PROSPERITÀ SENZA CRESCITA
i fondamenti dell’economia di domani
Tim Jackson
PROSPERITÀ SENZA CRESCITA I fondamenti dell’economia di domani
QUESTO VOLUME È RACCOMANDATO DA WWF ITALIA
Tim Jackson prosperità senza crescita i fondamenti dell’economia di domani Nuova edizione
realizzazione editoriale
Edizioni Ambiente Srl
© 2017 Tim Jackson The right of Tim Jackson to be identified as author of this work has been asserted by him in accordance with sections 77 and 78 of the Copyright, Designs and Patents Act 1988. All Rights Reserved. Authorised translation from the English language edition published by Routledge, a member of the Taylor & Francis Group traduzione: Laura Coppo, Diego Tavazzi coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo
© 2017, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-191-8 Finito di stampare nel mese di settembre 2017 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente
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sommario
una nuova economia per il “condominio terra” di Gianfranco Bologna
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introduzione alla prima edizione
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prologo alla seconda edizione
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1. i limiti alla crescita
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2. la prosperità perduta
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3. ridefinire la prosperità
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4. il dilemma della crescita
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5. il mito del decoupling
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6. la “gabbia d’acciaio” del consumismo
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7. essere felici, entro i limiti
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8. le basi dell’economia di domani
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9. verso una macro-economia post-crescita
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10. lo stato progressista
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11. una prosperità duratura
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note
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fonti
289
ringraziamenti
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Questo libro è dedicato a Zac, Tilly e Lissy: so che a volte mi ha allontanato da voi, ho la speranza che un giorno possiate ricavarne qualcosa.
“It’s your world now, use well the time. Be part of something good; leave something good behind.” “Il mondo adesso è vostro, usate bene il tempo. Partecipate a qualcosa di buono; lasciate a chi verrà qualcosa di buono.” The Eagles, Long Road out of Eden, 2007
una nuova economia per il “condominio terra” di Gianfranco Bologna
Credo che questo libro di Tim Jackson, uno dei più brillanti economisti ecologici della nostra epoca, debba diventare una lettura obbligata per tutti. Le condizioni sociali ed economiche in cui versano le nostre società, le relazioni che hanno con il mondo naturale, sono davvero preoccupanti, tanto da gettare serie ipoteche sugli scenari futuri. È indispensabile uno sforzo urgente per cambiare rotta, uno sforzo che possiamo definire senza precedenti nella storia dell’umanità e che riguarda, in particolare, i nostri sistemi economici e le modalità con le quali sono stati impostati e si sono sin qui evoluti. Tim Jackson lavora da anni proprio su questa frontiera, e il suo libro offre un quadro lucido e documentato della situazione, indicando i percorsi necessari a cambiare rotta. I segnali sono chiari e non possono più essere ignorati. In occasione dell’annuale World Economic Forum 2017 di Davos,1 evento annuale dedicato allo scambio di riflessioni, analisi, scenari sull’economia mondiale con i maggiori protagonisti economici e finanziari, l’organizzazione non governativa Oxfam ha presentato un rapporto dal titolo “An economy for the 99%”. Il sottotitolo recita “È tempo di costruire un’economia che crei benefici per tutti, non solo per pochi privilegiati”. Il rapporto, che si basa sui dati della World Bank e dell’International Monetary Fund, fornisce un’analisi drammatica della situazione economica mondiale: sin dal 2015, l’1% delle persone più ricche è proprietario di una ricchezza maggiore del resto degli abitanti del pianeta; otto individui hanno la stessa ricchezza (426 miliardi di dollari) di 3,6 miliardi di persone povere (con bassi redditi); nei prossimi 20 anni, 500 persone avranno una ricchezza di oltre 2.100 miliardi di dollari, una somma più ampia del prodotto nazio-
