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“Il tempo delle scuse, delle ideologie, della stolta contrapposizione ambiente/progresso è finito da un pezzo nel resto d’Europa, e sarebbe bene che anche qui da noi ci si applicasse con maggiore convinzione alla progettazione intelligente di un ecosistema, urbano e non, migliore di quello attuale. In questo libro troverete la prova provata di come sia possibile, da subito, invertire la rotta. Cosa accadrà in futuro dipenderà soprattutto da noi, da quanto sapremo essere protagonisti in prima persona delle scelte e delle sfide che ci attendono. Leggere è il primo passo, gli altri verranno.” Filippo Solibello
Euro 12,00
ISBN 978-88-96238-53-0 www.edizioniambiente.it
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green life
maria berrini, architetto, dal 1981 opera come consulente e ricercatrice, e dalla sua fondazione è presidente dell’Istituto di Ricerche Ambiente Italia. Ha coordinato decine di progetti europei e centinaia di attività professionali in materia di sostenibilità locale e pianificazione ambientale. Per 10 anni è stata membro italiano del Gruppo “Esperti di Ambiente Urbano” della Commissione Europea. È stata relatrice in tutte le Conferenze indette dalla campagna europea “Città Sostenibili”. Dal 2008 è componente del Panel di Valutazione per il Premio Europeo “Green Capital”, e nel 2009 è stata eletta nel Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Milano della cui Commissione Urbanistica ha fatto parte dal 2008.
ta s c a b i l i dell’ambiente
Andrea Poggio e Maria Berrini
andrea poggio, 55 anni, è vicedirettore generale di Legambiente e responsabile della direzione nazionale di Milano. È presidente della Fondazione Legambiente Innovazione, animatore del Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente, della campagna “Puliamo il mondo” e del sito www.viviconstile.org. Nel 1980 è stato tra i fondatori dell’associazione Legambiente, e nel 1993 ha dato inizio al premio “Comuni Ricicloni”. Nel 2001 ha organizzato il primo servizio italiano di car sharing a Milano. Giornalista, fondatore e direttore (sino al 1984) del mensile La nuova ecologia. È autore dei volumi Ambientalismo (1996), Vivi con stile (2007), Viaggiare leggeri (2008).
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Andrea Poggio e Maria Berrini
green life Guida alla vita nelle città di domani Prefazione di Filippo Solibello
Nel 2007 la popolazione che abita nelle città ha superato per la prima volta nella storia quella che vive nelle aree rurali, e si prevede che questa percentuale possa salire al 70% entro il 2050. Inoltre, le città consumano più del 70% di tutta l’energia e producono il 69% delle emissioni di CO2. Bastano queste cifre a confermare che la partita della sostenibilità può essere vinta solo partendo dai contesti urbani, da sempre luoghi dell’innovazione e della creatività, ma oggi anche giganteschi consumatori di energia e produttori di rifiuti e inquinanti. Eppure, come ci dimostrano Andrea Poggio e Maria Berrini, le alternative ci sono. Abitazioni che generano più energia di quanta ne consumano, facendo risparmiare un sacco di soldi ai proprietari; sistemi di trasporto integrati con cui evadere dalle prigioni a quattro ruote che guidiamo tutti i giorni; nuovi modi di vivere e rapportarci con i nostri vicini, per smettere di stupirci se qualcuno ci ringrazia e ci saluta... Molte città in Europa e nel resto del mondo lo hanno già fatto, e chi le abita è più felice e meno spaventato dal futuro. E noi, che cosa stiamo aspettando?
