BENEDETTA CIMATTI
TALENTO IN SCENA
LUDOVICA BARBARITO
INTERPRETARE UNA MUSA
DIGITAL ARENA
EFFETTI SPECIALI
EDITORIALE
Chiudiamo il 2024 con una doppia copertina, per un bis di talento e bellezza, con due giovani attrici alla ribalta della scena nazionale: la ravennate Ludovica Barbarito e la faentina Benedetta Cimatti. Entriamo nel virtual set più grande d’Italia, quello della start-up Digital Arena di Thomas Cicognani, e incontriamo Gianluca Costantini, illustratore e fumettista che si dedica alla narrazione di tematiche sociali. Scopriamo le preziose opere d’artista ricamate a mano di Elisabetta Gulli Grigioni, ed entriamo nelle sale di Palazzo Guiccioli, recentemente restaurato. Ripercorriamo le origini di via Mentana e di via Matteotti di Ravenna, e la storia e gli obiettivi del crossodromo Tre Ponti gestito dal Moto Club Ravenna. Infine, incontriamo il pittore Giovanni Fabbri che ci racconta dei suoi quadri intrisi di materia e memoria. Buona lettura!
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Anno XXIII N. 5 dicembre/gennaio Reg. di Tribunale di Forlì il 16/01/2002 n.1
Direttore Responsabile: Andrea Masotti Redazione centrale: Clarissa Costa, Paola Francia Coordinamento di redazione: Roberta Bezzi
Artwork e impaginazione: Sabrina Cella, Francesca Fantini
Ufficio commerciale: Gianluca Braga
Stampa: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) Chiuso per la stampa il 10/12/2024
Collaboratori: Alessandra Albarello, Chiara Bissi, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Massimo Montanari, Serena Onofri. Fotografi: Lidia Bagnara, Alan Gelati, Massimo Fiorentini.
Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte. In ottemperanza a quanto stabilito dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR) sulla privacy, se non vuoi più ricevere questa rivista in formato elettronico e/o cartaceo puoi chiedere la cancellazione del tuo nominativo dal nostro database scrivendo a privacy@inmagazine.it
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04 PILLOLE
NOTIZIE DALLA PROVINCIA
06 PROFILI LUDOVICA
BARBARITO
12 PROFILI
BENEDETTA CIMATTI
18 IMPRESA
EFFETTI SPECIALI
22 FUMETTI
GIANLUCA COSTANTINI 29
MATERIA
PILLOLE
ZECCHINO D’ORO: VINCE ANNA SOLE
VOLTANA | Con la sua voce emozionante ha cantato Diventare un albero e incantato il pubblico. Lei è Anna Sole Dalmonte, 9 anni di Voltana, la neo vincitrice dell’edizione 2024 dello Zecchino d’Oro, condotta da Carlo Conti, direttore artistico della manifestazione. L’unica a difendere i colori della nostra regione, ha strappato la vittoria conquistando tutti. Il brano, che racconta l’importanza del vivere le diverse fasi della crescita, è stato scelto da una giuria di bambini e da quello dei ‘grandi’, rappresentata in finale da Caterina Balivo, Elisabetta Ferracini, Bianca Guaccero, e dai conduttori delle due semifinali, Carolina Benvenga e Lorenzo Baglioni. Anna Sole ha dedicato la vittoria alla nonna, scomparsa di recente, con cui era sempre solita seguire in tv la competizione.
GIOIELLI PER RINASCERE
FAENZA | Per dare un segnale di ripartenza alla sua Faenza colpita dalle alluvioni, il designer Nicola Bacchilega, talento emergente della moda e della gioielleria, è tornato a casa e ha aperto il suo primo negozio dedicato al brand da lui fondato, Defaïence. La sua prima collezione post-alluvione si chiama ‘Anqa’: termine che indica l’araba fenice capace di rinascere dalle ceneri. Sono tante le celebrities dello spettacolo e della musica che già indossano le sue creazioni: Bella Hadid, Kylie Jenner, Sidney Sweeney, Alicia Keys, Alessandra Amoroso e Arisa. Maison Defaïence si trova nella centrale piazza del Popolo sotto il Voltone della Molinella, ed è uno spazio multifunzionale che intreccia arte, moda e tradizione.
LA DONNA PIÙ
LONGEVA D’ITALIA
FAENZA | Con i suoi 114 anni Claudia Baccarini di Faenza è la donna più longeva d’Italia, la terza in Europa e fra le prime dieci persone più anziane del mondo. Nata nel 1910, ha festeggiato il suo 114esimo compleanno lo scorso 13 ottobre, con i suoi numerosi nipoti e pronipoti. La sua è stata infatti una vita dedicata alla famiglia, considerando che ha avuto 10 figli dal marito Pietro Baldi, imprenditore agricolo e sindaco di Faenza negli anni Cinquanta. “I miei 114 anni? Non li conto più… A dire il vero mi impressiona più che mia figlia ne stia per compiere 90.” Amante della musica si è dedicata a lungo al volontariato. Si definisce una buona forchetta, ma senza stravizi: al vino e al caffè preferisce il tè.
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LUDOVICA
DA LIDO ADRIANO ALLA SERIE SUGLI
883
BARBARITO
Con il suo sorriso disarmante, i capelli biondi fluenti e i vivaci occhi nocciola, ha letteralmente ‘bucato’ lo schermo interpretando il ruolo di Silvia, la musa di Max Pezzali, nella nota serie tv Sky Hanno ucciso l’uomo ragno. La leggendaria storia degli 883, già diventata cult. Lei è la ventiduenne Ludovica Barbarito, nata e cresciuta a Ravenna, una vera esordiente a cui ora probabilmente si apriranno nuove interessanti opportunità. Il suo è stato un percorso fulminante. Si è diplomata in recitazione all’Accademia TAM di Ivano Marescotti nel 2022 e, nello stesso anno, ha mosso i primi passi da attrice in teatro, ne L’opera da tre soldi diretta da Cristiano Caldironi. Due anni dopo, la giovane stella del palcoscenico è stata scelta dal regista Sydney Sybilia tra i protagonisti della serie tv sugli 883 per raccontare di un’intera generazione cresciuta nella provincia italiana tra gli anni Ottanta e Novanta. Ludovica, come ha scoperto la vocazione per la recitazione?
“Già quando ero piccola, anche se era un so-
gno che credevo irrealizzabile. Poi, col tempo, ha cominciato a concretizzarsi, quando ho capito che non potevo proprio farne a meno. Il primo passo è stata l’iscrizione all’accademia ravennate dove ho avuto la fortuna di conoscere tante persone che mi hanno insegnato cose interessanti, in particolare Caldironi che considero il mio vero maestro.”
Cosa le ha trasmesso, in particolare, l’attore e docente Caldironi, fondatore nel 2023 di ATC - Accademia Teatro Cinema, di cui ha seguito numerose masterclass?
“Mi ha sempre detto le cose chiaramente per stimolarmi e aiutarmi a fare meglio. Non è solito ‘regalare’ complimenti gratuiti, ma è in grado sempre di dare consigli mirati, molto personali che si basano sull’attenta osservazione del singolo allievo, nel rispetto della personalità di ognuno con i propri pregi e difetti. Ogni sua parola aveva un peso, non era detta a caso.”
Tv, cinema e teatro: cosa l’affascina maggiormente?
“Quando ero bambina e adolescente, indubbiamente il cinema perché guardavo tanti film. Però a 16 anni, quando ho preso le prime lezioni con l’attrice, regista e autrice Maria Grazia Pompei a Roma, ho studiato solo teatro e mi sono innamorata follemente del palco. Devo dire che quell’esperienza, fra l’altro, mi ha aiutato ad affrontare un momento delicato della vita, ha avuto una funzione terapeutica. Da anni vado dallo psicologo e devo dire che il teatro mi è servito più di qualsiasi altra cosa.”
E ora che ha fatto la sua prima esperienza di set per una serie tv?
“Ne sono rimasta altrettanto entusiasta, per cui guardando al futuro non mi pongo limiti, l’importante è poter continuare a recitare.”
Com’è arrivata a esser presa nella serie di Sybilia?
“In modo del tutto casuale: seguendo il con-
DOPO IL DIPLOMA IN RECITAZIONE
ALL’ACCADEMIA TAM
E I PRIMI PASSI A TEATRO, LUDOVICA
BARBARICO HA
‘BUCATO’ LO SCHERMO
INTERPRETANDO IL
RUOLO DI SILVIA, LA
MUSA DI MAX PEZZALI, NELLA NOTA SERIE TV
SKY HANNO UCCISO
L’UOMO RAGNO. LA
LEGGENDARIA STORIA
DEGLI 883
siglio del mio ex insegnante di teatro, ho mandato un mio video di presentazione senza troppe aspettative. La cosa sembrava finita lì, invece dopo due mesi sono stata contattata al telefono dal casting director che mi fece notare che non avevo mai risposto alla loro mail. A quel punto ho sostenuto quattro provini in maggio e ai primi di giugno sono stata scelta. Le riprese sono iniziate subite proseguendo fino a dicembre 2023.”
