Mercanti di dubbi

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MERCANTI DI DUBBI

come un manipolo di scienziati ha oscurato la verità, dal fumo al riscaldamento globale



Naomi Oreskes, Erik M. Conway

MERCANTI DI DUBBI Come un manipolo di scienziati ha oscurato la verità, dal fumo al riscaldamento globale


Naomi Oreskes, Erik M. Conway mercanti di dubbi come un manipolo di scienziati ha oscurato la verità, dal fumo al riscaldamento globale realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente www.edizioniambiente.it titolo originale

Merchants of Doubt How a Handful of Scientists Obscured the Truth on Issues from Tobacco Smoke to Global Warming Copyright © 2010 by Naomi Oreskes and Erik M. Conway Published by arrangement with The Italian Literary Agency and Ayesha Pande Literary traduzione:  Luigi Ciattaglia, Diego Tavazzi revisione scientifica del testo a cura di:  Stefano Caserini, Claudio Cassardo, Sylvie Coyaud, Gabriele Messori, Stefano Tibaldi coordinamento redazionale:  Diego Tavazzi cover:  Mauro Panzeri impaginazione:  Roberto Gurdo in copertina: Clker-Free-Vector-Images@Pixabay_CC0

© 2019, ReteAmbiente Srl via Privata Giovanni Bensi 12/5, 20152 Milano tel. 02.45487277, fax. 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-267-0 Finito di stampare nel mese di ottobre 2019 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy


sommario

prefazione di Donatella Barus

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il mercato del dubbio intervista a Naomi Oreskes di Emanuele Bompan

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storie da conoscere per non perdere altro tempo di Stefano Caserini

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introduzione

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1. il dubbio è il nostro prodotto

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2. la sdi, la falsificazione dei fatti e la creazione del george c. marshall institute

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3. seminare dubbi: le piogge acide

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4. la costruzione di una contro-narrativa: la battaglia sul buco dell’ozono 133 5. cos’è la cattiva scienza? chi lo decide? la battaglia sul fumo passivo

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6. il negazionismo sul riscaldamento globale

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7. il negazionismo di nuovo in azione: l’attacco revisionista e il caso rachel carson

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conclusione – la libertà di parola e il libero mercato

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epilogo – una nuova visione della scienza

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ringraziamenti

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permessi

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note

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prefazione

L’edizione italiana di Merchants of doubts arriva nell’anno di Greta Thunberg e dell’internazionale dei Fridays for Future; nell’anno in cui Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, dichiara che la ricchezza americana basata sull’energia non va messa a rischio per “sogni e mulini a vento”. Non è solo un libro sul cambiamento climatico, ma un testo sul rapporto fra scienza, politica, informazione e opinione pubblica. Ha il pregio di saper colmare molte distanze, poiché pesca dal passato e ci aiuta a spiegare il nostro presente, racconta “storie americane” che però riconosciamo molto vicine a noi. Ecco perché va letto, e va salutata con soddisfazione la versione italiana, che coincide con il decennale dell’uscita del libro negli Stati Uniti. Naomi Oreskes ed Erik Conway dieci anni fa hanno ricostruito un intrico di vicende che per mezzo secolo hanno segnato il dibattito scientifico e politico negli States. Il loro racconto parte da una situazione anomala. La Terra si sta scaldando ed è l’uomo che sta cambiando in maniera così radicale il clima. La comunità scientifica lo sa e lo dichiara, dati alla mano, eppure molta gente ancora pensa il contrario. Dove sta l’inghippo? Qui arriva la risposta di Mercanti di dubbi: c’è chi ha lavorato alacremente per costruire, intenzionalmente e deliberatamente, una cultura del dubbio; per screditare il lavoro dei ricercatori che cercavano di spiegare il cambiamento climatico esponendo i dati, e per ammantare di credibilità scientifica le posizioni negazioniste più infondate. L’obiettivo? Pilotare il consenso e influenzare la politica, in modo da evitare o rallentare le decisioni necessarie per frenare il surriscaldamento del globo e che, inevitabilmente, puniscono settori economici importanti. Oreskes e Conway fanno nomi e cognomi, ricostruiscono legami con l’industria dell’energia fossile e con i decisori politici, esplicitano mandanti, esecutori, modalità e moventi del “delitto” in questione: lo spaccio di dubbi costruiti ad arte e falsi come monete da tre euro. Il loro lavoro di indagine viene guidato da importanti suggerimenti che arrivano dal passato, dalla storia della ricerca sui danni del fumo e della strategia


