Reinventare la prosperità

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REINVENTARE LA PROSPERITÀ

come usare la crescita economica per ridurre disoccupazione, disuguaglianze e fermare i cambiamenti climatici



Graeme Maxton e Jorgen Randers

REINVENTARE LA PROSPERITÀ Come usare la crescita economica per ridurre disoccupazione, disuguaglianze e fermare i cambiamenti climatici


Graeme Maxton e Jorgen Randers reinventare la prosperità come usare la crescita economica per ridurre disoccupazione, disuguaglianze e fermare i cambiamenti climatici realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente

Reinventing Prosperity © Graeme Maxton and Jorgen Randers First Published in 2016 by Greystone Books Ltd. 343 Railway Street, Suite 201, Vancouver, B.C. V6A 1A4, Canada Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna traduzione:  Arianna Campanile, Diego Tavazzi coordinamento redazionale:  Diego Tavazzi progetto grafico:  GrafCo3 Milano impaginazione:  Roberto Gurdo

© 2020, ReteAmbiente Srl via privata Giovanni Bensi 12/5, 20152 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-238-0 Finito di stampare nel mese di giugno 2020 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente

www.edizioniambiente.it www.reteambiente.it www.rivistarifiuti.it www.materiarinnovabile.it www.nextville.it www.puntosostenibile.it www.freebookambiente.it


sommario

prefazione all’edizione italiana Jorgen Randers, Graeme Maxton

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prefazione Lorenzo Fioramonti

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la nuova economia per gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile Gianfranco Bologna

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introduzione David Suzuki

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prefazione

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1. due problemi urgenti nel mondo ricco

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2. la soluzione tradizionale: la crescita economica

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3. il vecchio approccio non funziona più

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4. l’avanzata dei robot

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5. le altre minacce al sistema economico

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6. strada senza uscita: il fallimento dell’ultraliberismo

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7. la tempesta in arrivo

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8. un nuovo approccio

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9. tredici proposte politicamente praticabili per ridurre la disoccupazione, la disuguaglianza e il cambiamento climatico

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10. lasciate che sia la maggioranza a decidere

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11. lasciate crescere il mondo povero

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12. salvare il mondo

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13. è in arrivo una battaglia epica

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note

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prefazione all’edizione italiana

Mentre stiamo scrivendo questa prefazione, in Italia milioni di persone sono rinchiuse nelle loro case, e molte di loro stanno morendo. La maggior parte delle persone riesce a pensare solo al Covid19 e alle sue conseguenze. Il virus monopolizza le conversazioni e alimenta la paura in tutto il mondo. In questa situazione senza precedenti è difficile concentrarsi su qualcos’altro. Eppure, dobbiamo guardare oltre l’immediato e imparare da quello che sta succedendo. L’esperienza dell’Italia è un monito e un’opportunità. Ha dimostrato la vulnerabilità delle società umane, nonostante la loro tecnologia e l’interconnessione economica globale. Quelli che le società consideravano i loro punti di forza – frontiere aperte, libertà individuali senza limitazioni e sistemi di governo essenziali – sono diventati i loro punti deboli. Il Covid19 ci dà la possibilità di cambiare. Quando così tante persone si ammalano, soffrono e muoiono, un mondo focalizzato sulla crescita economica illimitata sembra improvvisamente molto meno importante, oltre che molto meno utile. Le persone che potevano fare quello che volevano senza limiti diventano immediatamente sgradevoli, quando è necessario che tutti lottino assieme per una causa comune. Le regolamentazioni, che fino a ieri sembravano degli intralci, diventano improvvisamente essenziali. In paesi come gli Stati Uniti, dove le reti di sicurezza sociale sono fragili e le cure mediche costose, l’approccio ultraliberista allo sviluppo umano sembra ora una crudeltà. Tra qualche mese, quando l’Italia avrà combattuto e vinto la battaglia contro il Coronavirus, probabilmente molte cose saranno cambiate.


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Le società avranno iniziato a pensare in modo diverso a ciò che vogliono e ciò a cui danno valore. Si inizieranno a intravedere nuove priorità. Questo è esattamente quello che serve all’umanità. Se vogliamo rallentare il riscaldamento globale ed evitare decenni di dolore e ingiustizie, dovremo imparare da questa terribile esperienza. Dovremo mettere al primo posto le vite dei nostri cari e delle generazioni future, accettare l’intervento equilibrato dello stato e modificare i nostri standard di vita per riportarli in linea con la natura. Questo libro illustra i modi in cui le società possono attuare questa transizione. La nostra speranza è che quello che abbiamo scritto possa esservi, oltre che utile, anche di conforto. Se lo vuole, e se tutti sapranno cogliere questa opportunità, l’umanità può davvero costruire una società e un futuro migliori. Jorgen Randers Graeme Maxton maggio 2020


