5 minute read

Introduzione

L’idea di scrivere questo libro mi è venuta tre anni fa. Ho iniziato a raccogliere idee e informazioni rendendomi conto che per quanto avessi sempre seguito la storia dell’arrampicata c’erano diverse cose che non sapevo.

Oltretutto mi pareva di cogliere aspetti contraddittori sia nel tentativo di stabilire un’etica di riferimento sia nelle varie considerazioni storiche che venivano di volta in volta prese a modello di riferimento.

Lavorando al libro mi sono avvalso della collaborazione di vari alpinisti e apritori e naturalmente abbiamo finito per parlare di vie, di storie vecchie e nuove, di polemiche, di stili.

Gli apritori di vie moderne non sono ovviamente contrari all’utilizzo degli spit ma anche fra di loro ci sono differenze importanti e poi c’è chi invece storce il naso considerando gli spit decisamente blasfemi e privi della ragione di esistere.

La diatriba sullo stile di apertura che ritenevo ormai marginale è ancora presente e in grado di scaldare gli animi.

Ho iniziato a scalare 40 anni fa, ma gli spit erano già presenti: pochi, distanti, ma presenti, e allora?

Era possibile tentare una ricostruzione storica contestualizzando l’utilizzo degli spit all’interno dello sviluppo dell’arrampicata con una visione maggiormente obbiettiva e scevra da pre-impostazioni ideologiche e concentrando l’attenzione nelle Dolomiti, che è il luogo che conosco meglio?

Ci sono molte domande a cui dare una risposta: chi ha iniziato a usarli? E perché? Come mai oggi, dopo quarant’anni esatti e migliaia di vie sportive aperte, questo argomento è in grado di scaldare gli animi? Si può veramente parlare di un’etica dell’arrampicata? Lo spit uccide l’avventura?

Questo lavoro non ha certo la pretesa di costituire un punto fermo nella storia dell’arrampicata né tanto meno di stabilire una verità assoluta a cui fare riferimento, poiché questa disciplina è in continua evoluzione con diversi stili che si influenzano, si attraggono, si respingono e si fondono.

Voler fissare una norma per tutti è un’operazione che durerebbe un istante e svanirebbe quello dopo.

In tanti ci hanno provato, qua e là, a sostenere una tesi a spada tratta, a stabilire delle regole fisse, ma nello stesso istante da qualche altra parte

qualcuno si muoveva in modo diametralmente opposto, pertanto rimangono varie scuole di pensiero che sono in linea di principio tutte assolutamente legittime, e il confronto resta acceso.

Il mio obbiettivo è stato pertanto quello di ricostruire in modo semplice e lineare la brevissima storia dell’arrampicata vista dalla prospettiva dello spit, tanto usato e tanto demonizzato, e di analizzare con occhio disincantato le varie opinioni in merito.

Durante un’intervista, un giornalista disse a Jimi Hendrix che aveva copiato lo stile dai vecchi bluesman. Lui rispose che nel rock tutti copiano da tutti e si influenzano a vicenda, e che è per questo che il rock migliora sempre.

Al di là delle opinioni personali e delle singole scelte, nessuno può negare quanto l’arrampicata e l’alpinismo siano cambiati e migliorati.

Compiere un lavoro come questo non può lasciare indenni, nel senso che lo sforzo di affrontare il tema nella maniera più lucida possibile e senza pregiudiziali di partenza, mantenendo un’apertura mentale a 360 gradi, mi ha portato inevitabilmente a mettere in discussione le mie idee.

Ci è voluto del tempo per costruire l’ossatura del libro e per tracciare la sua linea di sviluppo, e altrettanto per ragionare sui vari temi e cogliere gli aspetti essenziali per evitare di finire nello scontato o per sviluppare componenti a volte trascurate nel merito ma che alla fine, volenti o dolenti, pesano.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato nel percorso e anche a vedere le cose in modo diverso; mi auguro che la lettura possa essere utile per questo a chi avrà la pazienza di leggerlo.

Gli spit: in questo testo è stato utilizzato indifferentemente il termine spit, per definire sia quelli posizionati a mano che quelli posizionati con il trapano. Le vie moderne, dopo i primi anni Novanta, sono state quasi tutte aperte con l’utilizzo del trapano e quindi con la posa di tasselli e piastrine.

SPIT POSIZIONATI A MANO

Foto: Mattia Menestrina

La prima ditta che commercializzò gli spit fu la Société de Prospection et d’Inventions Techniques, che produceva ancoraggi per l’edilizia.

I primi spit furono inizialmente utilizzati dagli speleologi e poi dagli arrampicatori, per attrezzare le prime falesie e vie sportive, almeno fino agli anni Novanta.

Il foro viene creato manualmente utilizzando un cilindro in acciaio, filettato da un lato e dentato dall’altro, che viene montato su un perforatore su cui si batte ripetutamente.

Una volta fatto il foro, è sufficiente inserire un piccolo cuneo nella testa del cilindro e battere fino a far espandere la testa; successivamente viene fissata una placchetta forata con un bullone di acciaio classe 8.8.

Con un po’ di pratica si può piazzare uno spit in pochi minuti, sia su calcare che su granito.

La scarsa profondità di infissione, 3 cm, costituisce un punto debole specialmente su roccia tenera come il calcare, ma secondo le prove effettuate la tenuta è generalmente accettabile e simile a quella di un buon chiodo da roccia.

Come tutti gli ancoraggi esposti agli agenti atmosferici, tendono ad arrugginire e ormai quelli piazzati negli anni Ottanta si possono considerare totalmente inaffidabili.

SPIT POSIZIONATI CON TRAPANO

Foto: Mattia Menestrina

Con un trapano si realizza il foro, cui segue l’inserimento di un tassello ad espansione e la posa della piastrina.

Il tesaggio del dado sulla piastrina provoca l’espansione della testa del tassello e la conseguente tenuta.

La tenuta dipende dalla qualità dell’acciaio e della roccia, nonché dalla lunghezza del tassello, ma normalmente è maggiore di 2000 kg a taglio, quindi abbondantemente in grado di sopportare il carico di una caduta.

Le prove effettuate dimostrano che su rocce più tenere si verifica una progressiva frantumazione della roccia fino alla creazione di un “cono di roccia” con conseguente cedimento.

In sostanza, solamente sul granito o il porfido la sezione resistente del tassello lavora correttamente fino al suo limite, mentre negli altri casi il cedimento è dovuto alla qualità della roccia.

La durata può essere di venti o trent’anni, ma in condizioni di umidità il processo di formazione della ruggine può essere molto accelerato con evidente diminuzione della tenuta. Si pone comunque un problema di manutenzione di migliaia di vie sportive nell’arco alpino!

This article is from: