Capitolo primo
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ilen sedeva dietro lo zio Denngu, in sella alla sua fiammante motocicletta. Sfreccia-
vano lungo una strada tra due file di alti edifici, talmente rapidi che le insegne al neon erano solo uno scintillio indistinto. Le luci della grande città si stendevano davanti a loro, colorate e invitanti. Andavano sempre più veloci, così veloci che all’improvviso la moto si staccò da terra e cominciò a volare… Sbang! La testa di Wilen andò a sbattere contro il pavimento della capanna e il ragazzo si svegliò. Qualcosa aveva buttato giù dal letto lui e il suo fratellino Relip. Ora giacevano a terra, uno addosso all’altro. – Che cos’è successo? – mormorò Relip, mezzo addormentato. – Perché il pavimento è storto? Aveva ragione: i raggi di luna che filtravano attraverso le pareti di foglie di palma intrecciate, illuminavano la stanza inclinata. I due ragazzi tacquero e rimasero in ascolto.
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Qualcosa di molto, molto grosso stava spingendo l’angolo della capanna. Emetteva un brontolio sordo che, piÚ che udirlo con le orecchie, si avvertiva nel petto, e i suoi respiri profondi penetravano attraverso le fessure nelle pareti. Continuando a spingere la capanna, strascicava rumorosamente le zampe: sembrava che qualcuno stesse spostando degli enormi sacchi di riso su un pavimento polveroso.
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La struttura di bambù gemeva e scricchiolava, mentre i ragazzi rotolavano per la stanza come fagioli in una scatola. Si erano appena fermati contro la parete opposta quando Relip si mise a gridare. – Basta! – strillò. – Vattene! Vai via! Pensando che quelle urla avrebbero fatto infuriare la creatura, Wilen mise un dito sulle labbra del fratello per zittirlo, ma il bambino allontanò la sua mano ed esclamò: – No! Il nonno dice che capiscono la nostra lingua. – Poi gridò di nuovo: – Vattene! Vai via! Per un attimo, la capanna rimase sospesa, come se l’animale stesse pensando di rovesciarla completamente, ma poi, con la rapidità e la facilità con cui era stata sollevata, fu ributtata a terra con un tonfo. Fuori i rumori continuarono ancora per un po’, poi si udì un ultimo, lungo sospiro e calò di nuovo il silenzio. I ragazzi trattennero il fiato. Nell’oscurità della foresta gli insetti ronzavano e le rane gracidavano; tutto era tornato alla normalità.
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– Te lo dicevo che possono capirci! – bisbigliò Relip nell’orecchio del fratello. In quel momento il padre dei ragazzi entrò nella stanza con una lanterna. – Tutto bene qui? – Gli si erano rizzati i capelli sulla testa, ma la sua voce era calma e ferma. In fondo era il capo: aveva sposato la nokma, la donna più importante del villaggio, e quando qualcosa andava storto, era lui ad assumere il comando. – Sì, papà – disse Relip. – Bene, tornate pure a dormire. Ormai sono passati, non c’è niente di cui preoccuparsi. Io vado a vedere come stanno il nonno e gli altri, domattina valuteremo i danni. La mamma lo raggiunse sulla porta. – Non abbiate paura – disse con la sua rassicurante voce da nokma. – Stanno solo attraversando la zona, come hanno già fatto altre volte. – Accarezzò il piccolo fagotto che portava legato sulle spalle e aggiunse: – La vostra sorellina non si è nemmeno svegliata! Wilen e Relip si scambiarono un sorriso: il son-
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no a prova di cannonate della piccola era già una leggenda in famiglia. Non c’era da stupirsi che neppure un branco di elefanti potesse svegliarla!
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