Quali sono stati i momenti più emozionanti?
“Senza dubbio il giorno in cui ho saputo che ero stata scelta e il primo giorno di set. Ma ricordo molto bene anche l’ultimo giorno di riprese, sul set si avvertiva una certa malinconia, e con Elia (Ndr., Nuzzolo, il giovane attore che veste il ruolo di Pezzali) ci siamo emozionati. Con gli altri compagni di ‘viaggio’ si è creato un bel clima e ci sentiamo ancora, quasi tutti i giorni.”
“GLI 883 MI SONO FAMILIARI DA SEMPRE PERCHÉ IN CASA, PUR ASCOLTANDO ANCHE ALTRI CANTAUTORI, AVEVANO UN POSTO SPECIALE. COME MAI È LA CANZONE CHE MIO PADRE HA DEDICATO A MIA MADRE, NEL GIORNO DEL LORO MATRIMONIO, E CHE HA CULLATO ME E MIA SORELLA.”
Si aspettava questo grande successo di pubblico e di critica?
“Vivendo la serie tv da dentro sentivo che era di qualità, ben fatta a livello di regia e produzione. Non poteva non funzionare, ma non sapevo che sarebbe piaciuta a così tante persone probabilmente risvegliando emozioni sopite… Personalmente però, essendo alla prima esperienza, mi trovavo mille difetti.”
Lei ha più volte dichiarato sin dalle prime interviste che gli 883 erano il suo ‘destino’. Può spiegarsi meglio?
“Mi sono familiari da sempre perché in casa, pur ascoltando anche altri cantautori, gli 883 avevano un posto speciale. Come mai è la canzone che mio padre ha dedicato a mia madre, nel giorno del loro matrimonio, e che ha cullato me e mia sorella.”
Poi c’è un’altra curiosità che riguarda proprio il personaggio di Silvia…
“Va premesso che si tratta dell’unico ruolo inventato della serie. Silvia non è una ragazza reale ma una sorta di personaggio mitologico che racchiude in sé una serie di figure femminili che Max Pezzali ha incontrato nella sua gioventù e che ben ha raccontato nel suo libro I cowboy non mollano mai. Alcuni hanno ipotizzato che fosse la famosa Regina del Celebrità… e mia madre, che da giovane frequentava il Celebrità, una famosa discoteca di Pavia di quegli anni, è fermamente convinta di essere lei la Regina di cui parla Pezzali nell’omonima canzone. L’unica cosa certa è che, nella serie, sono io che lo ispiro.”
Ha avuto modo di incontrare Pezzali?
“Sì, diverse volte, fra cui all’anteprima della serie a Milano. Ricordo che, quando ci hanno fatto una foto insieme, ero rossa come un peperone. Mi è sembrata una persona umile, quasi timida, non ho avuto il coraggio di parlagli di mia madre o di altro…”
Cosa è cambiato dopo il successo della serie?
“Nella vita di tutti i giorni ora capita che le persone ogni tanto mi fermino chiamandomi Silvia. Mi chiedono un selfie o un autografo. Altri mi contattano sui social. Sono sempre molto imbarazzata, mi devo ancora abituare.
Dal punto di vista lavorativo, se prima ero solo io a propormi, ora sono invitata da molte produzioni a fare i provini. Al momento sto valutando alcuni progetti, vedremo.”
Com’è il suo rapporto con i social?
“Vado a giornate in base alla voglia e alla disponibilità di tempo. Non seguo un ragionamento particolare o un piano editoriale. Non credo vadano presi troppo sul serio.”
Dove vive attualmente?
“Faccio continuamente la spola tra Ravenna, per la precisione Lido Adriano perché altrimenti mia nonna Marisa si arrabbia, e Roma dove presto cercherò casa. Sono andata ad abitare da sola a 17 anni, al ritorno dalla prima trasferta nella Capitale, quando mi sono resa conto che rientrare in famiglia non sarebbe stato facile. Una scelta giusta che ha fatto anche migliorare il rapporto con i miei genitori. Ma le mie radici sono e saranno sempre qui in Romagna, la mia terra.”
Cosa le piace fare nel tempo libero?
“Anche in questo caso, vado a periodi. Ora sono diventata sportiva, vado in palestra e pratico kickboxing. Lo faccio per la mia salute fisica e mentale. Ma in passato sono stata anche nove mesi senza allenarmi. Mi piace leggere e disegnare e adoro il karaoke. Da bambina ho molto viaggiato per il mondo con la mia famiglia, ora preferisco andare a camminare in montagna e stare con gli amici.”
Guardando al futuro, cosa si augura?
“Di poter fare ciò che amo per più tempo possibile. Non ho fretta.”
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BENEDETTA
UN 2025 DA SOGNO PER L’ATTRICE FAENTINA
BENEDETTA CIMATTI
CIMATTI
Non ha mai dimenticato le proprie radici, anche se da 15 anni vive a Roma, dove ha intrapreso la fortunata carriera di attrice, calcando prima i palcoscenici, poi interpretando ruoli sempre più importanti per il cinema e per il piccolo schermo. Volto noto per il pubblico italiano, solare e talentuosa Benedetta Cimatti, 35 anni, faentina di nascita, terminati gli studi si trasferisce nella capitale per studiare recitazione all’accademia Fondamenta. Diplomatasi con il massimo dei voti, continua a studiare, frequentando stage e seminari di formazione tenuti da Michele Placido, Giancarlo Sepe, Pier Paolo Sepe, Luciano Melchionna, Paolo Antonio Simioni. Il debutto in televisione avviene nel 2013 con la serie Rai Fuoriclasse 2 e al cinema nella commedia di Luca Miniero Un boss in salotto. Di lì a poco entra nel cast de L’ispettore Coliandro e verrà scelta come protagonista de La Strada di Casa. Seguono altre interpretazioni nelle serie La porta Rossa 2 ed è tra i protagonisti della serie Bella da morire, del medical drama
Doc - Nelle tue mani e in Cuori. Ma è il 2025 l’anno da ricordare per Benedetta, quando usciranno 2 serie tv, un tv movie e un film, progetti a cui tiene moltissimo, a partire da M. Il Figlio del Secolo, tratto dal libro di Antonio Scurati, serie Sky, nella quale interpreta Rachele Mussolini. Su Rai 1 usciranno la serie tv Prima di noi e il tv movie Giovannino Guareschi - Non muoio neanche se mi ammazzano, biopic nel quale veste i panni di Ennia, moglie del celebre scrittore emiliano. Al cinema, infine, è atteso il film Il primo figlio, per la regia di Mara Fondacaro.
Che rapporto conserva con Faenza e le sue origini?
“Sono orgogliosamente romagnola, vivo a Roma da tempo, ma se qualcuno mi dice che sono emiliana, specifico sempre. Ho un attaccamento forte alla mia terra che non dimentico mai, la Romagna mi scorre nelle vene, vorrei essere più presente ma il lavoro non me lo permette. Lì ho la famiglia e gli amici di una vita.”
Quando è arrivata la passione per la recitazione?
“C’è sempre stata grazie a mio padre. Lui è quello che mi ha fatto scattare la passione per il cinema. Era un grande medico, un chirurgo ma, appena poteva, per staccare guardava film e io da bambina ero sempre accanto a lui. A scuola dirigevo i miei compagni di classe, inventavo storie e mi immedesimavo nei personaggi.”
Ha frequentato subito scuole di recitazione?
“Sentivo la necessità di esprimermi ma ero molto timida, diventavo rossa e a volte mi succede ancora. Finiti gli studi, ho cominciato il Dams a Bologna come percorso di studi universitari che più si avvicinavano alla mia passione. Poi ho capito che quella scelta mi stava soffocando e di colpo ho preso la deci-
IN SERBO UN 2025
DA SOGNO PER L’ATTRICE FAENTINA
BENEDETTA CIMATTI
CON L’USCITA DEL FILM
IL PRIMO FIGLIO, DEL
TV MOVIE GIOVANNINO
GUARESCHI - NON
MUOIO NEANCHE SE MI
AMMAZZANO, E DELLE
SERIE M. IL FIGLIO DEL SECOLO PER SKY E
PRIMA DI NOI SU RAI 1.
sione di andare a Roma per fare il provino per l’Accademia dove sono stata selezionata. Insomma, ho seguito il mio cuore.”
Come è stato l’approccio con il teatro?
