La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067

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Daniele Pernigotti

La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067 Introduzione di Filippo Trifiletti



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Daniele Pernigotti

La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067 Introduzione di Filippo Trifiletti


Daniele Pernigotti La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo immagine di copertina: © Felix Petruška © 2013, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. È consentito l’utilizzo dei testi per uso esclusivamente personale e a fini non commerciali. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-119-2

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SOMMARIO

l’attività di accredia per l’ambiente di Filippo Trifiletti

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PREFAZIONE

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1. UN PONTE CON L’EDIZIONE CARTACEA

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2. UNA NORMA IN BILICO TRA MERCATO E POLITICA

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3. COMUNICAZIONE: LA FORZA DEL PUNTO DEBOLE

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4. PROSPETTIVE FUTURE

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GLOSSARIO

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BIBLIOGRAFIA

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questa pubblicazione è promossa da

ACCREDIA L’Ente italiano di accreditamento www.accredia.it



l’attività di accredia per l’ambiente La sensibilità sui temi ambientali rimane a livelli alti nei paesi a economia avanzata, e cresce in quelli – un tempo detti “in via di sviluppo” – che hanno ormai raggiunto un ruolo rilevante nell’economia mondiale. Si può perciò parlare di una “questione globale”. E per l’attuazione degli obiettivi di sostenibilità ambientale, le certificazioni di terza parte indipendente possono rappresentare una risposta per una serie di ragioni, in quanto: • contribuiscono a infondere fiducia tra i consumatori e gli operatori economici sull’affidabilità e la sostenibilità dei beni/servizi acquistati; • basandosi su standard internazionali e criteri condivisi, possono rappresentare un boost per rialimentare la crescita economica, specie nei paesi più sviluppati, che guardano con attenzione alla green economy; • affiancano le politiche repressive o incentivanti puntando sulla sensibilità dei produttori e delle varie organizzazioni che, volontariamente, si sottopongono a vincoli più stringenti di quelli normalmente previsti. Insomma, le certificazioni sono ormai divenute uno strumento di rilievo, al quale sempre più spesso si fa ricorso, in Italia come altrove. L’attività di Accredia in questi ambiti è consolidata, e in via di ulteriore espansione. Le certificazioni per sistemi di gestione ambientale sono, dopo i sistemi qualità, le più diffuse a livello nazionale e crescono costantemente. Anche le certificazioni dei sistemi di gestione dell’energia sono in aumento come conseguenza dell’interesse crescente per il risparmio energetico. Questa esperienza ha contribuito al riconoscimento di Accredia da parte del Ministero dell’ambiente, che ha affidato all’ente, con una convenzione siglata nel 2011, le attività di accreditamento a fini di notifica/autorizzazione per la “direttiva rumore”, oltre che per: • il pacchetto dei regolamenti che disciplinano i gas fluorurati; • l’EMAS; • il sistema EU ETS per le verifiche sugli impianti che emettono gas a effetto serra. 7


Un compito di elevata responsabilità, che ha anche portato alla creazione di un Comitato di accreditamento ad hoc per tutti gli schemi di certificazione (sistemi, prodotto, personale...), sia in ambito volontario, come le certificazioni ISO 14001, sia regolamentate (gas fluorurati, EU ETS). Questa è l’unica esperienza trasversale negli organi dell’ente, e vuole rappresentare anche una presa di coscienza della necessità di politiche integrate. A ciò si affianca l’attività di accreditamento dei laboratori (sia di prova sia di taratura), che rappresenta un punto di forza anche per i rapporti con l’Ispra (legata ad Accredia da un protocollo d’intesa), e per il reciproco riconoscimento con il sistema Arpa/Appa. L’elemento comune di queste variegate attività è il respiro internazionale. Accredia è firmataria degli accordi internazionali di mutuo riconoscimento che consentono, ai laboratori e agli organismi di certificazione accreditati, di far valere in tutto il mondo l’affidabilità delle proprie attività. I percorsi di accreditamento, sia per gli organismi di certificazione sia per i laboratori, seguono regole e standard fissati a livello globale; dal sistema degli enti di normazione (UNI, CEI, CEN ISO...) e dagli stessi enti di accreditamento, attraverso le proprie aggregazioni: EA a livello europeo, IAF e ILAC a livello mondiale. In funzione del ruolo rilevante che l’ente italiano ricopre in questi ambiti, Accredia si è candidata a ospitare le assemblee mondiali di IAF e ILAC nel 2015, in coincidenza con l’Expo milanese, con l’intento di fornire un contributo alla valorizzazione del sistema paese. Non si poteva, dunque, rimanere indifferenti di fronte all’approvazione del nuovo standard per la Carbon Footprint, che è stato seguito da Accredia, rappresentata dall’ispettore Pernigotti, sin dalla fase di elaborazione. Non è esattamente una “norma”, ma il fatto che ne sia ammessa la certificazione la costituisce comunque come un punto di riferimento, con il quale il sistema internazionale delle valutazioni di conformità, costituito dagli enti di accreditamento e dagli organismi di certificazione e ispezione, dovrà confrontarsi. 8


