia, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Forti, Verona Museo d’Arte Contemporanea, Palazzo Donnaregina, Napoli

1993 Transavanguardia, Gian Ferrari Arte Contemporanea, Milano The Lyrical, the Logical and the Sublime: Chia, Merlino, Paladino, Nohra Haime Gallery, New York

2008 The secret garden, Iveagh Gardens, Dublino ...di carta, Galleria Cardi, Milano Tracce del vuoto, Studio Angeletti, Roma

1994 A Century of Artists Books, The Museum of Modern Art, New York Allor si mosse, e io li tenni dietro, Galleria Lucio Amelio, Napoli

2009 Works on Paper, Galerie Kluser, Monaco Arte\Natura – Natura\Arte, Palazzo Fabroni, Pistoia Blickachsen Biennale, Bad Homburg

Salon International de l’Estampe, Grand Palais, Parigi Mixografia, Innovation and collaboration, Vivian and Gordon Gilkey Center for Graphic Arts, Portland Museum Anni ’80. Il Trionfo della Pittura. Da Schifano a Basquiat, Villa Reale, Monza 2010 30 Jahre Transavanguardia, Galerie Kluser, Monaco Novecento a Napoli, 1910-1980, Castel Sant’Elmo, Napoli Riverberi. Forme d’Arte in Italia 19451989, Museo Gamec, Bergamo Summer Exhibition, Royal Academy of Arts, Londra Il Grande Gioco. Forme d’Arte in Italia 1947-1989, Museo Gamec, Bergamo Viaggiatori, Galleria Stein, Milano Fabula in Art, Museo Macro, Roma e Museo Madre, Napoli Biennale di Scultura, Castello di Racconigi (Torino) Gli Specchi dell’Enigma, Castello di Miramare, Trieste 2011 La Transavanguardia italiana, Palazzo Reale, Milano Il Giardino Segreto, Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari Oltre il Buio. Meditazioni sulla Morte: Georges Rouault, Damien Hirst e Mimmo Paladino, Galleria San Fedele, Milano Mario Schifano, Andrea Pazienza, Mimmo Paladino, Accademia Albertina delle Belle Arti, Torino Lo Splendore della Verità, la Bellezza della Carità, Aula Paolo VI, Città del Vaticano Maestri dell’Incisione Contemporanea, Muzeum Śląskie, Katowice LIV Biennale d’Arte, Venezia La Transavanguardia Italiana, Palazzo Reale, Milano Costellazione Transavanguardiae, Madre Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina, Napoli 2012 Il Viaggio, Biblioteca Salita dei Frati 4, Lugano Asche und Gold. Eine Weltenreise, Marta Herford, Herford Pinocchio, Biennale 2012, Museo Luzzati a Porta Siberia, Genova Summer Exhibition 2012, Royal Academy of Arts, Londra


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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Portici, Galleria d’Arte Carolina), Portici 1968

Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Rotterdam, Galerie Delta), Rotterdam 1986

Bonito Oliva, Achille, Tre o quattro artisti secchi, Modena 1978

Mimmo Paladino, Works on Paper 19731987, catalogo della mostra (Salisburgo, Galerie Thaddaeus J. Ropac), Salisburgo 1987

Napens, Klaus (a cura di), Ci ha pensato un tedesco. 17 Italian Artists, catalogo della mostra (Colonia, Gallerie Maenz), Köln 1978 Bonito Oliva, Achille, La Transavanguardia Italiana, in “Flash Art”, n. 92/93, ottobre/novembre 1979 Bonito Oliva Achille (a cura di), Opere fatte ad arte: Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Acireale, Palazzo di Città), Firenze 1979 Borgogelli, Sandra, Mimmo Paladino, in “Flash Art”, n. 94/95, gennaio 1980

Mimmo Paladino. Opere su carta, catalogo della mostra (Torino, Galleria In Arco), Torino 1988 Mimmo Paladino: il respiro della bellezza, catalogo della mostra (New York, Sperone Westwater Gallery), New York 1991 Mimmo Paladino: Prints 1987-1991, catalogo della mostra (Londra, Waddington Graphics Gallery), London 1991

Bonito Oliva, Achille, Transavanguardia, in “Flash Art”, n. 98/99, luglio 1980

Eccher, Danilo (a cura di), Mimmo Paladino. L’opera su carta 1970-1992, catalogo della mostra (Trento, Galleria Civica di Arte Contemporanea), Milano 1992

Bonito Oliva, Achille, La Transavanguardia Italiana, Milano 1980

Bonito Oliva, Achille, Rosenthal Norman, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Firenze, Forte Belvedere), Milano 1993

Bonito Oliva, Achille (a cura di), Le stanze, catalogo della mostra (Gennazzano, Castello Colonna), Firenze 1980

Vettese, Angela, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Milano, Galleria Arte 92), Milano 1994

