Ravenna IN Magazine 04 2024

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FABRIZIO SAVORANI

Leggi la rivista online
L’eleganza è una questione di sguardi

Quella di Fabrizio Savorani, in copertina, è una passione scritta nel Dna: con oltre quarant’anni di esperienza nel campo immobiliare, il fondatore dell’agenzia Scor ci parla del mercato tra passato, presente e futuro. È una storia tutta made in Romagna anche quella dell’azienda Magic Gel, che produce gelato conservando il gusto della tradizione. Incontriamo poi Suor Anastasia, superiora delle Carmelitane, e Chiara Pezzi, co-fondatrice di Kid Light, progetto pedagogico con un ‘pizzico di magia’. Alessandro Renda racconta il suo intenso percorso artistico come attore, educatore e registra, e Graziella Frassineti rivela i benefici dello yoga della risata. Ci addentriamo nella storia delle quattro abbazie ravennati, incontriamo Carlotta Ragazzini, medaglia di bronzo alle Paralimpiadi 2024, e l’artista Paolo Gambi. Buona lettura!

DI ANDREA MASOTTI

Edizioni IN Magazine s.r.l. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì | T. 0543.798463 www.inmagazine.it | info@inmagazine.it

Anno XXIII N. 4 ottobre/novembre Reg. di Tribunale di Forlì il 16/01/2002 n.1

Direttore Responsabile: Andrea Masotti

Redazione centrale: Clarissa Costa, Paola Francia

Coordinamento di redazione: Roberta Bezzi

Artwork e impaginazione: Francesca Fantini

Ufficio commerciale: Gianluca Braga

Stampa: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) Chiuso per la stampa il 18/10/2024

Collaboratori: Alessandra Albarello, Chiara Bissi, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Massimo Montanari, Aldo Savini. Fotografi: Lidia Bagnara, Massimo Fiorentini, Marco Parollo.

Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte. In ottemperanza a quanto stabilito dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR) sulla privacy, se non vuoi più ricevere questa rivista in formato elettronico e/o cartaceo puoi chiedere la cancellazione del tuo nominativo dal nostro database scrivendo a privacy@inmagazine.it

IN

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PILLOLE

STAGIONE AL VIA

RAVENNA | Ritorna, da novembre ad aprile, La Stagione dei Teatri con tanti spettacoli nei due teatri della città, il Rasi e l’Alighieri. La rassegna sarà caratterizzata da affondi in una tradizione rivisitata, come nel caso degli spettacoli Arlecchino? e Moby Dick alla prova, firmati rispettivamente da Marco Baliani e da Elio De Capitani; riflessioni sul tema del lavoro, introdotte dal ragioniere Ugo Fantozzi, impersonato dal comico Gianni Fantoni; sull’essere donna, ieri come oggi, con le proposte di Maria Cuscunà, Geppi Cucciari, Concita De Gregorio, Masa Pelko e Chiara Lagani. Da non perdere la nuova produzione di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari dedicata a Gian Lorenzo Bernini. Possibilità di abbonarsi, aggiungendo ai sei titoli fiss altri due a scelta.

FOTOGRAFIE E FEMMINISMI

RAVENNA | Resterà aperta fino al 15 dicembre la mostra collettiva della Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna: Fotografie e femminismi. Storie e immagini dalla Collezione Donata Pizzi, a cura di Federica Muzzarelli, che mette in dialogo il lavoro di diverse generazioni di fotografe e artiste italiane degli ultimi cinquant’anni. Il percorso è articolato in quattro i nuclei tematici: Album di famiglia, Identità di genere, Stereotipi e spazi domestici, Ruoli e censure sociali. Ingresso libero. I lavori di artiste storicizzate come Liliana Barchiesi, Lisetta Carmi, Lucia Marcucci, Paola Mattioli e Tomaso Binga, saranno accostati a quelli delle più giovani Martina Della Valle, Giulia Iacolutti, Moira Ricci, Alessandra Spranzi e Alba Zari.

BAGLIONI IN TOUR

RAVENNA | Claudio Baglioni torna a Ravenna con tre date del suo nuovo tour Piano di volo solo tris, in programma al teatro Alighieri il 28, 29 e 30 gennaio. La formula è quella di un concerto-racconto con l’artista unico protagonista della scena. Le canzoni, nelle versioni solistiche, ritornano nella dimensione essenziale e nuda nella quale sono state create e costruite dall’autore, quando erano ancora soltanto ‘sue’. Ogni brano è un tragitto, una rotta, un’andatura sorprendente. Baglioni era già stato nell’ex capitale bizantina nell’ambito dei tour Solo e Solo bis. I biglietti sono disponibili su TicketOne e nei punti vendita e nelle prevendite abituali (info: www.friendsandpartners.it).

FABRIZIO

SPECIALISTA DEL MERCATO IMMOBILIARE: PASSATO, PRESENTE E FUTURO

SAVORANI

Quando si dice nascere con il ‘pallino’ del mattone. È capitato al ravennate Fabrizio Savorani, da oltre quarant’anni nel campo delle intermediazioni immobiliari, fondatore e titolare insieme al fratello Giordano della Scor, una delle più note e storiche agenzie immobiliari di Ravenna. Pochi come lui –mediatore, consulente ed esperto di valori immobiliari – possono vantare una conoscenza così approfondita sul mercato della casa che ha conosciuto numerosi cambiamenti nel corso dei decenni. Il gruppo Savorani oggi conta, oltre alla sede storica Scor in via Garatoni, un secondo punto vendita Fratelli Savorani in via Piave, Cavour Casa in via Cavour, Gabetti Corporate in piazza Duomo e un secondo punto Gabetti in piazza Paul Harris e l’ufficio vendite a Casal Borsetti che dal 2003 gestisce le vendite dell’operazione Gruber (Ndr, delle 350 unità immobiliari ne sono rimaste solo 20).

Savorani, com’è nata la sua grande passione per l’immobiliare?

“Credo di averla avuta nel mio stesso Dna. Ho un ricordo nitido di quando ero bambino: mio padre, che era veterinario, comprò a Ravenna degli uffici-ambulatori e poi con un mutuo lungo riuscì ad acquistare altri immobili. La cosa mi affascinò enormemente, forse tutto è partito da lì. In concreto, la mia attività è cominciata nel 1979: quando ancora stavo frequentando l’università, sono entrato in un’agenzia immobiliare. Dopo appena tre mesi, ho capito che era il mio lavoro. Mi piacevano gli immobili e mi divertivo a conoscere gente di tutte le classi sociali con lo stesso sogno: comprarsi una casa.” Lei è stato precoce anche nel mettersi in proprio, un anno dopo, fondando l’agenzia Scor in due locali di via Garatoni… “Sì. I primi anni sono stati di rodaggio anche perché il mercato non era proprio florido, vista la crisi che attraversò il settore dal 1981 all’‘85. In quel periodo ne ho approfittato anche per laurearmi. La prima vera crescita è stata quando sono riuscito a convincere mio PROFILI

DI ROBERTA BEZZI
FOTO LIDIA BAGNARA

fratello Giordano, geometra, a lasciare un buon posto fisso alla Calcestruzzi per lavorare con me. Da quel momento abbiamo iniziato a spaziare in vari ambiti e ci siamo allargati progressivamente.”

Quali sono state le più grandi soddisfazioni?

“Avevo solo 28 anni quando Arietto Paletti, durante un convegno Fimaa a Milano, mi ha convinto a entrare nel consiglio. Un incarico che mi ha permesso di avere un osservatorio privilegiato sull’intero panorama immobiliare nazionale. Dopo aver avuto vari ruoli sindacali, oggi sono membro dell’ufficio studi di Fimaa Italia per cui realizzo, con l’analisi di Nomisma, il rapporto turistico immobiliare nazionale della federazione. Nel corso degli anni Novanta, ho avuto il piacere di conoscere il cavalier Gabetti che mi ha chiesto di aprire un ufficio in Romagna. Accettai la sua

LAVORA DA OLTRE

QUARANT’ANNI

NEL CAMPO DELLE INTERMEDIAZIONI IMMOBILIARI.

INSIEME AL FRATELLO GIORDANO, È

FONDATORE E TITOLARE

DELLA SCOR, UNA

DELLE PIÙ NOTE E STORICHE AGENZIE IMMOBILIARI DI RAVENNA.

proposta ma senza rinunciare alla mia Scor, aprendo 8 sedi in cinque anni da Ravenna a Imola. Nel tempo, mi è poi capitato di essere coinvolto nell’operazione immobiliare legata all’ex azienda Callegari a Ravenna, al progetto Porto Reno targato Gruber a Casal Borsetti, di avviare una trattativa importante con Mediobanca e di fare indagini di mercato in relazioni a situazioni complesse come il Cube Hotel o Palazzo degli Affari sempre in città.” Non solo case, dunque, ma progetti di ampio respiro. Guardando al presente, qual è a suo avviso la zona di Ravenna con più potenziale?

