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tascabili dell’ambiente
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A cura di Andrea Segrè e Matteo Vittuari
il libro verde dello spreco in italia: l’energia gruppo di ricerca: Nicola Armaroli, Vincenzo Balzani, Cecilia Bellettato, Alberto Bertini, Antonio Cianciullo, Fabio De Menna, Luca Falasconi, Claudia Giordano, Massimiliano Montini, William H. Meyers, Eleonora Morganti, Marco Pagani, Alessandro Politano, Francesca Regoli, Andrea Segrè, Leonardo Setti, Anastasia Scotto, Matteo Vittuari, Francesca Volpe, Jadwiga R. Ziolkowska
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realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale: Diego Tavazzi progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: Shutterstock impaginazione: Roberto Gurdo © 2012, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-6627-095-9 Finito di stampare nel mese di settembre 2013 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (PG) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100% i siti di edizioni ambiente: www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.puntosostenibile.it www.freebookambiente.it
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A cura di Andrea Segrè e Matteo Vittuari
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sommario
un anno contro lo spreco: l’energia
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presentazione
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guida alla lettura
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1. energia: alimentazione, società e territorio 1.1 la transizione energetica
19 19
1.2 energia e sostenibilità
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1.3 biocarburanti e mercati agricoli
54
1.4 la filiera del biogas in italia
69
1.5 energia e filiera agroalimentare: il ruolo delle politiche e normative comunitarie
81
di Andrea Segrè
di Antonio Cianciullo
di Vincenzo Balzani, Nicola Armaroli di Leonardo Setti
di William H. Meyers, Jadwiga R. Ziolkowska di Alberto Bertini
di Francesca Volpe, Massimiliano Montini
2. energia e sistemi agroalimentari: i consumi
2.1 produzione e sistemi agricoli di Marco Pagani, Matteo Vittuari 2.2 trasformazione di Marco Pagani, Matteo Vittuari 2.3 il trasporto di prodotti alimentari
nel sistema agroalimentare globalizzato
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95 100 112 121
di Eleonora Morganti
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2.4 la distribuzione di Alessandro Politano 2.5 consumo di Luca Falasconi, Cecilia Bellettato
133
3. il rapporto fra sprechi ed energia
151 155
3.1 residui da coltivazione ed energie rinnovabili di Francesca Regoli, Matteo Vittuari 3.2 scarti della trasformazione e possibilità di recupero
141
163
di Francesca Regoli, Fabio De Menna, Matteo Vittuari 3.3 lo spreco alimentare nella distribuzione di Alessandro Politano 3.4 energia da consumi e scarti alimentari:
185
di Fabio De Menna, Francesca Regoli, Matteo Vittuari 3.5 l’impatto ambientale degli sprechi
195
sprechi, risorse e opportunità
agroalimentari e l’obiettivo di kyoto
175
di Anastasia Scotto
conclusioni
207
note
213
bibliografia
216
biografie
235
di Andrea Segrè, Matteo Vittuari, Fabio De Menna
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un anno contro lo spreco: l’energia
L’era dell’energia non rinnovabile, dei combustibili fossili (90% del totale), che tanto ha migliorato la vita di una parte (piccola) dell’umanità, non può continuare all’infinito. La produzione di gas naturale (26%), petrolio (38%) e carbone (27%) raggiungerà un picco per poi declinare inesorabilmente. Il problema delle risorse energetiche è fortemente intrecciato ai problemi della popolazione e dell’ambiente. Sull’astronave Terra i passeggeri sono collocati in “classi” molto, troppo diverse e stanno aumentando di numero. Tutti vogliono avere più energia. In tanti per un bisogno effettivo, per una reale necessità di sviluppo delle loro nazioni povere e tecnologicamente meno avanzate. Altri, invece, nei paesi più ricchi e progrediti, per sostenere e, se possibile, aumentare ancora lo spreco al quale sono abituati fin dalla nascita: un americano consuma energia come 2 europei, 10 cinesi, 15 indiani e 30 africani. Nel contempo, è necessario diminuire il consumo dei combustibili fossili, non solo perché sono risorse limitate – dunque oggetto di competizione – e non rinnovabili, ma ancor più perché il loro uso causa pesanti danni alla salute, al clima e all’ambiente. In questo quadro emerge la necessità di una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e una riduzione dei consumi, trasversale a tutti i settori dell’economia: dall’edilizia alla produzione, dai trasporti ai servizi.