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mercanti di dubbi

di difesa dell’industria del tabacco. Nella prima metà del Novecento i consumi negli Stati Uniti erano cresciuti vertiginosamente, da una media di 54 sigarette l’anno a testa nel 1900 a 4.345 nel 1963. Quello fu il picco. All’inizio degli anni Sessanta le autorità sanitarie statunitensi ed europee iniziarono ad affermare che il tabacco era pericoloso per la salute. C’erano decenni di ricerche e migliaia di studi inequivocabili, e l’industria si preparava a parare i colpi almeno dagli anni Cinquanta. Si poteva negare l’evidenza, cioè che il fumo uccide, fa ammalare e impoverisce? Certo. Erano gli anni della grande industria pubblicitaria, gli anni in cui la persuasione era ormai diventata una scienza, potente e ricca di mezzi. Si screditavano gli studi e gli studiosi, si distraeva il pubblico di consumatori, si rispondeva ai dati con i dubbi. Infondati? Non importava. Nel tempo, dal fumo attivo il fronte si è spostato a quello passivo, ai filtri, agli aromi, poi ancora sulle diverse misure di controllo del tabacco, come l’aumento dei prezzi, pacchetti di sigarette senza brand, aree smoke-free. Il declino nei consumi sta arrivando ugualmente, anche se in ritardo, e il prezzo pagato – che stiamo ancora pagando – è enorme: otto milioni di vittime ogni anno nel mondo, di cui oltre un milione non hanno mai fumato. Almeno 70.000 morti in Italia, tutti gli anni. Oggi una partita importante si gioca intorno ai nuovi strumenti per il consumo di nicotina e al principio della riduzione del danno contro quello della riduzione dell’esposizione al prodotto. Si tratta di un mercato variegato, giovane e complesso, tanto più che si parla di consumi spesso guidati dalla dipendenza. A complicare il quadro, come insegnano Oreskes e Conway, interessi economici e politici che hanno imparato a essere estremamente reattivi ed efficaci. Un sistema lobbistico che riesce in una quasi perfetta operazione di mimesi, assume le forme e i linguaggi del dibattito scientifico, in apparenza persino gli obiettivi. Un esempio? Nel 2017 una delle più grandi aziende del tabacco al mondo, Philip Morris International, ha istituito la Foundation for a Smoke-free World, una fondazione “per accelerare la liberazione del mondo dal fumo”, con un impegno finanziario di un miliardo di dollari l’anno per 12 anni. Da più parti la comunità scientifica ha risposto chiedendo compattezza e trasparenza al mondo della ricerca, c’è bisogno di una scienza forte per ridurre i danni causati dal tabacco, c’è bisogno di una scienza estremamente forte per affrontare l’emergenza del global warming, ma questa scienza non può che essere indipendente dall’industria. Esattamente come la ricerca, anche l’informazione ha bisogno di essere più solida e più indipendente. Il lavoro dei mercanti di dubbi ha attecchito anche perché ha trovato un terreno pronto ad accoglierlo: audience ostili alle informazioni complesse (“non dirmi cose complicate, non dirmi che ho torto, non darmi brutte notizie”), diffidenti nei confronti della politica e dell’ambientali-