“Senza dubbio la Darsena, grazie all’acqua che arriva in centro storico, un bel vantaggio competitivo che in altre parti d’Italia e del mondo hanno saputo sfruttare. Ovviamente c’è tanto da fare perché l’area va tutta rifatta. Bisogna fare squadra. Alla Darsena ho sempre creduto, al punto da presentarla come caso concreto di studio già nel 2010, a una lezione che ho tenuto alla Luiss Business School di Roma. Ravenna è una capitale culturale dalla storia eccezionale con il mare a due passi, tutti elementi che, se spesi bene, possono portare lontano. Bisogna metterla in vetrina, fare un’importante operazione di marketing seguendo l’esempio francese e spagnolo. Per capire meglio in quale direzione andare, voglio fare un ragionamento: all’ultimo convegno di Scenari Immobiliari a Rapallo, sono emersi dati interessanti su calo demografico e hospitality. In Italia, come in Europa e persino in Asia, sono attesi forti cali di popolazione e un conseguente aumento degli over 65, persone in buona salute che vogliono vivere bene. Ravenna, quindi, potrebbe essere una meta interessante per il Nord Europa, dove sono molto diffusi i concetti di senior housing o senior living. Già sono stato contattato da qualche fondo immobiliare alla ricerca di città d’arte più che turistiche perché hanno vita tutto l’anno.”

Come valuta attualmente il mercato immobiliare ravennate?

“Si è ripartiti alla grande, dopo la profonda

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crisi del 2012 e il calo dei prezzi e delle compravendite, grazie ai vari bonus concessi dal governo nel post pandemia. Dopo il Covid la gente ha sentito ancor di più l’esigenza di case più vivibili, con terrazzi o giardini, e la propensione all’acquisto è aumentata anche grazie ai bassi tassi dei mutui. Con il rialzo di questi negli ultimi 6-10 mesi, il mercato ne ha risentito ma non si è mai fermato e nel 2025, può essere trainante per tutta l’Europa.”

Com’è cambiato oggi il lavoro di un’agenzia immobiliare?

“Anche se l’attività di intermediazione rappresenta sempre il core business, è sempre più necessario specializzarsi in altri servizi collaterali. Per quanto riguarda Scor, per esempio, oltre a offrire assistenza per mutui,

“LA ZONA DI RAVENNA CON PIÙ POTENZIALE È SENZA DUBBIO LA DARSENA, GRAZIE

ALL’ACQUA CHE ARRIVA IN CENTRO STORICO. UN BEL VANTAGGIO COMPETITIVO CHE IN ALTRE PARTI D’ITALIA

E DEL MONDO HANNO SAPUTO SFRUTTARE.”

aste e trattative particolari, realizziamo analisi approfondite per gli operatori immobiliari. Il mercato è difficile e non ci si può improvvisare perché i costi per la realizzazione di interventi sono sempre più alti e i margini sempre più risicati.”

A proposito di interventi immobiliari, il vostro gruppo è coinvolto nella promozione e commercializzazione del progetto Mi.Ra. di riqualificazione urbana di via Mingaiola… “Sì. Si tratta di un borgo che si sviluppa su 17 soluzioni abitative, sia appartamenti sia ville, distribuite in cinque palazzine con spazi ampi e confortevoli. Punti di forza dell’intervento, premiato come uno dei 20 Progetti Immobiliari d’Italia 2024, sono le ampie metrature, la presenza di finiture di qualità e la connotazione ‘green’ ed ecosostenibile.”

MADE

A FILETTO IL GELATO BUONISSIMO DELLA FAMIGLIA BORNEO

IN ROMAGNA

Nel cuore della Romagna c’è un’azienda giunta alla terza generazione che conserva lo spirito delle origini, sa innovarsi e continua a produrre un ‘Gelato buonissimo dal 1982’.

La Magic Gel non ha mai tradito il proprio slogan, da quando i fratelli Giovanni e Giuseppe Borneo decisero di cambiare vita e fermarsi nella campagna di Filetto con un’idea precisa in testa.

“Mio nonno e suo fratello,” racconta Francesco Borneo, 27 anni, “erano camionisti e, nonostante nel Ravennate non ci fosse una tradizione legata alla produzione del gelato, decisero di fermarsi, acquistando uno stabile adibito fino a quel momento a mangimificio. Puntarono da subito su materie prime locali selezionate, filiera corta e attenzione al territorio.” I Borneo divennero artigiani, ma con uno stile lieve che non dimentica mai il significato e la gioia che può dare un gelato ben fatto.

“Quando nacque la Magic Gel c’erano industrie di prodotti semi lavorati, senza vere e

proprie competenze gelatiere. Tutti i nostri prodotti sono frutto di ricette originali, non utilizziamo semilavorati, in questo modo produciamo gelati artigianali di alta qualità con un prezzo competitivo, dettato da un’organizzazione che ci permette di essere efficaci nei tempi ed efficienti nella produzione. Nel tempo è cambiata solo la produzione, da un piccolo mantecatore siamo passati a macchine di dimensioni semi industriali grazie all’ampliamento con un capannone di mille metri quadrati.”

Nei primi 20 anni la distribuzione dai bar è arrivata agli hotel, alla ristorazione e agli stabilimenti balneari sul mercato italiano, poi è sbarcata anche all’estero – Malta, Svizzera e Spagna su tutti – ma la ricerca di altre piazze continua. “Qui da noi il gelato è una coccola di fine giornata o un momento di incontro, all’estero si mangia un quantitativo pro capite doppio rispetto all’Italia, perché è considerato un alimento, anche nei paesi freddi. La nostra è una bella storia made in Italy,

FOTO MASSIMO FIORENTINI

produciamo il gelato italiano, senza dimenticare i gusti legati alla tradizione romagnola, penso alla zuppa inglese, allo zabaione, al mascarpone che rimangono quelli tra i più venduti.”

“PRODUCIAMO IL GELATO ITALIANO SENZA DIMENTICARE I GUSTI LEGATI ALLA TRADIZIONE ROMAGNOLA. PENSO ALLA ZUPPA INGLESE, ALLO ZABAIONE, AL MASCARPONE CHE RIMANGONO QUELLI TRA I PIÙ VENDUTI.”

IN APERTURA, DA SINISTRA, GINO BORNEO

E FRANCESCO BORNEO, OGGI ALLA GUIDA DELL’AZIENDA. IN ALTO, UNA MAGLIETTA BRANDIZZATA CON UNO SLOGAN IN DIALETTO ROMAGNOLO.

Così con distributori in Italia e all’estero, l’azienda dalla produzione spesso dettata da richieste ed esigenze specifiche dei singoli clienti, nel tempo si è imposta con il proprio brand. Nel 2013 arriva il primo negozio a Filetto, ne seguiranno altri due a Ravenna in via Circonvallazione Piazza D’Armi e a Forlì in viale Roma. “Cerchiamo di consolidare il nostro marchio facendo crescere il brand anche nell’incontro diretto con i consumatori. Abbiamo agenti distributori tramite i quali cerchiamo di creare relazioni durature con i clienti. La nostra è una tipologia di comuni-

cazione fresca e leggera, che deve rispecchiare l’anima del brand. Il gelato è un momento di spensieratezza, di relax, per noi non è mai stata coerente una comunicazione martellante. Crediamo nel passaparola. Facciamo un gelato buono, di qualità e la gente ne parla.” La sfida principale per chi produce gelati è la destagionalizzazione per mantenere alto il livello di occupazione tutto l’anno e non solo in primavera ed estate. E quando si accettano le sfide di un mercato sempre in evoluzione, rimanendo ancorati a saperi artigianali, il fattore umano è la risorsa più grande per un’azienda. “Il mondo cambia velocemente,” spiega Francesco Borneo, “ma le persone rimangono l’elemento fondamentale, per noi il posto di lavoro è luogo di crescita professionale. Abbiamo 15 dipendenti, che diven-

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Dalla prima infanzia alla terza età, offriamo una vasta gamma di servizi odontoiatrici di alta qualità per garantire la salute e la bellezza del tuo sorriso. Nel nostro poliambulatorio, dentisti esperti e tecnologie all’avanguardia sono a disposizione per intervenire su qualsiasi problematica dentale con tempestività e professionalità, offrendo cure su misura anche per persone odontofobiche. Empatia, delicatezza e clima disteso sono alla base del nostro operato.

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tano 23 in estate. Ci sono persone che lavorano qui da 30 anni e hanno contribuito alla crescita aziendale, hanno seguito ogni passo e ogni nuova esperienza. Per caso l’azienda è nata in campagna, siamo a metà strada tra Faenza, Ravenna e Forlì, l’80% della forza lavoro viene dalla zona e a Filetto siamo l’unica attività produttiva che dà lavoro.”