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Quindi, sono indispensabili strategie politiche di medio e lungo periodo, che portino a una revisione dei processi finalizzati alla produzione, gestione e consumo di energia. A risultare decisivo è anche il ruolo dei singoli cittadini, che in futuro saranno sempre più coinvolti nei sistemi energetici non soltanto in termini di efficienza e riduzione dei consumi, ma anche di produzione, grazie alle nuove tecnologie che permetteranno di recuperare l’energia oggi dispersa nell’ambiente. Anche il settore agroalimentare necessita di una transizione verso produzioni meno intensive e filiere più efficienti. Ogni giorno infatti si utilizza una grande quantità di energia per coltivare, allevare, trasformare, conservare, trasportare e preparare il cibo. Nei paesi sviluppati, si stima che una percentuale fra il 15 e il 30% del consumo totale di energia sia imputabile alle filiere agroalimentari. Allo stesso tempo, altra energia viene utilizzata per gestire e smaltire ingenti quantità di rifiuti, scarti e sprechi. Queste inefficienze comportano gravi conseguenze in termini di costi economici, sociali e ambientali, come emissioni di gas serra e inquinamento delle falde acquifere. Emerge quindi l’esigenza di promuovere nuove fonti energetiche rinnovabili, più attente all’ambiente e all’uso delle risorse naturali. Tuttavia queste strategie hanno favorito anche l’insorgere di fenomeni non sempre virtuosi, come la crescente competizione tra usi energetici e alimentari di certe colture. Sistemi agroalimentari virtuosi potrebbero rivestire un ruolo importante per un utilizzo più sostenibile ed efficiente dell’energia, attraverso la valorizzazione energetica di residui agricoli e produttivi, il recupero dello spreco alimentare e la sensibilizzazione verso scelte di consumo più responsabili. L’analisi della relazione tra sprechi ed energia lungo la filiera agroalimentare è l’obiettivo del Libro verde dello spreco in Italia:
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l’energia, che si inserisce nell’ambito della campagna europea Un anno contro lo spreco e segue il Libro nero dello spreco in Italia: il cibo (2010) e il Libro blu dello spreco: l’acqua (2011). Un anno contro lo spreco è la campagna europea di sensibilizzazione lanciata nel 2010 da Last Minute Market, lo spin off dell’Università di Bologna – Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari, impegnato nel recupero, nella riduzione, nella prevenzione, nell’analisi degli impatti e nella proposta di misure nel campo delle perdite e degli sprechi alimentari e non. Patrocinata dal Parlamento europeo – Commissione agricoltura e sviluppo rurale, e dedicata nel 2010 agli sprechi alimentari, nel 2011 agli sprechi idrici, e nel 2012 agli sprechi energetici, la campagna ha già ottenuto un importante traguardo: quello di aver portato il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria (Strasburgo, 19 gennaio 2012), ad approvare la risoluzione che ha indicato il 2014 come anno europeo contro gli sprechi alimentari e il 2025 come traguardo per il loro dimezzamento. In attesa delle decisioni della Commissione europea, cui spetta la decisione dell’anno europeo nonché l’adozione delle misure che sono contenute nella risoluzione del Parlamento europeo (“Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’Ue”), alla campagna Un anno contro lo spreco, nel 2012, si è affiancata la Carta per le amministrazioni a spreco zero sottoscritta, a maggio 2013, da oltre mille sindaci italiani ed europei. Le municipalità coinvolte si sono impegnate ad attivare fin da subito nei propri territori le azioni contro lo spreco indicate nella risoluzione del Parlamento europeo, impegnandosi a scambiare le buone pratiche già attivate. Un modo per iniziare subito e senza costi a ridurre concretamente gli sprechi di alimenti, acqua, energia per arrivare poi ai rifiuti e alla mobilità.
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L’edizione 2012 della campagna è stata realizzata con il sostegno di UniCredit, Eni, Alce Nero Mielizia, Granarolo, Conad, FederUtility e la partnership mediatica di Rai Radio2, Caterpillar. Il progetto è stato patrocinato, oltre che dal Parlamento europeo – Commissione agricoltura e sviluppo rurale, anche dal Segretariato sociale della Rai, dalla Regione Emilia Romagna, dall’Associazione comuni virtuosi, dall’Accademia dei Georgofili di Firenze. Andrea Segrè
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prefazione
D’accordo, avete fretta. Siete scappati dal lavoro appena in tempo per arrivare a casa, fare finta di avere organizzato una cena e riuscire a mettere i piatti in tavola. E quell’insalata in busta vi fa comodo: un colpo di coltello per aprire la plastica, una sciacquata – per evitare il rischio di contatti indesiderati – ed è fatta. Il costo? Meglio non pensarci: un salasso, e non solo dal punto di vista economico. C’è una quota di problemi scaricati sulla collettività: tagliare, asciugare, pesare, imbustare, sigillare, raffreddare, spostare quella lattuga ha comportato un costo ambientale che è pari a quasi un litro di petrolio. Un litro di petrolio per un paio di etti di erbetta. Per carità, un litro di petrolio (l’umanità ne consuma circa mille barili ogni secondo) non cambia i destini del mondo e non è il caso di farsi divorare dai sensi di colpa per un’insalata. Piuttosto vale la pena ragionare sugli effetti – economici, ecologici, sociali – della somma delle nostre scelte quotidiane. Il senso di questo libro, anzi della trilogia di Last Minute Market (Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo; Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua; Il libro verde dello spreco in Italia: l’energia), sta proprio qui: offrire la possibilità di rivisitare gli atti minuti e qualche volta involontari di una normale giornata per scoprire che il pilota automatico dell’abitudine ci può portare fuori strada, su sentieri in cui i vantaggi sono apparenti e gli svantaggi sostanziali.
