DAGLI APPENNINI ALLA PIANURA
Maria lo ricordava bene quel mattino di dicembre. Mancava poco a Natale, quando, tutta imbacuccata per il freddo, aveva salutato i suoi genitori. La mamma piangeva e il babbo faceva finta di pulire gli arnesi da lavoro, perché non sapeva come fare a separarsi dalla sua bambina in partenza per la Pianura. Da giorni imperversava una bufera di neve che lassù in Appennino non si vedeva da decenni. “Stai ben coperta!” erano state le ultime parole della mamma.
Capitolo 1
La cassettina che conteneva le sue poche cose era stata caricata e, dopo gli ultimi abbracci commossi, la carrozza si era messa in viaggio. A sei anni, lei che non si era mai mossa da Roncastaldo, si preparava a raggiungere un parente, don Giacomo Dalle Donne, che viveva a Medicina, vicino a Bologna.
Maria era una bambina giudiziosa, affidabile, già capace di sbrigare molte faccende domestiche: fare il fuoco e il bucato con la cenere, pulire le verdure, cuocere le uova, imbottigliare il vino. Il fisico non troppo robusto e una malformazione alle spalle non le consentivano di lavorare nei campi. Non sarebbe diventata una contadina come i suoi genitori e tutti i suoi parenti, dunque, ma ciò che l’avvenire aveva in serbo per lei proprio non era facile da immaginare.
Nella carrozza che scendeva a valle c’era anche Lucia, una ragazza più grande che, per intrattenere la piccola compagna di viaggio dal viso triste e un po’ spaventato, aveva preso a raccontare.
– Vado a servizio da un conte che vive ritirato in una villa di campagna. Poverino, ha già perduto due mogli: la prima è morta di parto, la seconda per una malattia. È un uomo buono, me lo hanno detto tutti. È uno studioso, un po’ scienziato e un po’ teatrante…
Maria la ascoltava e guardava lontano. Senza il sole a far brillare il bianco della neve, il paesaggio appariva incolore; il cielo era grigio, uniforme, senza sfumature. Anche lei sembrava avvolta in una coltre bianca, senza
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impronte, senza ricordi. Non aveva niente in testa. Era accaduto tutto talmente in fretta che non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare, di immaginare, di fantasticare. Era rimasta lì così, come se ogni ingranaggio della mente le si fosse ghiacciato per il freddo. O forse a bloccare i suoi pensieri era la paura, il timore dell’ignoto.
Lucia intanto continuava a parlare, ma più che a Maria pareva rivolgersi a se stessa, come per rassicurarsi.
– Avrò ben poco da fare dal conte. Niente bambini, niente ricevimenti con molti invitati. E c’è comunque altra servitù, forse mi rimarrà del tempo per leggere. Ho portato con me un borsone pieno di libri, sono la mia sola ricchezza. Uno zio, che di mestiere fa il rigattiere, li ha trovati in una villa chiusa da tempo e li ha regalati a me perché so leggere. È così bello leggere, è la cosa che mi piace di più…
Maria se ne stava in silenzio. Non era abituata alla carrozza e il suo stomaco era in subbuglio, per il timore di vomitare quasi tratteneva il respiro. Terminato il racconto sul conte e sulle sue aspettative, Lucia la invitò amorevolmente a mettersi comoda, a togliersi anche le scarpe. Poi la coprì con un panno di lana.
– Ne avremo per un bel po’. Poggia la testa qui, sulle mie gambe, che ti racconto una bella storia. Ti piacciono le storie d’amore, Maria? Senti questa, è la mia preferita! Vivevano a Messina tre giovani fratelli mer-
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canti divenuti molto ricchi dopo la morte del padre, originario di San Gimignano. Avevano una sorella di nome Lisabetta, una ragazza molto bella e virtuosa, che per una qualche ragione non avevano ancora maritato…
A Maria piaceva molto ascoltare le storie, quelle d’amore specialmente. I racconti di paura invece la incuriosivano, ma poi non riusciva a sentirli, specie se c’erano i fantasmi o certi uomini che si risvegliavano nella bara. I suoi amici maschi, invece, ne andavano matti e poi correvano a giocare dentro al cimitero. Lei fin là non riusciva proprio a seguirli, era terrorizzata. Questa di Lisabetta per fortuna era una storia d’amore, ma Maria non riuscì comunque a sentirla fino alla fine, perché si addormentò e continuò a dormire finché arrivarono giù in Pianura.
L’accoglienza a Medicina era stata affettuosa e attenta. Don Giacomo, il cugino del padre, l’aspettava e aveva preparato un cantuccio tutto per lei nella casupola accanto alla chiesa. Un angolo riscaldato dal fuoco del camino, un lettino con un materasso vero e un cuscino di piume. Aveva anche fissato uno scaffale al muro dove Maria ripose il libro delle preghiere, quello delle parabole e certi piccoli quaderni fatti di pagine cucite che aveva portato con sé. La bambina osservò tutto con curiosità e la sera, al caldo, sotto le lenzuola profumate di pulito, si addormentò sentendosi al sicuro. In quel momento la traiettoria della sua vita cambiava
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direzione: chissà qual era la meta, chissà dove sarebbe arrivata. Impossibile dirlo o saperlo, ma intanto Maria andava incontro alle preghiere, al latino e alle altre innumerevoli novità che la attendevano.
