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aprile 2019. Katmandu 113
from TATO
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DOPO LA MORTE
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Epilogo Ringraziamenti 141 143
Prologo
Quando sono in spedizione mi capita di sognare intensamente. Possono i sogni mostrare il futuro o contenere elementi di eventi che potrebbero avverarsi? Oppure sono un messaggio che a tutt’oggi nessuno è riuscito a decifrare?
Sono ormai trent’anni che scalo le pareti più dure e più pericolose del mondo. Mi è capitato di farlo anche in solitaria e senza assicurarmi. Ho rischiato molto. Mi è capitato di cadere assieme ai seracchi, di volare in parete spaccandomi le ossa, ho evitato di rimanere sepolto sotto una valanga per puro miracolo. Ho giocato con la morte, ma sono sempre riuscito a sfuggirle. Pensavo che non mi potesse toccare, sentivo di essere indistruttibile. Ho giocato per anni a stare sul bordo del precipizio. Poi invece un bel giorno una folata di vento freddo mi fece finire dentro ad un crepaccio di un ghiacciaio patagonico. Incastrato all’interno di una spaccatura di ghiaccio che va restringendosi in una posizione grottesca per la prima volta mi sentii completamente impotente e terrorizzato. Col passare dei minuti fui avvolto da un freddo penetrante che iniziò ad impedirmi di usare correttamente prima le dita, quindi le mani e infine le braccia intere. Il calore corporeo lentamente mi faceva penetrare nelle pareti ghiacciate del crepaccio, facendomi scendere ancora più all’interno. Raggomitolato all’interno di quella coltre di ghiaccio mi sentivo come un bambino ribelle che non vuole andare a dormire. Ecco come si stava presentando la mia morte, un incontro con me stesso.
Stavo spietatamente sprofondando nel buio. Poi arrivò il momento di ribellarsi, di opporsi a una fine così sciocca. In quel momento mi comparvero davanti agli occhi i miei figli, mia moglie e mia madre. Compresi che tutto ciò che avevo cercato sulle montagne fino ad allora aveva sempre meno senso rispetto alle cose della vita e ai valori per cui si lotta nell’intimità della casa, della famiglia.
Sentii il rimpianto di non poter più tornare indietro nel tempo e fare più attenzione, legandomi con il mio compagno. Sopraggiunsero alla fine il torpore, la grande paura e la tristezza di un uomo intrappolato e indebolito.
Non mi sentivo più indistruttibile. Mi sentivo impotente e spaventato.
Le visioni di ciò che avrebbero provato i miei figli una volti venuti a sapere della mia scomparsa e di ciò che non avrebbero più potuto vivere con me mi facevano male fino al midollo. I miei pensieri volteggiavano come corvi neri
sul mondo che mi ero lasciato alle spalle. In quel momento non aprire un’altra via nuova, non andare ad esplorare altre montagne o non scrivere un altro libro non avevano alcun significato.
Su quel ghiacciaio non si lega mai nessuno, ha un aspetto assolutamente innocuo. Tuttavia, con raffiche di vento che soffia ad una velocità di 150 km/h, diventa una trappola. Avevo commesso un errore, non mi ero legato e avevano vinto la fretta e l’atteggiamento superficiale per i quali stavo per pagare il più alto dei prezzi. Improvvisamente sentii una voce che arrivava da lontano. Tom, il mio compagno, che nel momento in cui ero finito a capofitto dentro al crepaccio si stava guardando intorno, era riuscito a trovarmi nel labirinto del ghiacciaio, mi era andata bene.
Quell’evento mi aprì gli occhi. Mi era stata data una possibilità. Da quel momento la mia spedizione più grande, quella destinata a non avere mai fine, divenne il viaggio nel profondo di me stesso. Dovendo decidere tra famiglia e montagne, cerco di trovare l’aurea via di mezzo tra quei due mondi paralleli, senza i quali non sono in grado di esistere.
Io sarò sempre un padre e le scalate sono un complemento del mio ego. È difficile comprendere la natura umana, ma vale la pena provare a capire sé stessi.
Vi invito a venire in spedizione nel mio mondo. Magari non vi troverete d’accordo con le mie riflessioni. Del resto ognuno di noi indossa le sue scarpe e vive nella propria pelle. Credo tuttavia che ciò che troverete nelle pagine che seguono vi consentirà di guardare in profondità dentro di voi. Magari osservando la vita da una prospettiva differente potrete scoprire una parte di voi finora rimasta celata nel profondo. Abbiate pazienza, siate aperti fino all’ultima pagina.
Chi sono io per davvero?
Anni fa avrei detto di essere un alpinista.
