IL CIBO PERFETTO
aziende, consumatori e impatto ambientale del cibo
Massimo Marino, Carlo Alberto Pratesi
IL CIBO PERFETTO Aziende, consumatori e impatto ambientale del cibo
Massimo Marino, Carlo Alberto Pratesi il cibo perfetto aziende, consumatori e impatto ambientale del cibo realizzazione editoriale
Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it
coordinamento redazionale: Diego Tavazzi immagine di copertina: Arianna Fino progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo
© 2015, 2022, ReteAmbiente Srl via privata Giovanni Bensi 12/5, 20152 Milano tel. 02.45487277, fax. 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-344-8 Finito di stampare nel mese di febbraio 2022 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy
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sommario
premessa
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hanno collaborato
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perché il cibo è al centro della sostenibilità
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1. come conciliare mercato e sostenibilità? 1.1 come si comportano le imprese 1.2 cosa vogliono i consumatori 1.3 esiste un marketing “perfetto”? 1.4 gestione strategica delle azioni per la sostenibilità: la mappa 4p
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2. come si calcola l’impatto ambientale 2.1 cosa si intende per impatto ambientale 2.2 gli impatti globali e quelli locali 2.3 lca: una metodologia per valutare i sistemi complessi 2.4 i limiti della lca quando viene applicata al food 2.5 gli indicatori usati nella comunicazione 2.6 le emissioni di co2
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3. verità e dilemmi della produzione alimentare 3.1 gli impatti della coltivazione 3.2 animali e piante: due sistemi interdipendenti 3.3. la fase di trasformazione 3.4 quanto conta la confezione? 3.5 meglio se è a km zero? 3.6 la cottura perfetta: il coperchio sulla pentola 3.7 chi spreca di più 3.8 catena alimentare o filiera controllata?
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4. come comunicare la sostenibilità del cibo 4.1 la comunicazione della sostenibilità 4.2 greenwashing e sostenibilità 4.3 gli strumenti per comunicare la sostenibilità 4.4 come ridurre il rischio di greenwashing?
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5. la sostenibilità vien mangiando 5.1 la dieta sostenibile 5.2 dieta e impatti ambientali
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6. la sostenibilità del cibo: i pilastri
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note
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premessa
L’alimentazione è la base della salute delle persone e della sostenibilità. Lo sviluppo di sistemi alimentari sani, nutrienti, inclusivi, efficienti ed ecologici sarà essenziale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). A oggi, quasi la metà della popolazione mondiale, per un motivo o per l’altro, non segue una dieta adeguata. Il settore agricolo contribuisce in modo significativo alle emissioni di gas serra, alla deforestazione e alla scarsità d’acqua. In alcune regioni, fino al 40% del cibo viene perso o sprecato, e cresce la volatilità dei prezzi dei generi alimentari. Per costruire insieme un mondo più verde, più inclusivo e pacifico occorre ripensare i sistemi alimentari globali. Il successo dipenderà dalla capacità di innovare il modo in cui produciamo il cibo e dalle nostre scelte alimentari quotidiane. Negli ultimi 20 anni siamo stati coinvolti in diversi progetti su cibo e sostenibilità, alcuni sponsorizzati da grandi e medie aziende, altri da fondazioni o università. Qui vi raccontiamo cosa abbiamo imparato da quelle esperienze. Massimo Marino, Perfect Food Carlo Alberto Pratesi, Università Roma Tre e EIIS – European Institute of Innovation for Sustainability
hanno collaborato
Simone Agostinelli Sara Bosi Fabio Colli Medaglia Giovanni Dinelli Simona Fontana Silver Giorgini Alberto Levi Umberto Luzzana Clara Maffei Andrea Maggiani Valentina Massa Claudio Mazzini Lorenzo Nannariello Lea Pallaroni Cristiana Peano Filippo Piredda Fabrizio Piva Matteo Pollini Roberto Ranieri Roberta Russo Tonia Sorrentino Fiamma Valentino Matteo Vanotti Alessandro Zucchi Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la squadra di Perfect Food: Francesca Berretta, Vittorio Coletti, Silvia Maiolo, Lorenzo Mazzola, Giulia Mogavero, Matteo Peyron www.perfect-food.eu
perché il cibo è al centro della sostenibilità
