Che cosa è – L'economia circolare

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“Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla definiscono la loro visione dell’economia circolare, che è allo stesso tempo chiara e stimolante. Più persone saranno in grado di comprendere il potere catalizzante di questo modello economico e meglio sarà, dal momento che sarà questo a garantire prosperità alle prossime generazioni.” Ellen MacArthur Foundation

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MATERIA RINNOVABILE LIBRI Collana diretta da Antonio Cianciullo Emanuele Bompan con Ilaria Nicoletta Brambilla

CHE COSA È L’ECONOMIA CIRCOLARE Introduzione di Antonio Cianciullo realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

progetto grafico: Mauro Panzeri

© 2016, Edizioni Ambiente, via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 www.materiarinnovabile.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-186-4 Finito di stampare nel mese di maggio 2016 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta certificata FSC i siti di edizioni ambiente:

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CHE COSA È

L’ECO NOMIA CIRCO LARE Emanuele Bompan con Ilaria Nicoletta Brambilla Introduzione di Antonio Cianciullo

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Indice

Prefazione Stefano Ciafani e Andrea Poggio

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Economia circolare: una questione di responsabilità 13 Giovanni Corbetta 1. Una start-up promettente Antonio Cianciullo

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2. Economia circolare: genealogia del concetto Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla

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3. Dalla linea al cerchio Emanuele Bompan

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3.  Dalla linea al cerchio

Emanuele Bompan

Nonostante l’evoluzione tecnologica e la diversificazione merceologica, l’economia è rimasta fino a oggi legata a un assunto fondamentale, stabilito all’alba della Rivoluzione industriale: il modello “produci, consuma, dismetti”. Una linearità che porta dalla raccolta ed estrazione di materie prime, attraverso la società e dritto dentro discariche, fiumi, camini, inceneritori. Un processo teleologico, inarrestabile, di vita e morte della materia, estratta con sudore, lavorata, abbandonata. L’immagine parossistica è quella delle discariche e della spazzatura bruciata ai lati delle grandi miniere, come in Perù o Sud Africa, gironi di un inferno dantesco, dove un’umanità spesso sfruttata si rompe la schiena per recuperare nuova materia. Il flusso di materia in ingresso nel sistema è immenso: solo nel 2010, oltre 65 miliardi di tonnellate di nuovi materiali sono entrati nell’economia. Nel 2020, in uno scenario Business As Usual (BAU), si prevede di raggiungere il tetto degli 82 miliardi. Risorse che, naturalmente, non sono distribuite egualmente tra stati e che quindi sono contese, vista la crescente domanda di materia risultante dalla crescita demografica globale (9 miliardi nel 2050) e dall’ingresso nella classe media dei consumatori di sempre più persone (saranno oltre 5 miliardi entro la fine del decennio). Ci sarà materia per tutti? A scuola, ancora qualche anno fa, le maestre, per illustrare il dilemma della scarsità di materia nel mondo, impiegavano una spiegazione malthusiana classica: cosa succederebbe se tutti i cinesi usassero la carta igienica? Nel giro di un an-

