Rifiuti n. 208 luglio 2013

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RIFIUTI

luglio 2013 mensile

n. 208 (07/13) Euro 14,00

Registrazione Tribunale di Milano n. 451 del 22 agosto 1994. Poste italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – Dl 353/2003 (conv. in legge 46/2004) articolo 1, comma 1, DCB Milano

bollettino di informazione normativa

L’intervento Olio minerale usato e spedizioni transfrontaliere: non sempre il libero mercato prevale sulla tutela dell’ambiente

pag. 4

di Paola Ficco

L’Autorizzazione unica ambientale (Aua): vera semplificazione?

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di Leonardo Filippucci

Le responsabilità dell’intermediario di rifiuti

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di Pasquale Fimiani

Legislazione norme nazionali Aua, al debutto la nuova autorizzazione ambientale per le Pmi

Decreto Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59 Tares, pronto il bollettino per i versamenti

Decreto direttoriale 14 maggio 2013

il commento di Lavinia Basso e Simona Faccioli

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Giurisprudenza Ambulanti: solo i “robivecchi” vanno senza autorizzazione per i rifiuti

Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 3 maggio 2013, n. 19111 Inerti da demolizione: non sono terre e rocce da scavo

Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 9 maggio 2013, n. 19942 Dm 5 febbraio 1998: non si applica in automatico alle procedure ordinarie

Corte di Cassazione, Sezione III penale – Sentenza 9 maggio 2013, n. 19955

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Prassi Import export: olio minerale usato e principio di prossimità

Circolare 26 marzo 2013, prot. n. 23876

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Rubriche Quesiti a cura di Paola Ficco e Claudio Rispoli Focus 231 Ambiente a cura di Pasquale Fimiani Focus Rifiuti e sanzioni amministrative a cura di Italia Pepe

Edizioni Ambiente

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Pazienza

, una virtù che (giustamente) la Commissione Ue non ha più nei confronti delle prolungate inadempienze italiane alle regole sui rifiuti in Campania. Questo perché (si legge nella nota del Commissario Ue per l’ambiente, Janez Potocnik) “gli Stati membri devono recuperare e smaltire i rifiuti in modo tale da non mettere in pericolo la salute umana e l’ambiente”. E così, per la seconda volta, la Ue ha deferito il nostro paese alla Corte di Giustizia di Bruxelles, chiedendo una multa forfettaria di 25 milioni di euro per le violazioni pregresse e un’ulteriore sanzione per la mora pari a 256.819,20 euro al giorno a decorrere dalla prima condanna europea intervenuta con sentenza del 4 marzo 2010 (C-297/08). In quella sentenza la Corte aveva espresso una particolare preoccupazione per l’assenza di una rete di impianti di smaltimento integrati e adeguati, nonostante tale rete sia obbligatoria. Tuttavia, alcuni passi avanti sono stati fatti; infatti, nel ricorso europeo alla Corte si legge che “…l’Italia ha adottato un nuovo piano di gestione dei rifiuti per la Campania nel gennaio 2012 e a giugno ha presentato un programma di misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento”. Questo dovrebbe portare ad uno “sconto” nel pagamento della mora. Nel suo ricorso la Commissione Ue dichiara che “Dall’estate 2011 le autorità locali hanno dirottato grandi quantità di rifiuti verso impianti in altre Regioni, soluzione questa di natura meramente temporanea a problemi che caratterizzano la Regione ormai da anni. Non sono però da escludersi nuove emergenze, dato che il trasporto dei rifiuti fuori dalla Regione non risolve in modo adeguato i problemi endemici di questo territorio”. Inoltre, la Commissione “guarda con preoccupazione i ritardi che hanno portato all’arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche. Il rischio ora è che molte delle installazioni previste non siano pronte per la fine del 2016,