“L’idea era quella di lavorare sul palco e la scuola è stata fondamentale, lo studio mi ha permesso di superare le difficoltà. Ma in quel periodo di formazione ho sempre pensato che quella della recitazione fosse la mia strada. Volevo essere una teatrante, poi mi si presentò tramite un agente la possibilità di lavorare nel cinema e in tv. Una scelta che in Accademia ti fanno pesare, ma pensai solo a valutare progetti interessanti. Così mi affidai a un’agenzia che mi segue tuttora. E arrivò il primo ruolo in Fuoriclasse.”
La notorietà l’ha cambiata? Ora come sceglie i personaggi che le vengono offerti?
“È un processo continuo, non ci si deve sentire mai arrivati. La televisione mi ha fatto conoscere agli addetti ai lavori, mi ha dato la possibilità di avere un pubblico che mi segue, mi ha aperto il mondo dei casting e dei registi. Quando si è aperta questa opportunità sarebbe stato stupido non coglierla. Per me l’apice sarebbe continuare a lavorare a progetti per il cinema e la tv e proseguire il cammino nel teatro. Per quanto riguarda la scelta dei personaggi è importante avere vicino persone che ti seguono con un obiettivo comune. La recitazione per me è una fonte di vitalità, se facessi una cosa che non mi corrisponde ne soffrirei. lo devo dare il meglio.”
Come ha affrontato una figura pesante come quella di Rachele Mussolini e quanto l’ha aiutata nell’approccio al personaggio essere nata in Romagna?
“Ho affrontato una sfida gigantesca. La serie uscirà a gennaio, la prima proiezione, avvenuta al festival del cinema di Venezia, è stata un’emozione indescrivibile. Per prima cosa è stato complicatissimo cercare di togliere il giudizio su di lei, è inevitabile che come donna, nell’interpretare una figura realmente esistita, abbia un giudizio. Mi sono liberata dai pregiudizi per cercare di restituirle un’umanità. Ho lavorato sul dialetto h 24, ascoltando
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registrazioni, leggendo, studiando il parlato dell’epoca con un vocal coach, ma confrontandomi anche con mia madre. Con il regista ho condiviso la scelta di dare al personaggio una forte impronta romagnola, sono partita dalla camminata e da qui è arrivata la parola e poi tutto il resto.”
Come avviene il lavoro preparatorio prima delle riprese?
“L’APICE SAREBBE CONTINUARE A LAVORARE A PROGETTI PER IL CINEMA E LA TV E PROSEGUIRE IL CAMMINO NEL TEATRO. LA RECITAZIONE PER ME È UNA FONTE DI VITALITÀ, SE FACESSI
UNA COSA CHE NON MI CORRISPONDE NE SOFFRIREI. DEVO DARE IL MEGLIO.”
IN QUESTE PAGINE, L’ATTRICE FAENTINA
BENEDETTA CIMATTI. NELLA PAGINA
PRECEDENTE, L’ATTRICE NEL RUOLO
DI ENNIA, SUL SET DELLA SERIE RAI SU GIOVANNINO GUARESCHI.
“Nella costruzione di un personaggio realmente esistito, una donna vissuta in un contesto storico drammatico, bisogna studiare molto. Sono partita dal libro di Scurati, poi ho ascoltato interviste e letto di tutto. Con il regista, Joe Wright, un genio, abbiamo fatto molte prove di lettura, poi insieme a Luca Marinelli, che interpreta Mussolini, abbiamo lavorato sul rapporto vittima e carnefice. Arrivata in scena, sapevo cosa fare, grazie all’attento lavoro della regia. Ogni gesto, ogni parola è frutto di un lavoro enorme. È stato un onore recitare con un regista che ha lasciato tanto spazio allo studio e alla preparazione.” Cosa può raccontare delle altre produzioni in uscita nel 2025?
“Sarò la protagonista del film Il Primo Figlio, opera prima di Mara Fondacaro. Un film di genere che indaga le dinamiche relazionali e il tema della perdita. E che spero che venga accolto al meglio dal pubblico e dalla critica. Poi ho girato per la Rai il tv movie sulla vita di Giovannino Guareschi, per la regia di Andrea Porporati. Per interpretare il ruolo della moglie dello scrittore sono tornata in Emilia ed è stato divertente, abbiamo ricevuto un’accoglienza fantastica. Siamo stati benissimo. Nel 2025 si vedrà il frutto di un lavoro intensissimo, sono felice e soddisfatta e spero che lo possa essere anche il pubblico.”
Pensa mai alla possibilità di lavorare in produzioni internazionali?
“Sì certo, è bello ampliare i propri orizzonti anche se non dimentichiamo che il cinema italiano ha fatto la storia. Amo Sofia Coppola, è la mia regista preferita, morirei pur di fare un film con lei. E poi lo scandinavo Thomas Vinterberg e il francese Michel Gondry, su tutti. Riprenderò lo studio dell’inglese, perché anche se ho fatto il liceo linguistico, devo migliorare, non si finisce mai di imparare.”
EFFETTI
DIGITAL ARENA: UNO DEI
VIRTUAL SET
PIÙ GRANDI
D’ITALIA
SPECIALI
Il suo sogno è un centro di produzione cinematografica dedicato agli effetti speciali. Al momento Thomas Cicognani ha aperto uno dei virtual set più grandi d’Italia, con la sua Digital Arena, una start-up nata nel 2022, risultata tra i progetti vincitori dell’invito ‘Darsena cerca innovatori’, promosso nell’ambito del progetto europeo ‘Dare’ per la rigenerazione della Darsena di Città. A questo si è aggiunto il premio CoopStartup 2022 di Legacoop Romagna. Digital Arena è una realtà innovativa di recente inaugurata all’interno del centro Mir, in via Faentina a Fornace Zarattini, Ravenna. “Studi come questi,” spiega Cicognani, “a Milano o Roma non ce ne sono. Vorremmo facilitare le produzioni dal punto di vista dei costi e della qualità dei servizi. Abbiamo a disposizione uno spazio bellissimo con tecnologie avanzate e personale competente.”
PER THOMAS
CICOGNANI, FONDATORE DELLA
START-UP GIÀ
PLURIPREMIATA:
“IL VIRTUAL SET
GARANTISCE DI GIRARE IL GIORNO
STABILITO, EVITANDO
GLI IMPREVISTI DELLE
PRODUZIONI IN ESTERNO. PERMETTE DI RIDURRE I COSTI DI TRASFERTA. È DAVVERO
UNA SCOMMESSA SUL FUTURO.”
Di sé, Cicognani racconta di essere un regista e artista visivo che da oltre vent’anni si occupa di produzioni audiovisive, in ambito artistico e commerciale, e di produzioni cinematografiche. Negli ultimi anni si è specializzato in nuove tecnologie
applicate alla comunicazione visiva, divenendo esperto in realtà aumentata e virtuale, video mapping, video 360 gradi, olografia. Ha maturato una lunga esperienza nella formazione per enti e scuole, ha realizzato filmati promozionali e istituzionali, cortometraggi, videoclip, documentari, spot, programmi TV e sit-comedy. Ha lavorato inoltre con aziende che si occupano di ingegneria industriale e medicale, architettura, moda, design, turismo e cultura. Una complessa attività gestita con un team di collaboratori che inevitabilmente lambisce e avvicina il mondo del cinema.
“Siamo un team di professionisti tra registi e direttori della fotografia, operatori di ripresa, 3D artist, colorist, video editor, sviluppatori di applicativi in realtà aumentata, virtuale e mista. I nostri software 3D si basano su Unreal Engine, un motore grafico oggi sempre più usato nel mondo degli effetti cinematogra-
TANTA TECNOLOGIA
INNOVATIVA: LA MOTION CAPTURE, PER CATTURARE MOVIMENTI DEL CORPO E TRASFERIRLI A UN AVATAR 3D; IL FACE SWAP CHE PUÒ
CAMBIARE IL VOLTO DELL’ATTORE; LA FOTOGRAMMETRIA E LA SCANSIONE 3D.
fici. Da qui è nata l’idea due anni fa di creare un virtual set studio, dedicato alle aziende ma anche alle produzioni cinematografiche. Oggi siamo pronti a inaugurare uno spazio di 850 mq, con uno stage e il limbo green screen più grande d’Italia. Possiamo gestire il tutto con il sistema di Camera Tracking che permette di vedere in tempo reale lo sfondo virtuale dietro gli attori.” Dalle parole di Cicognani il futuro sembra a portata di mano, parla con naturalezza di virtual set dove “creare ogni scenario è possibile. Sopra la telecamera c’è un sensore di movimento che fornisce informazioni a un computer, questo sostituisce il verde in tempo reale con uno sfondo tridimensionale dinamico. In questo modo si ha la percezione del prodotto finito. È una tecnica molto impiegata nel mondo del cinema ma soprattutto delle serie tv.” Nel racconto dei ser-
vizi offerti da Digital Arena c’è spazio per tecnologie innovative come la Motion Capture, che permette di catturare movimenti del corpo umano per trasferirli a un avatar 3D e per il Face Swap con intelligenza artificiale, che può ringiovanire o invecchiare un attore o addirittura cambiarne il volto. Nuove tecnologie, produzioni, progetti e tanti lavori fatti per clienti internazionali e nazionali, grandi marchi, istituzioni, il tutto frutto di un lavoro costante, una passione sconfinata e tanta esperienza. Ricorda la fotogrammetria e la scansione 3D che consente la trasformazione di un oggetto reale in uno in 3D. Così per esempio si può preservare la memoria di un monumento o scansionare oggetti piccoli fino a un paesaggio intero con l’uso di un drone. “Una volta scansionato, possiamo presentarlo in realtà aumentata, cioè facendolo comparire
nella realtà che ci circonda e rendendolo visibile su smartphone, tablet e visori in mixed reality. Ma possiamo anche inserirlo nel virtual set, come scenario o filmato. Questo metodo riduce notevolmente i tempi e i costi di modellazione 3D. Una strada veloce ed economica per creare quello che serve al cliente.”