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nale lordo dell’India, un paese di oltre 1 miliardo e 300 milioni di abitanti; l’introito del 10% delle persone più povere sulla Terra è incrementato di circa 3 dollari l’anno nel periodo tra il 1988 e il 2011, mentre l’introito dell’1% dei più ricchi è aumentato di 182 volte; in Vietnam l’uomo più ricco del paese guadagna in un giorno più di quanto l’uomo più povero riesce ad avere in 10 anni; 7 persone su 10 vivono in paesi nei quali la disuguaglianza è aumentata negli ultimi 30 anni. Questa situazione di profonda e crescente disparità si incrocia con i dati relativi allo stato di salute del nostro pianeta. In occasione del 35° Congresso geologico internazionale, tenutosi a Città del Capo dal 27 agosto al 4 settembre 2016, il gruppo di studiosi voluto dalla International Commission on Stratigraphy2 che, da più di sette anni, ha il compito di comprendere se l’impatto umano sui sistemi naturali della Terra sia tale da far configurare una nuova epoca geologica della storia del nostro pianeta (che ha circa 4,6 miliardi di anni di vita), ha dato una prima conferma. Infatti ha annunciato che la documentazione scientifica sin qui raccolta stabilisce che è possibile indicare una nuova epoca nella Geological Time Scale, nella scala geocronologica della Terra, da definire “Antropocene”, proprio perché riguarda gli effetti riconducibili, anche nelle stratificazioni geologiche, all’intervento umano. L’Antropocene potrebbe costituire la nuova e più recente epoca geologica del periodo Quaternario, periodo che copre gli ultimi 2,6 milioni di anni della storia del nostro pianeta e che, attualmente, si divide in Pleistocene e Olocene; quest’ultima rappresenta l’epoca geologica nella quale stiamo vivendo e che risale a 11.700 anni fa. La proposta dell’Antropocene proseguirà il suo iter formale, che potrebbe durare altri 3-4 anni, e dovrà essere poi definitivamente approvata o respinta dalla commissione. Al di là delle decisioni che verranno prese, da lungo tempo la comunità scientifica internazionale che si occupa di scienze del Sistema terra e di sostenibilità globale3 sostiene che l’impatto umano sui sistemi naturali produce effetti simili a quelli delle grandi forze geofisiche che hanno modellato e plasmato il nostro pianeta nell’arco della sua esistenza. Numerosi sono ormai i libri, le ricerche, le analisi, le riviste scientifiche e i programmi internazionali di ricerca che studiano l’Antropocene. Oggi ci stiamo scontrando con i limiti biofisici che definiscono la capacità della Terra di sopportare una crescita umana che appare insostenibile. I danni che stiamo provocando alla biosfera – e quindi agli ecosistemi marini, d’acqua dolce e terrestri – da cui dipendono lo sviluppo e il benessere di tutte le socie-
una nuova economia per il “condominio terra”
tà umane sono tali che, negli ultimi 50-60 anni, abbiamo eroso le strutture, i processi, le funzioni e i servizi degli ecosistemi a una velocità che non ha paragoni nella storia umana, e il sistema Terra non è mai stato così “debole” da quando sono comparse le moderne società umane, creando così, di fatto, una forte limitazione alle nostre opzioni per il futuro. La sfera della vita (la biosfera), se trattata in modo adeguato, è estremamente efficace quando si tratta di generare resilienza su scala planetaria.4 È la nostra migliore alleata e la miglior polizza assicurativa che abbiamo contro gli shock causati dai cambiamenti ambientali globali, che siano di origine umana o naturale. Come parti integranti del Sistema Terra, potremmo ispirarci al mondo vivente e modellare le nostre strutture per generare resilienza. Dovremmo perciò produrre e consumare imitando la natura e impedire che i cicli naturali, che sono processi circolari in cui non esistono i rifiuti perché c’è