cioè in tempi ancora ragionevoli dalla prima sentenza della Corte”. Né la Commissione dimentica i sei milioni di tonnellate di rifiuti imballati e stoccati presso vari siti in Campania e il bassissimo tasso di raccolta differenziata nella Provincia di Napoli (20%). Questo il fatto. Gravissimo. Riflessioni. La prima: difficilissimo recuperare credibilità. Senza credibilità, l’Italia non avrà alcuna possibilità di manovra su una partita che si è voluto diventasse così complessa. Perché in realtà non lo sarebbe stata. La seconda riflessione è che l’emergenza Campania non è un fatto tecnico; è, invece, il risultato di una demenza sociologica per l’abbattimento del tessuto sociale studiata a tavolino. Basta una passeggiata nei dintorni di Caserta, nella disperata “terra dei fuochi”. Lì, infatti, l’incidenza di una particolare forma di land grabbing (accaparramento della terra), dove moltissimi delocalizzano gli impatti dello smaltimento, è atroce. Su aree e litorali fragili e marginali che custodivano il segreto della “Campania felix”. Aree dove nessuno è riuscito a regolare i rapporti per il controllo sano del territorio da parte dei cittadini. Il controllo civile viene fuori adesso, ma è fragile perché è scomposto e ferito. E forse è anche troppo tardi. La democrazia sta morendo sotto i colpi dell’indifferenza dovuta alla mancata percezione del bene comune. Un male noto; infatti, già alla fine del ‘400 Guicciardini narrava di un’Italia attenta solo al “proprio particulare”. Le norme, le sanzioni e i sistemi di controllo non bastano più al lacerato tessuto sociale locale e nazionale. Comportamenti e linguaggio quotidiano si devono ricomporre nella relazione tra singoli e tra gruppi, nella condivisione e nella tutela degli spazi attraverso un ritrovato senso civico. Salvatore Settis nel suo bellissimo e raggelante “Paesaggio Costituzione cemento” denuncia la “progressiva trasformazione delle pianure e delle coste italiane in un’unica immensa periferia”. Questo non avverrebbe impunemente se vi fosse fra i cittadini “una chiara percezione del valore della risorsa e dell’irreversibilità del suo consumo”.
 Paola Ficco


Abstract

L’intervento

RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

Olio minerale usato e spedizioni transfrontaliere: non sempre il libero mercato prevale sulla tutela dell’ambiente di Paola Ficco

In determinate circostanze alcuni obiettivi politici prioritari possono necessitare di restrizioni o anche divieti che se, da un lato, ostacolano il libero scambio, dall’altro sono utili per altri scopi importanti quali la protezione dell’ambiente o della salute umana. Fin dal 1986 la Corte di Giustizia Ue ha ritenuto che la tutela dell’ambiente rappresenti “uno degli scopi essenziali della Comunità” e che in quanto tale “può giustificare talune limitazioni del principio di libera circolazione delle merci”. In modo conforme a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato ha letto il principio di prossimità nel senso che per i rifiuti speciali o pericolosi vige il criterio “della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti.”. Il principio di prossimità per i rifiuti speciali, del resto, è presente anche nell’articolo 16, direttiva 2008/98/Ce e nell’articolo 199, comma 3, lettera g) e b), Dlgs 152/2006 al fine di realizzare il principio della minor movimentazione possibile di rifiuti sul territorio. Per questo la ricognizione dei sistemi di raccolta e degli impianti, in specie per gli oli usati, va fatta dai piani regionali. Il tutto in omaggio a quanto previsto dalla Convenzione di Basilea (articolo 4, par. 2, lett.) come richiamata dall’articolo 12, regolamento (Ce) 1013/2006, a mente del quale, inoltre, l’impianto di destino non deve essere sorretto da norme meno severe rispetto a quelle italiane. In caso di esportazione di oli minerali usati le Autorità competenti nazionali devono innanzitutto e soprattutto verificare che l’esportatore rispetti la gerarchia di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 4, direttiva 2008/98/Ce e all’articolo 179, Dlgs 152/2006, in omaggio a quanto richiesto dall’articolo 12, par. 1, regolamento (Ce) 1013/2006. Quindi, se gli oli sono destinati al recupero energetico, la gerarchia non è rispettata. In caso di invio a rigenerazione in impianti esteri le Autorità competenti devono verificare il rispetto del principio di minima movimentazione dei rifiuti di cui alla Convenzione di Basilea (articolo 4, par. 2, lettera d). Se la spedizione di rifiuti viene effettuata in un modo che il recupero o lo smaltimento risulti in contrasto con la normativa comunitaria (es. articolo 4, direttiva 2008/98/Ce, gerarchia) o internazionale (es. articolo 4, par. 2, lettera d), Convenzione di Basilea), questo integra gli estremi del traffico illecito di rifiuti di cui all’articolo 259, Dlgs 152/2006, letto in continuità normativa fra il traffico illecito di cui all’articolo 26, abrogato regolamento (Cee) 259/1993 e la spedizione illegale di cui all’articolo 2, n. 35, regolamento (Ce) 1013/2006. Il reato viene posto a carico dei soggetti che se ne rendono responsabili sia direttamente, sia a titolo di concorso.

