Previsioni del tempo

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verdenero 7

noir di ecomafia


Wu Ming Previsioni del tempo © 2008 by Wu Ming published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto Santachiara © 2008, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 Ufficio stampa: ufficiostampa@reteambiente.it

Si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera ad uso personale dei lettori, e la sua diffusione per via telematica purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta. L’autore del presente libro difende la gratuità del prestito bibliotecario ed è contrario a norme o direttive che, monetarizzando tale servizio, limitino l’accesso alla cultura. L’autore e l’editore rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito bibliotecario di quest’opera. Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono stampate su carta contenente fibre da riciclo post-consumo e/o fibre vergini certificate dal Forest Stewardship Council, cioè non provenienti dall’abbattimento di foreste primarie.

Finito di stampare nel mese di febbraio 2008 presso Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


wu ming previsioni del tempo



prologo l’infanzia dell’eroe



bologna, 1993

Tempo prima, sull’Appennino, era scappata una pantera nera. Gli studenti avevano occupato facoltà in tutto il territorio nazionale, mandandosi messaggi via fax. Il movimento divenne noto come la Pantera. Il rock che vendeva era duro, Nirvana, Jane’s Addiction, Pearl Jam. Molecole bagnavano cervelli, tutto veniva recuperato e frullato. Il culto della felicità originava da Wall Street in vibrazioni concentriche, il comparto farmaceutico-chimico giganteggiava, surrogato di ministero della difesa tarato sull’individuo, pronto a produrre inusitati implementi in grado di arginare tutte le brutte cose che passano per la mente, Bomba Prozac+, V-2 biochimi7


ca dipinta d’arcobaleno, Desert Storm alle spalle, George I e i repubblicani alle spalle. L’onda lunga bagnava le nostre coste, il paese fatto a stivale, il bel paese: dopo l’uscita di scena degli uomini della prima repubblica sembrava vivesse, si riproducesse e girasse per strada una nuova generazione di uomini, gli ultimi uomini, nuovo modello di uomini che non doveva più preoccuparsi di nulla, le cose sarebbero state amministrate in maniera corretta, i ladri tutti in galera, i corrotti tutti in galera, i fiancheggiatori tutti in galera; i nomi nuovi erano Tonino Di Pietro, Mariotto Segni, eroina-revival per le strade, nuovi anni ottanta, un embrione di ipocrita autocoscienza in più. In quei giorni, liquidi rovesciati seccavano al sole lasciando aloni opachi. L’alluminio del tavolino tondo, dove era ancora bagnato, mandava riflessi. Una copia di Cuore faceva mostra di sé all’interno di una bacheca. Il giornale aveva conosciuto giorni migliori, l’anno prima, il congresso dei comunisti, o ex tali, aveva imposto un colpo di coda ai neuroni dei redattori. Il titolo in prima pagina annunciava: “D’ALEMA CONFERMA: PIENA FIDUCIA A QUEL COGLIONE DI OCCHETTO”. 8


Attorno al tavolino, altri tavolini. Attorno ai tavolini, la piazza. Attorno alla piazza, la città. Piccola mecca per studenti. Sciamavano dal profondo Sud, dal profondo Nordest, dalle dieci direzioni dello spazio. Il mondo non avrebbe saputo che farsene di loro, e sarebbe avvenuto presto, pensò Angelo. Iscritto a economia & commercio, trovava la compagnia degli illusi interessante. Spense la sigaretta. Finì di rimestare il caffè con cura, fissando il liquido scuro. Deglutì il contenuto. «I dieci migliori dischi della storia della musica?» Occhi grigi interrogavano dietro una montatura spessa, acuti come spilli. Angelo studiò l’interlocutore. Quando diceva musica, occhi grigi intendeva rock. Roba da fratelli maggiori. «E che vuoi che ti dica? Non so, Dark Side of The Moon, gli Alan Parsons Project...» «Sì, e i Genesis. Ma come sei messo? Sarà meglio che incominci a farti una cultura. A Bologna ’ste cose sono importanti.» Occhi grigi continuava. Trattava il rock come un totem, come Queequeg il suo idoletto, piacere veloce, spicciolo, da quattro soldi, sublime. Angelo 9