Toselli, Franco, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Basilea, Kunsthalle), Basel 1980 Bonito Oliva, Achille, Tesoro, Modena 1981 Bonito Oliva, Achille (a cura di), Esercizi di lettura, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Bologna, Galleria d’Arte Moderna), Casalecchio di Reno 1981 Bonito Oliva, Achille, Mimmo Paladino, Giardino chiuso, Modena 1983

Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Lione, Musée St Pierre Art Contemporain), Lione 1984 Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Londra, Waddington Galleries), Londra 1984 Corà, Bruno, Mimmo Paladino, catalogo della mostra (New York, Sperone Westwater Gallery), New York 1985

Paladino, catalogo della mostra (Napoli, Scuderie di Palazzo Reale), Milano 1995 Bucarelli, Angelo; Cicelyn, Eduardo (a cura di), La montagna del sale: Paladino a Napoli, Milano 1996 Eccher, Danilo; Sallis, John, Paladino. Una monografia, Milano 2001

Mimmo Paladino: un mosaico per Roma, [pubblicato in occasione della mostra tenuta all’Ara Pacis a Roma], s.l. 2001 Di Martino, Enzo (a cura di), Mimmo Paladino, opera grafica 1974-2001, New York 2001 Corà, Bruno, Paladino, catalogo della mostra (Prato, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci), Prato 2002 Giannelli, Ida (a cura di), Transavanguardia, catalogo della mostra (Rivoli, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), Milano 2002 Bonito Oliva, Achille; Cicelyn Eduardo (a cura di), Paladino. I Maestri di Terrae

Motus, catalogo della mostra (Reggia di Caserta), Milano 2004 Guadagnini, Walter; Barbero, Luca Massimo, Mimmo Paladino. Di segni ritrovati, 1982-2004, catalogo della mostra (Modena, Palazzo Santa Margherita), Cinisello Balsamo 2004 Di Martino, Enzo; Scotton, Flavia (a cura di), Mimmo Paladino, catalogo della mostra (Venezia, Ca’ Pesaro), Milano 2005 Tecce, Angela; Spinosa, Nicola (a cura di), Mimmo Paladino: Quijote, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte), Napoli 2005 Paparoni, Demetrio (a cura di), Mimmo Paladino. Don Chisciotte a Palermo, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Sant’Elia), Roma 2008 Di Martino, Enzo, Mimmo Paladino. Opera grafica, catalogo delle mostre (Buenos Aires, Brasilia, Rio de Janeiro, Lima), Venezia 2008 Di Martino, Enzo, Mimmo Paladino. La scultura 1980-2008, Milano 2010 Arensi, Flavio (a cura di), Paladino Palazzo Reale, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale), Firenze 2011 Casali, Claudia (a cura di), Paladino Ceramiche, catalogo della mostra (Faenza, Museo internazionale delle ceramiche), Pistoia 2012


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MUSEI PUBBLICI CHE ESPONGONO OPERE DELL’ARTISTA

Art Gallery, Toronto

Galleria d’Arte Moderna, Bologna

Art Gallery of New South, Sidney

Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma

Museo di Capodimonte, Napoli

Kaisma Museum of Contemporary Art, Helsinki

Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

Berardo Collection, Sintra Museum of Modern Art, Sintra

Kunstmuseum, Basilea

Museum of Modern Art, New York

City of Beijing Collection, Pechino

Kunstmuseum, Berna

Nationalgalerie, Berlino

Civiche Raccolte d’Arte, Milano

Kunstmuseum, Düsseldorf

Neue Galerie, Kassel

Collezione del Ministero degli Esteri, Roma

Lenbachhaus, Monaco

Scottish National Gallery of Modern Art, Edimburgo

Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco

Fogg Art Museum, Cambridge, Massachusetts Fonds National d’Art Contemporain, Puteaux

Musée d’Art Moderne et Contemporain, Strasburgo

Louisiana Museum of Modern Art, Humlebaeck

Setagaya Art Museum, Tokyo

Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

Solomon R. Guggenheim Museum, New York

Metropolitan Museum of Art, New York

Stedelijk Museum, Amsterdam

Fonds Regional d’Art Contemporain Midi-Pyrénées, Tolosa

Musée d’Art Contemporain, Lione

Tate Modern CGallery, Londra

Fukuyama Museum, Okayama

Musée d’Art Contemporain, Nîmes

Virginia Museum of Fine Arts, Richmond


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Coordinamento editoriale Cecilia Sica Progetto creativo e impaginazione Daniela Tiburtini Redazione Laura Orbicciani Grafico Fabrizio Midei Referenze fotografiche Studio Paladino; Peppe Avallone; Ferdinando Scianna; Stefano Tinto; Archivio fotografico Editalia Fotolito Fotolito Gamba Srl, Roma Stampa e Allestimento Marchesi Grafiche Editoriali SpA, Roma

Finito di stampare nel mese di ottobre 2012


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