La TS 14067 sulla Carbon Footprint rappresenta dunque una nuova sfida per Accredia e per le decine di organismi accreditati per gli schemi di certificazione in campo ambientale. L’ente si farà trovare pronto per avviare le attività di accreditamento non appena si preciseranno i riferimenti normativi applicabili e, a tal fine, si raccorderà strettamente con gli altri enti di accreditamento europei e, sul piano nazionale, con il Ministero dell’ambiente e le altre categorie interessate. Filippo Trifiletti Direttore generale Accredia

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prefazione Sono passati poco più di tre anni da quel viaggio in direzione di Tokyo con cui si apriva la prima edizione di Carbon Footprint. Dopo il Giappone, il gruppo di lavoro dell’ISO ha continuato a girovagare per il mondo, facendo tappa in Messico, a Trieste, in Norvegia, poi in Canada, Thailandia e infine in Austria. A mano a mano che le emissioni di gas a effetto serra (GHG) legate ai viaggi aerei delle diverse decine di delegati provenienti da ogni continente andavano a incrementare pesantemente l’impronta climatica della norma in fase di sviluppo, aumentava anche l’ansia per il rischio di un clamoroso fallimento. A ogni incontro il progetto sembrava affrontare nuove e sempre più complesse difficoltà. Si diffondeva così il timore che le azioni di lobby politiche condotte da alcuni paesi stessero portando il dibattito un punto di rottura difficilmente negoziabile e che, sommate alle classiche lobby settoriali, rischiassero di far naufragare l’intero progetto di norma. Lo sguardo sconsolato del coordinatore del gruppo di lavoro ISO, reso lucido da qualche lacrima trattenuta a fatica in occasione dell’ennesimo voto negativo, ha trasmesso in più occasioni ai delegati la scomoda sensazione di essere schiacciati in un angolo senza via d’uscita. Davanti agli occhi l’evidenza che, pur lavorando a uno strumento di natura tecnica, la ricerca della condivisione a livello mondiale in materia di cambiamento climatico è una strada sempre irta e ricca di ostacoli. Alla fine si è però riusciti a catalizzare la determinazione di un gran numero di paesi e il tanto atteso strumento normativo è arrivato a compimento, anche se si è dovuti optare per la scelta della Specifica tecnica. Adesso è il momento dell’altrettanto delicata e complessa fase della diffusione e applicazione a livello internazionale dello strumento normativo. Il rischio è che alcune scelte adottate dal gruppo di lavoro – e 11


presenti nella versione finale della ISO/TS 14067 (1) – possano risultare poco comprensibili ai lettori, se non si conoscono i retroscena di alcune decisioni e il difficile percorso che sta spesso alla base di certe scelte. Proprio per cercare di fare luce su alcuni tra i più importanti di questi punti e per meglio illustrarne i contenuti, si è deciso di pubblicare questo breve testo. Per una più completa comprensione dell’intero tema si rimanda alla lettura del volume Carbon Footprint,(2) pubblicato nel 2011, a cui si fa spesso riferimento nel presente lavoro e di cui questo e-book rappresenta idealmente un addendum.