Per Borneo, l’azienda fin da piccolo era un luogo familiare e l’idea prevalente è sempre stata quella di esserne parte. “Ho studiato Economia e Commercio, ma l’anno della mia laurea papà è mancato ed è arrivata così la decisione di buttarmi subito in una realtà che conoscevo, ma in cui non avevo mai lavorato. Il mio socio che aveva 40 anni più di me mi ha instradato in un percorso di crescita. Eravamo in pieno Covid e abbiamo stretto i denti. Stiamo vivendo il passaggio generazionale, io mi occupo della pianificazione della

produzione, dei contratti con i fornitori, di budget e controllo di gestione. Seguo la parte amministrativa, il marketing e la comunicazione. Da un’azienda che lavorava per terzi siamo arrivati al rebranding e allo sviluppo di nuovi prodotti. In questo modo ci stiamo strutturando per crescere.”

Sorbetti, gelato in coppe, barattoli e vaschette, semifreddi, ghiaccioli sono alcuni dei prodotti iconici declinati in tanti gusti. Poi ci sono le torte dessert anche su ordinazione con la possibilità unica per il cliente di giocare con la fantasia e comporre il dolce scegliendo dimensioni, ingredienti, farciture, colore, creme, rifiniture e decorazioni. “Continuiamo a lavorare su nuove proposte, ora produciamo anche il gelato senza zucchero e lattosio, la sfida per noi è mantenere quello che abbiamo costruito andando incontro al futuro.”

L’AMORE

LA COMUNITÀ DI SUOR ANASTASIA, SUPERIORA DELLE CARMELITANE

CONDIVISO

Dolcezza, energia ed empatia. Sono le prime qualità che si avvertono stando vicini a suor Anastasia, la ravennate Caterina Cucca, 57 anni, oggi alla guida del convento delle monache Carmelitane di via Guaccimanni. La scelta del nome Anastasia, che vuol dire resurrezione, le calza a pennello, non solo per descrivere quello che è stato il suo percorso spirituale iniziato da giovanissima, ma anche per la capacità dimostrata in tutti questi anni di aiutare gli altri lungo il sentiero della rinascita. Sono tante le persone che le chiedono una preghiera, un consiglio, un conforto, un dialogo, dopo la messa o un momento di condivisione. Ad alcune di loro ha davvero cambiato la vita. “Il mio desiderio è di trasmettere la bellezza di questa esperienza d’amore,” ripete spesso. Ed è per questo che ha voluto togliere le grate di ferro dal monastero dieci anni fa per aprirlo alla comunità. Suor Anastasia è speciale anche negli interessi: ama lo sport, è stata una campionessa di tennis, e da decenni studia le lingue sacre in particolare

l’ebraico e il greco.

Suor Anastasia, è vero che da un anno ha ripreso a giocare a tennis?

“Sì, è stata dura ma in questi anni mi sono sempre allenata perché in monastero abbiamo una palestra. L’attività fisica mi aiuta a tirar fuori quella grinta che mi caratterizzava da ragazza e ora a contrastare anche l’osteoporosi.”

Lei ha giocato a tennis fino ai 16 anni, era una promessa a livello regionale. Com’è nata la passione per lo sport?

“Ho iniziato in realtà con il fioretto perché mia madre ci teneva che facessi uno sport di gruppo per relazionarmi con gli altri. A 10 anni sono passata al tennis, dove davo il massimo senza mezze misure, com’è nel mio modo di essere. Questa caratteristica di totalità mi ha poi accompagnato anche nell’attività con gli scout e nella scelta religiosa.”

Poi si è iscritta al liceo scientifico a indirizzo linguistico di Lugo e, grazie a un programma di scambio, ha fatto il terzo anno

DI ROBERTA BEZZI
FOTO MASSIMO FIORENTINI

in California, negli Usa. Oltreoceano è accaduto qualcosa di molto speciale. Può raccontarlo?

“Ho sentito per la prima volta dentro di me un cambiamento radicale, la presenza di Dio. Decisivo è stato l’incontro con una insegnante di biologia, protestante, che riusciva a esprimere la fede in modo molto naturale, come se fosse parte integrante della vita. Durante un pranzo insieme in un fast food mi ha parlato della sua esperienza e mi ha letto un passo della Bibbia, del Nuovo Testamento, che diceva: ‘Il Signore ha cura di te’. In quell’istante, è scattato qualcosa, ho avuto la rivelazione di quell’amore che cercavo. Custodisco ancora gelosamente la Bibbia che mi ha regalato.”

Cos’è per lei la fede?

“Sono innamorata di Dio, la mia vita è un’opera d’amore. Il mio desiderio è trasmettere la bellezza di questa esperienza d’amore.”

Lei crede che sarebbe andata diversamente senza quel viaggio negli Usa?

“Vivevo già dentro di me, come tutti gli adolescenti, questa ricerca di un amore in grado di dare un senso al mio essere, questo bisogno di essere amata. Forse avrei comunque trovato quella risposta.”

Lei è entrata in convento nel 1987, a 20 anni. Non deve essere stato facile…

“Eravamo 30 suore, la maggior parte di loro già anziane. È stato un lavoro enorme di scavo e di ascolto dentro di me. Domare la mia vitalità è stato difficile. Vangavo e zappavo nell’orto, facevo palestra e sfasciavo regolarmente un punching ball cucito dalle suore. Ero e sono sempre tormentata, la scelta di stare qui non è mai scontata. Il consegnarmi totalmente a Dio è stato un modo per catalizzare le mie energie.”

Lei ha iniziato con la clausura, con le grate di ferro in chiesa e nel parlatoio. Ma nel 2014 è riuscita ad aprire il monastero alla città. Come ci è riuscita?

“L’esigenza è stata per fortuna condivisa da gran parte delle sorelle. Non potevamo usci-

CON DOLCEZZA, ENERGIA ED EMPATIA, AIUTA LE PERSONE LUNGO IL SENTIERO DELLA RINASCITA. DOPO ESSERE STATA UNA CAMPIONESSA DI TENNIS, HA TROVATO LA FEDE DURANTE UN ANNO SCOLASTICO NEGLI USA.

re se non per visite mediche, andare a votare o gravi problemi familiari. Togliere le sbarre ha significato aprirsi maggiormente alla comunità. Anche prima le persone venivano a messa, ma poi abbiamo iniziato a condividere non solo la preghiera, ma anche momenti di vita, di studio e lavoro, e anche uscite tipo pellegrinaggi in mezzo alla natura che dà respiro. Il nostro refettorio si è trasformato in una tavola di famiglia che accoglie invitati.”

Oggi in convento siete rimaste solo in 9 suore. La più giovane è del 1976, due sorelle hanno oltre i 90 anni. Come si può combattere la crisi di vocazione?

“Con l’apertura, con il dialogo, con l’esperienza viva di incontro con Dio. Questa è la

carta vincente, non più certamente la preghiera dietro le sbarre. Per questo abbiamo aperto una piccola scuola di iconografia bizantina e avviato rapporti con i licei e l’università, gli scout e gruppi di catechismo, accogliendo classi per la preghiera contemplativa silenziosa e attività varie. Da qui sono passati decine e decine di ragazzi, di cui abbiamo avvertito tutto lo struggimento legato a tempi non facili. Serve uno sforzo in più per meglio capire e coinvolgere i giovani di oggi, per adattare a loro il linguaggio spirituale.”

Qual è il suo sogno?

“Tornare in America dove tutto è cominciato. Spero di poter fare presto questo emozionante viaggio.”

A SCUOLA

LE ORIGINALI ATTIVITÀ DEL PROGETTO PEDAGOGICO KID LIGHTS

DI MAGIA

Ogni cosa è illuminata. Soprattutto se la si guarda attraverso il filtro della magia. Che non è certo l’illusione, il ‘trucco’, bensì la possibilità di esprimere i propri talenti, emozioni, fantasie e paure, senza il timore di essere giudicati. Non è un caso

che l’associazione no profit Kid Lights di Ravenna sia nata proprio nel momento difficile della pandemia durante il quale tutti sono stati obbligati a riscrivere i rapporti e le relazioni con gli altri, confrontandosi con nuove liturgie e gestualità e imparando

ad affrontare una ridda di sentimenti fino ad allora sconosciuti. La lontananza, le attività da remoto, la mancanza spesso di abbracci hanno contribuito a creare un lungo e forzato distacco affettivo e fisico dalla realtà.