1. La compatibilità tra protezione dell’ambiente e commercio intra comunitario

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La presente analisi della Circolare MinAmbiente 26 marzo 2013 non può prescindere da una, sia pur sommaria, indagine sulla compatibilità tra protezione dell’ambiente e commercio intra comunitario. Nella comunicazione della Commissione Ue “Il mercato interno delle merci: un pilastro della concorrenzialità dell’Europa”, Com(2007)35 def. si legge che un buon funzionamento del mercato interno delle merci è un “elemento essenziale per la prosperità attuale e futura dell’UE all’interno di un’economia globalizzata”. Al riguardo, occorre innanzitutto osservare che la libera circolazione delle merci è un elemento fondamentale del progetto europeo. Si tratta di una delle libertà economiche previste dal Trattato europeo (articoli da 34 a 36); tuttavia, la libera circolazione delle merci non costituisce un valore assoluto. “Infatti, in determinate circostanze alcuni obiettivi politici prioritari possono necessitare di restrizioni


Gli articoli 34 e 35 del Tfue vietano restrizioni quali-quantitative all’importazione e all’esportazione fra Stati membri, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. Tuttavia, l’articolo 36 Tfue stabilisce che “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.”.

(1) In “Libera circolazione delle merci – Guida all’applicazione delle disposizione del Trattato che regolano la libera circolazione delle merci” (A cura della) Direzione generale per le Imprese e l’Industria Direzione C – Politica di regolamentazione – Commissione europea. (2) Causa C-120/78, Rewe Zentral AG.

(3) Causa C-473/98 Toolex. (4) Causa C-34/79 Henn - Darby. (5) Causa C-302/86 Commissione contro Danimarca; Causa C-2/90 Commissione contro Regione Vallonia del Belgio (richiamata anche da C. Cost. 281/2000). (6) Ex multis: Causa C-319/05 Com-

Tuttavia, come si è detto più sopra, le esigenze imperative devono essere giustificate dall’osservanza da parte dello Stato membro del principio di proporzionalità (14) secondo il quale il provvedimento adottato dallo Stato membro deve essere necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito; tale obiettivo, inoltre, non potrebbe essere raggiunto attraverso divieti o limitazioni di minore portata o che colpiscono in minor misura il commercio all’interno della Ue. Questo significa che i mezzi scelti dagli Stati membri deve essere sempre limitati a quanto effettivamente necessario per garantire l’obiettivo perseguito nonché essere proporzionati allo stesso. Ovviamente spetta allo Stato membro che invochi una ragione giustificativa di una restrizione alla libera circolazione delle merci, dimostrare l’esistenza di un motivo di interesse generale, la necessità della restrizione e il suo carattere proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito. Il tutto va supportato da prove adeguate e da un’analisi dell’idoneità e proporzionalità della misura restrittiva adottata dallo Stato membro. Si aggiungono elementi circostanziati che consentono di suffragare l’argomentazione proposta (15). Tuttavia, la Corte ha stabilito che l’onere della prova non può estendersi fino a pretendere che lo Stato membro dimostri in positivo che nessun altro possibile provvedimento permette la realizzazione dello stesso obiettivo alle stesse condizioni (16).

RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

Le esigenze imperative In tal modo, il Trattato individua gli interessi non economici che gli Stati membri Ue possono perseguire mediante provvedimenti nazionali che impediscano gli scambi transfrontalieri. La giurisprudenza della Corte Ue, accanto all’elenco indicato nel citato articolo 36 Tfue, con la sentenza “Cassis de Dijon” (2) ha sviluppato in modo innovativo il principio del mutuo riconoscimento; infatti, ha introdotto il concetto delle “esigenze imperative” inteso come elenco non esauriente di interessi tutelati dall’articolo 34, Tfue. In tale sentenza la Corte ha stabilito che tali esigenze imperative attengono, in particolare, all’efficacia dei controlli fiscali, alla tutela della salute pubblica, alla lealtà delle transazioni commerciali e alla difesa dei consumatori. Il tutto nel rispetto del principio di proporzionalità; infatti, l’articolo 36 Tfue non può essere invocato per giustificare deviazioni rispetto alla legislazione armonizzata Ue (3). La Corte di Giustizia Ue (4) ha stabilito che la seconda frase dell’articolo 36, Tfue è tesa “ad impedire che le restrizioni degli scambi basate sui motivi indicati nella prima frase siano distolte dal loro fine e usate in maniera da creare discriminazioni nei confronti delle merci originarie di altri Stati membri o da proteggere indirettamente taluni prodotti nazionali” oppure in caso di adozione di misure protezionistiche. Anche se la tutela dell’ambiente non è espressamente citata dall’articolo 35 Tfue, la Corte di Giustizia Ue ha riconosciuto che tale tutela costituisce un’esigenza imperativa prioritaria. Infatti, la Corte ha ritenuto che la tutela dell’ambiente rappresenta “uno degli scopi essenziali della Comunità” che in quanto tale “può giustifi-

care talune limitazioni del principio di libera circolazione delle merci” (5) in omaggio al principio di proporzionalità. Secondo una costante giurisprudenza comunitaria, misure nazionali atte ad ostacolare gli scambi intracomunitari possono essere giustificate da esigenze imperative attinenti alla tutela ambientale purché siano proporzionate all’obiettivo perseguito (si veda, in particolare, causa C-463/01, Commissione/Germania, punto 75, nonché C-309/02, Radlberger Getränkegesell- schaft, punto 75). Tuttavia, non va taciuto che, varie volte, la Corte ha confermato che le giustificazioni basate sulla salute pubblica e sull’ambiente non sono sempre sufficienti a ostacolare la libera circolazione delle merci. Infatti, non di rado la Corte ha sostenuto gli argomenti avanzati dalla Commissione con riferimento ai provvedimenti nazionali sproporzionati rispetto all’obiettivo da conseguire o alla mancanza di prove che dimostrano il rischio dichiarato (6). La Corte di Giustizia Ue ha riconosciuto altre esigenze imperative tali da giustificare ostacoli alla libera circolazione delle merci. Ci si riferisce alla salute e sicurezza sul lavoro che rientrano nella nozione di salute pubblica di cui all’articolo 36 Tfue a mente della quale il miglioramento delle condizioni di lavoro costituisce un’esigenza imperativa anche in assenza di qualsiasi considerazione pertinente alla salute (7). Si aggiungono gli obiettivi culturali (8); la salvaguardia del pluralismo della stampa (9); l’equilibrio finanziario del sistema previdenziale (10); la sicurezza stradale (11); la lotta alla criminalità (12); la tutela del benessere degli animali (13).

L’intervento Oli minerali usati e spedizioni

o anche divieti che se, da un lato, ostacolano il libero scambio, dall’altro sono utili per altri scopi importanti quali la protezione dell’ambiente o della salute umana. A fronte di un contesto di importanti sviluppi a livello globale, non è una sorpresa che negli ultimi anni si sia registrata una maggiore integrazione degli aspetti ambientali nella libera circolazione delle merci, a sottolineare il fatto che nel tempo i motivi di giustificazione possano essere visti in modo diverso. È dunque un compito costante, nell’applicare il diritto dell’Unione europea, conciliare obiettivi differenti, a volte in concorrenza tra loro, nonché accettare il ricorso a un approccio equilibrato e proporzionato” (1).

I principi comunitari che animano la politica ambientale con particolare riguardo al principio di precauzione Ai sensi dell’articolo 191, par. 2, Tfue “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenenmissione contro Germania; Causa C-186/05 Commissione contro Svezia; Causa C-297/05 e C-254/05 Commissione contro Paesi Bassi; Causa C-432/03 Commissione contro Portogallo. (7) Causa C-155/80. (8) Cause riunite C-60/84 e 61/84. (9) Causa 368/95.