(1)  Nel testo si fa riferimento alla versione internazionale ISO/TS 14067. Il recepimento italiano UNI ISO/TS 14067 è illustrato e utilizzato nel capitolo 4 dedicato alla realtà italiana (2)  Pernigotti D., Carbon Footprint, Edizioni Ambiente, Milano 2011. 12


1. un ponte con l’edizione cartacea 1.1 carbon footprint di prodotto

L’importanza del cambiamento climatico è ormai ampiamente riconosciuta dall’opinione pubblica, dall’economia e dalla politica. I pochi che si ostinano a negare il fenomeno o le dirette responsabilità umane, considerati da Kofi Annan “senza argomenti e fuori dal tempo” già nel 2006, vedono ridurre sempre di più le fila dei propri adepti e gli argomenti a disposizione. Resta ovviamente ancora moltissimo da fare per rendere le persone consapevoli delle dimensioni e della gravità del fenomeno, così come delle azioni da intraprendere per cercare di contrastarne la deriva. È però indubbio che la sensibilità sul tema di ognuno di noi si è evoluta notevolmente negli ultimi 5-10 anni ed è praticamente certo che lo farà in modo ancora più significativo in quelli a venire. Ne deriva una conseguenza inevitabile. Nel prossimo futuro, ma in teoria già da oggi, saremo chiamati a svolgere in contemporanea il ruolo di attori e spettatori di sostanziali cambiamenti degli stili di vita della nostra società. È inevitabile che ciò avrà una ricaduta diretta e massiccia sulle complesse dinamiche dei consumi, descritte nel capitolo 2 del libro.(1) Solo attraverso la stretta di un nuovo patto tra produttori e consumatori è possibile riuscire a stimolare la crescita di un mercato green, tema che sarà al centro di un apposito rapporto dell’UNEP atteso per il prossimo dicembre. Aspetto centrale di tale cambiamento è la possibilità di avere a disposizione strumenti per valutare il reale impatto ambientale di un prodotto, in particolar modo sul cambiamento climatico. A tal fine si utilizza la metodologia LCA (capitolo 2), in grado di valutare gli impatti ambientali lungo tutto il ciclo di vita di un prodot(1) Si fa riferimento a Carbon Footprint (Edizioni Ambiente, Milano 2011). A seguire nel testo i riferimenti al libro in questione vengono riportati semplicemente indicando il capitolo tra parentesi. 13


to, dall’estrazione delle materie prime necessarie alla sua produzione, allo smaltimento finale quando il prodotto ha terminato la sua funzione. Declinando tale metodologia al solo impatto sul cambiamento climatico, quindi alle sole emissioni di gas a effetto serra (o GHG, da greenhouse gas), si ottiene la Carbon Footprint o Impronta climatica del prodotto (CFP). Normalmente l’impatto viene calcolato in tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla culla alla tomba (from cradle to grave). In determinate condizioni (capitolo 7), generalmente riconducibili a una relazione tra soggetti economici che non coinvolge ancora il consumatore finale (per esempio fornitura di polimeri di materiale plastico che potrebbero essere indirizzati a prodotti finiti molto diversi tra loro), è possibile calcolare l’impatto solo su una parte del ciclo di vita (dalla culla al cancello o from cradle to gate). L’esistenza di un mercato globalizzato richiede l’esistenza e l’adozione di regole comuni, col fine di ridurre al minimo la possibile creazione di dinamiche distorsive di mercato che portino a favorire in modo indiscriminato un determinato paese o settore merceologico. Per tale ragione è fondamentale la realizzazione e diffusione di uno standard internazionale unico di riferimento, in grado di soppiantare quelli che possono essere già presenti a livello di singolo paese. Nel caso della CFP il primo riferimento normativo disponibile è stato la PAS 2050, creata in Gran Bretagna nel 2008 (capitolo 5), che rappresenta anche il punto di partenza del processo di sviluppo di uno standard internazionale ISO in materia di CFP. 1.2 guida all’orientamento alle sigle iso