Il cambiamento climatico dipende dalle emissioni di gas serra e circa un terzo di queste derivano dal settore agroalimentare. Quindi, possiamo dire che un terzo del nostro futuro dipende dalla scelta di ciò che mangiamo. Se vogliamo essere responsabili dobbiamo mangiare bene, e non solo dal punto di vista nutrizionale (sappiamo che la maggior parte dei problemi di salute dipende da stili di vita sbagliati e in particolare dal cibo) ma anche per ridurre il nostro impatto ambientale, che a oggi è insostenibile. Come misuriamo e controlliamo l’impatto ambientale del cibo? L’unico modo è guardare l’intera filiera, valutando le sue diverse fasi, dal campo alla tavola. Quando si prendono bene le misure si possono scoprire molte cose, a volte controintuitive: l’impatto della pasta, per esempio, è alto sia a monte, nella fase di coltivazione, sia a valle, nella fase di consumo (portare e mantenere l’acqua in ebollizione per la cottura), mentre è basso nelle fasi di produzione e distribuzione. Questo vuol dire che, per migliorare la sostenibilità di un piatto di pasta, oltre ad aiutare gli agricoltori nel ridurre l’utilizzo di concimi si possono studiare formati di pasta, pentole o metodi di cottura che riducano il dispendio di acqua ed energia. La carne è probabilmente l’alimento con le maggiori criticità ma un’attenta gestione da parte degli allevatori può renderla più sostenibile. La buona notizia è che, grazie agli studi sulla dieta mediterranea, sappiamo che esiste una correlazione inversa tra l’impatto di un determinato alimento e la quantità di quell’alimento suggerita per una dieta equilibrata. In altre parole: se mangiamo bene (e proprio la dieta mediterranea che privilegia frutta, verdura e cereali potrebbe essere il modello) il nostro impatto ambientale diminuisce.1 La cattiva notizia è che il nostro sistema alimentare non è ancora sostenibile sotto molti punti di vista. Pensiamo alla malnutrizione. Nonostante la crescita impetuosa della produttività agricola, ogni anno 36 milioni di persone perdono la vita per mancanza di cibo al quale, per motivi legati alla povertà, non riescono ad accedere, mentre 29 milioni muoiono per malattie legate all’obesi-
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il cibo perfetto
tà. Così come è insostenibile lo spreco alimentare per il quale ogni anno viene buttato un terzo (1,3 miliardi di tonnellate) della produzione alimentare mondiale: quattro volte la quantità di cibo necessaria per sfamare gli 800 milioni di persone sottonutrite in tutto il pianeta. E poi, per quanto riguarda l’uso dei terreni agricoli, permane e si esaspera il land grabbing, ossia l’accaparramento (anche illegale) di grandi porzioni di territorio per soddisfare la competizione tra cibo, mangime e carburante.2 Per non parlare delle ingiustizie sociali legate al lavoro nei campi, spesso sottopagato sia a causa dello spregevole fenomeno del caporalato sia per un’iniqua distribuzione del valore economico del cibo tra i diversi attori della filiera. D’altra parte, è bene sottolineare che la sfida della sostenibilità nel sistema alimentare va anche vista come un’opportunità per creare posti di lavoro e ricchezza, e questo può avvenire attraverso l’ideazione di nuovi modelli di produzione e consumo che coinvolgano i tre principali stakeholder: istituzioni ed enti di ricerca, consumatori, aziende. Nei capitoli che seguono ci occuperemo soprattutto degli ultimi due: i consumatori, apparentemente sempre più interessati all’acquisto di cibo sostenibile, ma spesso confusi, influenzati da tendenze, mode e fake news. E le aziende, per le quali la sostenibilità non è più un “nice to have”, ossia un elemento accessorio per migliorare la propria reputazione, ma la condizione per la loro sopravvivenza sul mercato. Per questo sono sempre più impegnate a innovare prodotti e processi nel tentativo di conciliare l’equilibrio economico con i vincoli e le opportunità normative, ambientali e sociali. Proprio le aziende non sono sempre in grado di definire con chiarezza quale sia la giusta direzione dei loro investimenti, soprattutto nei casi di conflitto tra soluzioni alternative (km zero o commercio equo e solidale? Riduzione dell’impronta idrica o cibo biologico? Benessere animale o carbon neutrality? olio di palma o di girasole?), e finiscono spesso per inseguire le richieste del mercato e dei legislatori, spesso estemporanee, non sempre costanti e talvolta addirittura irrazionali. Nei capitoli successivi troverete sia la nostra interpretazione della teoria della sostenibilità applicata al cibo, sia molti casi aziendali interessanti e tratti dalla nostra ormai pluridecennale esperienza di consulenti. Uno solo caso, quello del “pastificio Antonelli di Foggia” non è reale (anche se molto realistico): lo abbiamo pensato per dare un’idea di come una tipica media azienda italiana possa superare i tanti dubbi e le molte complessità che nascono quando si decide di avviare concretamente un percorso verso la sostenibilità.
perché il cibo è al centro della sostenibilità
la sfida della transizione ecologica In questi anni usiamo il termine “transizione ecologica” per spiegare la necessità, ormai impellente, di passare da un modello di sviluppo caratterizzato da perdita di biodiversità, scarsità di risorse naturali e riscaldamento globale, a un altro più sostenibile, ossia in grado di riportare in equilibrio tutti quei fenomeni che oggi ci preoccupano.
Carbon Neutrality
La transizione tra queste due situazioni, in estrema sintesi, può essere attuata grazie a due percorsi ben definiti: economia circolare e carbon neutrality (ne parleremo nei capitoli successivi), che potranno essere intrapresi solo se cambieranno i comportamenti degli stakeholder chiave: istituzioni (chiamate a legiferare per incentivare stili di vita e modelli di produzione più sostenibili); aziende (che dovranno rivedere processi e prodotti) e consumatori (ai quali viene richiesto di cambiare stili di vita e consumo).