(10) Causa C-120-95. (11) Causa C-54/05. (12) Causa C-206/95. (13) Causa C-219/07. (14) Cause C-390/99; C-254-02; C-319/05; C-287/07. (15) Causa C-14/02. (16) Causa C-110-05.

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1. Premessa: il potere regolamentare conferito dal Dl 5/2012

L’intervento

L’Autorizzazione unica ambientale (Aua): vera semplificazione? RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

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di Leonardo Filippucci Avvocato in Macerata

Link di approfondimento In Ossorvatorio di Normativa ambientale “Autorizzazione unica ambientale, burocrazia più snella per le ‘PMI’ e non solo” (di F. Petrucci)

Preceduto dall’esperienza dell’articolo 49, comma 4-quater del Dl 31 maggio 2010 n. 78 (1) – sulla cui scorta sono stati adottati il Dpr 1° agosto 2011 n. 151 (2) e il Dpr 19 ottobre 2011 n. 227 (3) – l’articolo 23 del Dl 9 febbraio 2012 n. 5 ha demandato ad apposito regolamento governativo l’introduzione nell’ordinamento di un nuovo strumento di semplificazione amministrativa: l’Autorizzazione unica ambientale (Aua). In particolare, il citato articolo 23, nella versione risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 4 aprile 2012 n. 35, stabilisce: “Autorizzazione unica in materia ambientale per le piccole e medie imprese 1. Ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al fine di semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le PMI e per gli impianti non soggetti alle citate disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale, anche sulla base dei risultati delle attività di misurazione degli oneri amministrativi di cui all’articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo è autorizzato ad emanare un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del (1) L’articolo 49, comma 4-quater, Dl 78/2010, introdotto dalla legge di conversione 30 luglio 2010 n. 122, stabilisce: “Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese, anche sulla base delle attività di misurazione degli oneri amministrativi di cui all’ articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo è autorizzato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell’ articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, per la semplificazione normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le associazioni imprenditoriali, volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni: a) proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività, nonché alle esigenze di tutela degli interessi pubblici coinvolti; b) eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensio-

ne dell’impresa ovvero alle attività esercitate; c) estensione dell’utilizzo dell’autocertificazione, delle attestazioni e delle asseverazioni dei tecnici abilitati nonché delle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’ articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; d) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell’amministrazione digitale; e) soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione ISO o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione; f) coordinamento delle attività di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalità degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti”. (2) Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell’articolo 49, comma 4-quater, del Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. (3) Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’articolo 49, comma 4-quater, del Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.


Rinviando al § 11 alcune considerazioni conclusive sulla natura dell’Aua, occorre prendere le mosse dalla definizione che di tale autorizzazione fornisce il Dpr 59/2013. In base al combinato disposto dell’articolo 2, lett. a), e dell’articolo 3, commi 1 e 2, del Dpr 59/2013, l’autorizzazione unica ambientale è definita come il provvedimento che sostituisce: i seguenti atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale: • autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte terza del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152; • comunicazione preventiva di cui all’articolo 112 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152, per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste;

Giova sottolineare come, tra gli atti che, a norma dell’articolo 3, comma 1 Dpr 59/2013, sono sostituiti dall’Aua, figuri anche l’autorizzazione generale di cui all’articolo 272 del Dlgs 152/2006. Quest’ultimo articolo, come noto, prevede che, per specifiche categorie di stabilimenti, individuate in relazione al tipo e alle modalità di produzione, l’autorità competente di cui all’articolo 268, lett. o) Dlgs 152/2006 possa adottare apposite autorizzazioni di carattere generale, relative a ciascuna singola categoria, nelle quali sono stabiliti i valori limite di emissione, le prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio e i combustibili utilizzati, i tempi di adeguamento, i metodi di campionamento e di analisi e la periodicità dei controlli. All’adozione di tali autorizzazioni generali la predetta autorità competente avrebbe dovuto in ogni caso procedere, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del Dlgs 152/2006, per gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente gli impianti e le attività di cui alla Parte II dell’allegato IV alla medesima parte quinta. In caso di mancata adozione dell’autorizzazione generale, nel prescritto termine di cinque anni, la stessa è rilasciata con apposito decreto del Ministro dell’ambiente e i gestori degli stabilimenti interessati comunicano la propria adesione all’autorità competente o ad altra autorità da questa delegata; è fatto salvo il potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, l’adesione obbligatoria alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell’ambiente. Almeno 45 giorni prima dell’installazione il gestore degli stabilimenti per i quali risulti adottata l’autorizzazione generale, presenta all’autorità competente o ad altra autorità da questa delegata una domanda di adesione all’autorizzazione generale corredata dai documenti ivi prescritti. L’autorità che riceve la domanda può, con proprio provvedimento, negare l’adesione nel caso in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’autorizzazione generale o i requisiti previsti dai piani e dai programmi o dalle normative di cui all’articolo 271, commi 3 e 4 Dlgs 152/2006, o in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale.

RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

2. La nozione di Aua e gli atti sostituiti

• autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all’articolo 269 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152; • autorizzazione generale di cui all’articolo 272 del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152; • comunicazione o nulla osta di cui all’articolo 8, comma 4 o comma 6, della Legge 26 ottobre 1995, n. 447; • autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all’articolo 9 del Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99; • comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del Dlgs 3 aprile 2006, n.152; • ulteriori atti di comunicazione, notifica ed autorizzazione in materia ambientale individuati dalle Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto della disciplina comunitaria e nazionale vigente in materia.

L’intervento Aua

mare, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, volto a disciplinare l’autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese e degli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale, in base ai seguenti principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni: a) l’autorizzazione sostituisce ogni atto di comunicazione, notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale; b) l’autorizzazione unica ambientale è rilasciata da un unico ente; c) il procedimento deve essere improntato al principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell’impresa e al settore di attività, nonché all’esigenza di tutela degli interessi pubblici e non dovrà comportare l’introduzione di maggiori oneri a carico delle imprese. 2. Il regolamento di cui al comma 1 è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e dalla data di entrata in vigore del medesimo regolamento sono identificate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti che sono abrogate dalla data di entrata in vigore del medesimo regolamento. 2-bis. La realizzazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici è sottoposta alla disciplina della segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. (4) In attuazione di tale disposizione è stato approvato il Dpr 13 marzo 2013 n. 59 intitolato appunto “Regolamento recante la disciplina dell’autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell’articolo 23 del Dl 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35”, a pagina 36 della presente Rivista. Il presente contributo vuole fornire una prima lettura del Dpr 59/2013, il quale, a dispetto della propria dichiarata meritoria finalità, pone all’interprete e all’operatore più di un interrogativo, tanto da mettere in dubbio il fatto che, in concreto, possa ritenersi effettivamente raggiunto l’obiettivo della semplificazione.

Stante il ritardo di alcune Regioni nell’adozione delle autorizzazioni generali di cui all’articolo 272, comma 2 Dlgs 152/2006, il Dpr 59/2013, onde rendere effettivamente operante in tutto il territorio nazionale tale meccanismo autorizzativo semplificato, ha contemplato, in un corposo allegato tecnico, le varie condizioni alle qua-

(4) Il comma 2-bis dell’articolo 23 del Dl 5/2012 è stato introdotto dalla legge di conversione 4 aprile 2012 n. 35 e deve ritenersi del tutto avulso dal contesto dell’articolo e dalla materia dell’Aua.

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Premessa

L’intervento

Le responsabilità dell’intermediario di rifiuti RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

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di Pasquale Fimiani Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

Nel corso di un recente incontro organizzato da questa Rivista sul tema dei trasporto dei rifiuti è emersa la necessità di una riflessione sul tema delle responsabilità dell’intermediario, ad oggi non compiutamente affrontato dalla giurisprudenza. Va ricordato che, secondo l’articolo 183, lettera l), T.u., nel testo introdotto dal Dlgs 205/2010, intermediario è “qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti”. L’intermediazione costituisce una delle attività di “gestione” che, secondo la successiva lettera n), comprende: “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario”. Non risultano ancora decisioni in giurisprudenza che abbiano fornito chiarimenti sulla definizione introdotta a fine 2010 e sulle responsabilità dell’intermediario.