Per cercare di mantenere la necessaria fluidità discorsiva, si è costretti a usare nel testo un gran numero di sigle e termini tecnici che appartengono al mondo della normazione. Ciò potrebbe risultare un po’ ostico per i non addetti ai lavori, per cui vengono illustrati di seguito gli acronimi e i termini tecnici più utilizzati. 14


La lettura di quanto segue può essere decisamente noiosa, ma rappresenta un piccolo sforzo fondamentale per poter poi leggere fluidamente e senza intoppi il testo a seguire. L’ISO è l’ente di normazione internazionale deputato allo sviluppo della normativa tecnica di carattere volontario. Può essere immaginato come un’immensa piazza dove si incontrano esperienze e competenze di tutto il mondo per scrivere la normativa relativa ai più disparati settori di interesse. Per meglio organizzare i lavori, le attività sono articolate in specifici Comitati tecnici. Quello che si occupa della normativa ambientale è l’ISO/TC 207. All’interno di questo sono stati realizzati dei Sottocomitati tematici e l’SC7 è quello dedicato alla normativa sui gas a effetto serra (GHG) che coordina il lavoro dei gruppi di lavoro dedicati allo sviluppo delle singole norme. Il gruppo di lavoro incaricato di sviluppare lo standard sulla CFP è formalmente l’ISO/TC 207/ SC7/WG2, che di seguito chiameremo per brevità WG2. Il lavoro di sviluppo della norma è articolato in incontri periodici, organizzati in vari paesi ospitanti, in cui sono discussi i commenti trasmessi dai diversi mirror group nazionali, nel caso dell’Italia l’UNI, sulle diverse bozze di documento realizzate dal WG2. Similmente alla logica ISO anche l’UNI ha una ben precisa ramificazione organizzativa, a partire dalle diverse commissioni tematiche. Le commissioni hanno al loro interno ulteriori gruppi di lavoro, riflettendo la logica ISO. Il GL15 (gas a effetto serra) della Commissione ambiente dell’UNI è il mirror group italiano che ha seguito lo sviluppo della norma sui CFP, discutendo di volta in volta le diverse versioni elaborate negli incontri del WG2. Una volta l’anno l’intero ISO/TC 207 si incontra per fare il punto sull’avanzamento dei diversi progetti di norma in fase di sviluppo e per continuare in parallelo i lavori dei vari WG attivi. Tali appuntamenti allargati sono denominati Plenary meeting e rappresentano l’occasione sia per portare a livello superiore la discussione su punti particolarmente critici, sia per analizzare gli eventuali reclami proveniente dagli stati membri. Quest’ultimi sono ripartiti in P member, che hanno lo status di piena partecipazione nei processi di sviluppo delle 15


norme, e O member, con ruolo di osservatori. Gli stati sono chiamati in diversi momenti a esprimersi attraverso il voto e i commenti sulle diverse bozze di norma. Le soglie da superare per passare di livello nello sviluppo degli standard sono diverse in funzione del livello di avanzamento della norma. Non ha senso in questa sede entrare ulteriormente nel dettaglio delle diverse percentuali da raggiungere di volta in volta, ma è importante sapere che esistono sia soglie di voti positivi da superare riservate ai soli P member sia soglie negative da non superare aperta a tutti gli stati, quindi la somma di P member e O member. I livelli di avanzamento di una norma da conoscere sono sei. Il New Work Item Proposal (NWIP) è l’idea di partenza che contiene le motivazioni per cui sviluppare una nuova norma e i paletti di fondo che dovranno essere tenuti a riferimento per l’intero percorso di normazione. Segue il Working Draft (WD) che è finalizzato a consolidare una prima versione del testo. I lavori in questa fase sono riservati ai soli delegati tecnici inviati dai diversi paesi e non coinvolgono i mirror group nazionali. Questi entrano in causa quando si passa al Committee Draft (CD), allargando così la discussione a tutte le parti interessate. Si passa quindi al Draft International Standard (DIS), che inizia ad avere ormai una struttura di testo con concetti ampiamente condivisi, e quindi al Final Draft International Standard (FDIS), in cui le modifiche attese sono ormai di natura prettamente formale. Il processo termina con la pubblicazione del vero e proprio Standard internazionale ISO, che potrà poi essere recepito come norma nazionale, nel caso italiano come norma UNI. 1.3 un percorso a ostacoli