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no non ci sarebbero più foreste. L’assunto è teoricamente corretto, eppure stiamo andando in quella direzione. Da una quindicina d’anni siamo entrati in una fase dell’Antropocene di rinnovata scarsità di materie prime. Serve quindi rispondere alla seguente domanda: quali processi dobbiamo trasformare per creare un mondo dove tutti possono sfruttare il benessere offerto dalle tecnologie e dai saperi, superando i limiti imposti dall’economia lineare? Ci sono due assunti: uno utopistico, quello della decrescita (consumare meno materia, per esempio non usando più carta igienica o ridurre la popolazione attraverso un improbabile, in odor di eugenetica, controllo delle nascite) e uno realistico e di mercato, quello della trasformazione e sostituzione del modello lineare. Sebbene il primo sia di un certo interesse, a oggi si è dimostrato di difficile applicazione e poco percorribile per modificare un’economia di mercato globale, di stampo urbano, radicata nella cultura dei consumi di miliardi di persone. La critica al modello lineare potrebbe rivelarsi maggiormente indicata, per lo meno in ambiti produttivi. Negli ultimi anni il mercato sta realizzando – lentamente – che il modello lineare, che porta dalla materia prima alla discarica, presenta sempre più problemi: scarsità della risorsa, prezzi crescenti della materia prima, difficolta di approvvigionamento, fragilità di alcuni punti della global supply chain (guerre, tensioni politiche, fenomeni catastrofici), emergenza di un nuovo protezionismo della materia prima per garantire le cosiddette riserve strategiche, costi di gestione del rifiuto alle stelle. Simultaneamente fenomeni come isole di plastica galleggiante, impatti ambientali e climatici della logistica globale di materie prime, malattie respiratore legate alla combustione di spazzatura in molti paesi di nuova industrializzazione o in via di sviluppo, contaminazione di fiumi e mari, la pletora di malattie legate alla cattiva gestione delle discariche (tifo, diarrea, dissenteria, colera, contaminazione da metalli pesanti ecc.), mostrano gli impatti negativi dei rifiuti sulla nostra salute. E su quella del pianeta.

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Inoltre, la scarsità di materia, congiunta alla crescente domanda che a partire dalla fine del Novecento ha comportato un’impennata dei prezzi, sta avendo effetti destabilizzanti sull’industria e sui consumatori, fino a intaccare la sicurezza nazionale di molti paesi. Le crisi alimentari e politiche più recenti (Etiopia, Sudan, Egitto, Siria) sono state tutte spinte da un mix di crisi ambientali (siccità e cambiamenti climatici) e crescita di prezzi dei beni primari sui mercati globali (dovuta alla crescita della domanda). Torniamo al segnale d’allarme più preoccupante per gli economisti: i prezzi. Qualcosa è cambiato negli andamenti storici dell’indice del valore dei prodotti sul mercato. Secondo la società di consulenza McKinsey l’indice dei prezzi delle commodities, in calo per tutto il Novecento, è sceso da 180 punti da inizio del secolo scorso fino a meno di 90 verso la fine, e negli ultimi 15 anni è tornato a salire, in maniera esponenziale, sfondando i 240 punti. Uno shock che non a caso ha avuto gravi riflessi sull’economia globale e che potrebbe essere uno degli elementi costituenti della crisi perdurante che attanaglia molti paesi del mondo. La risposta alla domanda “dove trovare nuova materia” per calmierare i prezzi è stata individuata in una grande risorsa prima, rimasta vergine e da sempre sotto gli occhi di ognuno di noi: l’immensa quantità di beni, materiali, scarti di produzione buttati ogni anno, insieme alla miriade di oggetti e macchinari che giacciono inutilizzati, in attesa di finire nel cassonetto. Si calcola che ogni anno si generino 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi urbani (MSW, Municipal Solid Waste), ovvero una media di 1,2 chilogrammi di rifiuto al giorno pro capite. Secondo stime presentate dalla World Bank nel report “What a Waste. A global review of MSW”, nel 2025 queste cifre potrebbero aumentare fino a 1,42 chilogrammi di rifiuto pro capite, per oltre 2,2 miliardi di tonnellate l’anno. Solo in Italia si generebbero oltre 65 milioni di tonnellate di rifiuti urbani annui. Oggi siamo a circa a 55 (di cui 13 vanno nella differenziata). Ma il rifiuto potrebbe essere molto di più. Secondo la International Solid Waste As-

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CHE COSA È

Figura 2 Indice McKinsey dei prezzi delle commodities* 260

Prima guerra mondiale

240 220

Shock petrolifero anni Settanta

200

Seconda guerra mondiale

180 160 140 120 100 80 60

Depressione post-bellica

Grande depressione

Punto di svolta nel trend dei prezzi

0 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2013 * Basato sulla media aritmetica dei sub-indici di quattro commodity: cibo, beni agricoli non alimentari, metalli ed energia Indice: 100 = anni 1999-2001. I dati per il 2013 sono basati sulla media dei primi tre mesi del 2013 Fonte: Grilli, Yang; Pfaffenzeller; World Bank; International Monetary Fund; statistiche dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD); Food and Agriculture Organization (FAO); UN Comtrade; analisi del McKinsey Global Institute.