Iniziò canticchiando canzoni di cui non conosceva il significato. La sua preferita, Tantum ergo, era un inno di cui tutti in chiesa storpiavano le parole con grande trasporto. Ma una volta cominciato a imparare il latino tutto diventò più chiaro. Don Giacomo era paziente e la guidava nell’analisi logica. Lei era bravissima, non sbagliava un complemento. Quella precisione le piaceva ed era contenta di rispondere come si deve.
– Complemento d’agente o di causa efficiente? – la interrogava don Giacomo. – D’agente – rispondeva Maria educatamente. – Ve l’avevo già detto ieri e l’altro ieri – aggiungeva poi con aria canzonatoria, perché, con tutte le cose che aveva da fare, non sempre il prete si ricordava le lezioni dei giorni passati.
Maria, del resto, imparava con facilità: apprese le nozioni nuove, le sistemava con ordine e chiarezza nella memoria e lì restavano per sempre. Era stato così per le declinazioni e le coniugazioni. E dopo tanti esercizi di grammatica e sintassi, oltre che cantare in chiesa senza straziare le parole, arrivò a leggere i testi antichi, e poi persino a scrivere e parlare in latino con scioltezza.
Lo studio non era la sua unica passione. Amava molto stare in mezzo alla natura: si dedicava alla cura
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dell’orto e si arrampicava sugli alberi a cogliere ciliegie, albicocche, pesche e rusticani, che in Pianura d’estate maturavano sotto un bel sole cocente.
Don Giacomo aveva capito subito che Maria era una bambina molto dotata, e la sua intuizione aveva trovato conferma nel lavoro fatto insieme. Così un giorno senza preamboli le annunciò: – Pettinati quei capelli e vestiti a modo, che nel pomeriggio andiamo dal dottor Rodati.
– Ma io non mi sento male – ribatté Maria.
– Non ti deve mica visitare! Ci andiamo per i tuoi studi, per farci dare qualche buon consiglio.
Partirono a metà pomeriggio e tornarono che era notte fonda. Maria rimase tutto il tempo in compagnia del dottore, mentre don Giacomo, che aveva l’obbligo di officiare i Vespri, tornò in chiesa all’imbrunire e li raggiunse di nuovo per cena.
Maria non si fece intimidire dalla casa dello studioso, piena di libri, di disegni, di oggetti a lei sconosciuti. Guardava, memorizzava, prendeva nota e rispondeva alle domande del dottor Rodati. Faceva anche finta di aver bisogno di tempo per pensarci, per non sembrare troppo veloce, troppo brava. Non voleva fare bella figura, le piaceva rispondere a modo e mostrare la sua intelligenza con naturalezza.
– Che cosa vuoi fare da grande – le domandò dopo cena l’uomo di scienza, aspettandosi una risposta che facesse presagire in quale direzione le inclinazioni intellettuali della fanciulla stessero viaggiando.
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Voglio sposare un conte, avere una bella villa, la servitù, dei bambini e tanti libri – rispose ingenuamente Maria.
Rodati, che oltre che di medicina si interessava di letteratura, di fisica e di botanica, fece una risata a commento, ma intimamente rimase davvero colpito dalle doti di Maria, tanto che qualche anno dopo ne scrisse così a un amico scienziato: “Ho con me una fanciulla bolognese di undici anni, che parla e scrive il latino, e si dedica agli studi umanistici. Si possono riporre su di lei tutte le speranze di recuperare Laura Bassi”.
Maria non sapeva ancora chi fosse Laura Bassi, ma conosceva il mondo degli studiosi bolognesi, don Giacomo gliene parlava sempre. Da tempo l’Alma Mater Studiorum, l’università di Bologna, cercava di presentarsi come un’istituzione moderna, che guardava al futuro aprendo nuove strade alle donne. Era passato oltre un secolo dalla laurea a Padova di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima a ottenere il diploma fino ad allora riservato ai maschi: le ragazze che studiavano erano ancora poche, pochissime, ma erano molti gli studiosi che pensavano andassero incoraggiate.
Anche il dottor Luigi Rodati aveva da subito immaginato una brillante carriera per Maria e, quando diventò professore di anatomia a Bologna e prefetto dell’Orto Botanico, portò con sé la ragazza perché avesse i migliori insegnanti.
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C’è sempre bisogno di maestri, di persone attente e generose che sappiano riconoscere i talenti e guidarli. La piccola Maria Dalle Donne era stata così fortunata da incontrarne due. E il suo viaggio nel mondo della scienza era appena cominciato.
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