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In realtà i tre registri scelti da Last Minute Market – cibo, acqua, energia – sono tanto strettamente intrecciati da rendere impossibile l’analisi di un tema senza parlare degli altri. Eppure, anche se l’oggetto osservato resta uguale (lo spreco), cambiando punto di osservazione si finisce per cogliere elementi diversi. In questo caso, aver messo al centro dell’attenzione l’energia spinge a prendere il problema dal lato più scottante. La domanda di energia crescerà del 50% nei prossimi 20 anni. Il che vuol dire che, senza un rapido passaggio a una società low carbon, la situazione diventerà drammatica perché energia oggi vuol dire ancora prevalentemente combustibili fossili, cioè emissioni serra che destabilizzano il clima. A gennaio 2013 la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera aveva raggiunto quota 395 parti per milione, il 42% in più rispetto ai livelli pre-industriali. Secondo l’UNEP, le emissioni serra sono già circa il 14% sopra il livello massimo che dovrebbero raggiungere al 2020 se si vuole mantenere la febbre del pianeta entro i 2 °C, la soglia oltre la quale il danno può diventare catastrofico. E i dati che arrivano dai laboratori di tutto il mondo confermano l’allarme: l’estensione dei ghiacci artici si è dimezzata dal 1980; i ghiacciai della Groenlandia hanno visto raddoppiare la velocità di fusione dagli anni Novanta e quelli alpini hanno perso due terzi del volume dal 1850. Il cambiamento climatico è in atto e la pressione devastante degli uragani, delle siccità prolungate, delle alluvioni sempre più violente continua a crescere. A una velocità così alta che gli ecosistemi non hanno il tempo di adattarsi: stiamo andando dritti dritti verso la sesta estinzione di massa, la prima causata da una singola specie, la nostra. Vuol dire che il 70% delle specie che condividono con noi il pianeta sarà spazzato via se non faremo niente per cambiare il modello energetico.
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prefazione
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Come uscire dalla trappola prodotta dall’abuso di combustibili fossili e dalla deforestazione? Le resistenze opposte al cambiamento dal cartello energetico che da più di due secoli domina la scena globale e le difficoltà nel creare una governance mondiale a difesa degli ecosistemi da cui dipende la sopravvivenza dell’umanità hanno rallentato l’adozione obbligatoria delle misure necessarie a garantire la sicurezza collettiva. Dopo il fallimento del vertice Onu di Copenaghen del 2009 si è scelta la strada degli accordi volontari per la riduzione dei gas serra, puntando tutto sulla “saggezza del mercato”. Ma ciò che a qualcuno sembra saggio misurando il bilancio trimestrale può diventare una follia guardando un po’ più lontano: se ci basassimo solo sugli impegni volontari finora assunti dai governi, la temperatura del pianeta salirebbe di 4 o 5 °C consegnando alla siccità le pianure fertili da cui dipende la sopravvivenza di centinaia di milioni di persone. Vista dall’alto, dai summit Onu, quella per la difesa dell’atmosfera sembra una battaglia persa, con la politica ostaggio dei bisogni immediati e degli interessi economici più potentemente organizzati. Ma, guardando dal basso, la prospettiva cambia: è possibile agire subito rispondendo alla disattenzione dei governi con miliardi di azioni attente. Dimostrando che l’energia può essere prodotta e governata in modo da distribuire i vantaggi con maggiore equità (dal punto di vista sociale e temporale), senza rinunce ma anzi rilanciando l’economia e accoppiando alla difesa dal caos climatico la protezione dall’inquinamento quotidiano. Più lavoro, meno veleni immediati, meno gas serra: tre vantaggi in una mossa. Anzi, nelle mille mosse che figurano nella galleria di esempi riportati in questo volume, mosse che possono diventare automatiche a patto di mantenere aperta la finestra del buon senso.
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Per esempio la mattina, quando decidiamo come vestirci, abbiamo ben presente la stagione e magari diamo anche un’occhiata al termometro o apriamo la finestra per misurare la temperatura. Conosciamo il dove e il quando del nostro esistere. È un pacchetto di informazioni che varrebbe la pena mantenere attivo in un angolo del cervello ricordandoci del luogo e del tempo anche quando andiamo a fare la spesa e possiamo scegliere tra un frutto di stagione biologico – niente pesticidi e pochi gas serra – e un altro che ha viaggiato per 10.000 chilometri. Sembra facile. Eppure la bolla di artificialità che ci avvolge allontanandoci dal ciclo della natura fa sì che lo spreco energetico nel sistema alimentare resti altissimo. Per citare alcuni dei dati contenuti in queste pagine, “si stima che il cibo viaggi in media per 1.640 chilometri nella sola fase di consegna dal fornitore al punto vendita, mentre il totale per il ciclo completo di produzione e trasformazione di un prodotto ammonta mediamente a 6.760 chilometri”. Negli Stati Uniti questa situazione fa sì che l’insieme delle attività di trasporto sia responsabile dell’11% del totale delle emissioni di gas serra generate dal sistema agroalimentare. Non va meglio in Europa dove, secondo uno studio ormai famoso, i componenti di uno yogurt alle fragole mangiato in Germania viaggiano per 9.000 chilometri. Ovviamente in buona parte su gomma, in modo da far aumentare al massimo il costo in termini di effetto serra aggiuntivo e di inquinamento. In Italia l’agricoltura pesa per il 7% sulle emissioni serra e l’insieme della filiera agroindustriale per il 20%. Incidere sugli sprechi di cibo significa dunque liberare grandi risorse alimentari, ma anche risparmiare le enormi quantità di acqua necessarie a produrre questo cibo e l’energia che serve a far girare l’intera filiera agroalimentare.