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Andrea Poggio e Maria Berrini
green life guida alla vita nelle città di domani
realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: beltsazar/Shutterstock © 2010, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-96238-53-0 Finito di stampare nel mese di febbraio 2010 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100% i siti di edizioni ambiente: www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it
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sommario
prefazione
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di Filippo Solibello
1. la rivoluzione degli stili di vita
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2. una societÀ a 2.000 watt
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3. il negajoule
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4. la casa in classe oro
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5. elogio del condominio
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6. vivere rinnovabile
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7. il quartiere, piÙ che abitare
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8. viaggiare leggeri
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9. l’ecodensità
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10. le green capital europee
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11. l’impronta di carbonio
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12. il desiderio di futuro
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ringraziamenti
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Nella realtà vi è meno e vi è di più. Si deve, se si vede il limite, andare oltre, donando poi il di più! Sono IO-UMANITÀ che scopro e CREO la LIBERTÀ. Benedetta Cappa Marinetti, pittrice e intellettuale futurista Ogni giorno che passa impara almeno una cosa nuova. Se lo fai ti cambia la vita e se lo facessimo tutti cambieremmo il mondo. E dai un’occhiata a campi di sapere diversi dal tuo, perché le connessioni ci sono anche se non immediatamente visibili: senza forzare il pensiero della complessità tanto caro all’ecologia, dando a tutto un collegamento causa-effetto che non esiste. Siate leonardeschi, non tuttologi olistici. Roberto Vacca, da La nuova ecologia, gennaio 2004
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prefazione di Filippo Solibello
Come saranno le città del futuro? Come vivremo nelle metropoli degli anni Venti, Trenta o Quaranta del nuovo millennio? Saranno orridi agglomerati multistrato, inquinati fino all’inverosimile, come vorrebbe certa fantascienza, o piuttosto dei luoghi piacevoli ed evoluti, ecologicamente sostenibili, con parchi, laghetti e splendidi percorsi ciclabili dove sfrecciano intere famigliole felici e la gente fa a gara a darsi la precedenza? Nessuno può dirlo con certezza. Certo è che abbiamo un disperato bisogno di sapere almeno in che direzione ci piacerebbe andare. Il libro che avete fra le mani parla proprio di questo: racconta, in maniera estremamente dettagliata e con dovizia di particolari, una road map possibile e auspicabile per il nostro futuro prossimo. Con grande ricchezza di esempi concreti e buone pratiche dell’oggi si disegna, capitolo dopo capitolo uno stradario immaginifico ad uso e consumo dei cittadini consapevoli e degli amministratori responsabili. Pagina dopo pagina, di fronte alle buone pratiche dei “cugini” europei, si fanno piccole piccole le beghe da italietta a cui ci hanno purtroppo abituato i politici nostrani. Leggendo di Copenaghen, Amsterdam, del quartiere di Rieselfeld a Friburgo, di Bike City e di Bike City 2 a
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Vienna, o dello spettacolare piano di sviluppo di Stoccolma, si svela immediatamente la pochezza culturale e teorica dei (rari) progetti urbanistici delle nostre metropoli. Il libro di Andrea Poggio e Maria Berrini ci aiuta a immaginare il futuro leggendo con attenzione il presente. Dall’energia alla mobilità, dalle nuove tecnologie dell’abitare alle ultime applicazioni del consumo critico e responsabile, gli autori ci portano per mano in una sorta di Esposizione partecipata e reale, di un mondo che, volendo, potrebbe realizzarsi anche da noi e che altri hanno già. Il tempo delle scuse, delle ideologie, della stolta contrapposizione ambiente/progresso è finito da un pezzo nel resto d’Europa e sarebbe bene che anche qui da noi ci si applicasse con maggiore convinzione alla progettazione intelligente di un ecosistema, urbano e non, migliore di quello attuale. Nei prossimi capitoli troverete la prova provata di come sia possibile, da subito, invertire la rotta di un’antropizzazione forzata del territorio subordinata a meri interessi economici e clientelari. Lo sconfinato patrimonio, naturale e non, della Biosfera-Italia non merita lo scempio subito in questi ultimi decenni. Cosa accadrà in futuro dipenderà soprattutto da noi, da quanto sapremo essere protagonisti in prima persona delle scelte e delle sfide che ci attendono. Leggere è il primo passo, gli altri verranno.
