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PRIMA PARTE (I COMPAGNI DI CORDATA

himalayano, non più da soli ma con altri quattro amici ascolani: Alberico, Tonino Palermi, Marcello Ceci e Pierpaolo Mazzanti. Poi seguì il Perù ed un tentativo per un 8000. Quelli furono gli anni in cui Tiziano diede veramente il meglio di sé.

Non c’è nulla di più selvaggio di una scalata invernale su pareti coperte di ghiaccio, roccia gelida, con poche ore di luce e senza un’anima in giro, e la montagna completamente deserta. Se questo avviene poi su quelle grandi pareti isolate e difficili da raggiungere, il valore dell’impresa cresce in maniera esponenziale. Tiziano riusciva a dare il massimo di sè nell’alpinismo invernale. Franchino Franceschi è stato suo compagno in quelle che sono state, a mio avviso, alcune tra le più belle imprese della storia del Gran Sasso e tornare con la memoria a quelle fredde giornate porta anche noi in quell’universo sconosciuto ai più.

A un certo punto, in un mondo prevalentemente maschile, compare una donna: Silvia Marone. Nel 1990, per la quarta volta in quattro anni ci stavamo preparando per un’altra spedizione. Eravamo molto gasati, facevamo un sacco di belle scalate e volevamo qualche cosa di più “forte”. Scegliemmo insieme l’ambizioso obiettivo della parete Rupal del Nanga Parbat in Pakistan ed è a Silvia, che era parte integrante della nostra leggera spedizione e cara amica di Tiziano, che ho chiesto di ricordare quella infelice-felice avventura asiatica. Quella fu, per motivi diversi, l’ultima spedizione fatta insieme: il lavoro di guida alpina che Tiziano aveva intrapreso lo assorbiva sempre più frequentemente.

Marco Vallesi, dopo aver frequentato un corso di alpinismo tenuto da Tiziano, si imbarcò in una spedizione-lavoro con lui ed un altro suo amico alla volta della Patagonia Cilena, con l’obiettivo di salire una delle magnifiche Torri del Paine. Dal racconto emergono la violenza del vento, la precarietà degli alpinisti in quella terra flagellata da tempeste e la figura di Tiziano: disincantato, istrionico e forte alpinista a tutto tondo, diventa protagonista, dopo la salita, della triste fase del recupero di uno scalatore sudafricano caduto in un crepaccio.

Infine ho chiesto un contributo a Franco Farina, il quale ha scalato molto con Tiziano in un rapporto inizialmente da cliente-guida che negli anni si era trasformato in una sana amicizia. Prendendo come spunto la prima salita di una grande cascata di ghiaccio compiuta al Fondo della Salsa, sotto la parete nord del monte Camicia, Farina ci presenta un altro Tiziano, andando oltre gli abiti e i gesti dell’alpinista: un uomo avido di vita e che non smetteva mai di stupirsi.

Queste sono solo alcune delle tantissime persone che si sono legate in cordata con Tiziano. Tante altre avrebbero da raccontare di quanto sia stato bello stare in parete con lui, vederlo salire con sicurezza, sentirlo scherzare anche nei momenti difficili, sdrammatizzandoli con una battuta e una bella risata, sentirsi guardati e guardare quei suoi occhi che erano l’equivalente di un abbraccio capace di avvolgerti, scaldarti e tranquillizzarti.

Dell’alpinismo Tiziano è stato un interprete completo, autentico e generoso, che ha lasciato tracce profonde nella storia di questa disciplina e che per questo non verrà dimenticato. Il mio intento, e spero di esserci riuscito, è di consegnare alla memoria di chi rimane quel delicato e sensibile artista della montagna che egli è stato.

Rubo, con il suo permesso, la dedica che Giuseppe Antonini ha scritto sul suo libro “Figlie dell’acqua e del tempo”:

“Certi uomini a forza di vivere le dimensioni verticali di questo mondo, sono cresciuti così tanto da assumere la statura stessa delle montagne. Uomini che hanno insegnato a esplorarle e che hanno guidato altri su una via dagli orizzonti sconfinati. È ad uno di essi che sono dedicate queste pagine: a Tiziano Cantalamessa, maestro e guida, nella montagna e nella vita”.

Massimo Marcheggiani

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