Adesso dico di essere un papà che va a scalare.
Yeti
la casa
“Papà… Papààà…”. Avvolto nella trapunta sento vicino all’orecchio un dolce sussurro. Sento il tepore del fiato di mio figlio. L’odore forte del suo alito al mattino non ha eguali, lo adoro. Adam si rotola sulla mia schiena, ci si butta sopra con le ginocchia, ci salta sopra vicino alla colonna vertebrale. Quello per lui è un gran divertimento e per me… Un sollievo dal dolore.
“Qui?” – chiede a bassa voce. Sa che ultimamente soffro di mal di schiena. È un attento osservatore della vita, che assorbe con avidità.
“Magnifico Adam. Proprio lì…” – rispondo anch’io a bassa voce nella speranza che non smetta.
“Papààà” – sento una vocina rauca. “Vero che se andrai a scalare sulle montagne vere non cadrai? Vero?”.
“Farò tantissima attenzione, figlio mio, e tornerò a casa” – gli dico, sentendomi salire un groppo in gola.
Adam ha quattro anni e mezzo. Comincio adesso a capire cosa provano i miei cari quando parto per una spedizione. Prima mi interessava solo ciò che avevo davanti. Tendendo verso l’alto non guardavo dietro di me. Pensavo che quel tempo appartenesse solo a me.
La prima volta in cui fuggii per andare in montagna avevo sedici anni. Fu come cadere in trance, passavo il tempo ad arrampicare in solitaria, spesso
senza proteggermi. Ero alla ricerca di sfide, spingevo sempre più in là i miei limiti. Con carte deboli in mano mi giocavo l’anima con la morte. In quel gioco vale la pena bluffare? Di quel gioco non sappiamo mai come vada a finire e proprio questo è ciò che più mi attrae.
Una decina di anni prima avevo sentito che stavo per cadere. Non da una parete di una qualche montagna, ma lungo un comunissimo sentiero della vita. La mia vita personale stava per cadere in basso per molti, molti metri. Così in effetti accadde. Il divorzio e con quello il senso di colpa e la tristezza che mi accompagnavano ogni giorno. Qualche tempo fa dunque mi sono reso conto di quanto significhino le decisioni che mi trovo di fronte. Dove sarei andato stavolta?
Gennaio 2019 UN MEsE PrIMa DElla sPEDIZIoNE IN NEPal
Il giorno della partenza si sta avvicinando con una rapidità vertiginosa, sento crescere la tensione. La quantità delle pratiche da sbrigare prima della partenza sta per travolgermi. Preparare l’azienda al periodo di inattività e altre questioni legate alla casa fanno sì che inizino a mancarmi il tempo da passare con la famiglia, la pazienza e il semplice godersi la vita, cioè le cose più importanti. So comunque che a breve riceverò in cambio di quelle fatiche un premio meraviglioso in forma di una spedizione. E i miei cari? Cosa riceveranno? Inizio a sentire il peso sempre maggiore dei pensieri. Ognuno di noi ha diritto al compimento dei sogni, a realizzarsi, anche in un ambito così pericoloso come l’alpinismo. Infatti, non fosse per quello… Non fosse per loro… Io non ci sarei! Bla, bla, bla. Silenzio, dico!!! A volte mi sembra di entrare all’interno di un vortice, alterno momenti in cui mi lamento ad altri in cui mi metto a sbraitare. È ora di fermarsi un attimo prima di ripartire per andare avanti. Dopo essermi risistemato. Ho la testa simile ad una stanza dei bambini, colorata, stupenda, però a volte impossibile da sopportare. Ogni tanto ha bisogno di una ripulita di fondo, altrimenti va a finire che rimarrò impantanato nel caos una volta per tutte.
Nel corso della giornata, poi, mi leggo il messaggio mandatomi via Messenger da Maja, mia figlia. Ha sedici anni ed è già una signorina bella e in gamba.
Alta, magra, evidentemente ha preso tutto il bello da sua madre, Agnieszka, la mia ex moglie. Maja per ora osserva la mia passione un po’ distaccata.
Ehi, papà, tra non molto parti, eh? Riusciamo a vederci prima della tua partenza? Bada a te stesso… Voglio dire, sono certa che baderai a te stesso. Torni sempre, quindi tornerai anche stavolta, hahaha. A parte questo, come state? È da tanto che non ci vediamo… Qui da me tutto bene, direi, anche a scuola va un po’ meglio di prima. Mi sono messa a dipingere di più. Ti ho fatto un ritratto, appena ci vediamo te lo do.