perse la direzione delle parole e alzò lo sguardo. Una figura incedeva in mezzo alla piazza. Ne aveva avvertito l’arrivo. Occhi grigi volse il capo. «Ecco che arriva il Conte con tutti i suoi amici.» La figura dell’uomo era un’ombra lunga. Il Conte e suo fratello: persone pericolose, almeno per la media della vita di strada bolognese, segnata da grave inettitudine. Che fossero legati a qualche famiglia delle sue parti, Angelo lo sapeva bene. Diversi come il giorno e la notte, come uno che si ammazza di lavoro mentre l’altro non fa un cazzo. Il maggiore ama non di meno il fratello, come si ama uno sfortunato. Dentro il bar stazionano studenti alternativi, quelli a cui piace fumare, quelli che nel mutare delle contingenze cominceranno a tirare cocaina: la Pantera non era mai stata trovata, aveva raggiunto una cengia inaccessibile, forse era incappata in un branco di cani selvatici, forse non era mai esistita. In ogni modo c’erano già dei reduci. Reduci dopo circa due anni, alcuni dopo due mesi. E loro due, i fratelli Ventre, giganteggiavano sul quadro, occupavano il centro della scena, pronti a mandare segnali a chi poteva comprendere. Eccoli paternalisti e severi, buffetti sulle guance e pacche 10


nel culo; eccoli, i fratelli, incapaci di mantenere equilibrio tra confidenza e distanza, minacciosi, protettivi, contraddittori. Il Conte, fantastico esemplare. Entrava in completo Caraceni, pochette in tinta con camicia e cravatta, scarpe che costano quanto l’affitto mensile di un monolocale. Metteva la mano in tasca e, pausa drammatica, estraeva un portasigarette d’oro. Chiudeva la scatola, rumore secco, e si accendeva la paglia, stitico sbuffo azzurrino. Sostava davanti allo specchio dorato come se il riflesso potesse davvero rispondere alle sue domande, De Niro in Taxi Driver, ma vestito elegante. Angelo sapeva riconoscere le cose importanti, quelle che avrebbero finito per rivestire un senso. I due fratelli erano il suo spettacolo quotidiano, ma non erano in alcun modo un gioco. Stava imparando qualcosa. La cosa più grave è l’illusione di essere qualcuno. La più grande sconfitta è farsi vedere. I due mandavano puzza di tragedia imminente, di tragedia che vira in farsa, o viceversa. I due erano tragicomici. Erano un compendio di tutto quello che Angelo trovava risibile. 11


I due erano concrezione viva, retaggio operante. Non che in loro non ci fosse del bene: ma occorreva concentrarsi sul male. Nel 1987 il Conte aveva raggiunto il fratello intelligente su al Nord, proprio a Bologna, dove l’altro, detto anche il Dottore, aveva aperto un locale. Mossa azzeccata, momento giusto. La Ruota della Storia stava per compiere l’Ultimo Giro, c’era di che bere e socializzare. Studentesse, bella vita, il Conte arrivava nel bar del fratello vestito da dio in terra, girando nelle mani una chiave con un tridente e una M, Rolex sopra il polsino. In mezzo al consesso offriva da bere. Arrivava alto, impettito, elegante, e offriva. Aiuto economico. Droghe. Quello che serviva. Poi, Bocchini di Studentesse nella Rimessa del Vino all’Ora dell’Aperitivo, tra fusti di birra, attrezzi da pulizia disusati e ragnatele, e dopo, cena con troie, serata con troie, nottata con troie, e dopo ancora risvegli con troie andate via, risvegli solitari e trionfanti al Baglioni, occhi cerchiati, espressione stolida. La bella vita: il Conte era all’avanguardia, il suo naso captava effluvi, anticipando tutta una weltan12


schauung. Comunque, la magia durava da qualche anno, il fratello intelligente non poteva smettere di volere bene al Conte. Permettersi di proteggerlo era una vittoria sul mondo. Angelo comprendeva tutto questo. La gente fa spesso cose insensate per puro affetto. Guardò i movimenti calcolati del Conte, osservò il Conte Uomo Pubblico, cercò di leggere attraverso la cortina fumogena. Per tutti quelli che avevano occhi, la sua natura si palesava, l’essenza trasudava attraverso panni costosi. Sentimentali, barocchi. Autolesionisti. Quel che erano stava inscritto in ogni gesto, in ogni tratto, in ogni parola. Solo i bolognesi non riuscivano a leggerla, quella lingua. Angelo immaginò il Conte puntarsi una pistola alla fronte. Il Dottore e il Conte. La loro carne era antica, la loro fatica era antica, e così rabbia e violenza, lontane, pericolose, ancestrali. «E tu che ti bevi, Angelo?» «Prosecco, Conte. Grazie.» 13