prefazione

smo, orientate all’individualismo, legate a un paradigma identitario tradizionale. In questo terreno, proposte di policy orientate a cambiamenti più o meno rapidi, ma certamente impegnativi, cadono come semi sulla pietra. La falsificazione ha dei vantaggi difficili da recuperare: viaggia veloce e con poco bagaglio, non ha bisogno di metodo o di coerenza, non servono le peer review. Ha un vantaggio economico e temporale enorme. In questi dieci anni, l’avvento dei social network ha reso più facile la circolazione delle notizie, la creazione di gruppi di interesse e di pressione, aprendo anche nuove grandi questioni riguardo la sicurezza dei dati personali e il loro sfruttamento per manipolare l’opinione pubblica. Ci sono stati cambiamenti positivi. Testate importanti hanno tematizzato in maniera stabile il cambiamento climatico e contribuito a migliorare il linguaggio che lo racconta (dal 2019, per esempio, su The Guardian non si scrive più “cambiamento” ma “crisi” o “emergenza” climatica). Organizzazioni non profit mettono in rete, a disposizione di tutti, documenti e analisi per dimostrare e spiegare l’influenza dell’industria nei grandi temi di salute pubblica e ambientale. La cultura popolare si è mossa, la sensibilità comune, specie in Europa, è forse la più alta mai raggiunta sui temi della sostenibilità. Non se ne può fare a meno, ma non è sufficiente. Un livello adeguato di comprensione dei temi ambientali oggi deve essere parte imprescindibile di una nuova alfabetizzazione, di una nuova cittadinanza. È urgente rifondare un rapporto di fiducia fra scienza, informazione e opinione pubblica, non basta scrivere scienza con la maiuscola per reclamare credito, c’è un lavoro paziente di costruzione e di raccordo da affrontare, che parte dalla scuola e dagli strumenti per interpretare il mondo. È il momento di alzare l’asticella anche sul piano etico. Sul New York Times Alex Rosenberg, docente di filosofia alla Duke University, nel settembre 2019 ha scritto: “Tutto ciò che possiamo fare è aumentare le possibilità della scienza di farci uscire da questo pasticcio: educare gli scienziati, sostenere la ricerca pura, diffonderla liberamente e premiarla con l’immortalità, non solo con il denaro”. L’eredità di Mercanti di dubbi passa anche da qui. Donatella Barus Direttore Magazine Fondazione Umberto Veronesi

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il mercato del dubbio

Nel 2020 ricorre il decennale della pubblicazione di Mercanti di dubbi, un libro seminale, che negli Stati Uniti e in Europa ha lasciato il segno per la sua capacità di riflettere sugli effetti di verità e l’uso del dubbio come pratica narrativa e semiotica, con cui decostruire la ricerca scientifica per scopi politici ed economici. Attuale oggi più che mai, in un’epoca di bufale, fake news, troll, psicografia, il libro è una vera e propria guida per capire come opera la macchina del dubbio per favorire un mercato, un’impresa, una corrente politica. In un mondo dove la comunicazione si fa labirinto degli specchi, dove le camere dell’eco distorcono e amplificano chi urla più forte, dove il giornalismo si confronta con la post-verità dei social media, degli influencer, degli ingegneri del consenso, leggere Mercanti di dubbi diventa una necessità. E per capire perché il mercato del dubbio sia tutt’oggi in ottima salute il modo migliore è stato parlarne direttamente con Naomi Oreskes, che ha rilasciato questa intervista a corredo di un’edizione italiana la cui realizzazione era attesa da troppo tempo. (Emanuele Bompan) Dieci anni fa, con Erik Conway, in questo libro avete per la prima volta raccontato come grazie a piccoli gruppi di scienziati ed esperti si sono create campagne di comunicazione molto efficaci, spinte da attori politici ed economici, per distrarre l’opinione pubblica dai reali pericoli messi in luce dalle scienze mediche e ambientali su temi come gli effetti del fumo, l’esistenza delle piogge acide, l’entità del buco nell’ozono e, soprattutto, le conseguenze del riscaldamento globale. Che cosa è cambiato dalla pubblicazione del libro? (Naomi Oreskes) Le cose sono ulteriormente peggiorate. Scrivendo il libro, avevamo identificato come problema chiave della politica americana la decostruzione del cambiamento climatico. Molta gente non riteneva che il ruolo dei negazionisti fosse la chiave dell’inazione per fermare le emissioni climalteranti, e aveva criticato fortemente il libro. Ebbene, dieci anni dopo stiamo vedendo come questo discorso negazionista abbia costruito basi solide, portando