prefazione

Lorenzo Fioramonti

Il testo di Graeme Maxton e Jorgen Randers affronta il tema più importante della nostra generazione. E lo fa offrendoci molti spunti di riflessione e informazioni utili, accompagnandoci per mano in questo viaggio verso il mondo che verrà. Immaginare un nuovo modello di prosperità è una sfida epica e imprescindibile, imposta non soltanto dai cambiamenti climatici e dagli impatti umani sulla biosfera, ma anche dalla necessità di rispondere alle crescenti disuguaglianze, tensioni sociali e rassegnazione culturale che diventano sempre più diffuse sia nel mondo cosiddetto “ricco” sia in quello “in via di sviluppo”. Lo sappiamo tutti, anche se facciamo finta di non capirlo pur di mantenere lo status quo: il modello economico attuale è insostenibile e anche poco desiderabile a causa delle tante (troppe) esternalità negative (cioè gli effetti indesiderati) che produce. La crescita economica dell’ultimo secolo ha sicuramente portato tanti benefici, ma i costi umani, sociali e ambientali sono cresciuti esponenzialmente, mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza del genere umano sul pianeta. Non possiamo non cambiare. Dobbiamo solo decidere come. E farlo in fretta. Questo libro si pone nel solco di un’importante tradizione di studi scientifici che, a partire dalla pubblicazione del celebre volume The Limits to Growth nel 1972 (tradotto originariamente in italiano come I limiti dello sviluppo), alla cui stesura partecipò, tra gli altri, lo stesso Randers, hanno ormai da quasi cinquant’anni ribadito la necessità di ripensare il modello di crescita economica. Si tratta di un filone di ricerca a


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cui ho avuto il piacere di contribuire personalmente, sia attraverso una serie di analisi storiche e statistiche sulla necessità di ripensare indicatori di performance economica come il Prodotto interno lordo (Pil), sia attraverso analisi comparate sulle prospettive di un benessere equo e sostenibile. Ancora oggi, è questo che anima la mia azione intellettuale e politica. Tra gli anni Ottanta e la fine del millennio, l’affermazione del credo liberista nell’economia cosiddetta mainstream ha portato a una graduale marginalizzazione del dibattito politico ed economico sulla necessità di un nuovo modello di prosperità. Il ritorno del dominio neoclassico nelle aule universitarie (tradizionalmente meno interessato alle questioni ambientali e sociali dell’approccio keynesiano) e l’adozione acritica dell’ideologia del libero mercato hanno praticamente silenziato la critica al modello dominante di crescita economica, emarginando chiunque non sottoscrivesse i principi dell’homo economicus. Inizialmente si è negato che i limiti fisici della biosfera ponessero un problema alla postulazione della crescita infinita. Poi, di fronte all’evidenza, si è preferito credere che il mercato e il progresso tecnologico avrebbero trovato le soluzioni al proprio interno, senza il bisogno di un’inversione di tendenza. È stato così che il mondo ha perso quasi trent’anni di tempo. Poi, nell’ultimo decennio, anche in virtù dell’intersecarsi della crisi climatica e di quella economica, che ha rivelato le crescenti disuguaglianze e instabilità del sistema, la riflessione sui nuovi modelli di prosperità è tornata in auge. Sappiamo cosa fare, ma non abbiamo ancora piena consapevolezza del “come” realizzare tale cambiamento. I processi democratici sono fondamentali per individuare un percorso condiviso e raggiungere obiettivi nel medio e lungo termine. Eppure troppe democrazie oggi rivelano delle debolezze strutturali nel prendere decisioni radicali, anche perché l’orizzonte temporale di programmazione della politica sta diventando sempre più breve. Decidere di non decidere, o decidere di cedere alle spinte di (alcuni) gruppi di interesse, rischia di condannarci all’attesa. E non possiamo permettercelo. È importante quindi mettere sotto la lente d’ingrandimento i modelli di governance del cambiamento, per capire meglio quali strategie attuare in modo efficace.


