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REM
Alberto Benassi nella ripetizione della Via dei genovesi sulla nord del Pizzo d’ Uccello. Foto: Arch. A. Benassi autore dell’incantesimo è il mare: dalla Pania dista meno di venti km, gli sbalzi di temperatura sono rapidi. La neve si scioglie e rigela, si crea un ghiaccio che non è mai vetroso come quello di cascata.
Pania della Croce
salendo la classica via Amoretti-Di Vestea al Colle della Lettera. Foto: Mario Zorrone
Alberto Benassi
Via dei genovesi, Pizzo d’Uccello. Foto: Arch. A.Benassi
Come è iniziata l’esplorazione delle Apuane in inverno?
I primi, accompagnati da guide del Nord, sono stati gli inglesi a fine Ottocento: Utterson Kelso, Freshfield... Firenze era capitale e sede universitaria, giravano molti anglosassoni e da lì vedevano le Apuane all’orizzonte. Il livello era basso, si cercavano canali facili. A inizio Novecento i liguri Figari e Questa hanno cominciato a ripetere, in vesti invernali, vie di roccia estive. C’è stato inoltre il contributo dei pisani Amoretti e Di Vestea negli anni Venti, poi una fase di stasi e fino agli anni Sessanta non ci sono state salite importanti.
Dopo cos’è scattato?
Nel 1960 Cosimo Zappelli al Pizzo delle Saette apre un itinerario di gran classe. Nel ‘62 Sorgato, Rulli e Zaccaria realizzano la prima invernale della OppioColnaghi al Pizzo d’Uccello. Nel marzo del ‘67 Crescimbeni, Verin e Verbi salgono la Biagi-Nerli. Alcuni lucchesi, tra cui Marcello Pesi, Roberto Da Porto e Francesco Pollastrini, hanno cominciato a fare cose nuove, intuendo che conveniva segare i manici delle piccozze. Da Porto era stato al Ben Nevis con Grassi e Casarotto, forse ha copiato dagli scozzesi queste picche di 50 cm. Nell’altra mano, un chiodo da ghiaccio come secondo attrezzo. La salita simbolo di questa tecnica è stata la Nord-Est della Pania Secca: anziché seguire la linea estiva, Pesi e Da Porto sono rimasti in aperta parete, con muretti fino a 90 gradi. Poi nel ‘70 c’è stata la prima ripetizione della Via dei Genovesi al Pizzo d’Uccello: il livello tecnico cresceva, ma si cercava di pulire gli appoggi per salire a mani nude... Ancora non si conosceva la piolet traction.
Quando è stata adottata?
Nel 1969, ma i primi si sono ritrovati ad usarla senza saperlo...
In che senso?
Francesco Cantini e Marco De Bertoldi stavano aprendo al Pizzo d’Uccello la Via di sinistra del 1969. Sull’ultimo tiro hanno trovato 40 metri di ghiaccio fino a 80 gradi. Allora hanno improvvisato una piolet traction in anticipo sui tempi, utilizzando due picche. È stato un exploit, anche se non gli hanno poi dato peso.
Così è passato in sordina...
C’è voluta un’evoluzione di una decina di anni perché si andasse a scovare linee di goulotte. Era un’altra mentalità: anziché cercare la roccia, o affrontare una cascata trovata per caso, si puntava a linee che dessero continuità all’ascensione. Nel 1980 i lucchesi Luca Dini e Faliero Macarini salgono i 300 metri del Couloir Nord della Roccandagia, estrema per l’epoca. Una delle spinte maggiori, nei primi anni Ottanta, è stata una serata a Pietrasanta con Gian Carlo Grassi, che ci ha aperto la mente.
Ad esplorare le Apuane arrivano in questi anni anche alpinisti da fuori, come i genovesi...
Hanno cominciato a venire Gianni Calcagno, Marco Schenone, Roberto Piombo, Walter Savio, Marcello Giovale... Hanno realizzato veri e propri gioielli: sulla Nord della Sumbra, sulla NordOvest del Cavallo, nella prima ripetizione di Doccia fredda e altre ancora... Cercavano linee effimere e non scrivevano nulla, abbiamo solo qualche appunto dal diario di Calcagno. Insieme a Gianni, un altro pioniere della piolet traction è stato il fiorentino Massimo Boni. È lui ad aver creato Elisabetta al Pizzo delle Saette, nello stesso anno del Couloir Nord della Roccandagia: due vie che hanno dato il via alla piolet traction.