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prefazione
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Finora il messaggio della lotta allo spreco, al di là dell’uso a fini caritatevoli, non è passato, perché veniva associato a una scelta pauperistica che molti osteggiavano temendo potesse deprimere il mercato. Per non fermare la giostra dell’iper-consumo, il sistema produttivo ha continuato a dissipare risorse senza preoccuparsi delle conseguenze, pensando di poter rilanciare all’infinito il saccheggio il pianeta prelevando sempre di più, aumentando il debito e scaricando sul futuro l’onere del pagamento. Ma la giostra si è fermata. La crisi ha mostrato in modo drammatico i legami tra la finanziarizzazione dell’economia (lo sganciamento dal reale), l’abuso del potere energetico dei combustibili fossili (accumulato in milioni di anni e disperso in poche generazioni), i limiti fisici degli ecosistemi (cambiamento climatico). Ora si può ripartire sostituendo alla forza contro la natura la forza della natura. Ed evitando di dissipare la risorsa più importante a disposizione della specie umana: l’intelligenza. Antonio Cianciullo
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guida alla lettura
Il Libro verde dello spreco in Italia: l’energia si pone l’obiettivo di analizzare la relazione tra sprechi ed energia lungo la filiera agroalimentare, analizzandola sia come produttore sia come consumatore di energia. Se da un lato gli sprechi alimentari hanno ricadute negative in termini di consumi energetici, riducendo l’efficienza complessiva del sistema, dall’altro è possibile produrre energia proprio dagli sprechi e dagli scarti, valorizzando prodotti destinati a essere smaltiti come rifiuto. Le chiavi di lettura attraverso cui può essere interpretata la relazione tra agricoltura, energia e società e tra sprechi ed energia all’interno della filiera agroalimentare sono molteplici, data la trasversalità della tematica. Il Libro verde si articola in tre capitoli. Nel primo viene analizzato il rapporto tra alimentazione, società e territorio partendo dalla disponibilità – e sostenibilità – delle fonti energetiche, per individuare poi alcune delle principali criticità nella produzione di energia da fonti alternative, quali biogas e biocarburanti. Il capitolo si conclude con uno sguardo alle iniziative legislative messe in atto dall’Unione europea per quanto riguarda risorse energetiche e filiera agroalimentare. Il secondo capitolo analizza i consumi energetici nei diversi segmenti della filiera – produzione, trasformazione, trasporti, distribuzione, consumo – attraverso il ricorso a casi di studio e al
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confronto tra prodotti di uso quotidiano. Gli approfondimenti includono, per esempio, la differenza in termini di bilancio energetico tra produzione biologica e convenzionale nella fase di produzione e tra surgelamento e liofilizzazione degli alimenti nella fase di trasformazione. La progressiva globalizzazione delle filiere, che ha portato a delocalizzare le lavorazioni di interi segmenti, ha reso necessario allargare l’analisi anche al trasporto dei prodotti agroalimentari. Dopo una breve analisi dell’efficienza energetica nella distribuzione, il capitolo propone una riflessione sulle tendenze dei consumi alimentari in Italia e sull’evoluzione che ha caratterizzato i modelli agronutrizionali anche in termini di impatto energetico. Il terzo capitolo affronta, sempre attraverso un approccio a filiera, il tema dello spreco energetico, illustrando le possibilità di riutilizzo dei residui di coltivazione e degli scarti di lavorazione attraverso gli impianti a biomassa. Dopo aver individuato alcune buone pratiche nella gestione e nel recupero degli scarti, vengono illustrate le cause dello spreco energetico nella fase di distribuzione e le possibilità di riutilizzo degli scarti alimentari in questo passaggio della filiera. Il capitolo si conclude con un approfondimento sull’impatto ambientale degli sprechi, espresso in termini di emissioni di CO2, e su quanta parte dell’obiettivo di Kyoto sarebbe possibile coprire attraverso la prevenzione e il recupero dello spreco: da un lato (ri)destinando all’interno del ciclo alimentare prodotti per cui era già stata generata una quantità significativa di emissioni, dall’altro evitando che altre emissioni debbano essere generate per gestire o smaltire quegli sprechi diventati rifiuto.
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1. energia: alimentazione, società e territorio
1.1 la transizione energetica Vincenzo Balzani, Nicola Armaroli energia: il problema dei problemi La Terra è una gigantesca astronave che viaggia senza meta nell’immensità dell’universo (Armaroli, Balzani, 2011a). Pur muovendosi alla velocità di 29 chilometri al secondo, non consuma sue risorse energetiche per spostarsi, ma ha bisogno di tanta energia per i numerosi passeggeri che trasporta: già oggi sono più di sette miliardi, che diventeranno nove o dieci miliardi attorno al 2050. Ogni giorno i passeggeri dell’astronave aumentano di oltre 230.000 unità, ogni anno di circa 80 milioni: una Parma in più ogni mattino, quasi una Germania in più allo scoccare di ogni nuovo anno. Le nuove nascite avvengono nella stragrande maggioranza in quegli scompartimenti di terza classe che chiamiamo “paesi in via di sviluppo”: ogni minuto nascono 32 indiani e 24 cinesi. È un’astronave dalla quale non si può scendere, che non potrà mai atterrare in nessun luogo per far rifornimento o per essere riparata. L’unico aiuto dall’esterno su cui possiamo contare è l’energia che ci viene dal Sole: è questa energia che ha permesso la nascita della vita sulla Terra e che, direttamente o indirettamente, ha sostenuto lo sviluppo della nostra civiltà.
