Foto in IV di copertina: cortesia Anne Innis Dagg Foundation
Illustrazioni: Daniela Tieni
Stampato presso Lito Terrazzi srl Stabilimento di Iolo
Donne nella scienza
Testi: Arianna Di Genova
Progetto grafico: Alessandra Zorzetti
Prima edizione: aprile 2022
via Bolognese, 165 – 50139 Firenze – Italia via C. Beccaria, 6 – 34133 Trieste – Italia
©www.giunti.itwww.editorialescienza.it2022EditorialeScienza srl
L'AMICA DELLE GIRAFFE Anne Innis Dagg si racconta Arianna Di GenovaIllustrato
da Daniela Tieni
In genere, ero felice di avventurarmi fuori dalla mia città, a maggior ragione se si trattava di andare dai nonni.
Capitolo 1
AMORE A PRIMA VISTA
Ero in viaggio con mia madre per far visita ai nonni che vivevano a Chicago. Noi, invece, abitavamo a Toronto, in Canada.
vevo da poco imparato a parlare quando vidi per la prima volta una giraffa. Faceva un gran caldo in quell’estate del 1936 e io avevo tre anni.
A
Quel giorno, però, avevo il broncio. A Chicago si sudava tanto, avevo dormito male e smaniato tutta la notte. La mattina non volevo alzarmi dal letto, ero stan chissima e desideravo solo tornare a casa, nella mia stanza, a giocare con il teatrino di Cappuccetto Rosso.
Secondo mia madre, quella mattina avevo “la luna storta” e bisognava in qualche modo raddrizzarla. – Dai Anne, vestiamoci in fretta. Ho saputo che pro prio qui vicino c’è uno zoo con tanti bellissimi animali e alcuni sono molto strani. Sono sicura che ti piaceranno e ti strapperanno un sorriso, così non devo vedere più quel musetto indispettito. Pensavo fossi contenta di vedere i nonni, a me elettrizza gironzolare, a te no? Venire quaggiù è sempre una buona scusa per viaggiare. Il cervello prende aria fresca, che non guasta mai. Non risposi, ma il grumo di rabbia che avevo dentro il petto cominciò a sciogliersi. Mi fidavo ciecamente di lei e infatti il mio umore cambiò nel giro di pochi secondi, dimenticai la stanchezza e fui subito più allegra. Non sapevo cosa fosse uno zoo ma la parola mi incuriosiva, prometteva un bel divertimento per una bambina. Così, una volta infilati una maglietta e dei pantaloncini, la seguii senza fare capricci. Mamma aveva parlato di ani mali strani, quindi doveva trattarsi di un’enorme casa dove vivevano tutti insieme; e non avrei incontrato solo cani, gatti, cavalli, galline e maiali, come nelle fattorie fuori città. In un libro che avevo sfogliato a casa, avevo
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dalla stanza, mia madre prese quasi a correre, era il suo modo di affrontare la vita. Doveva essere sempre indaffarata e non le piaceva perdere minuti preziosi. Un’abitudine che mi ha trasmesso con naturalezza. Non l’ho mai ringraziata abbastanza per questo dono: quel “non stare mai ferma” era la strada maestra per Camminaval’avventura.sveltadandomi la mano. Io avevo il sonno ancora appiccicato agli occhi e, più che altro, mi sentivo trascinata come da un vento, senza capire bene dove stessero andando i miei piedi. Mi sembrava di volare ma il mio corpo non opponeva nessuna resistenza. Gli animali “strani” ci aspettavano allo zoo. E io volevo essere conConloro.quel passo, lei marciando e io planando, arrivammo in una manciata di minuti. Davanti a noi c’era un edificio bianco con tre arcate e tre eleganti cancelli in ferro battuto aperti.
– Eccoci arrivate, tesoro. Vedi lì? C’è scritto “zoo di Brookfield” e ora, io e te, diventiamo due esploratrici della natura selvaggia. Sono pronta e tu, con quella faccia imbronciata… lo sei?
trovato la storia del coccodrillo Bill: aveva una pelle tutta piena di bitorzoli e camminava in modo buffissimo, scodinzolando la sua grossissima coda a zig zag per terra. Ci sarebbe stato anche lui o era un animale inventato?Quandouscimmo
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Ero eccitatissima e mi strinsi a lei mentre passavamo
– Guarda bene, Anne, non ti distrarre con le foglie. La vedi quella pianta? Non ti pare che si muova un po’ troppo? Ci dev’essere dentro qualcuno…
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Io mi sforzavo, ma non riuscivo a vedere proprio niente. Solo tanto verde e un ruscello d’acqua. Mi pia ceva il suono che faceva l’acqua.
Lei allora mi indicò un cucciolo nascosto fra le canne di bambù. Rimasi senza fiato e cominciai a battere le mani diventando tutta rossa. Non avevo mai immaginato che potesse esistere davvero una creatura così: bianca e nera, enorme, pelosa, che stava seduta masti cando delle foglie e mi guardava tranquilla ipnotizzandomi con occhi buoni. Accanto, divisi da un altro grande vetro, c’erano altri abitanti. Facevano un rumore assordante.–Mamma, guarda come saltano… cosa sono?