Digital Arena è quindi pronta a formare nuove figure professionali nel campo degli effetti speciali, coinvolgendo tutti i professionisti del mondo del cinema, creando un indotto nel territorio in termini di servizi di accoglienza. I progetti e le attività svolte hanno già fatto crescere collaborazioni tecniche come quella con Canon Italia che, visto lo stage di Digital Arena, ha scelto di organizzare qui il prossimo evento nazionale, invece che privilegiare Milano o Roma. E poi quella con Filmaremonti attraverso la convenzione la Cittadella del Cinema che permette agevolazioni per l’ospitalità delle produzioni e quella con ATC Accademia Teatro Cinema di Cristiano Caldironi per la puntata pilota Oplà e si vola girato a Ravenna, con la regia Antonio di Domenico e lo stesso Caldironi che annovera nel cast gli attori Vito e Giacobazzi. Digital Arena si apre al mercato nazionale ma anche internazionale e a produzioni che necessitano di effetti speciali e vogliono rappresentare mondi fantastici.
“Ci stiamo avvicinando al mercato francese, apprendo una collaborazione con le Edition Montparnasse di Parigi. Il virtual set garantisce di girare il giorno stabilito, evitando gli imprevisti delle produzioni in esterno. Permette di ridurre i costi di trasferta della troupe e degli attori. È davvero una scommessa sul futuro.”
GRAPHIC
L’ARTE DI GIANLUCA
COSTANTINI
RACCONTA
IL MONDO E L’ATTUALITÀ
JOURNALISM
DI SERENA ONOFRI
Fumettista, illustratore, curatore di mostre, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna: Gianluca Costantini è tutto questo e non solo. Il suo lavoro, le sue opere, raccontano il mondo e l’attualità. Attraverso i suoi disegni parla al collettivo. Oggi è un disegnatore e un attivista per i diritti umani. Negli ultimi vent’anni, il suo lavoro si è sempre più concentrato su tematiche sociali, politica e giornalismo a fumetti. Cresce artisticamente a Ravenna dove per oltre 15 anni, insieme a Elettra Stamboulis, organizza numerosi eventi come ad esempio il festival Komikazen. “Esperienza straordinaria e ricca di energia.” Il fumetto e la poesia sono stati i suoi primi amori durante gli anni di studio all’Istituto d’Arte per il Mosaico. “Dopo il diploma, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Ravenna dove ho avuto la fortuna di incontrare ottimi insegnanti, tra cui Fabrizio Passarella, Carlo Branzaglia, Dede Auregli, Vitto-
IL LAVORO DI GIANLUCA COSTANTINI
SI È SEMPRE PIÙ
CONCENTRATO
SU TEMATICHE
SOCIALI, POLITICA
E GIORNALISMO.
ATTRAVERSO I SUOI
DISEGNI PARLA AL COLLETTIVO. “IN TUTTI
I MIEI ULTIMI LAVORI C’È
SEMPRE LA RICHIESTA
DI LIBERTÀ PER ALTRE
PERSONE A CUI
È STATA TOLTA.”
rio D’Augusta e molti altri. Durante un incontro scolastico, ho conosciuto il celebre disegnatore Vittorio Giardino. Da allora ho iniziato a frequentare il suo studio a Bologna, un’esperienza che si è rivelata preziosa per la mia crescita artistica. Nei miei primi
anni di attività, anche l’estetica del mosaico bizantino ha esercitato una forte influenza sul mio lavoro.”
Qual è stata la sua prima grande ispirazione nel mondo del fumetto, sia a livello artistico che narrativo?
“All’inizio ero follemente innamorato dello stile dell’artista americano Bill Sienkiewicz. Successivamente, autori come Joe Sacco, Seth Tobocman e Aleksander Zograf mi hanno guidato verso il fumetto di realtà, orientando la mia passione verso tematiche sociali e politiche.”
Può parlarci del processo creativo dietro la realizzazione di un suo fumetto?
“Ogni giorno riverso su carta il mio sguardo sul mondo, attraverso disegni che raccontano persone e avvenimenti politici. Alcuni di questi lavori, col tempo, germogliano e diventano il seme di un libro. Creare un libro a fumetti, però, è un processo lungo e meticoloso, che spesso richiede
più di un anno di lavoro. La collaborazione è fondamentale per il mio metodo creativo. Lavorare con giornalisti, scrittori o, come nel caso di Ai Weiwei (Ndr., con cui di recente ha creato il graphic memoir Zodiac insieme a Elettra Stamboulis), con altri artisti, arricchisce il mio approccio, aggiungendo prospettive nuove e sfumature che da solo non potrei cogliere. Ogni storia a fumetti nasce da un viaggio intellettuale e fisico: ricerche dettagliate, lunghe documentazioni fotografiche e, talvolta, spostamenti verso luoghi che possano fornire contesto e autenticità. Ogni tappa di questo percorso contribuisce a dare profondità e verità al racconto.”
Che tipo di strumenti o tecniche preferisce usare quando lavora sui suoi disegni?
“Negli ultimi anni ho lavorato intensamente con l’iPad. Disegnare immerso nella luce dello schermo ha un fascino tutto suo: è come tracciare segni diretta-
mente sulla superficie luminosa di un’idea, un’esperienza che fonde il gesto artistico con l’etereo. Questo ambiente digitale offre una nuova dimensione creativa, un dialogo continuo tra la tradizione del segno e l’innovazione della tecnologia.”
Ci sono temi ricorrenti nelle sue opere?
Ci sono luoghi o eventi che possiamo suggerire a chi si vuole avvicinare al mondo del fumetto?
“Entrare in una libreria e lasciarsi affascinare dai disegni, scegliere istintivamente ciò che ci attrae di più: è un gesto semplice, quasi rituale, ma profondamente
“In tutti i miei ultimi lavori, c’è sempre la richiesta di libertà per altre persone a cui è stata tolta. Libertà di movimento, di stampa e di opinione.”
“RIVERSO SU CARTA IL MIO SGUARDO SUL MONDO, ATTRAVERSO DISEGNI CHE RACCONTANO PERSONE E AVVENIMENTI POLITICI. ALCUNI DI QUESTI LAVORI GERMOGLIANO E DIVENTANO IL SEME DI UN LIBRO. CREARE UN LIBRO A FUMETTI, PERÒ, È UN PROCESSO LUNGO E METICOLOSO.”
personale. Il mondo del fumetto è così vasto e diversificato che può adattarsi a qualsiasi sensibilità, rendendo ogni scelta unica, intima. Per quanto mi riguarda, se dovessi indicare un libro fondamentale, sarebbe From Hell di Alan Moore.”
Ci sono nuove storie su cui stai lavorando?
“In questo momento, sono impegnato in diversi progetti che si intrecciano tra loro. Sto lavorando a un libro sull’artista tedesco Joseph Beuys, esplorando la sua visione del mondo e il suo impatto sulla società. Allo stesso tempo, sto realizzando delle storie brevi sulla Palestina in collaborazione con la giornalista Francesca Mannocchi, cercando di raccontare una realtà complessa e drammatica. Inoltre, sto creando un libro illustrato per ragazzi insieme alla giornalista Laura Cappon, con l’intento di stimolare la loro curiosità e sensibilità sui diritti umani.”
C’è stato un momento specifico che l’ha fatto pensare ‘Ok, ce l’ho fatta’?