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il libro verde dello spreco in italia: l’energia
Conosciamo bene l’energia perché ne facciamo abbondante uso tutti i giorni: per viaggiare, cuocere o conservare i cibi, illuminare e far funzionare il numero sempre crescente di apparecchiature che riempiono le nostre case. L’energia è anche la linfa vitale dell’industria, perché per fare qualsiasi “cosa” ci vuole energia e quindi in ogni oggetto c’è una gran quantità di energia nascosta. Per esempio, per fabbricare un’automobile di una tonnellata si utilizzano mediamente tre tonnellate di petrolio, per cui si può stimare che, prima ancora di iniziare a circolare, un’auto abbia già utilizzato circa il 25% dell’energia totale che consumerà prima di essere rottamata. Nei paesi in via di sviluppo c’è bisogno di una crescente quantità di energia non solo per far fronte alle necessità dei nuovi nati, ma anche per elevare il basso livello di benessere della popolazione. Nel frattempo, nei paesi sviluppati la richiesta di energia continua sempre ad aumentare perché si è venuta a creare una spirale perversa: disponibilità di energia – sviluppo tecnologico – ricchezza – consumo di energia. Tutto ciò ha creato grandi disuguaglianze fra le varie nazioni, difficilmente colmabili nel breve periodo. Nell’attuale fase storica, l’energia è fornita in gran parte dai combustibili fossili: petrolio, gas naturale e carbone; un tesoro custodito per milioni di anni nella stiva dell’astronave Terra, che abbiamo iniziato a “bruciare” intensivamente solo negli ultimi 100 anni. I combustibili fossili costituiscono una risorsa energetica molto potente e molto facile da usare, ma non rinnovabile (Armaroli, Balzani, 2011b). Al mondo, ogni secondo, si consumano circa 1.000 barili di petrolio, 96.000 metri cubi di gas e 222 tonnellate di carbone: quanto potrà durare? È difficile stabilire quando si raggiungerà il picco di produzione del petrolio: gli ottimisti parlano di una trentina d’anni, mentre i pessimisti ritengono
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che sia già stato raggiunto. Secondo una recente indagine (Murray, King, 2012) la produzione di petrolio convenzionale non aumenta più dal 2005. C’è, per la verità, anche chi dice che il petrolio è ancora molto abbondante: basta scavare pozzi a profondità sempre maggiori, spremere le sabbie bituminose, oppure ottenerlo dal carbone. Non dice però se sarà conveniente farlo da un punto di vista economico ed energetico, nonché se sarà sostenibile da un punto di vista ambientale. Le stime attuali delle riserve suggeriscono che il picco di produzione per il gas dovrebbe collocarsi poco dopo quello del petrolio, ma anche su questo punto regna molta incertezza. Da qualche anno si sfruttano in modo sempre più esteso e fra crescenti polemiche i giacimenti non convenzionali, quelli in cui il gas è imprigionato in rocce scistose (shale gas) che vengono frantumate facendo ricorso a piccole esplosioni sotterranee e a iniezione ad alta pressione di acqua e additivi chimici. Secondo alcuni esperti (Berman, Pittinger, 2012) le riserve di gas non convenzionale sono state sovrastimate di molto. Nel frattempo, si è verificato che per estrarlo si possono inquinare le falde acquifere e vengono rilasciate grandi quantità di metano (potente gas serra) direttamente in atmosfera. In vista di una diminuzione della disponibilità di petrolio e gas, l’attenzione generale sta tornando sul carbone, le cui riserve fino a pochi anni fa erano stimate sufficienti per qualche centinaio di anni. In realtà, il carbone, recuperabile con un ritorno economico ed energetico conveniente non è così abbondante. Secondo stime attendibili (Murray, King, 2012), il picco di produzione del carbone si avrà tra il 2020 e 2030. Bisogna anche notare che il carbone è il combustibile fossile più inquinante ed è quello che genera la maggior quantità di CO2 per unità di energia prodotta.
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I giacimenti di combustibili fossili non sono distribuiti in modo omogeneo nelle varie aree della Terra e lo stesso vale per i consumi (tabella 1). I dati precisi sulle riserve sono sempre difficili da conoscere non solo per ragioni tecniche, ma anche perché le multinazionali dell’energia e gli stati spesso non hanno interesse a fornire cifre veritiere (tabella 2). Nel panorama internazionale è preoccupante notare che le nazioni più popolate, Cina e India, producono molto meno energia di quanta ne consumano. Gli Stati Uniti, pur essendo il primo paese produttore di gas, il secondo di carbone e il terzo di petrolio, a causa dei loro consumi elevati sono costretti a importare il 59% del petrolio e il 6% del gas naturale. Per contro, la Russia è in grado di esportare enormi quantità di petrolio, gas naturale e carbone. L’Iran, una nazione (forse non a caso) al centro di complicate vicende di politica internazionale negli ultimi 30 anni, è il quarto produttore di petrolio e di gas naturale. Bastano questi pochi dati per far capire alcuni aspetti della politica internazionale. È francamente difficile pensare che le recenti guerre non siano collegate a un controllo “ravvicinato” dei pozzi di petrolio e gas e alle relative vie di terra o di mare che ne permettono lo smistamento. Negli ultimi decenni ci siamo resi conto, con sempre maggior preoccupazione, che l’uso dei combustibili fossili produce sostanze nocive per la salute dell’uomo e dannose per l’ambiente e la stabilità del clima. I danni che l’uso dei combustibili fossili causa alla salute dell’uomo o all’ambiente vengono chiamati esternalità. Il loro costo non ricade sul produttore o sul consumatore, ma sulla collettività. Recentemente, alcune agenzie nazionali e internazionali hanno iniziato a valutare l’entità di questi danni in termini economici, anche se il problema è estremamente complesso e non c’è un consenso generale in merito ai parametri su cui basare le valutazioni. Il costo reale dell’energia
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tabella 1 – produzione e consumo di petrolio in migliaia di barili al giorno (1 barile = 159 litri)1 Produzione Arabia Saudita Russia
Consumo 11.161 10.280
Stati Uniti
18.835
Cina
9.758 4.418
Stati Uniti
7.841
Giappone
Iran
4.321
India
3.473
Cina
4.090
Russia
2.961
3.522
Arabia Saudita
2.856
Emirati Arabi Uniti
3.322
Brasile
2.653
Messico
2.938
Corea del Sud
2.397
Kuwait
2.865
Germania
2.362
Iraq
2.798
Canada
2.293
Italia
1.486
Canada
Italia
95
Fonte: BP, Statistical Review of World Energy, 2012.
tabella 2 – riserve di petrolio in miliardi di barili e in percentuale sul totale mondiale (primi dieci paesi più l’italia)2 Paese
Riserve (in mld barili)
Riserve (in % su tot.)