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il cibo perfetto
il dilemma di cesare barca: abbiamo un problema Cesare Barca, direttore commerciale e marketing del Pastificio Antonelli di Foggia, aveva un problema. Un problema serio al quale doveva trovare una soluzione, il prima possibile. E comunque prima della prossima riunione del consiglio d’amministrazione, quando avrebbe dovuto presentare il progetto della nuova linea “Buona fino in fondo”: vari formati di pasta per una clientela attenta alla salute, all’ambiente e al sociale. La storia del pastificio Antonelli La E. Antonelli Spa produce pasta di semola di grano duro da più di 100 anni: è una storia iniziata agli inizi del secolo scorso grazie al fondatore, Evandro Antonelli, che realizzò a Casamassima (Bari), comune agricolo nel centro delle vaste pianure pugliesi, il suo primo molino per la macinazione del grano. Oggi 180 persone lavorano in tre stabilimenti dove ogni giorno vengono prodotte 900 tonnellate di pasta secca, 35 tonnellate di pasta fresca, 60 tonnellate di biscotti, partendo da 1.000 tonnellate di grano duro e 40 tonnellate di grano tenero. La filosofia della Antonelli è scritta su un pannello all’ingresso degli uffici: “Esaltare il piacere del mangiar bene per noi vuol dire proporre alimenti genuini che ben si inseriscono in un’alimentazione equilibrata: controllo qualità, attenzione all’ambiente, salute e sicurezza sono le nostre carte vincenti”. La linea “buona fino in fondo” L’idea era nata qualche mese fa quando Barca, parlando con il presidente Evandro Antonelli, aveva detto che era ormai giunto il momento di cercare un nuovo posizionamento per l’azienda. Una linea di prodotto che consentisse al brand di uscire dal segmento “medio” (quello dei follower, con un prezzo leggermente inferiore all’euro) che ormai da qualche anno era in calo e subiva la competizione sempre più aggressiva da parte delle private label 3 a colpi di ribassi, 3x2 e promozioni varie. I dati di settore confermavano infatti che il mercato della pasta di semola di grano duro si stava fortemente polarizzando tra i due estremi: la fascia dei primi prezzi (attorno a 0,75 euro) da un lato, nel quale la Antonelli non era presente, e il segmento premium (nella quale avrebbe voluto entrare) con prezzi vicini ai 2 euro. Chi stava a metà, senza un brand molto forte, sarebbe stato sempre più penalizzato.
perché il cibo è al centro della sostenibilità
Le richieste da parte degli stakeholder Se, come aveva suggerito il presidente, il posizionamento doveva essere quello della sostenibilità, era evidente che occorreva partire da un dialogo con tutti quegli stakeholder che avrebbero potuto appoggiare, in modo più o meno esplicito, la nuova linea. Barca, accompagnato dalla responsabile per le relazioni esterne, Deborah Greco, aveva incontrato i rappresentanti delle principali associazioni interessate. L’incontro più lungo era stato quello con Egidio Amoruso, direttore per la Puglia dell’Unione coltivatori, che aveva chiesto come prerequisito per qualunque collaborazione la garanzia che fosse rispettato il principio del chilometro zero: “Tutta la fornitura deve essere pugliese, perché noi sosterremo solo i produttori che fanno una scelta di campo... in tutti i sensi” e, ovviamente, “occorre sin d’ora dichiarare quello che sarà il prezzo minimo riconosciuto al coltivatore”. Altro incontro molto utile era stato quello con Salvatici, della delegazione pugliese di Ambiente Nostro, il quale, non prestando particolare attenzione alla provenienza del grano, dava invece per scontato che un brand realmente sostenibile dovesse dichiarare un impatto (soprattutto in termini di carbon footprint e water footprint) minore rispetto a tutti i concorrenti. Se così non fosse stato, loro sarebbero stati i primi a condannare il lancio della nuova linea come una banale manovra di greenwashing. “E sarei molto stupito se il vostro prodotto non fosse biologico...” aveva concluso Salvatici. La Lega Consumatori, nella persona della sua rappresentante Giorgia Mazzotta, aveva dato a Barca indicazioni meno categoriche, richiedendo solo che la qualità del prodotto fosse eccellente (a un prezzo ragionevole e possibilmente integrale) e che sull’etichetta comparissero tutte le indicazioni nutrizionali e ambientali per un consumo consapevole. Da un po’ di tempo giravano voci sui possibili rischi della pasta (per esempio per eccesso di glutine, elevato indice glicemico, micotossine ecc.) che poteva portare anche in chi non fosse intollerante effetti negativi sulla salute. Occorreva dunque dare tutte le necessarie informazioni ai consumatori, direttamente sulle confezioni dei prodotti. E questo probabilmente avrebbe richiesto l’uso di una confezione di cartoncino per stampare il testo necessario. Il dilemma di Cesare Barca La cosa più semplice, apparentemente, sarebbe stata quella di mettere
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