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1. la rivoluzione degli stili di vita
Che lo si voglia o no, stiamo vivendo cambiamenti storici profondi che ci riguardano tutti direttamente. Cambiano, a una velocità mai vista in passato, gli oggetti e le tecnologie che usiamo in continuazione. Cambiano i beni e i servizi che utilizziamo tutti i giorni, gli alimenti di cui ci nutriamo, le nostre case, i modi di muoversi. Stanno cambiando le attività produttive, le fabbriche chiudono e ne nascono di nuove in parti diverse dell’Italia e del mondo. Cambiano l’economia e i mercati, cambiano i protagonisti sociali e migrano i popoli. Cambiano in tutto il mondo le città, i loro abitanti e i modi di viverle. Cambiano i materiali e le materie prime che usiamo, cambia l’uso dell’energia e le fonti di cui ci approvvigioniamo. I libri di storia ci raccontano i cambiamenti delle civiltà e dei popoli che per primi hanno imparato a coltivare la terra in modi più efficienti o a lavorare i metalli, ma cosa capiranno i nostri nipoti di questo inizio di millennio? E noi, dobbiamo avere paura, o piuttosto dobbiamo essere pronti a cogliere opportunità inaspettate? Tra le due opzioni, preferiamo la seconda: pensiamo, e ci proponiamo di motivarlo in questo libro, che la rivoluzione in corso ci offra l’occasione per migliorare la vita nostra e dei nostri figli e nipoti. Restituire la spe-
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ranza che si è persa in quest’ultimo decennio di crisi nella vecchia Europa e nel Nord America: la speranza che quelli che verranno dopo di noi potranno godere di un mondo migliore di quello in cui noi abbiamo vissuto. Due esempi tra i tanti? Nel 2008, all’inizio della crisi finanziaria, per la prima volta al mondo, gli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’efficienza hanno raggiunto la cifra record di 155 miliardi di dollari, superando di gran lunga quelli nel petrolio e nelle energie fossili (i dati sono del rapporto Global trends in sustainable energy investment 2009, elaborato dal Programma ambiente delle Nazioni Unite, l’UNEP). Ciò è avvenuto grazie soprattutto agli investitori privati, perché quelli statali in prevalenza sostengono ancora le lobby petrolifere, come è successo in Italia con i fondi sulle rinnovabili che hanno finanziato soprattutto petrolio e gas. Non solo: per il secondo anno consecutivo sia l’energia prodotta sia la potenza elettrica installata a energia nucleare (circa il 6% nel mondo) hanno continuato a declinare. E probabilmente è solo l’inizio, perché gli annunci di chiusura delle vecchie centrali superano ancora di gran lunga gli ordini di nuove. Abbiamo di fronte un domani che può divenire interessante anche per l’economia e i bilanci famigliari, per l’ambiente vicino e lontano, persino per la pace tra i popoli, se tutti troveranno risorse e possibilità di benessere da risorse locali e rinnovabili. Ma, come sempre, nulla è scontato. Come in tutti i cambiamenti e rivoluzioni, ci sono e ci saranno grandi passi avanti e blocchi improvvisi, vincitori e vinti, sorgeranno nuovi padroni dell’energia (pensiamo alla Russia di Putin) e si diffonderanno nel mondo collettori solari. Si annunceranno grandi svolte internazionali mentre minoranze sempre più consistenti avranno la capacità di anticipare i cambiamenti su scala locale, nazio-
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ne per nazione, regione per regione, città per città, casa per casa. Anzi, proprio dalla capacità delle classi dirigenti locali di anticipare il cambiamento, dipenderà il controllo, il “telecomando” delle scelte, la possibilità che, almeno in parte, questo passi per le mani di ciascuno di noi, consumatori finali e produttori delle conoscenze e delle risorse necessarie alla vita futura.
come fermare la febbre del pianeta Mentre scriviamo queste pagine si è da poco conclusa la deludente Conferenza di Copenaghen sul clima. Su un’imbarcazione del porto della capitale danese una grande scritta accoglieva le decine di migliaia di diplomatici, tecnocrati, rappresentanti di associazioni e movimenti convenuti: “I politici parlano, i leader decidono”. Anche i leader hanno deluso, a cominciare da Barack Obama, che non poteva prendere impegni cui il Congresso e il Senato si sarebbero opposti come era già successo a Clinton. L’Europa – forse per la prima volta tagliata fuori dal dialogo Usa-Cina – si è presentata con importanti impegni unilaterali e vincolanti, ma non abbastanza generosi da convincere il resto del mondo. La Cina, ormai primo generatore di gas climalteranti, vanta già un formidabile impegno nelle rinnovabili e nella green economy, ma è ancora troppo opportunista nel difendere la propria giovane industria e il suo carbone a basso prezzo. Insomma, non ci sarà nella storia dell’umanità un “accordo di Copenaghen” così come invece c’è stato un “protocollo di Kyoto” valido sino al 2012: non ci resta che sperare in un “accordo del Messico”, alla prossima Conferenza delle Parti nel dicembre 2010. Gli scienziati dell’IPCC, il Panel internazionale che lavora in rete con migliaia di scienziati in tutto il mondo, Nobel per la Pace nel
