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Qualido forever
Rudy Colli
Chimera, 8a . Foto: M. Malpezzi Qui l’evoluzione del boulder porta la sua firma, a rappresentare un’intera generazione di climber della “vecchia scuola” e che con lui hanno contribuito a mantenere la Valle una culla del gesto: arrampicatori come Andrea Pavan (autore delle tante edizioni di Mello Boulder, Versante Sud), Richard Colombo, Rudy Colli, Gianluca Maspes, Cristian Brenna, solo per menzionarne alcuni. Senza rendersene conto, i tanti giovani che affollano ora i massi della Valle e si cimentano con le centinaia di linee qui presenti, inclusi tanti gradi 8, devono proprio all’entusiasmo e al livello di Simone questi capolavori tracciati nella roccia. Oltretutto, fino alla recente first ascent di Megalodonte (l’8c di Simone Tentori di cui diremo dopo), la maggior parte delle linee dure sono state liberate proprio da Pedeferri, con l’8b+ di Drum’n’Tano e tanti altri 8b ancora irripetuti. Ripercorriamo quindi l’evoluzione del boulder nella Valle attraverso il racconto di Simone, a cui ho chiesto di individuare le linee più iconiche tra le centinaia che ha aperto, tra cui oltre duecento blocchi di grado 8. Una selezione ardua, come ci anticipa: «Faccio proprio fatica a visualizzare tutto. Se sfoglio la guida, anche tagliando, almeno 150 blocchi li seleziono tra i più rilevanti!». Il boulder moderno in Valle ha seguito la rinascita globale che avvenne «più o meno nel ’95, quando è arrivata la rivalutazione del boulder in Italia con Nardi, il Calibba, Core, Brenna, Gnerro. Mi sono trovato a vivere in una valle in cui in inverno non scalava nessuno e potevo fare solo blocchi! Arrivavo poi dalla zona di Como ed ero già stato a Cresciano, dove avevo trovato Nicole o Loskot, i personaggi che più hanno influenzato il boulder moderno con blocchi che erano riferimenti, ma anche Roberto “Assan” Fioravanti di Milano, che spingeva forte e ci credeva parecchio. In quegli anni si è avuta la rivalutazione del boulder e da lì ha preso il via tutto. In un quarto di secolo le linee sono evolute, con diverse fasi e passaggi che le hanno identificate. Con i primi gradi 8, nel ’95 e ’96, c’è stato innanzitutto un salto, perché prima i riferimenti erano Il sogno di Tarzan o Il nipote di Goldrake e più del 7b/c non era stato salito. Li facevamo tutti senza crash-pad, che ancora non esisteva se non in versioni artigianali, e le linee risentivano di questa mancanza. Tra i blocchi di questa fase troviamo La Risposta di Vega, Navigator, Actarus, Monica Lewinsky, Il Vento, Project Vigne, Sex Pistol, Analselvaggioturboscatenato e Ironman di Ricky (Colombo): passaggi fatti quasi senza crash, che avevano basi e sviluppo di un certo tipo, verticali, bordi o spigoli, mai molto strapiombanti, in genere nati nei settori “classici” dei Sassisti. Di questo periodo sono anche Fat Boy Slim, Il Francese, Ovosodo, Il Bruco, Il Sogno di Tano».
“DI QUEST’ULTIMA CELEBRE LINEA, SIMONE CI RACCONTA UN
ANEDDOTO CHE BEN IDENTIFICA QUESTA FASE DEL BOULDER: «PRIMA, HO LIBERATO IO UNA VERSIONE DIVERSA. POI A MOMENTI BRENNA “MUORE” PERCHÉ GLI È RIMASTO IN MANO UN APPIGLIO ED È PIOMBATO GIÙ MANCANDO L’UNICO CRASH CHE AVEVAMO! È STATO RI-LIBERATO NELL’ATTUALE VERSIONE».