prefazione

Nonostante tutto, cominciano infatti a emergere degli esempi virtuosi. Da un lato, le mobilitazioni studentesche innescate dai cosiddetti Fridays for Future hanno riportato alla ribalta il fatto banale ma rivoluzionario che il tempo sta finendo. Che bisogna passare dalle parole ai fatti. Che alla teoria va sostituita la pratica. E non solo in contesti parziali e in sperimentazioni locali, ma a livello sistemico. La semplicità con cui la giovane studentessa svedese Greta Thunberg ha posto la questione dell’urgenza ne è prova. Le nuove generazioni capiscono benissimo che non ha senso andare a scuola se poi dalla comprensione dei problemi non si passa alla pratica del cambiamento. A che serve studiare se poi chi sa non fa nulla? Dall’altro alcuni governi, come quello della Nuova Zelanda, hanno ufficialmente deciso di introdurre politiche rivoluzionarie come il “bilancio del benessere” (wellbeing budget), cioè un approccio alle finanze pubbliche che metta al centro la qualità della vita nelle sue dimensioni sociali e ambientali e non più solamente la crescita economica. In Scozia e in Svezia, la pubblica amministrazione ha adottato indicatori di performance che vanno molto al di là del Pil, aiutando a ripensare cosa significhi la prosperità nel XXI secolo. In Italia, abbiamo introdotto le valutazioni del Benessere equo e sostenibile (Bes) nella pianificazione economica nazionale e in quella di molti enti locali. E gli esempi aumentano di giorno in giorno. Come studioso e consulente prima, e come uomo di governo dopo, ho avuto l’onore di proporre e sviluppare alcune di queste riforme in Italia e all’estero. Le regole internazionali sono decisive per fomentare il cambiamento. L’Organization for Economic Co-operation and Development (OECD), storicamente un sostenitore dello sviluppo industriale classico e delle politiche economiche top-down, ha ormai accettato che deve essere il benessere, non la crescita economica, il vero obiettivo della politica. Anche la World Bank e l’International Monetary Fund hanno dovuto accettare che non può esserci prosperità senza un uso responsabile delle risorse ambientali e una migliore distribuzione della ricchezza. L’Unione europea ha tutte le caratteristiche per diventare un grande polo d’innovazione in questo ambito. Come conglomerato continentale

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(essendo una regione di paesi), può permettersi di percorrere nuovi sentieri di prosperità senza temere di essere emarginata dal resto della comunità internazionale. Una nazione da sola può difficilmente cambiare senza correre il rischio dell’isolamento. Per definizione, un blocco di 28 stati non può soffrire di emarginazione. Inoltre, come progetto d’integrazione animato da ideali di pace, coesione e solidarietà, l’Ue gode strutturalmente di un vantaggio comparato rispetto al resto del mondo. La presenza di una tradizionale economia sociale e di una cultura ambientalista molto radicata sono un ulteriore punto di forza. Abbiamo dieci anni per immaginare, testare e realizzare un modello di sviluppo diverso. È quello che io chiamo “economia dello star bene”. Un’economia senza esternalità, cioè un’economia in cui gli impatti sociali e ambientali (sia positivi, sia negativi) sono completamente integrati nel processo di sviluppo. Un’economia circolare, in cui non si butta nulla. Né le persone, né l’ambiente. Un’economia che ottimizza produzione e consumo, non li massimizza. Un’economia che abbia “senso”: cioè un’economia che prenda sul serio il significato del vivere insieme, come collettività, e al tempo stesso abbia una visione della direzione in cui vogliamo andare come genere umano.


la nuova economia per gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile Gianfranco Bologna

Questo è un libro chiaro e netto che, evitando di perdersi in giri di parole, cerca di indicare un percorso concreto e innovativo per far cambiare rotta al modello dominante economico-politico della crescita, materiale e quantitativa, sin qui perseguito dalla stragrande maggioranza dell’umanità. Scrivono Graeme Maxton e Jorgen Randers: “Non è difficile capire quale sia il dilemma fondamentale che l’umanità deve affrontare. La società può lasciare che il sistema economico attuale imponga le sue conseguenze a lungo termine, relativamente prevedibili e spiacevoli, oppure può scegliere un percorso alternativo. La decisione sarà la battaglia epica sociale, ambientale e politica del XXI secolo e la posta in gioco è la più alta possibile: la sopravvivenza della civiltà moderna in qualcosa di simile alla sua attuale forma. In questo libro, abbiamo fornito un percorso verso un sistema economico sostenibile, una transizione non eccessivamente brusca, perché le nostre proposte possono essere implementate gradualmente. [...] Speriamo almeno che le nostre idee possano stimolare una discussione e un dibattito di buon senso sul modo migliore di andare avanti, anche se dopo aver riflettuto lungamente, non riusciamo a vedere un percorso alternativo chiaro, che sia meno dirompente”. E ancora: “Piuttosto che considerare l’individualità inviolabile, le società e i sistemi economici dovrebbero aumentare il benessere generale. Invece di lasciare che i mercati si regolino da soli, questi dovrebbero essere gestiti e operare nell’interesse della società, anche se questo significa limitare il mercato. E, come abbiamo già detto, piuttosto che promuovere un governo leggero, lo stato dovrebbe essere riorganizzato e supportato adeguata-