Spero tanto che ti piaccia. Dobbiamo però incontrarci, perché tra non molto devi partire e poi non ci vedremo di sicuro per un bel po’ di tempo…
Le scrivo qualche parola sulla spedizione, sui russi, compagni che non conosco, e sul fatto che ormai non sto più nella pelle per la nuova avventura.
Non so come sarà, ma sottolineo quanto sentirò la sua mancanza.
Ma certo che vi troverete. So che è facile a dirsi, ma prova a metterti nei loro panni. E se non funziona non forzarti. A volte capita. Segui la tua strada e fai semplicemente il tuo su quelle montagne. Cavoli, vi invidio questo vostro viaggio.
Mia figlia. Così saggia e così sensibile!
Ho sempre avuto l’impressione che i miei figli non seguissero la mia passione, non si interessassero di ciò che succede sulle montagne ma a quanto pare non è stato esattamente così. Non dicono nulla se non glielo chiediamo direttamente e anche se lo facciamo le loro risposte sono molto concise. Lasciano molte delle loro emozioni a sé stesse, nascoste, in attesa di altri eventi. È come una bomba a scoppio ritardato. Si arma lentamente nei loro cuori e un giorno potrebbe esplodere.
È facilissimo ferire chi non urla, non grida e non reclama diritti, come i bambini. Sono io, il cosiddetto adulto, a dovermi occupare di loro. Riuscirò ad essere ancora un buon padre pur rimanendo fedele alle mie esigenze?
Prima di ogni spedizione provo incertezza e paura. Quell’ansia rivela forse la mia debolezza? Prima di sentire la risposta a quella domanda… Sento un urlo dentro di me. Eddai, vecchio! Più forte di quell’ansia è però il desiderio di vivere qualcosa di insolito. Bisogna affrontarlo e invece di schivare il colpo, guardare dritto negli occhi i propri fantasmi.
Non solo per evitare il loro attacco, che magari può essere inevitabile, ma proprio per vivere! Bisogna sforzarsi consapevolmente di vedere la vita da una prospettiva più ampia, in una qualità fino ad allora sconosciuta.
Abitazioni nepalesi sulla strada per Gyabla.
In alto, lavorando sul libro a Hellok. Sotto, Dmitrij e Sergej durante una sosta per il caffè lungo il cammino verso Hellok.
Nada è molto serio, vedo in lui il rispetto per quel luogo e per le divinità. Stiamo entrando nel loro territorio e siamo tenuti a mostrare rispetto verso le leggi del posto. Tocco la pietra, mi guardo intorno e provo a sentire ciò che sentono loro. All’interno del tempietto nascosto nella roccia noto due vene di quarzite chiara che sembrano serpenti intrecciati. Ascoltando le leggende locali tocco la pietra con la punta delle dita alla ricerca di appigli per l’arrampicata. Ad ognuno il suo santuario.
Dopo altre due ore arriviamo a Cheram, dove si trovano alcune casupole che fungono da tappa per tutte le carovane che percorrono quella strada. Durante la cena incontriamo alcuni sherpa della casta Rei, quelli che portano i bagagli sul ghiacciaio del Khumbu sotto l’Everest. A causa della mancanza di portatori locali, in quel periodo dell’anno l’agenzia li ha fatti arrivare in quella parte del Nepal con degli autobus. Non sembrano forti, sono piccoli di statura e all’apparenza poco robusti. In realtà trasportano bagagli che pesano quasi cento chili. Usano una tecnica speciale: niente spallacci per le braccia, tutto il peso poggia sulla loro testa. Con la giusta tecnica, la fasciatura sulla fronte permette loro di gestire carichi enormi. Io comunque non ci proverei. Mi sembra che i loro corpi si siano adattati a questo lavoro fin da giovani. Nada si esprime nei loro confronti con grande rispetto, sottolineando in continuazione quanto siano forti. Detto da lui è un vero complimento.
Guardo quei ragazzi che costantemente sorridono e controllano i loro smartphone e vedo la schiettezza e la modestia nei loro occhi.
Oggi abbiamo attraversato un’altra zona climatica e di vegetazione. A questa altitudine possiamo già sentire il freddo, gli alberi alti stanno lentamente cedendo il passo ad arbusti nani e all’orizzonte fanno capolino le cime coperte di neve. Il tramonto illumina di arancione il massiccio di fronte a noi. Grazie, Montagna Sacra, ho capito cosa intendevi. Mi hai mostrato una bella strada, peccato non ci siano scorciatoie. Attendo con ansia il nostro incontro. Domani ripartiremo per venire verso di Te.
Mi chiudo nel sacco a pelo e spero di sognarti, ma non come un incubo.