“Inizialmente avevamo pensato di organizzare alcuni eventi che riavvicinassero i bambini alla natura e alla socializzazione attraverso un’esplorazione sia dei propri talenti che delle emozioni, per cercare così di ripristinare il loro equilibrio, ma dopo il successo della nostra prima ‘lucciolata’ abbiamo esteso le attività ad altri percorsi,” racconta Chiara Pezzi, co-fondatrice con Silvia Santucci di Kid Lights. Due professionalità differenti ma complementari che si sono unite in un singolare progetto pedagogico: Chiara è innovation manager, mentre Silvia si occupa di yoga e mindfulness per bambini. Nel tempo si sono aggiunti altri professionisti in vari ambiti per creare così un team multidisciplinare

La Scuola per apprendisti maghi e streghe, inserita da Kid Lights anche all’interno dei corsi del CRE (Centri Ricreativi Estivi), è diventata così la metafora di una trasformazione personale:

DI ALESSANDRA ALBARELLO
FOTO MASSIMO FIORENTINI

“Il CRE è nato come una sfida, volevamo creare una vera e propria esperienza educativa, avvalendoci dei giochi di ruolo e seguendo quindi la metodologia edu-larp, già ampiamente adottata all’estero. Abbiamo poi scelto il contesto della scuola di magia, particolarmente attrattivo per i bambini dai 4 ai 12 anni, alternando dei momenti legati alla trasformazione e al riconoscimento delle emozioni ai laboratori STEM. Il tutto all’interno di una storia, i cui ‘capitoli’ si snodano nel corso di diverse settimane.” Equipaggiati di un kit composto da zainetto, bacchetta, mantello, cappello o bandana e indossando la maglietta che loro stessi hanno decorato con stencil, ogni mattina, come se fossero alla famosa scuola di Hogwarts di Harry Potter, i partecipanti ricevono il programma delle attività della giornata. Tra queste la preparazione di pozioni ‘magiche’ come l’antizanzara, oppure le lezioni di ‘erbologia’ o ancora la lettura di testi anche impegnativi, tra cui l’Orlando Furioso dell’Ariosto. La trama della storia si intreccia poi ai luoghi più significativi di tutta l’area del Ravennate, creando un legame forte con la città. Ad

“SIAMO IN MEZZO A

UN CAMBIAMENTO IMPORTANTE. FORSE È UN’UTOPIA MA CI PIACEREBBE

CONDIVIDERE QUESTO

NOSTRO MODELLO

EDUCATIVO CON ALTRI INSEGNANTI, EDUCATORI E FORMATORI. CAMBIARE SI PUÒ.”

esempio, nel Giardino delle Erbe Dimenticate si cercano gli indizi che porteranno a rintracciare il nascondiglio di una creatura magica, e così alla Rocca Brancaleone (che ospita anche il CRE), mentre i mosaici di S. Apollinare in Classe offrono uno spunto di riflessione per capire che esistono diverse prospettive da cui osservare la realtà.

“In questo momento i bambini sono molto combattuti sul giudizio e ogni cosa che affrontano deve essere categorizzata: bella o brutta, giusta o sbagliata, buona o cattiva. Quello che cerchiamo di dirgli è ‘dipende da come

la guardi’, perché ci sono altri aggettivi per descrivere una situazione e a volte si può anche sbagliare. Vorremmo quindi portarli fuori da un rigido paradigma educativo che ha caratterizzato gli ultimi tempi,” spiega Chiara. La magia è il fil rouge anche delle altre attività, tra cui il doposcuola per allievi dalla quarta elementare alla terza media alla biblioteca Olindo Guerrini, oppure gli eventi organizzati alle Case Franche di Villafranca di Forlì che si svolgono a cadenza mensile nel corso di 6 weekend, da ottobre a maggio 2025. Sempre a ottobre, al Parco Teodorico, viene organizzato un campo di zucche misteriose, mentre a novembre, accompagnati dai propri genitori, i bambini potranno partecipare alla ‘Cena con delitto’ alla Rocca. Si svolgono invece tutto l’anno, una volta al mese, i pigiama party ospitati dal Centro Giovani Valtorto. “Siamo in mezzo a un cambiamento importante. Stanno cambiando i bambini e i genitori,” dice Chiara Pezzi, e prosegue: “Forse è un’utopia ma ci piacerebbe condividere questo nostro modello educativo con altri insegnanti, educatori e formatori. Cambiare si può.”

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IL FUOCO

L’INTENSO PERCORSO ARTISTICO DELL’ATTORE ALESSANDRO RENDA

DENTRO

Alessandro Renda, attore ravennate che può già vantare una carriera con tanti successi. Lo incontriamo per conoscerlo meglio come artista e come persona. Aperto, diretto, entusiasta delle esperienze fatte, fin dalle prime battute si capisce che sa quello che vuole. “Ero un bambino, alle scuole elementari, e già mi piaceva imparare a memoria le poesie,” racconta. “In occasione delle recite, volevo interpretare più parti, ero ‘ingordo’, una passione che è cresciuta sempre di più. Al liceo volevo fare la non-scuola di Martinelli ma ho trovato posto solo negli ultimi due anni di liceo, finalmente!” Gli occhi di Alessandro sono molto vivaci e rivelano grande volontà e passione. Il debutto lo vede nel Teatro delle Albe, coinvolto nello spettacolo I Polacchi, testo e regia di Marco Martinelli, ispirato all’Ubu re di Alfred Jarry. I ‘palotini’, il gruppo di giovani attori di cui faceva parte, ebbero una

ALESSANDRO

RENDA INIZIA LA SUA CARRIERA NEL

TEATRO DELLE ALBE, CON LO SPETTACOLO

I POLACCHI, DI MARCO

MARTINELLI. NEGLI

STATI UNITI È STATO

PROTAGONISTA DI UNA

LUNGA TOURNÉE CON

RUMORE DI ACQUE

nomination come ‘Miglior attore under 30’ per i Premi Ubu 1999. Lo spettacolo raccolse molto successo, anche internazionale, dal Portogallo all’Iran e con tournée in Francia, Germania e Svezia. “Questo è stato il primo passo,” racconta Alessandro. “Poi da dodici ‘palotini’ rimanemmo in quattro e proseguimmo, sempre sotto la guida di

Martinelli ed Ermanna Montanari. Posso dire che il lavoro di preparazione di un anno, molto impegnativo, corrispondeva a un anno di Accademia.”

Renda interpretò, in seguito, Sogno di una notte di mezza estate, riscrittura da William Shakespeare di Martinelli che fu presentato alla Biennale di Venezia. Era l’anno 2002. Parallelamente alla carriera di attore, porta avanti quella di guida nei laboratori della non-scuola e inizia anche a girare dei video partendo da Athens 1600 dallo spettacolo Sogno di una notte di mezza estate. In seguito cura l’area video delle Albe digitalizzando tutte le riprese di archivio della compagnia con riferimento agli anni Ottanta-Novanta. Col passare del tempo viene sempre più coinvolto, segue e documenta l’allestimento di una nuova versione de I Polacchi con un gruppo di studenti africani della Senn High School, che debutta al Museum of Contemporary Art

DI ANNA DE LUTIIS
FOTO MARCO PAROLLO

EDUCATORE, REGISTA E VIDEOMAKER, HA IDEATO E CO-DIRETTO LO SPETTACOLO HERETHEREWHERE. CON NEPHESH, CI PORTA IN UN SILENZIOSO PERCORSO ATTRAVERSO I MONUMENTI DEL CIMITERO DI RAVENNA.

IN QUESTE PAGINE, ALESSANDRO RENDA, ATTORE, EDUCATORE E REGISTA.

di Chicago. Un momento molto importante lo vede protagonista del poema in versi scritto e diretto da Martinelli e musicato dal vivo dai Fratelli Mancuso, Rumore di acque, un intenso monologo che trasfigura in grottesca e malinconica poesia la cronaca tragica dei barconi alla deriva nel Mediterraneo. Lo spettacolo, ancora in repertorio, è stato al centro di una tournée che ha attraversato tutta l’Italia con diverse tappe in Europa e Stati Uniti e ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International. E proprio negli Stati Uniti Alessandro diventa protagonista di una lunga tournée (New York, New Jersey, Chicago) interpretando Rumore di acque che divenne Noise in the Waters e collaborando con il musicista Guy Klucevsek. In occasione della lunga permanenza di Rumore di acque a La Mama Theatre di New York, è guida di Heresy of Happiness (diretto da Martinelli) e lavora con gli studenti de La Scuola d’Italia Guglielmo Marconi e della Corpus Christi School di Manhattan. Tornato in Italia, a partire dal 2017, interpreta vari personaggi nella Chiamata pubblica della Divina Commedia nelle tre cantiche: Ulisse in Inferno, Marco Lombardo in Purgatorio, Giustiniano in Paradiso. Intensa anche la sua recente attività.

“A settembre il Ridotto del teatro Rasi ha ospitato HereThereWhere, uno spettacolo ideato e diretto da me insieme a Mark

Anderson e Isabelle Kralj, fondatori della compagnia statunitense Theatre Gigante. Con loro era già in programma un lavoro che la pandemia ci ha impedito di portare in scena. In HereThereWhere, lo dice già il titolo,” precisa Renda, “raccontiamo lo smarrimento esistenziale che abbiamo vissuto con la pandemia e non solo.” La storia si rifà ai modelli del teatro dell’assurdo di Ionesco e Beckett: i tre protagonisti hanno ricevuto un enigmatico invito a una festa di cui ignorano giorno, luogo, orario e mittente. I tre iniziano a scervellarsi per capire se il non andare potrebbe offendere qualcuno, ma chi? Lo spettacolo ha già debuttato con successo a maggio negli Stati Uniti.