Nei pressi di una specie di foresta, ci fermammo davanti a un grande vetro.
– Sono scimpanzé, non trovi che ci somigliano? Giocano, si fanno i dispetti, come facciamo noi quando siamo piccoli, ma le scimmie continuano a farseli pure da grandi!
attraverso il cancello centrale. Imboccato il vialetto d’ingresso, ci dirigemmo a destra dove c’erano i panda giganti. Mia madre, che in quello zoo ci andava da pic cola con i suoi genitori, si ricordava persino dove erano collocati i vari animali; era così emozionata da sembrare lei la bambina.
D’improvviso, alle mie spalle, sentii un fiato caldo e il mio corpo fu inghiottito da un’ombra gigantesca. Alzai la testa. Sopra di me c’era qualcuno che mi guar dava. Aveva grandissimi occhi scuri color castagna, una serie di macchie arancione e marrone, un collo che sembrava non finire mai e due corna pelose vicino alle orecchie. Nemmeno nelle illustrazioni delle fiabe avevo mai incontrato una creatura così bizzarra. Tirò fuori una lunghissima lingua viola.
– Mamma, mamma! – gridai. – Un mostro mi vuole assaggiare!Leisiprecipitò verso di me, mi abbracciò e accarezzò la testa. Sorrideva e guardava in su. L’animale, spa ventato da quel mio strillo acuto, si era voltato e aveva preso a correre nella direzione opposta. Con coraggio, mi staccai da mia madre e rimasi a bocca aperta a osservare quel movimento prima brusco e poi quasi
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Senza degnarci di uno sguardo, gli scimpanzé continuavano a saltare da un tronco all’altro lanciando strilli acuti. Seguendo i loro balzi, l’occhio mi finì su un immenso recinto pieno di terra rossa bagnata che si tro vava proprio dirimpetto al regno delle scimmie. Bastava attraversare il piccolo viale per raggiungerlo. Sembrava vuoto, anche se un lato era occupato da una casetta altissima, con il tetto di paglia.
Mi avvicinai. Ero già arrivata accanto alla staccionata di legno, quando mi girai verso mia madre che si era fermata a comprare delle noccioline.
sai che animale è? È una giraffa, cara Anne, non devi averne paura. Sono molto tranquille, non mangiano mica le bambine! Preferiscono masticare foglie, fiori, arbusti e rametti. Pensa che in Africa, dove abi tano, da quanto sono alte mangiano direttamente dalle chiome degli alberi e divorano le foglie delle acacie, di cui sono ghiottissime. Riescono pure a evitarne le spine… sai come? Arrotolano la lingua intorno alla foglia e la staccano dal ramo senza pungersi. Lo so per ché c’è scritto qui su questo cartello, quando imparerai a leggere potrai sapere tutto prima di me.
Ero così rapita che non vedevo più niente e in quel momento, per me, lo zoo di Brookfield diventò il posto più bello del mondo. Meglio dei castelli dove vivevano le principesse. Meglio dei boschi abitati dalle fate dei fiori.
Mia madre continuava a parlare, ma io non la ascoltavo più. Ero rimasta ipnotizzata dai movimenti aggra ziati e leggeri che avevo appena visto: le zampe della giraffa si incrociavano in un balletto e il collo ondeggiava libero nel cielo, quasi a bucare le nuvole. Sembrava tutto girato al rallentatore, come succede nei cartoni animati quando un gatto cade dalla terrazza e vola giù in strada.
Vedendolo tutto intero, mi sembrò un animale magni fico. Se la giocava con i leopardi, i miei preferiti nei libri.–Lo
ovattato. Ero incantata. Con quelle zampe lunghissime e così esili, come faceva quel “coso” a non inciampare?
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Rimanemmo lì, accanto al recinto con la terra rossa per molto tempo. Io cercavo di attirare le altre giraffe con le noccioline e le chiamavo a voce alta, inventandomi nomi come Zuzù, Cricrì, Bumpa, ma nessuna venne da noi. Non eravamo più degne della loro attenzione e, alla fine, mi stancai di aspettarle.
– Anne, vieni… ci sono le foche nella piscina alla fine del vialetto, mangiano i pesci che i guardiani lanciano in acqua… sono molto simpatiche, vuoi vederle?
In Canada, nessuno mi aveva mai detto che esistevano quei giganti arancione con le macchie scure.
Quella notte sognai di cavalcare una giraffa femmina che aveva occhi bellissimi con tante lunghe ciglia all’insù. Mi tenevo stretta stretta al suo collo, respiravo insieme al ritmo del suo cuore e mi sentivo al sicuro, una regina sospesa tra terra e cielo.
Mia madre cercava di distrarmi, mentre io sentivo le lacrime premere per uscire; l’appuntamento a sorpresa con la mia giraffa era stato meraviglioso, ma era durato pochissimo. E poi, ero convinta che non mi volesse più vedere perché l’avevo spaventata. Tirai su col naso, mi asciugai una lacrima scivolata sulla guancia e andai dalle foche. Per tutto il tragitto, camminai con la testa rivolta all’indietro per non perdermi nulla, fino all’ul timo istante, del mio animale preferito.