«La caratteristica fondamentale di questo periodo di 4-5 anni è proprio il fatto che avevi pochissimi o nessun crash e quindi la linea che potevi fare era di un certo tipo. I massi avevano sotto il prato, senza sassi esposti da riparare. Evolution ad esempio (che ora non c’è più perché hanno costruito davanti una casetta) la facevo con un tappetino da stretching alla base! Anche se si intuivano linee belle, ma impossibili da proteggere, non le si poteva scalare. Non c’era neanche l’idea di pulirli bene i blocchi, non ci si calava con la corda come adesso, ma li si provava dal basso: guardavi, provavi, pulivi fin dove arrivavi. Quindi le linee erano molto naturali, non così tanto pulite, con sviluppi minimi e inclinazioni limitate. Alcuni blocchi saliti dai Sassisti con la corda furono poi ripetuti senza, come Nosferatu. Questi primi blocchi erano caratterizzati di solito da singoli durissimi, due o tre movimenti estremi: primo perché ci si allenava tantissimo al trave e si era quindi molto forti sui singoli, e poi appunto per l’impossibilità di proteggersi. Navigator, che era un bordo di resistenza, era un caso anomalo». “LA FASE CHE DESCRIVE SIMONE NON FU TIPICA SOLO DELLA VAL
MASINO, MA FU SIMILE UN PO’ OVUNQUE, IN TICINO, PIEMONTE, MESCHIA O BLEAU: UN MOMENTO MAGICO, LA RISCOPERTA DI UN GIOCO CHE ERA SOLO AGLI INIZI E CHE OFFRIVA INIMMAGINABILI POSSIBILITÀ DI EVOLUZIONE!
«Agli inizi del 2000 cominciò la fase successiva, in particolare per la mia visione personale e il mio percorso: non vedevo più solo il singolo passaggio, ma ho sviluppato la capacità di vedere diverse linee su sassi vicini e ho quindi iniziato a pulire interi settori. Nascevano decine di blocchi per volta. Inoltre, avendo ora a disposizione più materassi, potevamo pulire passaggi con atterraggi più brutti e proprio grazie a questo si è iniziato a ragionare per “zone” e non per
Matteo De Zaiacomo
Tapioca, 8b. Foto: K. Piazza
Prime pubblicità della suola Vibram
le prestazioni che la nuova mescola sbilanciava in favore del milanese. Dopo non poche insistenze riuscii a ottenere che Ivan facesse risuolare le mie EB dal suo calzolaio e quando me le riportò notai che in più punti la gomma era stata fresata come per cancellare qualcosa. Che fosse la marca del produttore? Un minuscolo angolo sfuggito all’operazione permise di risolvere il dubbio: vi si leggeva la magica parola, Airlite Wood Milne. Il weekend successivo tutti avevano l’Airlite ai piedi. La suola aveva ottime prestazioni sulle rocce ruvide e porose come il granito o il calcare del Finalese, ed era insuperabile sul bagnato grazie alla sua struttura microporosa, tuttavia, con l’avvento della gomma cocida delle prime pedule Boreal, fu presto abbandonata. Di recente, per pura curiosità, ho provato a rimettere una Airlite sotto un vecchio paio di pedule e una volta sulla roccia mi son chiesto come facevamo a ritenerla tanto valida: giovinezza, allenamento, incoscienza?
Giusto Gervasutti
Arch. G. Miotti Arrampicata Giovanile), che si è mostrato molto scettico sul fatto che in tempi remoti qualcuno fosse riuscito a salire dove noi avevamo fallito”. Tornati alcuni mesi dopo per un nuovo tentativo, i ragazzi avevano constatato il crollo, riferendo di aver scorto strane scanalature simili a quelle lasciate dai fori di mina dopo l’esplosione. Occorreva una ispezione diretta e prima di recarmi sul luogo mi sono documentato trovando uno scritto in cui era narrata la prima ascensione alla Torre compiuta da tal Giusto Gervasutti niente meno che nel 1933. Poi, con una vecchia carta topografica e pochi compagni, sono partito. In Vallemello salutai il capo della spedizione alpinistica che da alcuni mesi stava cercando di superare la fessura di quello che era anticamente chiamato Precipizio degli Asteroidi. Più avanti entrammo nella valle laterale, dove sorgeva la Torre e passammo la notte in un misero ricovero di pastori. Il giorno dopo, salendo verso la base della parete, la guida mi fece notare una striscia più chiara che solcava la roccia, segno di una frana. Che fosse il percorso seguito dalla cima crollata? In dieci minuti raggiungemmo un praticello pianeggiante dove (meraviglia!) troneggiava, intatto, il monolite sommitale. Diversi fori da mina confermavano il racconto dei ragazzi.