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2007, hanno già fatto capire che con i blandi impegni annunciati dai governi sarà inevitabile superare la soglia dei 2 gradi medi di aumento della temperatura mondiale. La soglia, alla base della trattativa di Copenaghen, segnala il punto oltre il quale i cambiamenti climatici previsti comportano significativi cali delle produzioni agricole nei paesi più popolosi, intensificazioni delle siccità e degli eventi meteorologici estremi, con conseguente aumento di decine di milioni di profughi ambientali nel mondo. Nell’anno in cui l’Europa festeggia la caduta del muro di Berlino, si sta costruendo una nuova barriera lungo la frontiera tra l’India e il Bangladesh, nel timore di uno spostamento di massa a causa delle alluvioni e della fame. In Italia i ghiacciai alpini si sciolgono, costringendoci a rivedere i confini, aumentano i fenomeni meteo estremi, con conseguenze drammatiche in un paese a rischio idrogeologico; si intensificano i giorni di acqua alta a Venezia, mettendo sempre più a rischio la sopravvivenza della città; cambiano le produzioni agricole e i raccolti diventano più imprevedibili. Accanto ai timori indotti dai cambiamenti climatici, è cresciuta una nuova consapevolezza tra le diplomazie dei più importanti paesi al mondo, comprese Cina e India: rimanere esclusi dai nuovi mercati delle emissioni, dalla nuova economia sostenibile e dagli accordi che ne costituiranno le fondamenta non conviene a nessuno. Per essere al passo col mondo che cambia è necessario dunque uno scatto nuovo, una rivoluzione che riguarda anche noi e che passa per la conversione delle nostre economie e dei nostri stili di vita, che dovranno essere all’insegna della pace col prossimo, con il pianeta e con il futuro. Il millennio si è aperto con l’attentato terroristico alle Torri gemelle a New York e con la controffensiva del Presidente George W. Bush che, spedendo l’esercito in Iraq, dichiarava:
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“Il nostro stile di vita non è negoziabile”. Barack Obama ha vinto la campagna elettorale con una promessa: “Fisserò l’obiettivo nazionale di rendere ecocompatibili tutti gli edifici in America entro il 2030”. Ha poi aggiunto: “Voglio che le auto a basso consumo del futuro vengano costruite proprio qui, in America” e dopo pochi mesi ha chiamato ad aiutarlo la Fiat, marchio che si caratterizza per il più basso livello di emissioni di CO2 a chilometro sulla media del venduto. Chissà se Obama manterrà la promessa e se Marchionne ce la farà a mantenere il primato, ma la scommessa del futuro sta tutta qui: non nel consolidarsi di un nuovo settore dell’economia verde, ma nel “Green New Deal”, cioè nella speranza che la green economy sia la risposta alla crisi economica e finanziaria attuale, e che il processo di riconversione investa tutta l’economia, trasformando anche settori tradizionali come l’edilizia, i trasporti, l’agricoltura, quelli delle materie prime, delle energie rinnovabili e della preservazione del territorio. Ma prima che negli Stati Uniti, la svolta è iniziata nel cuore della vecchia Europa. E non solo grazie alla forza elettorale del partito dei Verdi tedeschi o al recente successo di Europe Ecologie in Francia. Si ricordi la quasi continuità, su questi temi, del governo di svolta di Angela Merkel con il precedente partecipato dai socialdemocratici, la determinazione nelle politiche per fermare i cambiamenti climatici di Tony Blair ieri, di Gordon Brown oggi e dei programmi elettorali di Lord Cameron, su questi argomenti in gara virtuosa con le proposte del declinante governo laburista. O al governo svedese, che ha tenuto la presidenza dell’Unione Europea durante la Conferenza di Copenaghen, forte del fatto che maggioranza e opposizione condividono l’obiettivo di ridurre le emissioni del 40% entro il 2020.
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responsabilità, libertà, sussidiarietà Le nuove parole chiave della conversione in atto sono responsabilità, libertà e sussidiarietà. Senza responsabilità nei confronti di quello che succede e che ci succede non si può capire quale sia la strada migliore da percorrere. Senza responsabilità prevale la paura del cambiamento, ci si barrica in casa e si comprano porte blindate e non pannelli solari, non si può capire quale sia la scelta migliore per il nostro futuro. Senza libertà di scelta, poi, non si produce cambiamento, almeno nelle democrazie nelle quali ci piace vivere. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, alla chiusura della consultazione nazionale sullo sviluppo sostenibile (la Grenelle Environnement, presentata nell’ottobre del 2007) dichiarava solennemente: “Non potremo né imporre né decretare lo sconvolgimento dei nostri stili di vita, che solo una rifondazione della nostra democrazia renderà possibile”. Una democrazia, quindi, che non si esprime solo nel voto, ma anche nelle scelte che compiamo tutti i giorni, quando facciamo la spesa, scegliamo il mezzo di trasporto più conveniente, la casa dove abitare, la comunità di appartenenza, il modo di prestare un’opera o di scambiare un lavoro responsabile. E Sarkozy non è un “écolo” estremista. Libertà perché, a differenza dello stile di vita delle società industriali del secolo scorso, le nuove società di questo millennio dovranno prevedere stili di vita plurali, con accentuazioni diverse in funzione delle diverse sensibilità che popoleranno le città del futuro. Ognuno, ogni comunità, farà trasparire con i propri comportamenti differenti valori e livelli di responsabilità nei confronti degli altri e del mondo: solo così si spiega come mai desideriamo scegliere la mela a chilometro zero e la marmellata equa e solidale del Sud America.