Lo sviluppo di una norma ISO è un processo decisamente complesso: i rappresentanti di molti paesi devono riuscire a costruire, attraverso il consenso, una base comune tra esigenze e punti di vista che sono spesso decisamente lontani tra loro. 16


Nel capitolo 6 di Carbon Footprint si è dettagliatamente descritto il funzionamento di tale processo e i diversi livelli di coinvolgimento dei delegati nazionali a livello ISO e dei diversi gruppi di lavoro nazionali nei relativi enti di normazione (UNI per l’Italia). Per meglio comprendere quanto si è verificato dalla pubblicazione del testo a oggi, riprendiamo solo la successione delle fasi di sviluppo di una norma ISO, appena descritta: NWIP -> WD -> CD -> DIS -> FDIS -> Standard Nelle situazioni più semplici si riesce ad avere una sola versione per ogni fase di sviluppo della norma. Già al momento della pubblicazione del libro erano state messe in evidenza le difficoltà che aveva incontrato lo sviluppo della norma ISO sulla Carbon Footprint, dal momento che a tre versioni di WD ne erano seguite altre tre di CD. I cattivi presentimenti di allora hanno purtroppo trovato piena conferma nella realtà di quanto il WG2 ha dovuto affrontare nei mesi a seguire. Non entriamo ora nel merito delle cause di tali rallentamenti, a cui è dedicata buona parte del prossimo capitolo, ma evidenziamo solamente che ai tre CD sono seguiti altri due DIS, prima che il percorso sopra indicato venisse interrotto a favore della realizzazione di una Specifica tecnica, come riportato nello schema che segue:

X X NWIP -> WD -> CD -> DIS -> FDIS -> Standard | V TS

Dal punto di vista formale, ciò equivale alla scelta di declassare un documento di natura normativa, inizialmente pensato come vero e proprio standard. In termini sostanziali, ciò non comporta però alcuna differenza per chi è interessato alla sua applicazione. È importante ri17


cordare che si sta parlando di un contesto di riferimento volontario, in cui la decisione di adesione è legata alla libera iniziativa di un imprenditore, o comunque alle richieste del mercato. Qualora venga deciso di aderire a una determinata norma, i requisiti ivi contenuti diventano di fatto obbligatori, nel senso che chi intende aderire alla stessa si impegna a farlo per ognuno di essi. In questo senso lo standard vero e proprio e la Specifica tecnica (TS) hanno caratteristiche sostanzialmente simili. Entrambi hanno la possibilità di contenere requisiti normativi vincolanti e di poter essere sottoposti a una verifica di terza parte indipendente al fine di ottenere un attestato di conformità riconosciuto dal mercato. Formalmente la TS è una sorta di pre-standard, pubblicato al fine di consentire una prima applicazione a livello di mercato, consentendo così di valutare l’opportunità di elevarla di livello in termini di “rango” normativo, verso il vero e proprio standard. Si tratta di un periodo di prova di tre anni entro il quale bisogna decidere se avviare il processo di trasformazione della specifica tecnica in uno standard vero e proprio, se rinnovare il TS per altri tre anni o se ritirarlo dalla circolazione perché non più necessario. Le difficoltà attraversate in questi ultimi cinque anni nel tentativo di sviluppare lo standard, pur in presenza di un pieno mandato da parte della maggioranza dei membri dell’ISO/TC 207, lasciano presagire un futuro turbolento. C’è da aspettarsi che anche i prossimi tre potranno essere caratterizzati da una simile variabilità di pensiero, con il rischio della medesima azione di contrasto da parte di chi ha svolto un ruolo di opposizione verso la pubblicazione di un unico riferimento certificabile a livello mondiale per la CFP. Molto dipenderà però dal livello di applicazione della ISO/TS 14067 a livello internazionale, ora che è stata ufficialmente pubblicata. 1.4 il legame con la versione cartacea