“NON C’ERA DUBBIO: QUALCUNO AVEVA DELIBERATAMENTE FATTO
SALTARE IN ARIA LA TORRE; MA CHI? E PERCHÉ? CON TIMORE REVERENZIALE AFFRONTAI LA PLACCA CHE PORTAVA IN CIMA: PASSAGGI DELICATISSIMI MA FACILITATI DAL FATTO CHE ERO A POCHI METRI DAL SUOLO. AL TERMINE DI QUEI METRI SOLENNI ECCO UN VECCHISSIMO CHIODO E UN CORDINO ORMAI POLVERIZZATO. HO IMPRESSIONE CHE LA MIA MISSIONE COMINCI SOLO ORA».
Terminava qui il resoconto del Bianchi da me scoperto nell’UIS (Ufficio Indagini Speciali) del CAAI. Poco tempo dopo l’autore perdeva la vita precipitando da una parete rocciosa. La sua morte fu inizialmente attribuita a suicidio, ma recenti rivelazioni hanno fatto luce sulla reale dinamica degli eventi. Nei mesi successivi la scoperta, le serrate ricerche di Giacomo lo condussero direttamente verso gli uffici delle SAG. Sebbene ignorato dai vertici del CAAI, ai quali aveva rivelato le sue intuizioni, il fiuto dell’investigatore non mentiva. Il tentativo di cancellare la Torre fu, infatti, ordito dallo stesso Sam Mazzucchi con la complicità di alcuni giovani scalatori. Visti frustrati i tentativi di superare il passaggio e consci che quel chiodo con cordino erano la prova dell’avvenuta salita, decisero che non si poteva permettere la sopravvivenza di una simile testimonianza: avrebbe sminuito il valore dei nuovi scalatori con conseguente perdita di prestigio. Come sapete il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi e così gli scagnozzi del Mazzucchi si scordarono di togliere quel chiodo, diventato alla portata di tutti. Intanto era partita l’indagine di Giacomo. Resosi conto che, presto o tardi, sarebbe stato scoperto, Mazzucchi invitò l’investigatore a una scalata di allenamento e, una volta in parete, fu lo stesso capo delle SAG, come da sua confessione sul letto di morte, a gettare il poveretto nel vuoto.
A ticket to Tokyo
Un assaggio del mondo olimpico
Testo Alessandro Palma
Le Olimpiadi di Tokyo sono alle porte e, ormai si sa, c’è l’arrampicata. L’opportunità di andare alle Olimpiadi non è stata tanto ben vista dagli scalatori ed ancora oggi ci sono esponenti del pensiero “climbing is not about the Olympics”. Alcuni hanno abbracciato quella filosofia a priori, altri erano favorevoli e poi contrari, altri contrari e poi favorevoli, altri non hanno ancora deciso...
