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Breve vocabolario del rischio
Marmolada, Via Edita.
Igor Koller sale il tiro dalla grande grotta.
FREE SOLO
La questione dell’azzardo e dell’assunzione del rischio in arrampicata può probabilmente essere meglio compresa tramite l’esempio dell’arrampicata in solitaria. Non mi riferisco a quella in cui lo scalatore in qualche modo si assicura per tutta la salita o solo nelle sue sezioni più difficili. Mi riferisco all’arrampicata libera in solitaria, dove non si usano aiuti per la salita, né per l’assicurazione né per la progressione sul terreno alpinistico. Quindi solo lo scalatore e la roccia, la parete e la vetta. In occasione di un free solo viene subito da pensare che questa sia l’attività di arrampicata più pericolosa. Sì, è vero che nell’arrampicata libera in solitaria l’arrampicatore è a rischio di caduta con esito fatale ad ogni singolo errore. È però anche vero che l’arrampicata libera e senza assicurazioni è la forma di arrampicata più elementare, tanto dal punto di vista storico quanto da quello dello sviluppo di ogni singolo scalatore.
“STORICAMENTE, L’ARRAMPICATA È INIZIATA SENZA ALCUN AUSILIO, E LA SICUREZZA ERA
BASATA PROPRIO SUI PRINCIPI DI PREUSS. LO SCALATORE SI POTEVA PERMETTERE DI SALIRE SOLO SU PERCORSI PER I QUALI FOSSE SICURO DI POTERNE GESTIRE AL CENTO PER CENTO LE DIFFICOLTÀ. NEL CASO NON CI FOSSE STATA LA POSSIBILITÀ DI SCENDERE LUNGO UN ITINERARIO PIÙ SEMPLICE, DOVEVA ESSERE IN GRADO DI SCENDERE DALLA STESSA VIA LUNGO LA QUALE ERA SALITO. VIENE DA CHIEDERSI SE QUEL MODO DI SCALARE SIA STATO O SIA ANCORA MORTALMENTE PERICOLOSO. LA RISPOSTA È NO! BASTERÀ ATTENERSI AI SOPRACITATI PRINCIPI, ESSERE IN GRADO DI VALUTARE CORRETTAMENTE LE PROPRIE POSSIBILITÀ.
Teoricamente avremmo potuto fare a meno di qualsiasi ausilio alpinistico ma non sarebbe stata un’evoluzione naturale, perché per l’uomo è istintivo cercare di facilitare, semplificare e velocizzare, quindi anche di superare difficoltà in arrampicata sempre maggiori. Certo, fa una grande differenza se uno scalatore che fa free solo arriva vicino ai suoi limiti assoluti o se invece scala una via che è di due o tre gradi più facile della massima difficoltà che è in grado di superare quando sale assicurato. Alcuni scalatori eccezionali in tutti i periodi della storia hanno dimostrato di essere in grado non solo di raggiungere i propri limiti assoluti
nell’arrampicata libera in solitaria, ma di saper arrivare ai limiti delle difficoltà dell’arrampicata del proprio periodo storico. Ricorderò solo qualche nome, da Emilio Comici a Hermann Buhl, da Cesare Maestri a Reinhold Messner fino a Hans Jörg Auer. Tutti questi grandi scalatori hanno scalato in solitaria arrivando a quello che era il limite per il loro periodo, ma salendo senza incertezza, con un certo margine di sicurezza e con eleganza. Questa arrampicata in free solo, basata sulla più profonda delle convinzioni interiori dei suoi protagonisti è dal punto di vista della sicurezza pari al salire con un compagno e con una corda. Lasciamo per ora da parte l’aspetto estremo dell’arrampicata solitaria e diciamo apertamente che praticamente ogni singolo alpinista ad ogni livello di prestazione si trova ad aver a che fare con l’arrampicata solitaria in libera. Ad ognuno di noi capita, non solo in montagna, di arrivare all’attacco dell’itinerario di salita passando per tratti di difficoltà più basse dove non ci si assicura. Lo stesso avviene spesso anche in occasione dell’arrivo in vetta quando il terreno diventa più semplice, e ancor più spesso in occasione di pressoché ogni discesa. Davanti a questo tipo di arrampicata senza assicurazioni ognuno di noi deve tenere ben presente il tipo di difficoltà che è certo di essere in grado di gestire. lato molto creativa, ed è per questo che l’alpinismo è così speciale e attraente. D’altra parte, si tratta però della nostra salute e della nostra vita. Bisogna avere una grande responsabilità tanto durante l’escursione quanto durante la sua pianificazione. Essere in grado di tornare al momento giusto, essere in grado di rinunciare all’obiettivo desiderato, non correre rischi eccessivi. Molte volte sono decisioni difficili, altre sono indicative del carattere di una persona, perché non sappiamo mai se possiamo avere ragione al cento per cento. Sulle montagne più alte anche i migliori scalatori d’alta quota del mondo a volte non prendono la decisione giusta e superano il