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al governo un presidente negazionista, circondato da un entourage che apertamente nega la scienza e sta facendo di tutto per spingere gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi. Per molti anni la leadership del Partito repubblicano è stata scettica sul climate change, ma è solo con Donald Trump che lo scetticismo e il dubbio hanno raggiunto un livello tale da portare una parte della popolazione a credere che tutta la questione climatica sia “una bufala ordita dai cinesi”. La cosa peggiore è che in privato molti politici repubblicani ammettono che il cambiamento climatico sia reale e che l’evidenza scientifica sia inconfutabile. Ma sono relegati in un angolo da un discorso mediatico più ampio. Altri hanno negato l’evidenza per così tanti anni che non sanno nemmeno più valutare la possibilità che stia davvero accadendo, nonostante i sondaggi dicano che sempre più americani sono convinti che la scienza abbia ragione. Questi politici sono incapaci di una discussione davvero aperta sul tema. Figuriamoci di agire! E questo vale per tanti altri governi in tutto il mondo, alla stregua di quello americano. Ha mai pensato di aggiornare il libro o di scrivere un sequel per continuare a investigare i temi di Mercanti di dubbi? Il prossimo anno in America uscirà un’edizione del libro con prefazione di Al Gore e una nuova postfazione. Rielaborare e aggiornare il libro non ha senso. Quello che abbiamo scoperto è tutto nell’edizione che i lettori hanno in mano. Sono i meccanismi la chiave. Nella postfazione semplicemente affrontiamo il tema del dubbio scientifico con un duplice approccio, ottimistico e pessimistico. Nello specifico raccontiamo la rivoluzione energetica della California negli ultimi dieci anni, che ha davvero fatto passi da gigante nella transizione verso un’economia fondata sulle energie rinnovabili e risparmio energetico; cambiamenti più rapidi di quanto ipotizzato, con una quota di energie rinnovabili prodotte superiore al 50% (e con picchi fino all’80% nei giorni migliori). L’economia californiana è una delle più forti dell’Unione, con tassi di disoccupazione in linea con la media americana, in alcuni casi inferiori. Il caso della California prova che i mercanti di dubbi hanno usato argomentazioni inutili e che sono state falsificate. Allo stesso tempo però emergono nuove strategie di mistificazione, questa volta votate a negare l’efficacia delle rinnovabili: sono definite “fonti poco affidabili, intermittenti, su cui non si può affidare la sicurezza energetica nazionale”; discorsi che associano l’uso delle rinnovabili all’essere effeminati o “deboli”. Qual è l’assioma del libro che ancora oggi è assolutamente valido? Una delle cose più importanti emerse dalla stesura di Mercanti di dubbi è come l’ideologia neoliberista sia stata il fondamento di questi meccanismi negazioni-