2. La definizione di intermediario in generale

Al fine di individuare la figura dell’intermediario di rifiuti, occorre partire dalla locuzione “qualsiasi impresa”. La Raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, n. 2003/361/Ce, relativa alla definizione delle micro, piccole e medie imprese, recita: “Si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica”. La giurisprudenza ha precisato che “nell’ambito della disciplina, nazionale (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e comunitaria (artt. 82 e 86 trattato CE – ora articolo 106 trattato UE; direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003) della concorrenza, la nozione d’impresa ricomprende qualsiasi entità, la quale eserciti in modo organizzato e durevole un’attività economica sul mercato, al di là del suo status giuridico e della definizione che di essa diano i singoli ordinamenti nazionali” (1). Pertanto, qualsiasi soggetto che, al di là della qualifica formalmente rivestita (anche, quindi, un professionista od un’associazione), eserciti in via di fatto un’attività economica sul mercato, può essere considerato impresa e, quindi, suscettibile di inquadramento nella nozione di intermediario. La parte della definizione che genera maggiormente dubbi interpretativi è quella secondo cui l’intermediario di rifiuti “dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti”. La prima considerazione è che l’intermediazione non riguarda la raccolta ed il trasporto dei rifiuti. Come precisato dal Comitato nazionale dell’Albo nazionale gestori ambientali, con Circolare n. 841 del 6 luglio 2011, “un’impresa iscritta all’Albo nelle categorie dalla 1 alla 5 con incarico di svolgere servizi di raccolta e trasporto di rifiuti e che affidi, tramite contratto di subappalto, ad altri soggetti regolarmente iscritti all’Albo alcuni di questi servizi non è un intermediario”. La Circolare precisa sul punto che l’intermediario è “l’impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di ter(1) Cass. civ., Sez. Un., n. 30175/2011.


Segue: il significato del termine “dispone”

Per poter comprendere il significato del termine “dispone” e le responsabilità dell’intermediario, occorre tenere presente il ruolo meramente eventuale di tale soggetto, il cui intervento dipende dalla scelta del produttore di non occuparsi direttamente del percorso di gestione del rifiuto fino alla destinazione finale, ma di affidarsi, a tal fine, ad una soggetto professionalmente attrezzato. Se, quindi, la figura dell’intermediario presuppone una scelta del produttore del rifiuto di trasferirgli un parte dei poteri di gestione, è alle norme che regolano il trasferimento di poteri che occorre fare riferimento. Vengono allora in evidenza le disposizioni in tema di mandato, consistente nel “contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra” (articolo 1703 C.c.). L’intermediario è, quindi, mandatario del produttore dei rifiuti. Di conseguenza, si applicano le norme che regolano il contratto di mandato ed in particolare: (2) A volte nella pratica si ricorre a soluzioni che limitano, formalmente, l’apporto del terzo alla sola consulenza per la miglior gestione del rifiuto; l’og-

getto della prestazione consiste nell’indicazione dei soggetti cui affidare il rifiuto stesso, senza che il (presunto) consulente abbia un qualsiasi rapporto