Venezuela
296,5
17,9
Arabia Saudita
265,4
16,1
175,2
10,6
Canada Iran
151,2
9,1
Iraq
143,1
8,7
Kuwait
101,5
6,1
Emirati Arabi Uniti
97,8
5,9
Russia
88,2
5,3
Libia
47,1
2,9
Nigeria
37,2
2,3
1,4
0,1
Italia Fonte: BP, Statistical Review of World Energy, 2012.
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ottenuta dai combustibili fossili è quindi molto più elevato di quello che viene fatto pagare al consumatore. Anche se i problemi dell’inquinamento derivanti dall’uso dei combustibili fossili si vanno aggravando, specie nelle zone di produzione e nelle aree densamente popolate, le preoccupazioni degli scienziati oggi si concentrano maggiormente sui problemi del riscaldamento del pianeta (effetto serra) e dei cambiamenti climatici. Questi fenomeni sono attribuiti principalmente all’alterazione del ciclo del carbonio, indotta dal rilascio in atmosfera di enormi quantità di CO2 (31,6 miliardi di tonnellate nel 2011), che è il prodotto principale della combustione di combustibili fossili (IPCC, 2007). In altre parole, in un arco di tempo troppo breve (alcuni decenni), abbiamo riversato in atmosfera miliardi di tonnellate di carbonio che erano rimaste confinatabella 3 – consumo di energia primaria nel 2011 (in toe, tonnellate equivalenti di petrolio) ed emissioni di co2 (2009) in alcuni paesi Paese
Energia primaria
Emissioni di CO2
Pro capite (toe/persona)
Totale (Mtoe)
Pro capite (ton/persona)
Totale (Mton)
Stati Uniti
7,28
2.269
17,4
6.145
Russia
4,81
686
11,0
1.700 1.308
Giappone
3,75
478
8,6
Germania
3,76
306
9,4
828
Francia
3,72
243
6,1
403
Italia
2,76
169
6,7
439
Cina
1,95
2.613
5,8
8.332
Brasile
1,35
267
2,1
464
India
0,47
559
1,3
1.707
Etiopia
0,03
3
0,1
59
Mondo
1,75
12.275
4,3
30.377
Fonte: elaborazione degli autori su dati IPCC, 2007.
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te nel sottosuolo per milioni di anni. I meccanismi naturali del ciclo del carbonio non sono in grado di digerire questo surplus dovuto alle attività umane, che si accumula in atmosfera e altera il bilancio della radiazione termica del pianeta. Dall’inizio della Rivoluzione industriale a oggi, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è aumentata da 275 a 395 parti per milione (ppm) e si prevede che, se non saranno presi provvedimenti opportuni, potrà superare le 550 ppm alla fine di questo secolo, con conseguenze che potrebbero essere disastrose: un aumento medio della temperatura terrestre di circa 3 °C, accompagnato da un innalzamento del livello dei mari e da una maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi, quali ondate di calore e precipitazioni intense. La crisi energetica è, dunque, indiscutibile, anche se a livello politico non è stata ancora percepita in tutta la sua gravità. Essa mette in discussione il modello di sviluppo basato sul consumo a tutti i costi, che la grande disponibilità di energia a prezzi irrisori ha creato nei decenni passati e di cui ha goduto solo una minoranza della popolazione della Terra. È chiaro che non sarà possibile far vivere “all’americana” tutti gli abitanti del pianeta utilizzando i combustibili fossili, perché non sufficienti. E in un certo senso dovremmo aggiungere “per fortuna” perché, se ce ne fosse piena disponibilità, un loro uso massiccio causerebbe alterazioni climatiche e problemi sanitari di portata devastante. risparmio, efficienza, energie rinnovabili In questo contesto, è assolutamente necessario rendersi conto che siamo in una situazione di emergenza, anche perché la storia insegna che le transizioni energetiche (per esempio, dal legno al carbone, dal carbone al petrolio) implicano profonde trasformazioni di tutta la società e, quindi, richiedono tempi dell’or-
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dine di mezzo secolo (Smil, 2000). La possibilità di continuare a usare i combustibili fossili non supera certamente questo arco temporale. Pertanto, ogni anno che lasciamo passare senza adottare un’adeguata strategia per una nuova transizione energetica porta inesorabilmente a una situazione di maggiore criticità. Per rendere più facile e più rapida la transizione, è necessario imparare a consumare meno energia evitando di sprecarla e utilizzandola in modo più efficiente. Tra l’altro, è scientificamente dimostrato che la bulimia energetica non accresce il benessere delle persone, ma causa problemi già da molto tempo segnalati e di cui siamo tutti testimoni: incidenti stradali, ingorghi, inquinamento dell’aria, cementificazione del territorio, disuguaglianze. Ridurre i consumi energetici in modo sostanziale è una linea di indirizzo nell’Unione europea, dove il Pacchetto clima-energia (2008) sollecita gli stati membri a una la riduzione del 20% nel consumo di energia entro il 2020. Si tratta di un ostacolo difficile da superare e, proprio per questo, è iniziato l’iter per lo sviluppo di una nuova direttiva che si concluderà nel giugno 2014 e definirà gli obiettivi obbligatori che ogni stato membro dovrà raggiungere nel 2020 (EC, 2012). Risparmio ed efficienza, seppure prioritari, non sono ovviamente sufficienti per perseguire l’obiettivo di una progressiva e decisa diminuzione dell’uso dei combustibili fossili. Per risolvere il problema dobbiamo cercare, sviluppare e ottimizzare fonti alternative di energia. Non possiamo, però, accontentarci di una soluzione qualsiasi e, tantomeno, di scelte peggiorative. Dobbiamo cercare, invece, di trasformare la crisi energetica in un’opportunità per raggiungere cinque obiettivi fondamentali: garantire a tutti una sufficiente quantità di energia, permettere un ragionevole sviluppo economico, custodire il pianeta, rafforzare la coesione sociale e favorire la pace.