E poi ci siete voi della Scuola Monteforato.
Nel gennaio del 1985 con Alessandro Angelini, Alberto Benassi e Fabrizio Convalle abbiamo aperto il couloir-cascata Doccia fredda, la prima vera scalata di ghiaccio ripido in Apuane: esposta a Sud Ovest, ha poche ripetizioni. Due anni dopo, il canale parallelo Ghiacciomania. Eravamo incoscienti dei rischi... Da questo momento, ha preso piede il ghiaccio. Fondamentale è stata la rivoluzione della fine degli anni Novanta, quando sono stati eliminati i cordini di collegamento con la piccozza e si puntava ad arrampicare in libera. Nel 2000, complici condizioni top, c’è stato un boom di salite: una ventina di vie nuove e 15 ripetizioni. Soprattutto al Colle della Lettera, dove in vent’anni sono nati 47 itinerari.
Quali sono le caratteristiche delle salite in questi anni?
Un livello molto alto. Penso all’attività di Gianpaolo Betta, Silvia Petroni, Matteo Meucci, Matteo Faganello e altri ancora... Si è tornati alla roccia pura ma vinta in total dry, come ad esempio al Colle della Lettera su State of Mind, Mirjam, Sale e Pepe...
E oggi? C’è ancora spazio per esplorare?
Certo, servono curiosità e metodo. Non so quanti giorni ho passato in giro a fotografare le pareti: a casa ingrandivo l’immagine e scoprivo zone ghiacciate da concatenare con zolle erbose. Anche ora continuo così: il bello deve ancora venire, con gli occhi di oggi. Poi la stragrande maggioranza delle vie attende una prima ripetizione. E moltissime sono tuttora da aprire: ovviamente, però, non posso dirvi dove...
Inesistente
La vetta che non esiste più.il picco di Falcovaia nel Comune di Seravezza. Foto: G.Briccolani S orte dal mare milioni e milioni di anni fa, queste affascinanti creature rocciose hanno avuto la fortuna/sfortuna di essere - salvo rare eccezioni - interamente costituite da marmi di eccellente qualità e divenire famose nel mondo per le eccezionali opere d’arte realizzate con il loro cuore più puro: lo statuario. Adesso però, chissà cosa direbbero i vari Pisano, Michelangelo, Canova, Henry Moore e tutti quei sapienti architetti e scultori che nel corso dei secoli hanno deliziato l’umanità con i loro eterni capolavori, nel vedere questi monti così terribilmente saccheggiati per il business dei tempi moderni: quello del carbonato di calcio? Oggi è purtroppo questa la triste realtà apuana: questi monti stanno letteralmente sparendo sotto il silenzio generale delle istituzioni, di parte della popolazione e anche di molti ipocriti loro assidui frequentatori. Ma nel 2021 - dato che va di moda parlare di cambiamenti climatici - questo presente risulta ancor di più inaccettabile. come uno dei 43 disastri ambientali a livello planetario, qualcuno lo ha chiamato il più grande disastro ambientale d’ Europa: a noi toscani basta far presente che la dittatura delle multinazionali del marmo sta letteralmente sbriciolando un’intera catena montuosa, portando profitto a pochissimi ed irreversibili danni alla collettività. Come se ne esce? Male… La prima colpevole sul banco degli imputati è senza dubbio quella politica partitica toscana – collusa indistintamente con quella nazionale – che, decennio dopo decennio, ha derogato, per inesistenti o inconsistenti motivi occupazionali, quei pochi regolamenti europei e quelle poche leggi nazionali che ancora tutelano il bene comune dell’ambiente. Sulle Alpi Apuane si escava - in violazione al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio - nella Zona a Protezione Speciale, in aree boscate, di uso civico, nei circhi glaciali, sopra i 1200 metri di quota, nei corsi d’acqua e quindi, oltre alla distruzione di specie e habitat (anche endemici), ogni anno vengono asportate oltre cinque milioni di tonnellate di suolo. Come è facilmente intuibile ai più, tutto questo sterminare delle aree tutelate per legge, sta portando all’abbattimento di migliaia di metri quadri di alberi, ad un incredibile inquinamento di aria e acqua - basti pensare che su questi monti vi è la sorgente idropotabile a portata più elevata di tutta la regione Toscana (quella del Frigido, sui monti sopra alla città di Massa) - e alla vigliacca distruzione di importanti geositi che potevano raccontarci un’appassionante vicenda geologica lunga circa 220 milioni di anni. Sarebbe improbo elencare delle emergenze dentro questo grande disastro, ma è importante farlo, poiché siamo fermamente convinti che – oltre a quell’imprescindibile monitoraggio in loco che alcuni di noi svolgono – sensibilizzare più persone possibili sia di fondamentale importanza. Ed allora proviamoci. Ad uno dei primissimi posti, vi è senza ombra di dubbio, l’abbassamento di quella sella di origine glaciale posta a 1650 metri di quota, al confine tra le province di Lucca e Massa Carrara e che, prima degli anni Cinquanta, era conosciuta con il nome di Passo della Focolaccia. Oggi, quella bellissima lente marmorea a due passi dal rifugio più antico delle Alpi Apuane – il Bivacco Aronte – è stata completamente abbassata di novanta metri, lasciando un mostruoso cratere a cielo aperto, visibile addirittura anche da alcune zone dell’Emilia Romagna. Proseguendo questo ripugnante ma necessario viaggio nell’orrore, arriviamo - sempre per amor di verità - nella vicina valle di Arnetola, dove è
“BASTI PENSARE CHE, ALL’INTERNO DI UN PARCO NATURALE REGIONALE (FREGIATO PER GIUNTA
DEL RICONOSCIMENTO DI GEOPARCO MONDIALE UNESCO), DOVE TEORICAMENTE IL PAESAGGIO, LA FLORA, LA FAUNA, LE CAVITÀ CARSICHE E L’ACQUA DOVREBBERO ESSERE PROTETTI DALLE POCHE LEGGI ANCORA VIGENTI, VI SONO BEN 39 BACINI ESTRATTIVI - AL CUI INTERNO INSISTONO QUASI 80 CAVE ATTIVE - DOVE VIGE IL PIÙ TOTALE FAR WEST.
Il recente documentario Antropocene - L’epoca umana ha definito lo scempio delle Alpi Apuane
presente uno dei siti estrattivi più grossi di tutta la catena montuosa: i cantieri di Piastrabagnata. Lo scenario che si apre davanti agli occhi di quei pochi camminatori che ancora percorrono la settecentesca Via Vandelli, o di quegli alpinisti che amano ripetere le classiche vie di roccia alla Roccandagia e al monte Sella, ha qualcosa di apocalittico: il povero monte Pallerina, ormai terribilmente sfigurato, sembra piangere gli scarti del proprio corpo (gli inerti, come vengono chiamati da certa nomenclatura di comodo) a formare uno dei ravaneti più impattanti di tutte le Apuane. Esso rappresenta una vera e propria vergogna a cielo aperto e qualcosa vorrà pur dire se, all’interno di quell’ente territoriale complice di questo tremendo ecocidio (il Comune di Vagli di Sotto), sono in corso delle inchieste giudiziarie con pesantissimi capi d’imputazione. Cambiando decisamente gruppo montuoso, voliamo via veloci - come fossimo bellissimi gracchi corallini - nella parte centro-meridionale della dorsale, dove alcune vertenze ambientali sono di una gravità che risulta osservabile anche dalla vicina costa tirrenica, così stracarica di turisti nella stagione balneare. Nella zona dei monti Corchia e Altissimo, avidi imprenditori ed i loro questuanti, nel corso di soli due secoli hanno decretato rispettivamente la distruzione e l’inquinamento di un complesso carsico di livello mondiale e la capitozzatura di una
Climber
all’uscita da una via con sullo sfondo una cava nel comune di Vagli di Sotto. Foto: G. Briccolani