sempre qualche organismo che li utilizza in qualche modo, vengano modificati dal nostro intervento e trasformati in processi lineari alla fine dei quali si generano scarti e inquinamento. Modificare i nostri modelli economici e sociali in direzione della sostenibilità conduce a chiudere i cicli di produzione e consumo evitando i rifiuti, e spinge a impiegare le migliori innovazioni scientifiche e tecnologiche. Le stiamo già utilizzando in tanti ambiti: energie pulite e rinnovabili, processi industriali e di produzione alimentare che rientrano nei cicli della natura, consumi equi e rispettosi della dignità di tutti gli esseri umani, città intelligenti che non sprecano energia e materie prime... Già nel 1885 il fisico Rudolf Clausius (1822-1888), al quale dobbiamo l’individuazione del secondo principio della termodinamica e il conseguente concetto di entropia, scrisse in un opuscolo intitolato “Uber die Energievorrathe der Natur und ihre Verwerthung zum Nutzen der Menschheit” (“Sulle riserve di energia in natura e sulla loro valorizzazione per il bene dell’umanità”): “In economia vi è una regola generale secondo la quale il consumo di un dato bene in un dato periodo non deve superare la sua produzione nello stesso periodo. Insomma, dovremmo consumare solo il combustibile che si riproduce attraverso lo sviluppo delle foreste, anche se in pratica ci comportiamo in maniera del tutto diversa. Sappiamo che sotto terra vi sono da tempi remoti depositi di carbone accumulati grazie alla crescita della vegetazione allora esistente sulla Terra per periodi così lunghi che, al loro confronto, i tempi storici appaiono infinitamente brevi. Oggi stiamo consumando questo patrimonio, comportandoci come eredi scialacquatori. Si estrae dal suolo quanto la forza umana e i mezzi tecnici consentono, e quel
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che viene estratto è consumato come se fosse inesauribile. La quantità di ferrovie, piroscafi e fabbriche attrezzati con macchine a vapore cresce in modo vertiginoso così che, quando guardiamo al futuro, ci domandiamo inevitabilmente cosa accadrà una volta che le riserve di carbone saranno esaurite”.5 Inoltre, la lentezza dei progressi delle iniziative della diplomazia internazionale destinate a gestire i beni comuni dell’umanità – che nel 2015 si sono arricchiti dell’Accordo di Parigi scaturito dai lavori della COP della United Nations Framework Convention on Climate Change e dell’Agenda 2030 con i 17 Sustainable Developments Goals,6 approvati da tutti i paesi alle Nazioni Unite – si scontra con il fattore più critico che dobbiamo affrontare, il tempo. Il “tempo”, infatti, non gioca a nostro favore e i ritardi, i rinvii, l’inazione, le deroghe, tanto care al mondo della politica e dell’economia, non fanno altro che peggiorare la situazione. La vera priorità è sempre di più quella di modificare l’impianto di base della nostra economia che mira a promuovere un meccanismo di crescita continua, materiale e quantitativa. È infatti francamente impossibile salvare la biodiversità del pianeta, ristabilire i complessi equilibri dinamici del sistema climatico, affrontare l’insostenibilità della nostra pressione sui sistemi naturali della Terra, sui suoli, sui cicli idrici, sui grandi cicli biogeochimici dell’azoto, del carbonio, del fosforo ecc., senza intervenire sui meccanismi fondanti dell’attuale sistema economico e finanziario. Gli studiosi che hanno sottolineato le discrepanze esistenti tra la continua crescita economica, materiale e quantitativa dell’umanità e le capacità dei sistemi naturali di farvi fronte non sono riusciti a trasformare tali rilievi, solidamente basati sulla logica e sulla conoscenza scientifica, in una cultura basata su limiti alla nostra crescita, e questo approccio è sempre rimasto ai confini del paradigma economico dominante. Oggi finalmente la situazione sembra in via di trasformazione come dimostrato anche da questo libro di Tim Jackson, del quale nel 2011 chi scrive ha curato l’edizione italiana della prima edizione inglese e che, insieme a quelli di un’ormai folta schiera di economisti ecologici, punta proprio a trasformare questa impostazione culturale e operativa nell’economia del futuro. Il matematico ed economista Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994) ha proposto una teoria bioeconomica che può forse essere definita il primo e più rigoroso tentativo di collegare l’economia alle scienze biofisiche, in particolare alla termodinamica, al concetto di entropia e alle scienze sociali.7 Herman Daly, allievo di Georgescu-Roegen, ha scritto: ”In verità, la crescita economica è l’obiettivo più universalmente accettato nel mondo. Capitali-