In realtà, si è in presenza di un doppio rapporto di mandato, poiché l’intermediario, nel momento in cui si interpone tra il produttore ed il titolare dell’impianto di destinazione opera per conto di entrambi. Una situazione analoga è stata ravvisata dalla giurisprudenza con riferimento al contratto di organizzazione di viaggio ed alla posizione dell’agente rispetto al viaggiatore ed al tour operator. La giurisprudenza (4) ha affermato che “in caso di stipulazione di un contratto di organizzazione di viaggio da parte di un agente intermediario per conto del viaggiatore, tra quest’ultimo e l’intermediario sorge un rapporto di mandato con rappresentanza, da cui consegue che il viaggiatore è tenuto, ex articolo 1719 cod. civ., a somministrare all’intermediario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e a rimborsargli i fondi eventualmente anticipati per i pagamenti del corrispettivo verso il tour operator. L’agente, inoltre fin dal momento dell’incasso del prezzo versato da parte del viaggiatore, agendo anche in qualità di mandatario del tour operator, da cui riceve le provvigioni, è tenuto al rimborso a favore di quest’ultimo delle somme ricevute dal viaggiatore medesimo, in quanto, come si desume dall’articolo 1713, primo comma, cod. civ., egli deve rimettere al mandante tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato”. Sostituendo al viaggiatore il produttore dei rifiuti (primo mandante) ed al “tour operator” il titolare dell’impianto di destinazione (secondo mandante), si realizza una situazione del tutto speculare a quella in esame, con la conseguenza che l’intermediario, operando quale mandatario di entrambi, da un lato ha diritto a ricevere dal produttore i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (od al rimborso delle spese sostenute per la sua esecuzione) e, dall’altro, ha l’obbligo di versare al titolare dell’impianto di destinazione quanto ricevuto dal produttore per il conferimento. Il riferimento alla figura del mandato consente, poi, di affermare che i poteri dell’intermediario non sono originari, ma derivati dalla posizione (primaria) del produttore del rifiuto. Tale posizione implica, quale “strumento” per adempiere al dovere di attivarsi per la corretta gestione del rifiuto, il potere esclusivo di farlo, potere connesso alla qualifica del produttore come proprietario della “cosa” rifiuto. È, infatti, tale qualifica che giustifica il diritto – funzionale all’assolvimento dell’obbligo – di disporre del bene giuridico rifiuto “in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli con tali soggetti. È chiaro che laddove tali soluzioni siano meramente formali, in quanto il terzo opera quale intermediario che mette in contatto due o più

persone, si tratta di pratiche tendenti alla mera elusione di obblighi di legge. (3) Cass. civ. Sez. III, n. 12694/2010. (4) Cass. civ., Sez. III, n. 21388/2009.

RIFIUTI bollettino di informazione normativa n. 208 (07/13)

Intermediario non è il mero consulente, il quale si limita ad assistere il produttore ed i soggetti che provvedono al recupero od allo smaltimento, poiché in caso di mera assistenza, chi “dispone” il recupero o lo smaltimento dei rifiuti è soltanto il produttore/detentore (2). In tal caso, però, deve risultare che la scelta finale dell’impianto di destinazione e l’intera gestione operativa rientrino nella esclusiva sfera di autonomia del produttore/detentore e che l’attività di consulenza sia rimasta al di fuori della gestione. L’intermediario non può, inoltre, essere assimilato al mediatore che, secondo l’articolo 1754 C.c. è “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”, poiché, anche in questo caso nessuna attività di disposizione del rifiuto viene posta in essere. Neppure può essere assimilato al procacciatore di affari, il quale, “anche senza carattere di stabilità, agisce nell’esclusivo interesse del preponente/imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele” (3), poiché se è vero che tale figura si distingue dalla mediazione per il rapporto di collaborazione con una delle parti, assente secondo l’espresso dettato normativo nella mediazione (articolo 1754 C.c.), parimenti nessun atto di disposizione del rifiuto pone in essere.

• l’articolo 1708 C.c. nella parte in cui prevede che “il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento”; • l’articolo 1710 C.c., per il quale “il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia”; • l’articolo 1711 C.c. nella parte in cui prevede che “il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato” e che “l’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario, se il mandante non lo ratifica”; • l’articolo 1712 C.c., secondo cui “il mandatario deve senza ritardo comunicare al mandante l’esecuzione del mandato”; • l’articolo 1719 C.c., per il quale “il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome”.

L’intervento Intermediario di rifiuti

zi, e non le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti stessi”. La conclusione è che subappaltare l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti, in assenza di un mandato a disporre per conto di terzi del recupero o lo smaltimento di tali rifiuti, non si configura come intermediazione e non richiede, dunque, l’iscrizione in categoria 8 dell’Albo nazionale gestori ambientali. Il termine “dispone”, presente nella definizione di intermediario, presuppone, come meglio si dirà in seguito, che questi non si limiti a fornire indicazioni al produttore circa l’impianto di recupero o smaltimento presso cui conferire i rifiuti, ma entri con efficacia causale all’interno di tali fasi di gestione. Pertanto, esulano dal concetto di intermediazione le figure del: • consulente; • mediatore; • procacciatore di affari.

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