Infine Nephesh, parola ebraica

che vuol dire ‘soffio’, ‘respiro’, ‘anima’, ‘vita’, è l’ultimo lavoro, testo scritto con Tahar Lamri e sonorizzato da Antropotopia, che nelle prime settimane di ottobre ha visto gruppi di 20 persone seguire l’autore in un silenzioso percorso attraverso i monumenti del cimitero di Ravenna. “Il cimitero,” spiega, “nei momenti di incertezze che stiamo vivendo, si mostra come lo spazio sicuro in cui accettare e accogliere questa fase dell’esistenza con la dovuta serenità o lucidità. Oltre a essere un luogo di memoria, di preghiera, di riflessione sulla transitorietà della vita, rappresenta quell’incontro tra passato e presente, tra vita e morte. È un varco tra coloro che ci hanno preceduto, noi stessi e coloro che verranno.”

PH MASSIMO FIORENTINI

ESPERIENZE. OSPITALITÀ. IDENTITÀ.

MOMENTI DA RICORDARE, CON GUSTO.

I ristoranti Benso, Locanda Appennino e Osteria La Casetta uniscono un’atmosfera elegante ma sobria a una cucina di alto livello dal cuore romagnolo, reinterpretata con un tocco di modernità. Tre locali per ogni occasione, in cui condividere momenti preziosi che vanno incontro ad ogni gusto: dalla ricercatezza culinaria del “Benso”, situato all’interno di un grazioso giardino pubblico nel centro di Forlì, alla pizzeria e ai piatti della tradizione, in un casale rurale dell’“Osteria la Casetta”, fino ai pranzi e alle cene con materie prime di alta qualità, frutto di un attenta ricerca sul territorio, e al soggiorno con vista sulle verdi colline romagnole, di “Locanda Appennino”.

Piazza Cavour 7, Forlì (FC) Tel. 346 116 7238
Via Strada Nuova 48, Predappio (FC) Tel. 0543 922589
Via Provinciale 111, Fiumana (FC) Tel. 0543 093510

BENESSERE

YOGA

GRAZIELLA FRASSINETI RIVELA COME PRODURRE FELICITÀ

DELLA RISATA

La storia di Graziella Frassineti è davvero speciale: una vita rivolta verso l’altro, come lavoratrice nel settore della prevenzione e diagnosi precoce, oggi quasi settantenne e assistente coordinatrice in pensione alla Ausl Romagna. Graziella racconta di aver sempre creduto fortemente nell’integrazione tra medicina tradizionale e medicina olistica complementare quando un giorno di 13 anni fa incontra lo yoga della risata, che definisce “la scoperta di una possibilità di benessere, semplice, potente, da applicare alla vita di tutti i giorni.” Gioia, respiro, risate, giochi, sono gli strumenti di questo insegnamento per avere una qualità di vita quotidiana migliore per sé e per gli altri.

Cos’è lo yoga della risata?

“È un’idea rivoluzionaria di un medico di base indiano, il dottor Madan Kataria, nata nel marzo 1995 in India, grazie alla quale si ride senza motivo, senza l’utilizzo di barzellette o battute, senza la visione di film comici. Si ride attraverso degli esercizi di risate, in gruppo, guardandosi negli occhi e tornando un po’ bambini, cioè recuperando entusiasmo e capacità di divertirsi e giocare. Inoltre si recupera l’attenzione alla

respirazione, in quanto la risata non è altro che un’espirazione molto profonda e continuata.”

A chi si rivolge e perché produce felicità?

“È accessibile a tutti, grandi e piccoli. Le sue applicazioni sono molteplici: a scuola e con i bambini, nei contesti assistenziali e di cura con gli anziani, sessioni

DI MASSIMO MONTANARI FOTO MASSIMO FIORENTINI

DOPO UNA VITA

RIVOLTA VERSO

L’ALTRO, 13 ANNI FA

GRAZIELLA FRASSINETI

INCONTRA LO YOGA

DELLA FELICITÀ

CHE DEFINISCE

“LA SCOPERTA DI UNA POSSIBILITÀ DI BENESSERE, SEMPLICE, POTENTE.”

BENESSERE

con malati, con i disabili, nelle palestre, centri yoga e centri benessere, fino a un’applicazione sempre più diffusa nella gestione dello stress in azienda e il team building. Il nostro corpo non distingue la differenza tra una risata che scegliamo di fare, una risata autoindotta, una risata intenzionale e una spontanea. Riesce a produrre la stessa chimica della felicità: gli ormoni del benessere che aumentano e gli ormoni dello stress diminuiscono.”

Dove si pratica nel mondo? E a Ravenna?

“Lo yoga della risata è presente in oltre 100 stati, tutti i 5 continenti sono mappati dal Club della Risata e sessioni di yoga della risata sono in continua espansione nel mondo. Da oltre 10 anni, come volontaria, tengo incontri di yoga della risata al centro sociale San Rocco-Baronio di Ravenna.”

Può raccontare un’esperienza che l’ha particolarmente colpita?

“Trainata da questa pratica, che ad ogni puntata presentavo con l’obiettivo di far conoscere la disciplina, nel 2016 ho vinto la finale de La prova del cuoco, il programma culinario di Antonella Clerici, e al mio ritorno, mentre facevo la spesa, una giovane madre mi ha raccontato che suo figlio disabile aspettava le mie risate in tv per ridere insieme. Questo è stato molto gratificante per me.”

Com’è la risposta delle persone che si avvicinano a questa pratica per la prima volta?

“I nuovi partecipanti agli incontri all’inizio restano perplessi perché ridere senza motivo sembra sciocco e senza senso, ma poi continuando entrano nello spirito interiore dello yoga della risata e ne traggono beneficio immediato sentendosi alla fine più rilassati, sereni, più positivi e di buonumore.”

Come si svolge tipicamente una sessione di yoga della risata?

“Si seguono i 4 elementi della gioia: danza, risata, musica e gioco, oltre alla respirazione yogica addominale e al rilassamento finale, dopo 10 minuti di risata liberatoria, definita meditazione della risata’, infine il rilassamento guidato con visualizzazioni. Si può praticare con un numero imprecisato di persone, avendo lo spazio idoneo disponibile. Con un gruppo numeroso l’energia che si scatena è incredibile, ma è possibile farlo anche con una sola persona, se questa ha necessità di ridere noi trainer siamo disponibili.”

Ci sono consigli per chi è alle prime armi e ha difficoltà a lasciarsi andare?

“Come ripeto sempre, bisogna avere fede e continuare almeno per quattro incontri anche solo sorridendo, respirando e rilassando, riportando alla memoria il proprio bambino interiore dimenticato.”

Un sogno per il futuro?

“Ho avuto il privilegio di insegnare yoga della risata come tecnica antistress al personale della Ausl Romagna per 8 anni, dal 2012 al 2019, e i benefici prodotti da questa tecnica sono documentati con l’abbassamento del livello di stress di oltre l’80% dopo gli incontri. Il mio sogno è la stanza del benessere in ogni ospedale: un luogo dove, sia pazienti che familiari, che dipendenti, possano trovare conforto ogni giorno sia con lo yoga della risata che con altre tecniche olistiche scientificamente riconosciute.”

Ha un messaggio finale che vorrebbe condividere?

“Come diceva il dottor Madan Kataria: se tu ridi tu cambi, se tu cambi cambia il mondo intorno a te. Porta il tuo corpo a ridere e la tua mente lo seguirà. Felice vita e che la gioia ci perseguiti.”

L’ ARREDO PROGETTATO A MISURA

ADVERTORIAL

ORIGINAL PARQUET

TRA INNOVAZIONE E CREATIVITÀ

ORIGINAL PARQUET DI ALFONSINE, AZIENDA NATA UFFICIALMENTE NEL 1994, È OGGI LEADER IN EUROPA NELLA PRODUZIONE DI PAVIMENTI IN LEGNO GRAZIE ALL’ALTA ARTIGIANALITÀ.

Grazie all’alta artigianalità, che si traduce nella cura dei dettagli e nell’alta qualità delle personalizzazioni e delle finiture, Original Parquet di Alfonsine (Ravenna) è oggi leader in Europa nella produzione dei pavimenti in legno da interno e da esterno. L’azienda è stata fondata nel 1994 da Roberto Ballardini che, già dal 1979, era attivo nel settore dell’edilizia, occupandosi di vendita di materiali edilizi, piastrelle e cucine. Proprio in quegli anni Roberto, spinto da una grande passione per il le-

gno, ebbe l’idea di aggiungere i parquet alle classiche piastrelle. Oggi, a portare avanti l’attività insieme al padre, è il giovane Giovanni Ballardini (classe 1992), esponente della terza generazione, che racconta le fasi salienti dello sviluppo aziendale, con un occhio di riguardo per i principali cambiamenti avvenuti nel corso degli anni. Ballardini, qual è stato il primo importante passo di Original Parquet?

“La costruzione di un magazzino

in via dell’Artigianato 18, dove tuttora siamo ma con una sede triplicata. All’inizio l’azienda si occupava di vendita all’ingrosso di pavimenti in legno con essenze esotiche, in prevalenza teak, doussiè e rovere massello. Gli ottimi risultati hanno portato presto al raddoppio del magazzino e all’acquisto di macchinari per avviare una linea di finitura per produrre i pavimenti ed essere quindi più indipendenti.”