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sti, comunisti, fascisti e socialisti vogliono tutti la crescita economica e si sforzano di renderla massima. Il sistema che cresce al tasso più alto è considerato il migliore. [...] Mentre l’umanità sta crescendo rapidamente, l’ambiente, di cui fa parte, è rimasto immutabilmente stabile nelle sue dimensioni quantitative”.8
una prosperità senza crescita Come è possibile pensare che gli esseri umani sul nostro pianeta, che oggi sono 7,4 miliardi, 9 volte gli 800 milioni di persone che si stima vivessero nel 1750, e che secondo gli ultimi scenari delle Nazioni Unite9 saranno 9,7 miliardi nel 2050, possano raggiungere il livello di ricchezza e abbondanza delle nazioni sviluppate? I dati presentati dagli annuali “World Economic Outlook” pubblicati dall’International Monetary Fund10 e da studiosi come Angus Maddison (economista britannico, professore all’Università di Groningen, scomparso nel 2010),11 ci documentano che, annualmente, il prodotto globale lordo delle varie nazioni del mondo si aggira sui 90.000 miliardi di dollari. Se analizziamo le serie storiche del prodotto lordo globale (ricavate dai database dell’OECD e dell’IMF)12 possiamo osservare che nel 1950 veniva calcolato in 6.700 miliardi di dollari, nel 1960 in 10.700 miliardi di dollari, nel 1970 in 17.500, nel 1980 in 25.300, nel 1990 in 34.200 e nel 2000 in 46.000 miliardi di dollari. Diventa difficile dare torto ai pionieri dell’economia ecologica e della scienza della sostenibilità (i già citati Nicholas Georgescu-Roegen e Herman Daly ma anche ad altri economisti come Kenneth Boulding, 1910-1993) e alle figure di intellettuali come Aurelio Peccei (1908-1984). Peccei concepì il Club di Roma, che nel 1972 pubblicò il rapporto elaborato dal System Dynamics Group del Massachusetts Institute of Technology e intitolato The Limits to Growth (tradotto, nell’edizione italiana edita da Mondadori nello stesso anno, con il titolo I limiti dello sviluppo).13 Non a caso, ora, si è riaperto un approfondito dibattito su come impostare una nuova economia per le nostre società. Il mondo attualmente è governato in una maniera che non è più sostenibile e lo sarà sempre di meno in futuro, se manteniamo i trend di crescita, come ci dicono chiaramente i risultati delle analisi scientifiche di tutti i grandi programmi internazionali di ricerche sui cambiamenti globali riuniti nell’iniziativa Future Earth: Research for Global Sustainability.14
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E oggi è anche il mondo economico che, ormai, è protagonista di questa riflessione, con tantissimi economisti, pure di formazione neoclassica, che cominciano a mettere in discussione il mito della crescita. Se si riuscisse ad andare al di là delle convinzioni ideologiche che dalla Rivoluzione industriale hanno condotto all’iperliberismo degli ultimi decenni – e inevitabilmente alla crisi finanziaria ed economica di questi ultimi anni – si darebbe un contributo all’analisi e alla reazione necessarie. Oggi questa speranza è sicuramente messa in discussione dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ha scritto Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia:15 “La maggior parte di noi non vorrebbe pensare di corrispondere all’idea di uomo che sta alla base dei modelli di economia prevalenti, ossia un individuo calcolatore, razionale, egoista che pensa solo a se stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico e all’altruismo. Un aspetto interessante dell’economia è che il modello descrive più gli economisti che non le altre persone e quanto più a lungo gli universitari studiano economia tanto più tendono ad assomigliare al modello”. Sappiamo che molti economisti (e non