“Mi sento ancora un ragazzo, animato da un entusiasmo quasi adolescenziale. Non mi piace l’idea di aver ‘già raggiunto’ un punto d’arrivo; il pensiero di fermarmi mi inquieta. Ogni traguardo, per quanto significativo, è solo una tappa lungo un percorso che voglio continuare a esplorare. La crescita, per me, è un viaggio.”
Al Passatelli è sempre festa, perché la tradizione è di casa !
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COLLEZIONARE
UN MONDO
ELISABETTA GULLI GRIGIONI: PREZIOSE OPERE D’ARTISTA
DI CUORI
Una stanza tutta per sé, conquistata attraverso un Grand Tour, come quello che a fine Settecento aveva portato in Italia Goethe e Byron. Nata a Mestre, cresciuta a Bolzano, vissuta in giro per l’Italia e all’estero seguendo la famiglia, i mercatini d’antiquariato e il marito ingegnere che per quattro anni era stato trasferito a Tunisi, Elisabetta Gulli Grigioni – che vive da tempo a Ravenna – a un certo punto ha deciso di costruire il suo intrigante mondo personale di simboli e talismani legati soprattutto al cuore, pezzi diventati spesso protagonisti di importanti mostre e libri. Si è laureata in filosofia e storia, con una tesi sullo strutturalismo, e si è trasformata in studiosa, artista, collezionista, approfondendo ogni tema trattato con una bibliografia completa, bastando così a se stessa, alla sua sete di cultura, di curiosità. Ma la sua parte meno conosciuta e sicuramente più straordinaria è la creazione di libri unici e preziose opere d’artista, ricamando a mano le pagine di una carta speciale e componendole con l’inserimento di immagini ed elementi antichi, tessuti rari, piccole pietre e simboli, tra cui la sua ‘orma’, una sorta di firma,
presente anche nella rappresentazione del Lauro Dantesco ad Honorem, conferitole nel 2014. Una narrazione che non rinuncia mai a un tocco di umorismo e a percorsi trasversali, a volte sorprendenti e ludici, che l’hanno portata a ispirarsi perfino a Keith Haring.
Qual è stato il suo primo pezzo?
“Una spilla della seconda metà del Settecento che rappresentava un cuore con dentro un moretto veneziano. Quando ho visto che la freccia europea era stata sostituita dalla scimitarra e la fiamma da una stella ho pensato che cambiando un elemento tutta l’immagine si trasformava, per cui ho iniziato a vedere l’og-
“HO SEMPRE AVUTO UNA MENTALITÀ
SCOLASTICA E SU UN DETERMINATO
OGGETTO HO AVUTO
BISOGNO DI SAPERE TUTTO CIÒ CHE ERA
STATO DETTO E SCRITTO PRIMA. PER CUI PER ME IL COLLEZIONISMO È STATO UN ARRICCHIMENTO
SOPRATTUTTO CULTURALE.”
COLLEZIONARE
getto come un sistema di segnali simbolici. Avevo poi chiamato questo ornamento Belcore, titolo con cui Dante Gabriel Rossetti nel 1873 aveva ribattezzato il suo dipinto Monna Vanna, dove la protagonista porta al collo un pendente a forma di cuore. Il simbolo è una cosa indefinibile, infatti Tillich diceva che ‘i simboli non sono sassi caduti dal cielo’ indicando così quale area culturale mobile esista nell’iconografia simbolica.”
Il suo percorso di ricerca di questo sistema simbolico è più istintivo o razionale?
“Entrambe le cose. Mi piace molto il riconoscimento di una realtà istintuale perché quando si trova un simbolo si crea una forma di partecipazione emotiva alla realtà talmente soddisfacente che penso che solo in questo caso si possa usare la parola collezionismo. Nella mia ricerca non ho mai seguito un percorso regolare, ho sempre avuto una mentalità scolastica e su un de-
terminato oggetto ho avuto bisogno di sapere tutto ciò che era stato detto e scritto prima, per cui per me il collezionismo è stato un arricchimento soprattutto culturale.”
C’è un episodio particolare che ci vuole raccontare?
“A un mercato antiquario in Toscana ho perso la testa per un gruppo in alabastro di due putti di metà Ottocento in lotta per un cuore. Mio marito mi aveva scoraggiata dall’acquistarlo ma dentro di me mi ero detta: ‘domani mattina vado a comprarlo’. Incredibile, il giorno dopo al mercato antiquario di Ravenna c’era anche l’antiquario che esponeva quella scultura. Non sapevo da dove venisse e poi sulla rivista AD ho trovato per caso il quadro del 1841 di Ferdinand Georg Waldmüller Giovani donne che leggono una lettera, in cui viene rappresentata questa scultura Bataille d’amour ispirata all’opera di Etienne Maurice Falconet.”
Nella Vita Nova, Dante racconta un sogno in cui Amore dà in pasto a Beatrice il suo cuore. Che cosa significa per lei vivere a Ravenna, teatro di tante passioni?
“C’è una certa predestinazione perché mi piace il pathos che si respira in questa città. Appena arrivata a Ravenna, negli anni Settanta, mi sono imbattuta subito in Byron, immerso nella sua magia, nei suoi incontri e su di lui ho letto tutto ciò che era possibile. Se sono invece ritornata su Dante è per via del cuore, mentre è ambientata nella Pineta di Ravenna la novella del Boccaccio rappresentata dal Botticelli nel ciclo di opere Nastagio degli Onesti esposto al Prado. A una fanciulla rincorsa e sbranata dai cani lo sposo rifiutato estrae il cuore dalla schiena, un’immagine per me enigmatica. E poi Paolo e Francesca… Nel Museo Diocesano è conservata perfino la più antica lirica d’amore. Ravenna ha quindi una vera e propria cultura del rapporto amoroso.”
Lei è soprattutto un’artista che crea opere uniche, ricamando e scrivendo su carta. Ci può parlare di questa sua attività?
“Ora sto lavorando a una storia sui gatti e devo ultimare la trilogia della mia autobiografia scritta sotto forma di fiaba: dopo Cuoribonda e Invereconda, già pubblicate, manca solo Cerebronda. Nelle mie opere unisco sempre forme primitive e liberatorie e tutti i collegamenti col cuore si presentano quasi magicamente. Gli occhi, ad esempio, fanno parte della antropomorfizzazione di questo organo interno che ha una vocazione di riepilogo di tutto il corpo umano. Ho sempre agito come una che va a cavallo e non sa dove deve andare ma sa che va, prende e porta…”
AMORE
APERTO AL PUBBLICO PALAZZO
GUICCIOLI
DOPO
IL RESTAURO
E LIBERTÀ
Dopo tanta attesa, lo scorso 30 novembre si sono aperte le porte del nuovo Complesso Museale di Palazzo Guiccioli a Ravenna. Accoglie il Museo Byron, il Museo del Risorgimento e il Museo delle Bambole, Collezione di Graziella Gardini Pasini. Fino a qualche anno fa, passeggiando per via Cavour, inevitabilmente lo sguardo andava al grande portone chiuso di quello che sembrava un palazzo misterioso in grado di suscitare curiosità legate alle storie che, si raccontava, erano state vissute al suo interno, negli anni passati: storie d’amore ma anche di idee politiche risorgimentali. Finalmente è arrivata la fine del suo restauro e dei nuovi allestimenti. Il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, Ernesto Giuseppe Alfieri, alla domanda
“Può essere considerato un regalo alla città?” risponde: “Di più, molto di più. Questo museo è un nuovo punto di interesse soprattutto per i turisti, un palaz-
RIVEDE LA LUCE, NELLA
CENTRALISSIMA VIA
CAVOUR, IL COMPLESSO
MUSEALE DI PALAZZO
GUICCIOLI, PUNTO DI INTERESSE CULTURALE.