«E portami i saluti a tuo padre.» «Certo, non mancherò.» Quella sera il Conte aveva dato mostra di andar fuori di matto perché il ragazzo di turno, dietro il bancone, si ostinava a non separare il vetro e le lattine dal resto del rusco. Gli aveva quasi messo la testa nella schifezza. La carta da una parte, le lattine da un’altra, e il vetro da un’altra ancora, cazzo. Aveva pronunciato la parola cazzo su un registro tenorile. Tu manco lo immagini, aveva detto, la monnezza è oro. Angelo si rese conto che tutto quello che lo attorniava, tutti gli oggetti di cui era fatto il mondo erano accomunati da un destino piano, univoco, ineluttabile. Si stava per divenire rifiuti. Ma quello poteva non essere l’esito finale. La monnezza è oro, aveva detto il Conte. E nessuno aveva applaudito. Questo accade quando il pubblico è distratto, compiacente, quando clientes e servi siedono nelle prime file, ti attorniano, e scambiano le banalità per battute epocali e gli attimi di lucidità per stronzate. Angelo vide che lo 14


sproloquio del Conte – figa, non ci sono più valori, figa, gli studenti non valgono un cazzo, figa, ma come cazzo sei vestito, fai schifo, figa, figa e coca – era accompagnato e punteggiato da cenni d’assenso e risate. Quella sera, Angelo tornò a casa scorrendo veloce sotto i portici, meditando su quanto aveva veduto. Per puro automatismo, aveva comprato venti sacchi di marocchino, il pusher aveva staccato un pezzo coi denti. Nella parte alta di via S. Vitale passò tra la parete e le impalcature che da mesi davano sulla strada. In quel punto si era raccolta l’acqua. Puzza di muffa e urina. Vide un topo trascinare il cadavere di un piccione in una fogna. La piccola carcassa sobbalzava sull’asfalto, come gomma insanguinata.

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bologna, 1997

Il fango frenava la corsa. A ogni passo le scarpe dell’uomo si appesantivano, zoccolo di terra e acqua incollate, parte della congiura per ucciderlo. L’uomo volgeva la testa più spesso, man mano che la forza nelle gambe svaniva. Scendendo a lunghe falcate lo sterrato, Giuliano vide il fiume duecento metri sotto, appena velato dalla foschia. Il fuggitivo incespicò. Giuliano gli fu sopra. L’uomo tese le braccia. L’assassino esplose tre colpi. Il sangue macchiò i vestiti. Giuliano imprecò. Si guardò attorno: era mattina presto, pioveva a dirotto. Trascinò il corpo verso 17


il fiume. Il sangue lasciava una scia, fango fluido, oscuro. La riva era scoscesa. La pioggia batteva la terra, l’acqua, la faccia dell’uccisore. Con un ultimo sforzo, tirò il fardello per le gambe. Il corpo scivolò lento nel fango, semisommerso nella corrente. Giuliano cavò vestiti puliti da uno zainetto. Riparandosi alla meglio sotto un albero, si cambiò. Ficcò i vecchi vestiti nello zainetto. Descrivendo un arco, lo zainetto volò nel fiume. Il mozzicone di sigaretta cadde sull’asfalto bagnato. Sull’autobus fradicio di sentori, Giuliano notò due donne. Una, adolescente con incisivo d’oro, parlava a labbra contratte. L’altra, grandi occhi truccati di verde, annuiva. Le desiderò, guardandole a lungo. Occhi verdi incrociò il suo sguardo. Giuliano allora guardò fuori del finestrino, alzandosi sulle punte, tendendo il collo sopra la folla di corpi. La città si riproduceva in edifici archeologici, la natura si riappropriava dei mattoni, del ferro e del cemento. La gente andava a lavorare. Abbassò i talloni, la scena svanì. Dentro, Incisivo d’oro covava 18


un uovo fatto di dispetto, il guscio calcare-di-lavatrice, il bianco seme annacquato, il giallo un ematoma. Occhi truccati di verde guardava fuori del finestrino, sotto il ponte sfilavano binari, lontano c’era un’idea d’orizzonte aperto dove annegavano treni. Deglutì. L’autobus ballonzolava sulle buche. Giuliano riconobbe la fermata: lo aspettavano nello spiazzo sul retro del distributore, vicino all’entrata della tangenziale. Si fece largo come poté, inseguito dal berciare di vecchi locali. Attraversò la strada. L’adolescente dai denti d’oro sorrise oltre il vetro.

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