solo), hanno cercato di dimostrare che l’unica soluzione possibile è ipotizzare che la crescita in termini di denaro possa essere disgiunta dalla crescita in termini di stock e flussi di risorse utilizzate, con i relativi impatti ambientali prodotti. Si tratta del cosiddetto “decoupling”, cioè il disaccoppiamento della crescita economica, in cui si riduce l’input di materie prime ed energia per produrre beni e servizi. Ma, come sappiamo, sinora il decoupling non ha dato i risultati necessari. Non si prevede che ci riuscirà nell’immediato futuro e, per rispettare i limiti ecologici sempre più chiari e palesi, sarebbe necessario un decoupling su una scala così ampia che sembra difficile da immaginare. La prosperità consiste nella nostra capacità di crescere bene come esseri umani, entro i limiti ecologici di un pianeta finito, come ci indica da undici edizioni il rapporto biennale “Living Planet Report” del WWF.16 La sfida che la nostra società si trova davanti è creare le condizioni perché questo sia possibile. È il compito più urgente dei nostri tempi ed è l’obiettivo che si pongono tutte le analisi, le ricerche e le azioni mirate a rendere sostenibile il nostro sviluppo. Ed è per questo che Tim Jackson dedica il suo volume alla comprensione del fatto che quando l’economia vacilla seriamente, come sta accadendo ora, la prosperità senza crescita è una strada da percorrere. Le riflessioni e le proposte di Jackson sono debitrici dell’elaborazione della Sustainable Development Commission del Regno Unito che ha terminato i suoi lavori nel 2011 e ha svolto approfondite indagini sui rapporti fra crescita economica e sostenibilità, in par-
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ticolare con i rapporti “Redefining Prosperity” del 2003 e “Prosperity without Growth?” degli inizi del 2009.17 È necessario valutare se i benefici della crescita perenne sono ancora superiori ai suoi costi, e analizzare nel dettaglio l’ipotesi che vede la crescita come presupposto essenziale per la prosperità. In poche parole, come fa Tim Jackson nel suo libro, dobbiamo chiederci: è possibile una prosperità senza crescita?
il raggiungimento dei limiti Le conoscenze scientifiche acquisite ci dimostrano che la strada che abbiamo sin qui percorso è insostenibile e quindi che, se dovessimo continuare a seguire scenari del tipo BAU (Business As Usual), potremmo mettere in pericolo il nostro futuro. Già nel 2001 la prima Open Science Conference di Amsterdam, organizzata dai programmi internazionali di ricerca sul cambiamento globale, si concluse con una dichiarazione molto chiara sul deterioramento delle relazioni tra la specie umana e la natura. In questa dichiarazione18 si afferma tra l’altro che la comprensione della dinamica del Sistema Terra ci fornisce le basi con cui valutare gli effetti e le conseguenze dei cambiamenti indotti dalle attività umane, che stanno influenzando l’ambiente planetario in molti modi che vanno ben oltre l’immissione in atmosfera di gas a effetto serra e i conseguenti cambiamenti climatici. Queste conoscenze della dinamica del Sistema Terra sono migliorate negli anni (e sono state ampiamente confermate da “Planet Under Pressure”, la grande conferenza sui cambiamenti globali tenutasi nel 2012 a Londra) e oggi abbiamo una notevole quantità di dati sugli effetti negativi dell’impatto umano sui sistemi naturali. I cambiamenti indotti dalle attività antropiche nel suolo, negli oceani, nell’atmosfera, nel ciclo idrologico e nei cicli biogeochimici dei principali elementi, oltre ai cambiamenti della biodiversità, sono oggi chiaramente identificabili rispetto alla variabilità naturale. Molti di questi processi stanno aumentando di importanza e i cambiamenti globali sono già una realtà e non possono essere compresi nei termini della semplice relazione causa-effetto. I cambiamenti indotti dalle attività antropiche sono infatti causa di molteplici effetti che si manifestano nel Sistema Terra in modo molto complesso. Questi effetti interagiscono fra di loro e con altri cambiamenti a scala locale e regionale producendo andamenti multidimensionali difficili da interpretare e ancor più da predire.
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