Un importante cambiamento è poi avvenuto all’inizio degli anni Duemila. A cosa si deve? E quali sono state le scelte decisive del decennio successivo?

“All’esplosione sul mercato dei pavimenti prefiniti, in cui solo lo strato superficiale è in legno nobile per avere prezzi più competitivi, versatilità e personalizzazione. Così, abbiamo cominciato a lavorare soprattutto il rovere, particolarmente apprezzato dalla clientela perché può essere verniciato dal tono più chiaro a quello più scuro a secondo dei vari gusti. Tra il 2010 e il 2015 poi, con l’acquisto di una pressa, una sezionatrice e di una troncatrice ad arricchire la dotazione di macchinari industriali, siamo riusciti a diventare completamente autonomi realizzando l’obiettivo del ciclo completo di costruzione del pavimento in legno. L’attenzione alle nuove tecnologie ha poi portato, tra il 2019 e il 2021, all’ingresso di nuovi macchinari per migliorare la qualità e la definizione di finitura.”

L’ultimo gioiello di Original Parquet, dopo il laboratorio artigianale, è stato il grande show-room

GIOVANNI BALLARDINI: “DA PRODOTTO DI NICCHIA IL PARQUET È DIVENTATO UN PRODOTTO TOP SCELTO

QUASI SEMPRE IN CASO DI RISTRUTTURAZIONE.

LE PERSONE AMANO VALORIZZARE GLI

AMBIENTI DOMESTICI

CON IL LEGNO CHE DONA CALORE E COMFORT.”

di via del Lavoro 4 di oltre mille metri quadrati. Di cosa si tratta?

“Di una vera e propria esposizione-museo a disposizione di clienti e professionisti provenienti da tutta Europa e dal mondo. Duplice è la sua funzione: punto vendita importante anche per il territorio e luogo di incontro per clienti e agenti italiani esteri, adatto anche a conferenze e corsi di formazione per architetti durante gli Original Parquet Day Durante la pandemia lo showroom ha iniziato a lavorare su appuntamento con clienti e procacciatori, poi è diventato loca-

tion ideale per l’organizzazione di vari eventi. D’altra parte l’azienda vende direttamente all’utente finale solo in provincia di Ravenna, mentre in tutte le altre zone d’Italia e del mondo tramite una rete di rivenditori.”

È corretto dire che l’interesse verso il pavimento in legno sia cresciuto notevolmente nel corso degli anni?

“Sì. Da prodotto di nicchia è diventato un prodotto top scelto quasi sempre in caso di ristrutturazione. A dare una forte accelerazione è stata proprio la pandemia, grazie alle varie agevolazioni

fiscali: nell’ultimo anno e mezzo la domanda è addirittura triplicata. Restando più a lungo a casa, molte persone hanno pensato di valorizzare gli ambienti domestici con il legno che dona calore e comfort. ”

Perché la vostra clientela continua a scegliere Original Parquet?

“Anzitutto perché l’azienda rispetta l’ambiente come dimostrato anche dalle varie certificazioni specifiche ottenute nel corso del tempo come FSC e PEFC, senza contare poi che i prodotti sono rigorosamente made in Italy, in quanto realizzati

nello stabilimento di Alfonsine, dalla pressatura al packaging finale, con un completo controllo di filiera. L’azienda poi continua a investire nella ricerca a livello di tecnologia e impiantistica seguendo la regolamentazione vigente Industria 4.0. I nostri pavimenti si distinguono anche per la versatilità: grazie alla loro durezza, elasticità, resistenza a usura ai graffi, possono essere impiegati in qualsiasi ambiente. Il legno nobile che costituisce le plance, compreso tra 3 e 4 mm, garantisce infine ai pavimenti di durare per tutta la vita.”

LE GRANDI

DALLA FONDAZIONE

ALLA GLORIA

FINO ALLA

LORO CADUTA

ABBAZIE

“Ed ecco, come le celebri 4 abbazie ravennati, che davano tanto lustro, e decoro alla città, e che impiegarono una gran parte de prodotti de loro propri fondi in sollievo de poveri, e delle arti, in poco d’ora furono barbaramente annichilate dalla moderna Filosofia, dall’Invidia, dall’Interesse, dall’Egoismo.”

I toni veementi con cui Benedetto Fiandrini, nella sua cronaca degli eventi cittadini del 1798, commentava la soppressione delle abbazie di S. Apollinare in Classe, S. Vitale, S. Maria in Porto e S. Giovanni Evangelista, decretata dal governo giacobino, erano più che comprensibili, essendo egli stesso un monaco di S. Vitale. Tuttavia, al di là della sua vicenda personale, erano anche oggettivamente fondati. Per quasi mille anni le quattro grandi abbazie erano state uno dei pilastri della vita non solo religiosa, ma anche economica, sociale e culturale di Ravenna. E difatti, il segno lasciato nella storia della città da queste isti-

tuzioni fu tanto profondo che la loro eredità è tuttora ben tangibile, soprattutto sul piano architettonico e ambientale.

Quella delle quattro abbazie era una vicenda che affondava le sue radici nell’alto Medioevo. A Classe, ad esempio, l’esistenza di un monastero benedettino è attestata già nell’VIII secolo, anche se una svolta fondamentale si ebbe nel 1138 con l’affidamento ai Camaldolesi, l’ordine fondato circa un secolo prima dal ravennate san Romualdo. Quello di Classe fu un esempio classico (si perdoni il gioco di parole) di fondazione monastica, che prevedeva un ascetico isolamento in un contesto separato dal consorzio umano. In deroga a questo principio esistevano però anche monasteri collocati all’interno delle città. Si spiega così il fatto che, a partire dal X secolo, abbiamo notizia dell’esistenza delle comunità monastiche di S. Vitale e di S. Giovanni Evangelista, entrambe appartenenti

DI ANDREA CASADIO
FOTO MASSIMO FIORENTINI

PER QUASI MILLE ANNI LE QUATTRO ABBAZIE S. APOLLINARE IN CLASSE, S. VITALE, S. MARIA IN PORTO E S. GIOVANNI EVANGELISTA SONO STATE UNO DEI PILASTRI DELLA VITA RELIGIOSA, ECONOMICA, SOCIALE E CULTURALE.

all’ordine benedettino. Del tutto peculiare fu poi la vicenda di S. Maria in Porto Fuori, la chiesa fondata nel XII secolo sul luogo della miracolosa comparsa dell’immagine della Madonna Greca da Pietro Peccatore, che poi vi fondò una comunità di canonici denominati appunto Portuensi.

Naturalmente, le quattro abbazie non erano le uniche della Ravenna medievale. Furono però quelle che, anche grazie al sostegno di papi, imperatori e arcivescovi, emersero col tempo come le più ricche e potenti. Grazie all’assorbimento di monasteri minori, alle donazioni dei cittadini e all’oculata gestione economica accumularono patrimo-

ni fondiari assai vasti: Classe, ad esempio, aveva possedimenti soprattutto nel territorio a sud della città, S. Vitale a nord, S. Giovanni Evangelista nel ferrarese e nel cervese, S. Maria in Porto a sud e a ovest.

Questa prima fase di gloria cominciò a incrinarsi a partire dal Duecento, quando anche le abbazie ravennati furono investite dal generale stato di crisi in cui cadde in quei secoli il monachesimo europeo. Fu in tale contesto che, soprattutto nel Quattrocento, furono oggetto di azioni di riforma che spesso portarono anche a un mutamento degli ordini affidatari: i Portuensi, ad esempio, si fusero con un’altra congregazione dando vita a quel-

la dei canonici Lateranensi. Fu però con la svolta del Cinquecento, in concomitanza col ritorno di Ravenna sotto la dominazione pontificia dopo la parentesi veneziana, che iniziò per loro una nuova età d’oro Questo rinnovato prestigio si concretizzò innanzitutto in un grande fervore architettonico, che coinvolse in primo luogo i due monasteri extraurbani. Sia Porto sia Classe, infatti, abbandonarono la loro isolata e insalubre collocazione originaria per costruire nuove e prestigiose sedi in città. I lateranensi iniziarono allora a edificare il palazzo della Loggetta Lombardesca e poi la grande chiesa adiacente, mentre i camaldolesi diedero il via al

FU UN TRAUMA PER LA CITTÀ QUANDO, IL 21 AGOSTO 1798, I DELEGATI DEL GOVERNO GIACOBINO SI PRESENTARONO ALLE PORTE DEI QUATTRO MONASTERI CON IL DECRETO CHE INTIMAVA AGLI ULTIMI OCCUPANTI DI SGOMBERARLI.

cantiere che nel corso dei secoli, con successive aggiunte, avrebbe costituito l’attuale complesso della biblioteca Classense. Ma anche i due monasteri già esistenti furono ricostruiti in forme rinascimentali.