Adam Ondra
Poco importa in realtà, perché i giochi a Tokyo si faranno e l’arrampicata ci sarà, come anche a Parigi 2024. Oltre ad essere uno sport meraviglioso, la fortuna dell’arrampicata è di essere capitata in mezzo al movimento olimpico in un momento favorevole, con numeri in crescita e due nazioni ospitanti con una forte storicità in fila una all’altra. Il peso politico, e di conseguenza economico, di un evento del genere è estremamente alto. Avere atleti medagliati significa lustro, ma anche soldi, influenza politica, figure, crescita del movimento e decine di altre cose. Sicuramente Giappone e Francia hanno compreso tutto questo al meglio e, oltre che a dare continuità al progetto, si faranno trovare pronti alla medaglia. Un motivo di forte disaccordo e divisione è la formula di gara proposta, creata a tavolino per unire le direttive politiche, organizzative e televisive con le esigenze sportive. Gli atleti cercheranno la medaglia tramite il raggiungimento del punteggio perfetto, ottenibile eccellendo in tutte e tre le nostre amate discipline: il boulder, la lead e la speed. Partiranno in venti, si sfideranno in ognuna delle tre modalità e poi otterranno un coefficiente numerico che farà la classifica, ottenuto con il prodotto dei tre piazzamenti. Diventerà basilare riuscire a vincere una disciplina, in modo da poter annullare un fattore di tale prodotto. Nei primi giorni di agosto vedremo gli atleti vivere il loro sogno olimpico, conquistato tramite un lungo e difficile percorso di qualificazione. I più appassionati sapranno che non basta essere il più forte nella propria nazione, l’ambito ticket olimpico è estremamente difficile da conquistare. Nel caso dell’arrampicata, troviamo davvero pochi posti, spalmati in diversi turni di qualificazione. Principalmente ci sono due posti per la nazione ospitante, i posti di merito dal campionato del mondo di Tokyo, quelli dall’evento di qualificazione olimpica di Tolosa e quelli dei vari campionati continentali; ogni nazione però ha limite di due atleti, il che mette decisamente i bastoni tra le ruote a tanti, specialmente in nazioni con forti realtà come il Giappone. Ora che abbiamo un quadro completo del mondo preOlimpiadi, è tempo di scoprire i protagonisti. L’Italia, contro ogni previsione, si presenta con un bel team, grazie alle gesta di Ludovico Fossali (primo italiano di sempre a qualificarsi, capace di sbloccare il pass alla prima occasione utile) e di Laura Rogora, seguiti a ruota da Michael Piccolruaz.
I PROTAGONISTI
Miho Nonaka (JPN, 24):
la principessa del boulder giapponese, erede della celebre Noguchi. I suoi punti di forza sono sicuramente i passaggi di forza e di potenza, uniti ad un’ottima coordinazione. Punterà probabilmente sul boulder, ma ha già raggiunto il podio in una coppa del mondo speed e sulla lead non se la cava affatto male.
Kai Harada (JPN, 22):
leggero e dinamico come un ninja, Kai fa della versatilità il suo punto di forza. Riesce bene nella sua disciplina preferita, il boulder, ma quando si lega sono guai. Un pelo meno a suo agio nella speed, sappiamo che si sta allenando molto bene anche su quello...
Janja Garnbret (SLO, 21):
la favorita, la scalata fatta persona. Titoli su titoli su titoli. Poche sono state in grado di metterle i bastoni tra le ruote, nessuna nell’anno in cui ha vinto tutte le gare di coppa del mondo boulder. Il suo punto forte? Non cade praticamente mai.
Akiyo Noguchi (JPN, 32):
l’imperatrice giapponese. Una delle atlete più longeve, concluderà la sua carriera a Tokyo, in casa. Ha vinto tanto, ha segnato un’epoca, ha fatto di se stessa l’esempio da seguire. Con il suo addio alle gare finirà un’era: scommettiamo che saluterà col botto?
Shauna Coxsey (GBR, 28):
the Queen. Calma e letale, il segreto di Shauna è la sicurezza. Quando si chiude i velcri delle scarpette raramente sbaglia. Questo l’ha portata ad una serie infinita di successi nel boulder, prima di mettersi in gioco nella combinata. Anche lei lascerà le gare a Tokyo e, conoscendola, non andrà in Giappone tanto per partecipare...
Aleksandra Miroslaw (POL, 27): la donna da battere nella speed, farà sicuramente della sua disciplina il suo punto vincente, visto anche il brillante inizio stagione.