ACCOGLIE IL MUSEO
BYRON, IL MUSEO
DEL RISORGIMENTO
E IL MUSEO DELLE
BAMBOLE, COLLEZIONE DI GRAZIELLA GARDINI PASINI.
zo antico di grande livello che si apre mostrando momenti storici di grande importanza. Pensiamo che sarà una nuova attrazione che va ad aggiungersi alle mete classiche che hanno per oggetto i nostri unici e importanti mosaici. Dobbiamo ringraziare l’idea geniale di Antonio Pa-
tuelli che, come sempre, anticipa i tempi.” Palazzo Guiccioli è un edificio storico prestigioso, intimamente legato alle vicende culturali e politiche dell’Ottocento ravennate. Collocato nel cuore della città, nella centralissima via Cavour, emerge fra le case residenziali della via, quale luogo fra i più emblematici delle memorie cittadine. Tra le sue stanze di gusto neoclassico George Gordon Byron trascorse, innamorato della giovane Teresa Gamba Guiccioli, anni felici e fra i più produttivi sul piano letterario ma anche, partecipi e protagonisti, Alessandro Guiccioli, Ruggero e Pietro Gamba, rispettivamente padre, fratello e coniuge di Teresa. Lì avvennero le prime cospirazioni politiche che portarono ai moti carbonari del 1820-21. Il piano nobile, infatti, è riservato il Museo del Risorgimento che vanta, oltre ai molti cimeli che documentano la vocazione insorgente della città con il suo contributo ai moti,
una sezione di grande importanza dedicata a Giuseppe Garibaldi e alla diffusione popolare del suo mito. Un tocco leggero ma molto interessante è dato al museo dal reparto dedicato alle bambole e ai giochi che in epoche diverse hanno rappresentato anche un metodo educativo. La raccolta è ricca e importante, è
una documentazione curata per anni da Graziella Gardini Pasini, che offre i giochi di una volta e oggetti rari che fanno del gioco una documentazione storica. Con quale spirito e preparazione si dovrebbe visitare un museo che ‘racconta’ una Ravenna che ha vissuto importanti momenti politici ma anche un filone cul-
turale e romantico? “La curiosità è sempre una buona compagnia, al resto ci pensiamo noi,” spiega la direttrice Alberta Fabbri. “Museo Byron e del Risorgimento è un percorso che attraversa due nuclei tematici diversi ma molto meno distanti di quanto non si pensi. Siamo nella dimora di Illustri, testimone silenziosa di vicende memorabili. A cominciare dalla stesura di alcuni importanti componimenti di Byron, continuando con memorie e cimeli in cui l’aura del ‘corpo’ si compie solo attraverso la parola che li nomina. Senza la partecipazione del visitatore,” precisa la direttrice, “anche il dispositivo narrativo non si aziona. Questo fa comprendere come l’orizzonte progettuale miri ad essere accessibile a chiunque.” Fabbri si sofferma poi a commentare la personalità istrionica e geniale di Byron e dei molti poeti che hanno gettato un fascio di luce nell’oscurità dell’inquietudine, concentrando l’attenzione
MUSEI
sull’individuo che ha un ruolo non trascurabile anche nella penetrazione capillare, appunto, individuale, delle istanze libertarie promosse dall’Illuminismo. Byron, geniale, silenzioso, elegante, innamorato di Teresa ma anche del paesaggio ravennate, della pineta, di Dante. Come immaginarlo? “Partirei dalla sua relazione amorosa. Per Byron l’incontro con Teresa ha la carica dirompente che batte il tempo del cambiamento. È la leva che aziona la decisione di lasciare Venezia per Ravenna. Sulle galeotte conversazioni intorno a Dante, Ravenna viene delineandosi come una terra promessa. La città che per il Sommo Poeta fu alma mater nella stagione errante dell’esilio, lasciava intravedere mondi possibili anche per chi, come lui, aveva voltato le spalle, deliberatamente e suo malgrado, alle bianche scogliere di Dover.”
Infatti a Ravenna Byron trova nuovo slancio per i suoi compo-
nimenti. La partecipazione alla vita attiva della città lo porta a cavalcare nella ‘Divina Foresta’, la pineta che ispirò Dante e Boccaccio, ma anche il luogo dove si potevano incontrare i cospiratori che qui si davano segreto convegno. Fra Europa e Mediterraneo, Byron si erge a
“IL MUSEO BYRON E DEL RISORGIMENTO È UN PERCORSO CHE ATTRAVERSA DUE NUCLEI TEMATICI DIVERSI MA MENO DISTANTI DI QUANTO NON SI PENSI, IN UNA DIMORA CHE È TESTIMONE SILENZIOSA DI VICENDE MEMORABILI,” SPIEGA LA DIRETTRICE ALBERTA FABBRI.
eroe dei due mondi. Agli occhi del pubblico inglese, Ravenna rivela il lato mediterraneo, se non proprio esotico, del ‘giovane Aroldo’.
Incontro fatale, dunque, quello tra Byron e Ravenna. Byron e Risorgimento, a Ravenna, non sono poi così distanti.
ADVERTORIAL
HOSTARIA PASOLINI
TRADIZIONE E SAPORI AUTENTICI
GIUSEPPE TATEO HA APERTO UN LOCALE CHE RECUPERA IL CONCETTO CLASSICO DI ‘OSTERIA’: UN POSTO IN CUI L’OSTE PRESENTA I PIATTI DEL GIORNO DIRETTAMENTE A VOCE.
Nasce dalla passione per la migliore tradizione culinaria romagnola, la nuova Hostaria Pasolini di Ravenna che recupera il concetto classico di ‘osteria’: un posto in cui l’oste, il gestore del locale, presenta i piatti direttamente a voce, senza che vi sia bisogno di un menù. Questo perché le proposte sono poche ma da leccarsi i baffi grazie all’utilizzo di prodotti freschi e di qualità. Un’idea che è diventata realtà grazie a Giuseppe Tateo che ha rilevato la location di via Pasolini, nel cuore della città, a pochi metri da via Cavour, dove fino a tre anni fa c’era la storica trattoria Vecchia Ravenna da Mario. L’inaugurazione è avvenuta lo scorso 5 ottobre. L’ambizione è di diventare un punto di riferimento per tanti ravennati e turisti alla ri-
cerca di una cucina semplice ma tipica, quella di una vera e propria osteria romagnola, fatta di sapori autentici e per certi versi dimenticati. Ogni giorno, nuovi piatti selezionati con ingredienti di stagione e il più possibile a km zero. Che sia un primo, un secondo o un dolce artigianale, il bello è proprio quello di lasciarsi sorprendere dalla cucina del territorio. La pasta romagnola tirata rigorosamente al mattarello la fa da padrona, con gli immancabili cappelletti, tagliatelle, tortelli di ricotta e spinaci, tagliolini, paglia e fieno, pappardelle, gnocchi di patate e strozzapreti, che è possibile condire con vari sughi: ragù della tradizione, pancetta e piselli, burro e salvia, guanciale e scalogno, ragù bianco di cortile, salsiccia di Mora romagnola e ca-
volo nero, porcini e speck oppure un mix di funghi, speck e piselli. Ovviamente durante la stagione invernale non manca anche il buon brodo fatto come in casa. Per quanto riguarda i secondi, quando disponibili, sono certamente da provare per esempio la trippa e il fegato con burro e salvia, le alette di pollo, lo spezzatino in umido, il coniglio arrosto, le uova all’occhio di bue con tartufo, ossia piatti antichi che ormai si è persa l’abitudine di cucinare. Per chi preferisce ‘stuzzicare’, ci sono anche i taglieri romagnoli con salumi e formaggi freschi, contorni come le erbette, i bruciatini, il pinzimonio o le patate al forno, mentre per finire in dolcezza ci sono la zuppa inglese, la ciambella e altre leccornie. L’osteria può ospitare fino a 45
A RENDERE SPECIALE HOSTARIA PASOLINI È ANCHE UN PROGETTO CON L’ASSOCIAZIONE
SPAZIO 104 INSIEME
CHE PREVEDE IL COINVOLGIMENTO DI RAGAZZI DISABILI IMPEGNATI, A ROTAZIONE, NELLA GESTIONE DEL BAR E A SERVIRE I TAVOLI.
coperti ed è aperta dal lunedì al giovedì solo a pranzo dalle 12 alle 15, il venerdì e sabato sia a pranzo che a cena dalle 19 alle 22.30 (con possibilità di apertura serale negli altri giorni per gruppo di almeno 20 persone). “Ravenna è una bella città e sta già rispondendo bene alla nostra proposta gastronomica buona e di qualità, al giusto prezzo,” afferma Tateo, imprenditore e cuoco che ha esperienza nella ristorazione da quindici anni. Ma Hostaria Pasolini non è l’unico locale che gestisce, visto che il
21 dicembre 2023 ha aperto anche Garden 37 – Food & Drink in viale della Lirica 37, un ‘giardino’ come suggerisce il nome in una delle zone di maggior passaggio nella zona ovest di Ravenna. Aperto tutti i giorni dalle 11 alle 21.30, con caffetteria, piccola ristorazione, aperitivi, all’insegna di una ‘cucina senza fornelli’ con una materia prima di qualità. Dai taglieri di maiale nero ai formaggi di San Patrignano, passando dalle acciughe del Mar Cantabrico e la rinomata Giardiniera di Morgan. Con una selezione di vini del
territorio e non solo, oltre a una carta di cocktail con ampia scelta di gin. Entrambi i locali, Hostaria Pasolini e Garden 37, sono speciali per l’ambiente accogliente e caldo, grazie all’originale arredamento curato da Timida, lo storico negozio di via della Lirica. A rendere speciale Hostaria Pasolini è inoltre un progetto con l’associazione Spazio 104 Insieme, presieduta da Maura Masotti e fondata grazie all’iniziativa di genitori e volontari, che prevede il coinvolgimento di ragazzi disabili tra i 20 e i 40 anni impegnati,
a rotazione e sotto la guida di un educatore, nella gestione del bar e a servire i tavoli. “Credo di aver ricevuto tanto dalla vita,” tiene a ricordare Tateo, “e mi piaceva l’idea di poter restituire un po’ di quello che ho avuto. Abbiamo solo da imparare da questi ragazzi molto sensibili che non sanno cosa sia la cattiveria e la falsità. Hanno piacere di stare in mezzo alla gente, sorridono sempre e regalano grande soddisfazione. Per molti di loro è anche un’occasione, oltre che di formazione, di reinserimento lavorativo.”