L’imponenza architettonica dei nuovi edifici era lo specchio del ruolo sempre più dominante che le abbazie rivestivano nella vita della città. Accanto alle vaste tenute agricole, fin dal Medioevo esse erano usufruttuarie (di fatto proprietarie) anche delle pinete, che si impegnarono a valorizzare e ad estendere, tanto che alla fine del Settecento la fascia boschiva, divisa in successione nord-sud nelle quattro pinete di S. Vitale, Porto, Classe e S. Giovanni, procedeva ininterrotta dal Lamone al Savio. Esse erano inoltre uno dei fulcri della vita culturale della

città. Classe, fra il Seicento e il Settecento, era probabilmente quella di maggior prestigio in questo senso, grazie all’opera dell’abate Pietro Canneti che vi fondò l’accademia dei Concordi e vi edificò la sontuosa Libreria. Ma anche S. Vitale annoverò la presenza dell’abate Pietro Paolo Ginanni, storico ed erudito settecentesco, e alla fine di quel secolo fu sede di un importante museo medico-chirurgico. Alla luce di tutto questo ben si spiega il trauma che percorse la città quando, quel 21 agosto 1798, i delegati del governo giacobino si presentarono alle porte dei quattro monasteri con il decreto che intimava agli ultimi occupanti di sgomberarli e ne incamerava i beni nella casse pubbliche.

Negli anni seguenti il destino che li attendeva sarebbe stato

molto diverso. Il più fortunato fu quello di Classe, dove il Comune accentrò le istituzioni culturali cittadine, compresa la biblioteca che vi ha sede ancor oggi. Il più infelice fu invece quello di S. Giovanni Evangelista, di cui resta solo un moncone perché fu in parte immediatamente smantellato, e poi ulteriormente danneggiato dai bombardamenti del 1944. S. Vitale e S. Maria in Porto furono a lungo adibiti a caserma, per poi trovare una degna destinazione rispettivamente come sede del Museo Nazionale e del Museo d’Arte.

Quanto alle pinete, cadute sotto la mannaia ‘bonificatrice’ quelle di Porto e di S. Giovanni, restano quelle di Classe e di S. Vitale a perpetuare la memoria dei monaci che tanta parte hanno avuto nel corso di mille anni di storia ravennate.

SLIDING

CARLOTTA RAGAZZINI MEDAGLIA

DI BRONZO ALLE

PARALIMPIADI

DOOR

La grande impresa, il sogno che si avvera, la medaglia di bronzo alle Paralimpiadi di Parigi di Carlotta Ragazzini nasce nel modo più casuale e inatteso possibile. Dal rumore di una pallina udito al piano di sopra dove, coordinate da Davide Scazzieri, presidente della società Sport è Vita, si svolgevano attività ricreative per i pazienti e per gli ex degenti, nel centro di unità spinale di Montecatone. Lì la 23enne pongista di Reda, allora poco più che adolescente, stava seguendo il suo percorso terapeutico per affrontare le conseguenze di un cavernoma midollare, manifestatosi quando aveva un anno e mezzo.

“Non so se quel momento è stata la mia sliding door,” dice, “però è vero che alcune volte trovi le cose quando non le cerchi. Sono andata a vedere, attratta da quel rumore, ed è stata una folgorazione, un momento importante perché altrimenti non avrei pensato a questa prospettiva. Non avevo mai fatto sport agonistico prima di allora e non conoscevo il tennistavolo. È stato tutto decisamente casuale.” Ma è stata la fortuna di Carlotta e dello sport paralimpico, non solo romagnolo ma anche nazionale che, quel

DI MASSIMO MONTANARI
FOTO ITTF

LA FAENTINA

CARLOTTA RAGAZZINI, MEDAGLIA DI BRONZO

NEL TENNISTAVOLO

ALLE PARALIMPIADI

DI PARIGI 2024, HA

SCOPERTO LO SPORT

DURANTE IL RICOVERO

NELL’UNITÀ SPINALE

DI MONTECATONE

SENTENDO PER CASO

IL RUMORE DI UNA PALLINA.

giorno, senza ancora saperlo, ha trovato una campionessa.

“Quello che mi è piaciuto fin da subito del tennistavolo è il fatto di essere uno sport di confronto,” spiega, “nel quale bisogna adattarsi alle più diverse situazioni. Poi mi piace perché quando ti alleni devi pensare tanto a come poi andrai a giocare la partita, come applicare quel che hai svolto in allenamento. Non è solo sport fisico ma spicca l’elemento concettuale.”

I primi allenamenti, il tesseramento con la società Sport è Vita, poi le prime gare e i pri-

mi grandi trionfi. L’ascesa di Carlotta è stata quella tipica dei campioni. Il riscaldamento in Italia con i tre titoli italiani a squadre. “Nel 2019 ho vinto i Campionati Europei di categoria, nel 2022 i Giochi Paralimpici Europei Giovanili in Finlandia, dove ho preso anche l’argento a squadre. Lo scorso anno, a Sheffield, agli Europei assoluti ho vinto il bronzo nella mia classe (Ndr, la 3 femminile) e il bronzo nel doppio misto.”

E quest’anno, alla sua prima Paralimpiade, è arrivato il bronzo, sotto gli occhi di mamma, zia, cugina e alcuni compagni di squadra del suo club, presenti nella capitale francese. “Adesso che sta passando il tempo da quella conquista sto cominciando a realizzare quello che ho fatto,” confessa. “Nell’immediato è difficile rendersene conto. Sicuramente sono sensazioni e ricordi che mi porterò dentro per il resto della vita. Ed è bello guardare la medaglia nella sua custodia: è in camera mia e guai a chi me la tocca,” dice ridendo. La 23enne faentina – ha compiuto gli anni il 15 settembre –che a Parigi era testa di serie n. 4, si è arresa solo alla sudcoreana Yoon Jiyu in semifinale. “Con lei

non avevo mai vinto e sapevo dunque che sarebbe stata una partita difficile. Sono però contenta di come ho giocato, perché ho messo in pratica le cose che avevo imparato e provato in allenamento. Poi era la mia prima semifinale alle Paralimpiadi, la gara più importante della mia carriera: non era scontato riuscire a giocarla con il sangue freddo e la mente lucida. E fino all’ultimo ho cercato di vincere: non mi sono fatta bastare il pensiero che comunque, arrivata a quel punto, il bronzo era sicuro.”

A dare ulteriore entusiasmo a

Carlotta è la consapevolezza del grande successo mediatico riscosso dalle Paralimpiadi, molto seguite sia dalle televisioni che dalla stampa nazionale e locale. “Di sicuro la copertura mediatica di Parigi è stata superiore a qualsiasi altra edizione precedente,” osserva, “e il solo fatto di essere su Rai2 tutti i giorni era impensabile pochi anni fa. È stata una vetrina importante per tutto il movimento paralimpico, non solo per il mio sport. Ma soprattutto permette di lanciare e far cogliere un messaggio a tanti: se ce l’ha fatta lei o lui, perché non

“STO COMINCIANDO A REALIZZARE QUELLO CHE HO FATTO. SONO SENSAZIONI E RICORDI CHE MI PORTERÒ DENTRO PER IL RESTO DELLA VITA. È BELLO GUARDARE LA MEDAGLIA, È IN CAMERA MIA E GUAI A CHI ME LA TOCCA.”

posso farcela io? Qualcuno mi ha chiesto se con questa medaglia sono diventata testimonial di questo sport. Forse testimonial è un parolone, però se qualche ragazzino o ragazzina mi ha visto e ha pensato di cominciare a fare sport prendendomi come esempio mi fa piacere.”

Ora Carlotta, che tra un allenamento e l’altro passa la maggior parte del tempo al centro federale di Lignano Sabbiadoro, si dedica allo studio (è iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne) e al suo hobby principale, la lettura.

“Ho sempre un libro a metà che sto leggendo, soprattutto romanzi classici, gialli e thriller,” dice, e comincia a pensare alla prossima stagione e ai prossimi grandi impegni.

“Nel 2025 torno a Helsingborg, in Svezia, per gli Europei: qui li avevo disputati già nel 2019 e poi parteciperò ai vari tornei internazionali, di cui però non ho ancora il calendario. E guardando un po’ più in là, nel 2026 ci sono i Mondiali in Thailandia.”

Altre conferme da cercare, altri sogni da inseguire.