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Abbiamo bisogno, quindi, di sostituire i combustibili fossili con fonti energetiche alternative che siano, per quanto possibile, abbondanti, inesauribili, ben distribuite su tutto il pianeta, non dannose per l’uomo e per l’ambiente, economicamente sostenibili, capaci di promuovere lo sviluppo, adatte a colmare le disuguaglianze e, infine, non utilizzabili come strumenti di guerra (Armaroli, Balzani, 2011b). Allo stato attuale, le possibili fonti di energia alternative ai combustibili fossili sono l’energia nucleare e le energie rinnovabili, queste ultime in massima parte collegate, direttamente o indirettamente, all’energia solare. Oggi il nucleare non è economicamente conveniente, ma se anche lo fosse ci sono molti buoni motivi per rinunciare a svilupparlo (Armaroli, Balzani, 2011b; Balzani et al., 2012a). Quanto è avvenuto a Fukushima dimostra che un incidente nucleare è fuori controllo persino in un paese ben organizzato e tecnologicamente avanzato come il Giappone. Inoltre, il problema della collocazione in sicurezza delle scorie radioattive prodotte dalle centrali non è stato ancora risolto. La decisione presa nel nostro paese col referendum del giugno 2011 di rinunciare al nucleare è stata molto saggia, anche perché l’Italia non ha miniere di uranio e neppure la complessa filiera che porta dall’uranio grezzo all’uranio arricchito, utilizzato per alimentare i reattori. Rientrare nel nucleare, quindi, non avrebbe contribuito ad aumentare la nostra scarsissima indipendenza energetica. Sono energie rinnovabili quelle fornite, direttamente o indirettamente, dal Sole (energia solare, eolica, idroelettrica, biomasse), dalla Terra (energia geotermica) e dai movimenti del mare (maree, onde) (Armaroli, Balzani, 2011b; Balzani et al., 2012b). Le energie rinnovabili nel loro insieme soddisfano sostanzialmente i requisiti richiesti per una fonte energetica ideale. Sono inesau-
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ribili e, alcune, anche molto abbondanti e ben distribuite; quindi, possono colmare le disuguaglianze e favorire la pace. Il loro uso, con qualche eccezione, non fa danni all’uomo e all’ambiente e può contribuire a uno sviluppo ecologicamente ed economicamente sostenibile. Cercare la soluzione della crisi energetica e climatica nelle energie rinnovabili è una necessità oggettiva e anche una grande opportunità, come molte nazioni e la stessa Unione europea hanno ormai ben capito. Anche la strada delle energie rinnovabili non è, però, priva di ostacoli. Consideriamo, per esempio, l’energia solare. Il Sole, in un’ora, fa giungere sulla Terra l’energia che l’umanità consuma in un anno; l’energia solare è anche inesauribile e ben distribuita. Con essa è possibile ottenere tutte le forme di energia utili: calore (con i pannelli termici), elettricità (con pannelli fotovoltaici o sistemi a concentrazione) e combustibili (oggi con le biomasse, domani con la fotosintesi artificiale). Tuttavia, il flusso dell’energia solare è molto diluito e intermittente su scala locale, per cui bisogna sviluppare processi e strutture capaci di ovviare a questi difetti. La maggior parte delle energie rinnovabili (in particolare fotovoltaico, solare a concentrazione, eolico, idroelettrico e geotermico) producono direttamente elettricità, alcune in modo fluttuante. Per facilitare la transizione energetica è quindi necessario sviluppare un’efficiente rete di distribuzione e raccolta dell’energia elettrica (smart grid) e sistemi capaci di immagazzinarla sotto altre forme, specialmente come energia chimica (per esempio con batterie di varie dimensioni e con apparecchiature per l’elettrolisi dell’acqua per generare idrogeno). L’energia accumulata dovrà poi essere in parte riconvertita in energia elettrica, per esempio mediante pile a combustibile (Armaroli, Balzani, 2011c). Pannelli fotovoltaici, pale eoliche, batterie, pile a combustibile,
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rete elettrica intelligente e tutti gli altri dispositivi necessari per convertire le energie rinnovabili e permetterne un uso proficuo richiedono l’utilizzo di elementi chimici che spesso sono presenti in quantità molto limitate sul nostro pianeta (per esempio litio, platino, rodio, iridio e quasi tutti gli elementi delle terre rare). L’utilizzo delle abbondanti, inesauribili e ben distribuite energie rinnovabili troverà quindi un ostacolo nella limitata disponibilità, sull’astronave in cui viviamo, dei materiali necessari per la loro conversione (Armaroli, Balzani, 2011b; Balzani et al., 2012b). Pertanto, sarà sempre più necessario da un lato sviluppare la ricerca scientifica per riuscire a utilizzare materiali più abbondanti e meno costosi e, dall’altro, riciclare i materiali più rari. Soprattutto, ci dovremo convincere che risparmio ed efficienza, non solo con riferimento all’energia, ma a tutto ciò che usiamo, sono le due risorse principali da potenziare sempre e comunque, anche quando saremo usciti dalla crisi energetica. Facendo parte della Ue, anche il nostro paese è tenuto ad adottare una strategia integrata basata su risparmio, efficienza e sviluppo delle energie rinnovabili. È una politica molto conveniente per l’Italia, che ha tutto l’interesse a ridurre i consumi di combustibili fossili che deve importare e a sviluppare l’utilizzo delle energie rinnovabili, in particolare dell’energia solare, di cui abbonda. Numerosi studi emersi in questi ultimi tempi confermano la bontà della politica energetica adottata dalla Ue e si spingono oltre nel delineare cosa accadrà nei prossimi anni. Un libro recente (Lovins, 2012) sostiene che la transizione dallo spreco e dall’uso dei combustibili fossili all’efficienza e all’uso delle energie rinnovabili avrà conseguenze profonde, sarà un po’ come reinventare il fuoco. Se opportunamente governata e so-