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mente per affrontare le sfide che ci attendono. Infine, l’obiettivo non dovrebbe essere costruire una difesa militare più grande, ma proteggere il benessere collettivo, per promuovere la qualità della vita più elevata per più persone possibile, all’interno dei limiti che il pianeta può sostenere. [...] Per noi, e speriamo anche per voi ormai, non si tratta di raccogliere ancora più prove sul bisogno di cambiare. Non è più necessario dimostrare che danno viene fatto al mondo e alla società, né capire dove porterà tutto questo. Si tratta di avere la volontà e la saggezza per agire. Crediamo fortemente che questo cambiamento sia possibile, che l’umanità possa compiere la transizione necessaria, e senza grandi difficoltà. Piuttosto che temere il cambiamento, speriamo che la società umana imparerà ad accoglierlo, e avrà il coraggio e la fiducia per costruire un mondo migliore”. Un libro quindi che mette in discussione, in maniera seria e documentata, molti degli assiomi economici e politici dominanti, un libro che fa comprendere a tutti come il mondo dell’immediato futuro non possa fare a meno di assumere un percorso di reale sostenibilità dell’azione umana nella biosfera terrestre e che proseguire sul percorso attuale non è più fattibile. Non è un caso che questo volume sia un altro dei rapporti al Club di Roma.1 Graeme Maxton è un economista che ha operato anche alla World Bank, è stato segretario generale del Club di Roma ed è autore di The End of Progress.2 Jorgen Randers, professore emerito di Climate Strategy alla Norwegian Business School, è uno degli autori del primo rapporto al Club di Roma, I limiti dello sviluppo,3 pubblicato nel 1972, quando era un dottorato alla Sloan School of Management del prestigioso MIT con il fondatore della dinamica dei sistemi, Jay Forrester. 1  Si veda il sito www.clubofrome.org. 2  Maxton G., The End of Progress, Wiley Books, Hoboken, NJ, 2011. 3  Si vedano i tre rapporti sui limiti, il primo dei quali è anche il più famoso, Meadows D. H., D. L. Meadows, J. Randers, W. W. Behrens III, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano 1972 (ristampato nel 2018 da LuCe Edizioni con il corretto titolo I limiti alla crescita), e poi i successivi Meadows D. H., D. L. Meadows, J. Randers, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano 1993; Meadows D. H., D. L. Meadows, J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano 2006.


la nuova economia per gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile

I limiti dello sviluppo è stato senza alcun dubbio una pietra miliare delle critiche al modello economico-politico della crescita materiale e quantitativa. Utilizzando un primo modello mondiale computerizzato scaturito dai lavori di Forrester, il rapporto documentava le tendenze e le interazioni di cinque fattori dai quali dipendeva e dipende la sorte delle società umane nel loro insieme (l’aumento della popolazione, la disponibilità di cibo, le riserve e i consumi di materie prime, lo sviluppo industriale e l’inquinamento) per un periodo di un secolo a partire dalla pubblicazione dello studio. Tra i diversi scenari presentati nel rapporto quello BAU (Business As Usual) dimostrava che si sarebbe raggiunta, nell’arco del nuovo secolo, una situazione particolarmente grave rispetto alla capacità dei sistemi naturali del nostro pianeta di sostenerci e supportarci. Cinquant’anni fa, il 20 luglio del 1969, l’Apollo 11 della NASA si posò sulla Luna e per la prima volta nella storia umana gli esseri umani misero piede su un suolo che non fosse quello terrestre. Meno di un anno prima, il 24 dicembre del 1968, il mondo intero rimase colpito dalle affascinanti fotografie riprese dall’astronauta William Anders dell’Apollo 8, in una delle missioni NASA precedenti al primo allunaggio. Le foto riprendevano il sorgere della Terra visto dall’Apollo 8 in orbita attorno alla Luna, e illustravano a noi umani una prospettiva completamente diversa, quella dell’Earthrise. Quelle foto diventarono il simbolo della straordinaria unicità, delicatezza, fragilità e bellezza della nostra Terra, e contribuirono alla diffusione della consapevolezza che si trattava della nostra unica “casa”, l’unico luogo sicuro dove gli esseri umani possono vivere, il nostro unico pianeta dal quale siamo derivati e del quale, proprio per la sua unicità e finitezza, dobbiamo avere una grande cura e rispetto. Poco tempo prima nacque il Club di Roma, il think-tank internazionale divenuto da subito un punto di riferimento ineludibile nel dibattito sui nostri futuri possibili o desiderabili.4 Aurelio Peccei (1908-1984),5 econo4  Si veda il sito www.clubofrome.org. 5  Tra gli altri suoi scritti, ricordiamo l’autobiografia, Peccei A., La qualità umana,

Mondadori, Milano 1976 (ristampata da Castelvecchi nel 2014) e Peccei A., Cento pagine per l’avvenire, Mondadori, Milano 1981 (ristampata nel 2018 da Giunti editore).

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