sociation (ISWA), in realtà, le statistiche non sono accurate. Una fonte di ISWA ha dichiarato che “non sappiamo con nessuna certezza quanto rifiuto esattamente disponibile esista nel mondo”. Un mare di materia potenziale, che a livello volumetrico corrisponde a più di 7.000 volte l’Empire State Building, con un valore monetario incalcolabile e sconosciuto. Semplicemente, non esiste ancora una metrica reale per valutare questo immenso capitale. E non c’è solo il rifiuto. Lo spreco alimentare è un’altra fonte incredibile di materia. Ogni giorno un terzo della produzione di cibo mondiale non raggiunge lo stomaco delle persone. Nelle abitazioni di miliardi di persone, nei ristoranti, nei supermercati, si buttano quantità immense di prodotti alimentari. Si

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è smesso di dare valore al cibo? Un errore grave: ogni volta che si porta la forchetta alla bocca si dovrebbe riflettere sullo sforzo e sui consumi (di suolo, acqua, energia) collegati a quel boccone. L’impatto dello spreco è immenso: dal punto di vista energetico, il solo spreco alimentare contribuisce ogni anno all’emissione di 3,3 miliardi di tonnellate di CO2. Un volume dieci volte superiore a quello dell’Italia. In termini idrici, si butta l’equivalente di 250 chilometri cubici di acqua, una cifra simile al flusso annuale dell’intero fiume Volga. Parliamo di 1,4 miliardi di ettari di terra, che richiedono di essere irrigati. Infine uno spreco di denaro: secondo i dati di LastMinute Market – Università di Bologna, ogni anno gettiamo nella spazzatura alimenti per un valore medio di 210 euro, circa quattro euro a settimana. Infine c’è un calcolo che pochi economisti considerano: l’immobilizzazione della materia. In termini tecnici si chiama unused value e si riferisce al tempo che prodotti, servizi e talenti, giacciono immobili. Questa immobilità è un valore sprecato per unità di materia. Il classico esempio è l’automobile che, secondo una ricerca dell’Università di Stanford, rimane inutilizzata per il 92% del tempo. Questa è materia pronta a deperire, con un elevato valore. Pensiamo al trapano, un oggetto di uso domestico fortemente saltuario. In un condominio, secondo una ricerca sul co-housing (un modello di condivisione della gestione degli immobili) basterebbe un utensile ben manutenuto per novanta unità domestiche. Invece che novanta trapani, con relativi accessori, uno in ogni appartamento. Questo secondo Clay Shirky, uno dei teorici dell’unused value, è una potenziale fonte di materia legata all’uso o al prodotto come servizio, invece che come proprietà. Quello che il mondo dell’economia non ha ancora pienamene afferrato è questo potenziale economico degli output che oggi costituiscono una mera esternalità negativa: gli scarti, i rifiuti, l’inutilizzato. Reimmettere questa risorsa nel ciclo in una maniera nuova, rigenerativa, migliorativa significherebbe abbattimento dei prezzi delle materie prime in ottica di mercato, diminuzione dei costi sanitari, contenimen-

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Fonte: Ellen MacArthur Foundation, “Towards The Circular Economy – Vol. 2”, 2013 (www.ellenmacarthurfoundation.org/ assets/downloads/publications/TCE_ Report-2013.pdf).

Consumatori

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Vendita al dettaglio

73

Lavorazione

91

Agricoltura

78

82

91

3

5

17

9

Paesi in via di sviluppo

12

4

9

9

Paesi sviluppati

Sprechi di materiale Percentuale del totale della produzione

figura 3 Principali fonti dello spreco alimentare – produzione e consumo

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