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stenuta da innovazioni tecnologiche, questa transizione ci permetterà di avere un’economia più forte, un ambiente più sano, numerosi posti di lavoro e servizi più economici e più efficienti. Gli fa eco un altro recente saggio (Moody, Nogrady, 2010) i cui autori affermano che siamo alle soglie di un nuovo ciclo, una nuova onda di innovazione, la sesta negli ultimi 200 anni: è la transizione verso una nuova economia basata su efficienza nell’uso di tutte le risorse e sul ricorso alle energie rinnovabili. Cavalcando con sapienza quest’onda, sarà possibile separare la crescita economica dal consumo delle risorse e creare un mondo più dinamico, più vivibile e, auspicabilmente, più giusto. Oggi, la produzione industriale è basata sull’usa e getta: chi produce qualcosa spera che il prodotto si rompa appena scaduta la garanzia. Ma in un mondo con scarsità di risorse non sarà più così. Puntando su efficienza ed energie rinnovabili i prodotti saranno ideati, costruiti e ottimizzati in modo che possano essere riparati, oppure usati per altri scopi, smontati e riciclati, così da ridurre al massimo i rifiuti e giungere a un modello di sviluppo sostenibile. Ormai è chiaro: il futuro avrà un senso soltanto in un mondo sostenibile. Raggiungere questo obiettivo è una grande sfida. Ogni nazione, regione, provincia, comune, ogni persona devono dare il loro contributo. Per vincere questa sfida è necessario anzitutto un grande salto culturale: siamo abituati a pensare che quello che abbiamo non ci basta, istintivamente vogliamo sempre di più. Dobbiamo riacquistare il senso del limite: passare dal vizio del “di più” alla logica della sufficienza (Princen, 2005); vivere, cioè, secondo l’etica della sobrietà, della solidarietà e della responsabilità nei confronti della Terra e di tutti i suoi abitanti, presenti e futuri.
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www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.puntosostenibile.it www.freebookambiente.it
Nel 2010, la produzione agricola lasciata nei campi del nostro paese sarebbe bastata a riscaldare 400.000 appartamenti di classe A da 100 metri quadrati per un anno intero. Questo singolo dato basta a dare la misura delle inefficienze e degli sprechi del nostro sistema agroalimentare, e allo stesso tempo evidenzia la quantità di risorse di cui potremmo disporre anche dal punto di vista energetico e che, follemente, continuiamo a non sfruttare.
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matteo vittuari ha un dottorato in Cooperazione internazionale e politiche per lo sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna. È stato visiting researcher presso diverse università e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti, tra cui il Center for International Development dell’Università di Harvard. Si interessa di sostenibilità delle politiche agricole e rurali, bioenergie e spreco alimentare.
tascabi li d e l l ’ ambi e nte
Segrè Vittuari
andrea segrè è docente di Politica agraria, politiche dello sviluppo agricolo e Agricultural policies presso il Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna. Presidente di Last Minute Market, nonché promotore della Carta Spreco Zero, è autore di Libro nero dello spreco in Italia: il cibo (2010), Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua (Edizioni Ambiente, 2012) e Vivere a spreco zero. Una rivoluzione a portata di tutti (Marsilio, 2013).
tascabi li d e l l ’ ambi ente
A cura di Andrea Segrè e Matteo Vittuari
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Quando consideriamo gli sprechi di energia, alla maggior parte di noi vengono in mente lo standby degli elettrodomestici o le lampadine a basso consumo. In pochi pensano al cibo come possibile causa di inefficienze. In realtà, il settore agroalimentare consuma e spreca enormi quantità di energia, anche per smaltire quegli scarti che con tanta indifferenza prendiamo dalla tavola e buttiamo nella pattumiera. Sistemi agroalimentari virtuosi potrebbero quindi contribuire a un utilizzo più sostenibile dell’energia, attraverso il recupero degli sprechi alimentari, la sensibilizzazione verso scelte di consumo più responsabili e l’impiego dei residui agricoli come fonti di energia. Dopo il Libro nero dello spreco in Italia: il cibo (2010) e il Libro blu dello spreco in Italia: l’acqua (2011), il gruppo di ricerca di Last Minute Market, guidato da Andrea Segrè, presenta un altro tassello di quella che potrebbe essere una strategia per contribuire a rendere energeticamente efficiente il nostro paese.