il mercato del dubbio

sti, siano essi insiti nell’industria del tabacco o legati al clima e alle energie rinnovabili, settori disparati mossi da un unico motore ideologico. Questa politica dell’economia priva di regole spiega e motiva perché l’evidenza sia stata negata da interessi specifici. Inoltre, il libro ha mostrato agli scienziati come il negazionismo non sia una questione di analfabetismo scientifico, che può essere dunque risolta con (ancora) più ricerca scientifica o con spiegazioni più chiare e convincenti. Tutto ciò è stato fatto, ma nel caso del clima non è servito. Per questa ragione, quando abbiamo terminato il libro, Eric Conway e io abbiamo iniziato a pensare a un lavoro su come l’ideologia neoliberista, così inadeguata per la nostra società, ha questo potere nella cultura americana ed europea, in grado di distruggere regolamenti per la tutela della terra, dell’acqua, delle persone in favore di deregulation, detassazione, austerità. Conquistando realtà influenti come il World Economic Forum e la World Bank e tanti altri enti che definiscono l’attività economica mondiale. Questo sarà il nostro prossimo lavoro – intitolato “La magia del mercato. Una storia vera di un’idea falsa” – che analizza come è nato il mercato, partendo dalle teorie di Friedrich Hayek e della Chicago School of Economics. Questo è il naturale sequel di Mercanti di dubbi, che di fatto sarà un prequel. Dal punto di vista della storia delle idee e delle ideologie, gli ultimi dieci anni hanno visto l’arrivo di attori politici, da Trump a Farage, da Salvini a Duterte, che hanno riportato in auge tesi nazionaliste e sovraniste, in uno strano remix di neoliberismo nazionalpopolare, anti-scientismo, pensiero magico e ignoranza strutturale. Se prima il potere politico, come ben descrive nel libro, doveva avvalersi “di prestigiosi scienziati con titoli altisonanti” per produrre una contronarrativa necessaria per il Capitale, oggi, con il boom orizzontale dei social, dove uno vale uno e l’opinione di un blogger pesa quanto quella non di un ricercatore, ma addirittura di un panel di scienziati, il mercato del dubbio è sicuramente in forte crescita. Credo che il nostro lavoro sia importante perché spiega proprio questi meccanismi, che sono, come giustamente fai notare, terribilmente peggiorati. Il modo di operare di un piccolo gruppo di persone, non legittimate a parlare su una determinata questione, ma che per il fatto di avere un qualche tipo di conoscenza scientifica o di specializzazione, è diventato un virus che si è sparso come una pandemia contaminando svariati ambiti della conoscenza. Questo virus è stato sfruttato dai cosiddetti populisti per conquistare consenso e convincere le persone ordinarie che non devono dare fiducia agli esperti, che non ci si può fidare degli scienziati, definiti come una élite di teste d’uovo condiscendenti. In questo modo si è creata una situazione dove non si può avere fiducia in nessuno, dove la nozione di “fatto” è messa in discussione e chi grida più forte ha ragione. Questo onestamente è davvero preoccupante. Una situa-

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mercanti di dubbi

zione orwelliana, anche se George Orwell temeva che questa situazione distopica sarebbe giunta dall’Unione Sovietica o dalla Cina maoista. Invece oggi il “doublespeak” arriva dalla destra, un fatto che molti progressisti e liberali non hanno saputo anticipare e a cui non hanno saputo reagire. Basta vedere la disinformazione impiegata per la vittoria della Brexit (con tecniche di guerriglia informatica portate avanti da società come Cambridge Analytica, ndA). Come illustriamo nel libro, infondere il dubbio è davvero pernicioso, poiché in ogni caso io perdo e tu vinci, perché tutto quello che si vuole creare è confusione, non imporre una verità sull’altra, ma semplicemente confondere e spingere all’inazione. I social media sono la macchina ideale per amplificare la strategia del dubbio? Certo è difficile dire quanto pesino realmente come mezzo. Quando abbiamo scritto il libro Facebook era ancora poco usato e Twitter non esisteva nemmeno. Eppure internet era già un motore importante di diffusione, e nel libro parliamo bene di come funzionino le camere dell’eco della disinformazione digitale. Uno spazio ristagnante ma senza ancore. D’altronde di questa confusione nella democrazia americana parlava già Alexis de Tocqueville nel XVIII secolo. Dunque non è davvero un problema nuovo: i mezzi di comunicazione per creare disturbo si sono sempre trovati, sfruttando quanto a disposizione. Quello che si è diffuso è una cultura del sospetto, del dubbio, che esula dalla normale critica e confutazione. I social media sono l’ultima incarnazione, e il mezzo più efficace data la loro estrema diffusione. C’è anche una grande incapacità nell’usarli, pochi riescono a distinguere fonti false da fonti attendibili. Mancanza d’istruzione, ma anche una totale incapacità politica a comprendere e regolare questo sistema, aprendo praterie a razzisti e pseudoscienziati di ogni tipo. Concordo. La negligenza della classe politica è scioccante. Ma sono anche arrabbiata con il mondo dell’economia. In consessi come il World Economic Forum di Davos si parla spesso di come cambiare il mondo per il meglio. S’incontrano businessman che vogliono apparire persone decenti, che ribadiscono che loro e i loro colleghi devono prendersi cura del pianeta e trasformarlo in un posto migliore. Però poi c’è un silenzio assordante sul tema della disinformazione. Nessuno vuole intervenire. Continua a sussistere la nozione che se lasciamo fare al mercato tutto si sistemerà. In realtà questo è l’opposto di quanto noi sappiamo: i mercati funzionano quando sono regolati. Lo stesso Adam Smith, nel suo La ricchezza delle nazioni, diceva che monopoli e banche vanno regolate. Lo stesso vale per la comunicazione.