ANTICHI
ALLE ORIGINI DI VIA MENTANA E VIA MATTEOTTI
PASSI
Quando ci si interessa della storia urbanistica di una città nata su una laguna, poi gradualmente prosciugatasi fino a trasformare in strade e piazze i fiumi e i canali che l’hanno innervata per secoli, bisogna essere pronti a ogni sorpresa e a fervidi sforzi di fantasia. E così, mentre si passeggia fra le vetrine di via Matteotti e i palazzi di via Mentana, una notevole capacità di immaginazione è necessaria per figurarsi il panorama che vi si presentava quando, in questi stessi luoghi, era possibile osservare le burchielle che scivolavano lungo le acque del Padenna. Il percorso attuale delle due strade segue infatti quello del corso d’acqua che per secoli tagliò Ravenna da nord a sud. La loro storia, inserita nel contesto di quella millenaria della città, è dunque relativamente breve, a parte il periodo in cui non erano altro che la sponda occidentale del canale, fronteggiata sul lato opposto da quella oggi ricalcata
LE DUE STRADE
RAVENNATI SONO NATE
LUNGO IL PADENNA, IL
CORSO D’ACQUA CHE PER SECOLI TAGLIÒ LA CITTÀ DA NORD A
SUD. QUANDO IL FIUME
VENNE TOMBATO, COMINCIARONO AD ASSUMERE
IDENTITÀ DISTINTE, SIMILI A QUELLE CHE
CONOSCIAMO OGGI.
da via IV Novembre e da via Cairoli. Se si eccettua il palazzo comunale, che fu costruito a cavallo del Padenna già in epoca medievale, fu nel XV secolo che, per iniziativa del governo veneziano, l’antico fiume venne definitivamente tombato. Da quel momento le due strade co-
minciarono ad assumere identità ben distinte: più commerciale e ‘lussuosa’ via Matteotti, più defilata e ‘popolare’ via Mentana. Questa diversa evoluzione è comprensibile se si considera che fino circa al 1870, l’attuale via IV Novembre era un vicolo stretto e probabilmente poco attraente, dal momento che ospitava molte botteghe di macellaio. Fino ad allora, dunque, era stata via Matteotti (che assunse tale nome nel dopoguerra, dopo essere stata a lungo un prolungamento di via Cavour) a costituire l’ultimo tratto del percorso principale che portava da porta Adriana a piazza del Popolo. Anche se non abbiamo molte notizie al riguardo, quale fosse la sua destinazione commerciale privilegiata è attestato dalla denominazione antica, quella di ‘strada delle Calzolerie’. Per i secoli più recenti, per i quali gli archivi ci forniscono maggiori informazioni, sappiamo che vi trovavano sede alcuni degli eser-
cizi più prestigiosi, come gli orefici e i vetrai.
VIA MATTEOTTI ERA PIÙ COMMERCIALE
E ‘LUSSUOSA’, SEDE DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI PIÙ PRESTIGIOSI E PUNTO DI INCONTRO DELLA GIOVENTÙ CITTADINA.
VIA MENTATA ERA INVECE PIÙ DEFILATA
E ‘POPOLARE’, CARATTERIZZATA DALLA PRESENZA DI OSTERIE.
In particolare, fra il Sei e il Settecento un interessante spaccato di come si presentava il suo panorama commerciale della strada, almeno per un tratto, è costituito dal registro degli affitti delle botteghe del convento di S. Domenico, che era proprietario di tutti gli stabili fra l’attuale via Mordani e l’angolo con via Cavour. Da qui sappiamo che, ad esempio, nel 1725 vi si succedevano un ramaio, uno speziale, un caffè-pasticceria, due falegnami, un pellicciaio, un vetraio, un calzolaio. Come si vede, la tipologia degli esercizi qui rappresentata non è molto diversa da quella attuale, come ancora esiste all’angolo con piazza dell’Aquila l’erede di un’antica speziera la cui presenza è attestata almeno dal Cinquecento. Secondo la testimonianza di Pio Poletti, contenuta nel suo
classico libro di memorie Addio vecchia Ravenna!, verso la metà dell’Ottocento essa era uno dei principali punti di incontro della gioventù cittadina. Ma già da quando erano comparsi i primi luoghi di ritrovo in senso moderno, ossia i caffè, questa strada ne era divenuta una delle sedi privilegiate.
Quello che, quasi certamente, fu il più antico locale di questo tipo nella storia di Ravenna, aperto nel 1684 da tale Massimiliano Saporetti, occupava infatti una delle botteghe di S. Domenico, nei pressi della piazzetta laterale della chiesa. Un esempio che fu seguito nel secolo successivo da molti altri locali simili, talvolta destinati a vita effimera, ma talaltra a una lunga storia. Più appartata, e al di fuori dei percorsi principali che portavano in piazza, via Mentana aveva un carattere decisamente diverso. Certo, anch’essa ospitava alcuni edifici significativi, come la locanda delle Chiavi all’angolo con piazza dell’Aquila, o il palazzo della nobile famiglia Succi all’estremità opposta: entrambi, però, davano sulla strada solo con le rispettive facciate secondarie. Sappiamo pure che, sul retro della locanda, sorgeva una delle tante chiese minori e dimenticate di Ravenna, quella di S. Tommaso in Contubernio (S. Tommaso di Canterbury), scomparsa nel Cinquecento. Gli edifici sull’altro lato erano di regola il retro delle case di via Cairoli, cosa che probabilmente è all’origine della sua denomina-
zione antica, quella di ‘strada dei Bergamaschi’: la folta e intraprendente comunità lombarda presente a Ravenna nel Cinquecento annoverava infatti molti mercanti proprietari o affittuari di stabili che si affacciavano sulla regina delle strade commerciali cittadine e, di conseguenza, anche sulla sua parallela. Successivamente si sarebbe imposto invece il singolare nome di ‘via delle Melarance’, forse per l’esistenza di un magazzino o di una rivendita di tale genere. La presenza che però caratterizzava davvero la strada era quella delle osterie, che dalle testimonianze degli archivi si desume essere stata assai fitta almeno fino a tutto l’Ottocento. La più famosa fu quella della Grotta, a poca distanza da piazza dell’Aquila, così chiamata perché ricavata in uno scantinato sottostante al piano stradale. Difficile immaginare un ambiente più adatto a ospitare le riunioni della setta degli Accoltellatori, che insanguinò la città negli anni a cavallo del 1870. Per ironia della sorte, uno dei suoi fondatori e frequentatore dell’osteria, Giovanni Cavalcoli, morì combattendo fra i garibaldini proprio nella battaglia di Mentana del 1867, al cui ricordo venne in seguito intitolata la strada. Ormai lontane tali fosche memorie, oggi la via mantiene il suo carattere discreto e appartato, l’ambiente più adatto per un panorama commerciale arricchito negli ultimi anni da un’offerta fatta di ristorazione, botteghe storiche e artigianato di qualità.
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PASSIONE
PASSATO E FUTURO DEL CROSSODROMO TRE PONTI
IN PISTA
Non solo teatro di gare e di importanti appuntamenti del calendario motoristico. E neppure solo palestra all’aperto per allenamenti. Ma anche e soprattutto luogo di ritrovo e di aggregazione. Questo è oggi e vuol essere sempre più il crossodromo Tre Ponti, la struttura alle porte di Ravenna in via Sant’Alberto. Una pista storica, nata in città nel 1977, che ha accolto e ospitato nei decenni fior di campioni e talenti che poi sono sbocciati, così come storica e carica di anni e di esperienza è la società che lo gestisce, il Moto Club Ravenna. “Proprio qualche settimana fa, mentre preparavamo la ‘Due Ore a coppie’,” racconta il vicepresidente Stefano Salaroli, “abbiamo ripescato dagli archivi testimonianze importanti della storia del club: una targhetta che riporta l’anno della fondazione, il 1911, ritagli di articoli che parlano della ‘Due Ore’ e delle sue prime edizioni.”