Come ricordato nella prefazione, il presente e-book rappresenta una sorta di ideale estensione del testo Carbon Footprint pubblicato nel 18


2011. Un addendum la cui necessità era chiara fin da allora, per la consapevolezza che quel volume non poteva considerarsi completo dal momento che i lavori di stesura della norma non erano ancora stati completati. Del resto, i continui ritardi in cui si stava imbattendo il WG2 hanno portato, dopo un paio di slittamenti nella chiusura del volume, alla decisione di pubblicare comunque il testo nella convinzione che su un tema così cruciale fosse importante consentire agli operatori economici e ai decisori politici di costruirsi un quadro sintetico dello stato dell’arte. Il presente e-book è sviluppato proprio su questa logica di consequenzialità con il lavoro precedente. È evidente, quindi, come non abbia senso replicare in questa sede quanto già abbondantemente descritto nel volume cartaceo. Anzi: è proprio tenendo ferma quella base di riferimento che ha senso approcciare a quanto segue. S’intende qui dare risposta ai quesiti lasciati aperti allora o valutare quanto le ipotesi formulate in quella sede abbiano poi trovato maggiore o minore conferma nel seguito dei lavori del WG2. Tra tutti gli argomenti citati nel volume cartaceo ve n’erano un paio ancora aperti e cruciali a cui si è ritenuto di dare maggiore attenzione: il delicato terreno di contatto tra la politica e le opportunità di mercato e il tema centrale della comunicazione verso il pubblico. Proprio su questi due argomenti sono stati sviluppati i prossimi due capitoli a cui ne segue un terzo, intenzionato a lanciare nuovamente lo sguardo in avanti, per ipotizzare i possibili sviluppi nazionali e internazionali della CFP nei prossimi anni.

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Con la pubblicazione a maggio 2013 della UNI ISO/TS 14067 è finalmente disponibile un riferimento unico a livello mondiale per la Carbon Footprint di prodotto (CFP). Una forte tensione internazionale ha però portato alla pubblicazione del riferimento normativo come Specifica Tecnica, invece che come vero e proprio Standard internazionale. Quali ragioni hanno portato a privilegiare questa scelta dopo cinque anni di lavoro? Ciò comporta qualche implicazione per i produttori e i consumatori? Come cambiano a questo punto le opportunità di mercato per chi è intenzionato a sviluppare una CFP? Quali scenari sono prospettabili per il prossimo futuro a livello nazionale e internazionale? Il testo si propone di fare chiarezza su questi punti, riprendendo il filo lasciato in sospeso con la pubblicazione di Carbon Footprint (2011), quando i lavori per la UNI ISO/TS 14067 lasciavano solo intravedere i possibili percorsi di sviluppo dell’atteso standard internazionale.

Daniele Pernigotti svolge attività di consulenza e formazione ambientale con il proprio studio Aequilibria. È coordinatore del Gruppo di lavoro dell’UNI (GL15) sui gas a effetto serra (GHG) e delegato italiano in ISO/TC207 per lo sviluppo della normativa di gestione ambientale di tipo volontario. In questo ambito ha lavorato allo sviluppo della UNI ISO/TS 14067, dove è stato facilitatore del gruppo sulla comunicazione disponibile al pubblico, ed è attualmente impegnato nella revisione della ISO 14001. Fornisce supporto tecnico ad Accredia in materia di GHG in campo volontario e cogente. In particolare, rappresenta Accredia nei tavoli di lavoro europei dell’EA (European Cooperation for Accreditation) e della Commissione Ue in materia di Emission Trading. È giornalista freelance in modo specifico sul cambiamento climatico ed ha collaborato con numerosi quotidiani (La Stampa, il Sole 24 Ore, l’Unità, Corriere della Sera, il manifesto).

ISBN 978-88-6627-119-2

9 788866 271192 Pubblicazione elettronica gratuita

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