il mercato del dubbio

Regolare il mercato, qualsiasi mercato, è indubbiamente un argomento tossico nel dibattito americano. Noi abbiamo bisogno di regole sia per proteggere i lavoratori e l’ambiente, sia per proteggere il capitalismo, la libera competizione. I monopoli sono dannosi. Le persone sono però spaventate a parlarne. I politici temono che gli elettori non possano capire cosa significhi regolare i mercati. Tanti cittadini non si fidano degli scienziati, nello specifico figure come i chimici dell’industria farmaceutica, i medici nella ricerca sul cancro o sui vaccini, e purtroppo anche climatologi e biologi. Il libro mostra come numerosi esperti si sono prestati al settore privato lavorando per corporation e per istituzioni private, spesso con l’obiettivo di creare confusione o confutare ricerche dannose per il settore privato, con lo scopo di lucrare. Questo ha portato a una diffusa sfiducia nella scienza ufficiale. Come possiamo risanare questa frattura? Questa è un’ottima domanda. È ironico che alcune persone percepiscano in generale la scienza come troppo collusa con il settore privato. Una ricerca fatta dall’American Academy of Arts and Sciences negli Stati Uniti mostra come la gran parte dei cittadini ancora si fidi della scienza. Gli scienziati sono molto più rispettati di altri gruppi, come politici, giornalisti e imprenditori. Si diventa sospettosi quando sussiste la possibilità che gli scienziati abbiano interessi personali nella ricerca che stanno svolgendo. Attenzione però: se da un lato occorre incrementare la fiducia del pubblico nella scienza, è altrettanto giusto che il pubblico sia scettico. I cittadini non sono idioti. Dunque capiscono che quando oggettività e indipendenza possono essere compromesse dalla dipendenza da finanziamenti privati è bene non fidarsi. In alcuni casi si sbagliano, in altri possono aver ragione. Dunque il problema non è delle persone ma della comunità scientifica, che deve affrontare chiaramente la questione. Serve maggiore trasparenza sulle fonti di finanziamento della ricerca, e occorre fissare delle linee guida che definiscono quando non è appropriato ricevere finanziamenti. Per esempio numerose università hanno un indirizzo di questo tipo. Riviste come Science non accettano contenuti sponsorizzati dall’industria del tabacco. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: ci sono innumerevoli contesti che andrebbero studiati. Molte donne e uomini di scienza negano questo problema. Dicono: “Siamo oggettivi, siamo scienziati, siamo indipendenti”. Va detto, tuttavia, che la scienza non è una virtù di per sé, e ogni finanziamento ricevuto non è necessariamente virtuoso per la scienza. Una questione resa complicata, negli ultimi vent’anni, dal calo dei finanziamenti federali per la ricerca scientifica nelle università statali che ha limitato l’indipendenza. Questo ha spinto gli scienziati a cercare risorse nel settore privato per continuare il proprio lavoro. In alcuni casi sono nate partnership straordinarie, dove l’indipendenza del-

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