PH MASSIMO FIORENTINI

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Ha raggiunto il ragguardevole traguardo dei quarant’anni l’azienda ravennate Tesco, con sede in via G. Ferraris 1, che si occupa sia sul territorio sia a livello nazionale di impianti idricosanitari, di riscaldamento con soluzioni avanzate chiavi in mano, di contabilizzazione e ripartizione del calore, di condizionamento e climatizzazione, ricambio e trattamento aria, di adduzione gas metano e antincendio, sia residenziale che industriale. Vanta inoltre una solida specializzazione nell’ambito ospedaliero, grazie a una intensa e proficua collaborazione con le più note società operanti nel settore dal Nord al Sud Italia. Al riguardo, realizza impianti di climatizzazione, trattamento aria a servizio delle più sofisticate apparecchiature medicali (quali risonanze magnetiche, tomografi, camere, iperbariche, ecc.) e delle strutture ospedaliere in genere. Tesco è inoltre in grado di forni-

re un alto livello di competenza nel settore industriale spaziando da impianti ad acqua calda e refrigerata a quelli a vapore, dall’automazione di processi, forni industriali e strumentazioni di controllo, fino alla realizzazione di impianti di cogenerazione, biogas e biomassa. Di primaria importanza per l’azienda ravennate è l’ambito dell’assistenza e manutenzione: è infatti in grado di offrire alla propria clientela un supporto completo accompagnando il cliente dalla progettazione dell’impianto fino alla sua installazione, ponendo particolare attenzione alla successiva conduzione e manutenzione, ordinaria e straordinaria. Attenta alle normative vigenti e alle esigenze attuali, Tesco è in grado di offrire un supporto specialistico in termini di risparmio energetico , valutando e proponendo al cliente sistemi per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, come il solare termi-

co, il geotermico, la biomassa e il biogas. L’azienda, fondata nel 1985 da Gino Caroli e dai suoi tre soci, che l’hanno gestita, strutturata e valorizzata con capacità e competenza negli anni, è oggi guidata dalla figlia Lucia Caroli,

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ingegnere che si occupa della parte tecnica e commerciale, e dal genero Enzo Cosi che segue tutto il comparto amministrativo e finanziario. Facendo tesoro delle capacità consolidate negli anni l’intento della gestione attuale è quello di mantenere l’azienda moderna e sempre aggiornata dal punto di vista normativo e procedurale, in grado di rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. Dal punto di vista del personale Tesco oggi è composta da una ventina di dipendenti, molti dei quali insieme a Tesco da decenni,

che costituiscono il sapere storico dell’azienda, a cui negli ultimi anni, dopo attenta selezione, sono stati affiancati nuovi ragazzi sui quali investire in formazione e specializzazione, nell’ottica sempre della continuità e dell’aggiornamento. Avendo già conseguito da anni la certificazione di qualità ISO 9001, la prossima sfida sarà quella di conseguire il certificato SOA, necessario per poter partecipare in autonomia a gare pubbliche.

“Il mercato oggi, anche se in continuo cambiamento, è ancora ricco di opportunità che però

non è facile cogliere a causa dell’elevata concorrenza e della continua lotta al ribasso. Noi rispondiamo con la qualità, con il nostro know-how significativo, tipico di un’azienda storica con una clientela importante che ha saputo affrontare tempi difficili grazie alla differenziazione del lavoro.” Guardando al futuro c’è anche la volontà di occuparsi sempre di più anche del settore privato oltre che aziendale. “Ci occupiamo di impianti idraulici a 360 gradi,” concludono Lucia Caroli ed Enzo Cosi. Socio di Confartigianato, Tesco ha rice-

vuto qualche anno fa il premio ‘I protagonisti dello sviluppo’ , per essersi distinto secondo parametri di crescita economica, occupazionale, di innovazione e di qualità dei prodotti.

NELLA PAGINA A FIANCO, IN ALTO, IL TEAM DI TESCO IMPIANTI. SOTTO, LUCIA CAROLI ED ENZO COSI, OGGI A CAPO DI TESCO IMPIANTI. IN ALTO, ALCUNE OPERE PROGETTATE DALL’AZIENDA.

OLTRE

POESIA E RICERCA

ARTISTICA

NELLE

OPERE

DI PAOLO

GAMBI

GUTENBERG

L’uso della parola in funzione estetica e la scrittura visuale entrano nella pratica e nel territorio dell’arte con le Avanguardie storiche all’inizio del secolo scorso. La poesia Un coup de dés n’abolirà jamais le Hazard (Un tiro di dadi mai abolirà il caso) di Stéphane Mallarmé, composta nel 1897 poi ripubblicata nel 1914, viene assunta come modello di riferimento per il rapporto tra parola e immagine. In questo componimento i versi non seguono un andamento lineare, sono dislocati nella pagina creando effetti spaziali che condizionano emotivamente la lettura del testo.

DOPO AVER LAVORATO

COME GIORNALISTA,

DAL 2014 IL RAVENNATE

PAOLO GAMBI SI

DEDICA A UNA RICERCA

ARTISTICA CHE PARTE

DALLA PAROLA, CON IL MOTTO ‘POESIA

DAPPERTUTTO’, CHE LO HA PORTATO IN GIRO

PER IL MONDO.

lungo lavorato come giornalista

Dal 2014 si dedica a tempo pieno a una ricerca artistica che parte dalla poesia, dalla parola, con il motto “poesia dappertutto” che lo ha portato in giro per il mondo e a vincere premi internazionali, tra cui lo svizzero Josè Rizal Heritage Award e il cinese Sino Phil Asia Peace Award. Si considera un cercatore di parole intese come raggi di verità. Le opere che realizza nascono dalle parole, tendenti a svelare un incontro tra persona e persona, tra l’umano e il mistero. Le parole richiedono uno spazio fisico su cui declinarsi.

Romagnolo, di famiglia ravennate, nato a Ravenna nel 1979, dopo gli studi classici, giuridici, psicologici e, da ultimo, artistici all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, Paolo Gambi ha a

Con i futuristi la parola assume valenze pittoriche attraverso il colore, la materia e la forma, mantenendo il doppio aspetto di immagine e significato verbale. Su questi presupposti nel secondo dopoguerra si è affermata la poesia concreta o la poesia visiva, che pur conservando alla parola tutto il significato propriamente ‘poetico’, mira a un nuovo significato originato dalla reciproca influenza tra la parola in sé e il segno grafico, la forma, lo spazio e il colore.

L’era di Gutenberg è finita, di conseguenza per lui la parola non deve stare necessariamente solo sulla carta – d’altra parte nella sua matrice originaria è legata all’aria – la parola nasce per essere detta. Per questo ha cercato degli spazi in cui la poesia si potesse esprimere al di fuori della carta. All’inizio sono stati muri, l’aria, con numerose

FOTO LIDIA BAGNARA

SI CONSIDERA UN CERCATORE DI PAROLE INTESE COME RAGGI DI VERITÀ. LE OPERE CHE REALIZZA NASCONO DALLE PAROLE, TENDENTI A SVELARE UN INCONTRO TRA L’UMANO E IL MISTERO. HA SCOPERTO UNA FORMA ARTISTICA PIÙ COMPLETA, LE EKPHRASIS

performance, poi altri supporti materici come il legno, la roccia, i mosaici, i bit. È stato fra i primi al mondo a coniare poesie NFT, ha esposto ed espone a Los Angeles, in Svizzera, a breve nel Sud Est asiatico.

IN QUESTE PAGINE, PAOLO GAMBI, SCRITTORE, POETA, ARTISTA E PERFORMER. IN APERTURA, CON LA CARTOLINA PER DANTE FIRMATA INSIEME AL PREMIO NOBEL JON FOSSE.

Fra i supporti c’è anche la carne, e così nasce la Bodypainting poetry. Quest’ultimo tipo di performance è un tentativo di fare poesia integrale a partire da un dialogo con le persone; se i versi vengono riconosciuti, allora glieli scrive addosso, sul corpo nudo, in una nudità intesa come verità del corpo, e se l’arte è verità, non può che essere nuda. Con questa performance ha aperto, per esempio, Roma Alta Moda. La ricerca per ristabilire una relazione tra parola e immagine lo porta a spingersi più indietro rispetto alle Avanguardie storiche. Rispolverando un orgoglio ra-

vennate, ha scoperto una forma artistica più completa come quella delle ekphrasis, che non erano semplicemente poesie scritte su un supporto materico, ma erano il completamento di tutte le arti. A Ravenna la più bella ekphrasis del tardo antico è la poesia in esametri che si trova nella cappella di Sant’Andrea al Museo arcivescovile. Partendo da questa si comprende l’apparato glorioso e misterioso lasciato dal passato, per riportarlo nel presente dando nuove chiavi di interpretazione. Importante per lui il recupero dell’eredità ariana, Ario ha lasciato a Ravenna alcune tracce che nemmeno i bizantini hanno cancellato, tra cui il primo Giudizio Universale della storia in Sant’Apollinare nuovo, dove c’è il perfetto equilibrio tra bene e male, tra Michele arcangelo e

Satana, con al centro un Cristo che è un mediatore, tra l’altro androgino. Queste memorie entrano nelle sue poesie ed è la parola che coglie la bellezza, che crea un ponte tra l’umano e il divino, e non finalizzata solo a esorcizzare le proprie emozioni. In questa ottica anche la cartolina per Dante, firmata insieme al Premio Nobel Jon Fosse. Convinto che il contemporaneo sia una grande maschera del capitalismo più sfrenato, dopo che l’arte ha abbandonato con le Avanguardie ogni criterio estetico e l’idea che debba essere associata alla bellezza, la definizione di ciò che sia arte è stata lasciata al mercato, a ciò che viene comprato all’interno del sistema. Di fronte a tale mutamento epocale, Paolo Gambi respinge questa condizione e si lascia definire ‘postcontemporaneo’.

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