E sotto quei tre ponti di acqua ne è passata davvero tanta, è proprio il caso di sottolinearlo, anche quando se ne sarebbe fatto volentieri a meno, come nelle alluvioni del 2023 e di quest’anno. “I danni più rilevanti li abbiamo avuti a maggio del-
lo scorso anno quando l’acqua è arrivata un po’ dappertutto,” ricordano Salaroli e il presidente Gianluca Zanzani, “mentre a settembre di quest’anno ci sono entrati 131 millimetri d’acqua sufficienti per allagare pista e paddock.”
Ma il solerte lavoro del direttivo, formato da 11 persone, e dei tanti associati ha permesso di ripristinare il tutto, riportando a piena funzionalità l’impianto, che nel 2024 ha ospitato importanti eventi e che per quattro giorni alla settimana – il martedì e giovedì pomeriggio, sabato e domenica tutto il giorno quando non ci sono gare – è aperto a tutti coloro che vogliono cimentarsi con la loro moto, “purché in possesso di licenza e tesserati
MOTORI
per Fmi, Uisp o Csen,” precisa il vicepresidente.
“IL NOSTRO EVENTO SIMBOLO È LA ‘DUE ORE A COPPIE’, CHE POI ALTRI SODALIZI CI HANNO COPIATO. IL 2024 È STATO UN ANNO DA INCORNICIARE. NEL FRATTEMPO, PROSEGUONO I LAVORI DI MIGLIORIA DEL CROSSODROMO PER RENDERLO SEMPRE PIÙ FUNZIONALE.”
“A fine settembre come Moto Club abbiamo ospitato una prova del campionato regionale della Federazione che ha visto in gara 112 piloti divisi nelle varie categorie, con i bambini, il minicross, la 125, tutte le cilindrate dei più grandi fino agli Elite e alle moto d’epoca, datate dal 1974 al 1996. A novembre, invece, abbiamo organizzato la ‘Due Ore a coppie’, che è sempre stato un evento simbolo del Moto Club, che poi altri sodalizi ci hanno copiato. L’evento era sotto l’egida della Uisp e si poteva, dunque, gareggiare solo con la licenza Uisp master agonistica. Hanno partecipato 36 coppie e per rendere ancora più intensa la giornata abbiamo organizzato una gara per una quindicina di bimbi con batterie normali e la categoria 50cc monoblocco di
60 cavalli con 26 piloti iscritti.” In precedenza, nell’impianto di via Sant’Alberto sono stati organizzati due campionati italiani Fmi di flat track, disciplina più di nicchia ma spettacolare che si corre su circuiti ovali piatti in terra battuta, percorsi in senso anti orario, il campionato regionale Uisp e il campionato italiano di moto d’epoca con 140 partecipanti. Per il 2025 il Moto Club sta già stilando l’agenda degli appuntamenti: “Ospiteremo una prova di campionato regionale Fmi e una della Uisp, un campionato italiano di flat track e uno di motocross,” spiega Salaroli, “ma ancora non sappiamo se per i bambini o per i Senior. In ogni caso, stiamo già lavorando per farci trovare pronti con l’organizzazione.”
Nel frattempo proseguono i lavori di miglioria del crossodromo per renderlo sempre più
funzionale. “Quando il nostro gruppo dirigente, ormai 8 anni fa, è entrato nel Moto Club, il crossodromo era in uno stato quasi di abbandono. Ci siamo messi al lavoro e abbiamo rimesso in piedi la struttura, dotandola di una sala riunioni e sala briefing, illuminando le stradine di accesso e portando la corrente elettrica nei paddock, per i quali abbiamo pronto un progetto di riqualificazione. E abbiamo ampliato l’impianto creando accanto alla pista da motocross, una da mini e una per il flat track. Siamo riusciti a installare nella pista dei piccoli l’impianto di irrigazione. E abbiamo omologato le piste per i campionati italiani. C’è stato un grande sforzo in termini di tempo e di risorse investite ma siamo contenti e la gratifica migliore è, da un lato, avere visto tornare i piloti da noi, soprattutto un buon gruppo di bambini per i quali organizziamo corsi su una pista a loro dedicata per iniziare, mettendo a disposizione tre istruttori, e dall’altro lato avere raggiunto i 450 soci aderenti al Moto Club.” L’altro motivo di soddisfazione è la fresca notizia del rinnovo al Moto Club della concessione dal Comune di Ravenna per la gestione per altri 5 anni del crossodromo, che consentirà al sodalizio cittadino di consolidare ulteriormente i suoi progetti di crescita.
IL TORMENTO
IL QUARZO NELLA PITTURA DI GIOVANNI FABBRI
DELLA MATERIA
È sempre un’emozione entrare nello studio di un artista per una conversazione tendente a ricostruire il suo percorso creativo e scoprire ciò che fin dalle origini permane nel tempo come radice. Per Giovanni Fabbri quel qualcosa è la terra, sia come materia fisica che come memoria. Nato in una famiglia di agricoltori mezzadri nella collina romagnola, sul crinale che divide Predappio da Meldola dove non si vede la linea dell’orizzonte, si trasferisce nel 1960, a 13 anni, a Castiglione di Cervia a ridosso del fiume Savio, dove tuttora abita, lavora e continua a coltivare la terra. A 35 anni, dopo un breve periodo musicale – per alcuni anni suona il clarinetto esibendosi con alcuni complessi tra cui I Bizantini di Ravenna – si iscrive ai corsi liberi all’Accademia di Ravenna e successivamente ai corsi regolari, tanto che diventa per oltre 10 anni la sua seconda casa. Dall’Accademia gli resta l’impronta di Umberto Folli che dipingeva dal vero insieme agli allievi, dal quale ha appreso il mestiere.
Gli ha fatto capire che la pittura
è fatta di rapporti e di equilibri tra figure e colori, segni e disegni, pieni e di vuoti, peso e leg-
gerezza, valori tonali e timbrici, materici e lirici.
Erano anni di fermenti culturali, di aperture che stimolavano ad andare oltre l’ambito locale e vedere quello che stava succedendo nel mondo dell’arte. Dopo la fase dell’apprendistato e della formazione, in piena autonomia sceglie come protagoni-
sta della sua pittura la materia: il quarzo usato dagli imbianchini e dai muratori, un materiale che gli dava emozioni e lo spessore, gli ricordava la terra ‘contadina’ che ha assimilato e che sente dentro, come sente i colori della natura. La stende a spatolate, poi viene incisa, distrutta e ricomposta con quella tensione
NEL SUO PERCORSO ESPOSITIVO È ENTRATA
ANCHE LA PITTURA DI SOGGETTO SACRO. SU INDICAZIONE DI FRANCO PATRUNO HA AFFRESCATO UNA
CAPPELLA IN SAN ZENO IN MONTE A VERONA E DURANTE LA PANDEMIA HA REALIZZATO UNA MONUMENTALE VIA CRUCIS.
che è tormento ed esaltazione, memore della passione per l’affresco, per i dipinti sul muro, in particolare di ambito senese. Al centro dell’immagine si addensa la materia che contiene memoria e paesaggio, mentre alla periferia e ai margini resta il vuoto come qualcosa di atmosferico che trascina all’interno da uno stato di sospensione.
Riesce a passare da tensioni espressionistiche informali al naturalismo astratto, dall’esistenzialismo al paesaggio, con una vena poetica dove la casa è sentita come una presenza d’affetto che permane. Le sue case sono sempre in bilico, eppure resistono.
Già nel 2013 Claudio Spadoni, presentandolo in catalogo per la mostra Visioni della memoria, faceva notare che “si potrebbe dire che queste sono state, e in qualche misura restano tuttora, le due vie della sua pittura. [...] Due vie, ma s’intende bene che si tratta pur sempre di strade proprie, con cronologia sbilenca proprio come certe sue case di campagna che non sapresti datare con accettabile approssimazione.”
Nel suo percorso espositivo è entrata anche la pittura di soggetto sacro. Su indicazione di Franco Patruno ha affrescato una cappella in San Zeno in Monte a Verona e durante la pandemia ha realizzato una monumentale Via Crucis. Recuperati piccoli disegni figurativi eseguiti trent’anni fa insieme a Giuliano
Giuliani per un concorso per la casa circondariale di Arma di Taggia, ha dipinto 15 grandi tele di 2 metri x 2 che sono state esposte a Cesena, a Sant’Agostino, in presenza del vescovo e successivamente in altre sedi, con la presentazione di Paolo Degli Angeli. È stato un recupero della figurazione e del colore. Per dare la
tinta al quarzo è ritornato ancora una volta all’insegnamento di Folli per distinguere tra colore e colorato: il colorato è di superficie, mentre nella pittura autentica i colori tra di loro si organizzano in base agli accostamenti cromatici, i contrasti diventano simultanei e si valorizzano riuscendo a conferire alle immagini una forte carica espressiva.
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