limite con conseguenze fatali. Anch’io in qualche occasione ho dovuto prendere questa decisione. Nel 2005 eravamo arrivati a circa 50 metri dalla vetta della Shipton Spire nel Karakorum. Dopo due anni di tentativi su quella difficile prima ascensione e decine di giorni passati in parete e un’estenuante scalata di 16 ore, la cima era a portata di mano. Si stava facendo buio mentre un temporale si stava avvicinando e dovetti prendere la decisione di scendere fino all’ultimo bivacco. Fu la discesa più difficile della mia vita, mi ci volle tutta la notte sotto una terribile nevicata. Forse avremmo potuto rischiare, sopravvivere al bivacco d’emergenza per poi salire in cima il giorno dopo. Non lo so. So però che siamo sopravvissuti! Nel 2009 durante la prima ascensione della via Edita sulla Sud della Marmolada eravamo arrivati a poche decine di metri dal terreno facile, ormai alla fine del terzo giorno della scalata più dura che abbia mai vissuto in Marmolada. Un paio d’ore prima dell’arrivo del buio, col cielo tutto nero, iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia e noi ci trovavamo dentro ad un imbuto dove, quando arriva un temporale, quella che scende lungo la parete sembra una cascata del Niagara. Prendemmo la decisione di battere in ritirata calandoci lungo la parete e continuammo a scendere in doppia fino a mezzanotte lungo quella parete selvaggia. Il giorno dopo, poi, arrivò il bel tempo preannunciato da qualche giorno... Forse non scaleremo mai più quella via, ma la decisione che prendemmo fu quella giusta. Sarebbe stato un grande azzardo sperare che la tempesta non arrivasse. Sì, è anche una questione di responsabilità, verso la famiglia, le persone che ti sono vicine, verso noi stessi. Sarebbe però falso dire che solo gli irresponsabili o gli inesperti non tornano dalla montagna. Dalla nostra dobbiamo avere anche la fortuna, o il destino, chiamatelo come vi pare. Ecco, a tutti noi auguro di poter avere sempre dalla nostra parte proprio questo elemento, piaccia o meno, imprescindibile.
“LA COSA PIÙ IMPORTANTE DA TENERE A MENTE È PERÒ CHE SI STA PER AFFRONTARE
UNA SCALATA IN SOLITARIA NON ASSICURATI E CHE SEMPLICEMENTE NON SI POSSONO COMMETTERE ERRORI, PERCHÉ QUALSIASI SBAGLIO PUÒ AVERE CONSEGUENZE FATALI. ANCHE SU UN SENTIERO DI MONTAGNA ESPOSTO DOBBIAMO SEGUIRE ESATTAMENTE GLI STESSI PRINCIPI SEGUITI DAGLI SCALATORI ESTREMI PER LE LORO SOLITARIE CHE LASCIANO SENZA FIATO TUTTO IL MONDO DELL’ALPINISMO!
IL LIMITE ULTIMO E LA RESPONSABILITÀ
Per ogni itinerario alpinistico di più lunghezze di corda che si sviluppi in ambiente montano dobbiamo prendere in considerazione un’enorme quantità di fattori di pericolo per poterlo gestire con il minimo rischio possibile. Quanto più alta è la montagna tanto maggiore è la quantità di quei fattori. Non arrivare ad oltrepassare quel limite oltre il quale non saremmo più in grado di tornare indietro con le nostre forze. Sempre che sia possibile tornare indietro... È una questione molto complessa e da un
La Via per la Montagna
Testo Paul Pritchard Traduzione Luca Calvi
Durante la scalata del Totem Pole, in Tasmania, un masso di dolerite grande quanto un computer portatile mi arrivò dritto sul cranio da venticinque metri d’altezza. Dopo quell’incidente sono diventato disabile. Sono un emiplegico, non ho l’uso del braccio destro e ho la gamba destra molto debole. Sono rimasto in ospedale per un anno e da allora ho problemi con la parola e con la memoria.
Totem Pole
Foto: Matthew Newton
Toccò poi agli scalatori più vicini, gente normale come me, ma ancora distanti, non miei compagni, quindi emozionalmente sacrificabili; come quelli morti durante le gare automobilistiche, parte del gioco degli scalatori, il prezzo da pagare.
Alla fine, quando ormai ero arrivato ad avere una sorta di vita da eroe, il riflesso di un riflesso, iniziai a fare la conta dei miei amici, giovani ed anziani, alcuni che morivano da eroi, ma la maggior parte no, morivano in modi per lo più tragicamente banali ed evitabili, per essere scivolati od inciampati. Iniziai a sentirmi stanco degli elogi funebri, dei proclami a copia ed incolla dedicati alla nobiltà del morire durante una scalata, mentre si sta facendo ciò che si ama. Meglio morire dopo un giorno da leone che vivere una vita da pecora, mi è sempre stato detto, ma c’è mai stato qualcuno che si sia interessato dell’opinione di una pecora?
“DOPO UN PO’ LA PILA DI CORPI È COSÌ ALTA CHE NON SI RIESCE A