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E infine sussidiarietà. Perché tutti questi nuovi prodotti non si trovano facili facili nei banconi del supermercato, non ci sono garantiti e spesso non ci vengono neppure forniti. Un esempio? I servizi di trasporto pubblico o di mobilità dolce non sono disponibili nelle nostre città, anche se spesso sarebbero più comodi dell’auto con navigatore. Se non ci organizziamo e non chiediamo questi beni e servizi, nessuno ce li metterà a disposizione. Anzi, se non ordiniamo il prodotto che vogliamo, se non chiediamo direttamente al produttore come lo vorremmo, il mercato o lo Stato non ce lo offriranno mai. È quello che succede quotidianamente alle organizzazioni di consumatori, ai gruppi d’acquisto, ai circoli di Legambiente, e persino ai Comuni che praticano gli “acquisti verdi”. Il mercato e lo Stato arrivano dopo, noi intanto diamoci da fare. Il cambiamento del futuro non potrà essere solo internazionale e globale, pena il subirlo controvoglia e godere solo della parte amara della pillola. Ma neppure potrà essere il prodotto isolato di scelte autonome delle comunità locali o delle singole famiglie o persone. Piuttosto, come si dice oggi con una brutta parola, dovrà essere “glocal”, globale e locale insieme. Il cambiamento coinvolgerà in primo luogo le città del mondo, anche quelle italiane. Il Cardinal Carlo Maria Martini, alla fine del suo apostolato milanese, ci ha ricordato che “la città è un patrimonio dell’umanità. Essa è stata creata e sussiste per tenere al riparo la pienezza di umanità da due pericoli contrari e dissolutivi: quello del nomadismo, cioè della desituazione che disperde l’uomo, togliendogli un centro di identità; e quello della chiusura nel clan che lo identifica ma lo isterilisce dentro le pareti del noto. La città è invece luogo di un’identità che si ricostruisce continuamente a partire dal nuovo, dal diverso, e la sua natura incarna il coordinamento delle due tensioni che
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arricchiscono e rallegrano la vita dell’uomo: la fatica dell’apertura e la dolcezza del riconoscimento”. Un vecchio detto ci ricorda infatti che “l’aria di città rende liberi”. Anche quando, aggiungiamo noi di Legambiente, l’aria è inquinata al di sopra di qualsiasi standard sanitario e ambientale internazionale, come nelle nostre belle città. È paradossale che siano degli ambientalisti ad aspettarsi una svolta ecologica proprio dalle città? A pensarci bene, no. Perché il cambiamento di cui stiamo parlando è della società degli uomini e può nascere là dove gli uomini vivono e si relazionano tra loro. È nelle città, dove ormai vive più della metà dell’umanità, che si dovrà iniziare a consumare meno energia inquinante, usare risorse rinnovabili o riciclabili, muoversi più facilmente a piedi, in bicicletta o in metropolitana, costruire case più efficienti, coltivare il verde, decidere liberamente come cambiare la propria vita. L’alternativa è la decadenza delle città stesse. È questo patrimonio di idee che Legambiente, Triennale e l’istituto di ricerche Ambiente Italia hanno voluto portare in una grande mostra internazionale (da febbraio a marzo 2010). Ospitata alla Triennale di Milano e intitolata “Green Life, costruire città sostenibili” (www.mostragreenlife.org), l’esibizione è frutto di una ricerca intellettuale e politica che dura da anni. Questo libro non racconterà la mostra, ma fa parte dello stesso percorso, e nasce dal radicamento territoriale dell’associazionismo ambientalista, dall’esigenza di fare proposte e di fornire strumenti alle comunità locali (paesi e quartieri di città) che scelgono nuovi cammini di sostenibilità. Nasce anche dalla campagna “Vivi con stile”, iniziata nel 2007, che ha dato il titolo a un volume di discreto successo e a un frequentato sito web (www.viviconstile.org). La conversione ecologica non si
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produrrà senza la formazione di un retroterra di conoscenze e culture condivise tra milioni di cittadini e di abitanti di tutta Italia, con cui superare diffidenza e scetticismo nei confronti della novità di cui anche la Green Economy è parte.
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