Blue Economy 3.0

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BLUE ECONOMY 3.0

200 progetti implementati 5 miliardi di euro investiti 3 milioni di posto lavoro creati



Gunter Pauli

BLUE ECONOMY 3.0 200 progetti implementati 5 miliardi di euro investiti 3 milioni di posto lavoro creati


Gunter Pauli blue economy

3.0

200 progetti implementati, 5 miliardi di euro investiti 3 milioni di posto lavoro creati realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente www.edizioniambiente.it titolo originale

The Blue Economy Version 3.0 Copyright © 2020 by Gunter Pauli traduzione:  Lorenzo Casella coordinamento redazionale:  Arianna Campanile progetto grafico:  Mauro Panzeri impaginazione:  Roberto Gurdo

© 2020, ReteAmbiente Srl via privata Giovanni Bensi 12/5, 20152 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-6627-284-7 Finito di stampare nel mese di luglio 2020 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy il network di reteambiente

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sommario

prefazione

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1. passare dalla fisica agli ecosistemi

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2. la potenza del pragmatismo

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3. imparare dalla natura

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4. la fisica prima di tutto

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5. perché le multinazionali non ce la faranno

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6. gli mba (master in brillanti adattamenti) della natura

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7. l’etica al centro di tutto

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8. lo shiitake al caffè, la ricetta di uno sviluppo sostenibile di successo

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9. una seta eccezionale

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10. dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo

129

11. un arcobaleno di possibilità

155

12. raggiungere finalmente l’abbondanza

171

13. rimediare agli errori del passato

193

14. progettare in base ai flussi

213


15. raggiungere l’irraggiungibile

247

16. uscire dal vicolo cieco

281

17. impegnarsi per il meglio

287

18. principi direttivi della blue economy

297

ringraziamenti

363

bibliografia

367


prefazione

biografia I miei due figli più grandi sono nati nei primi anni Novanta. Come tutti i genitori, ci siamo chiesti se il mondo che stavamo consegnando loro fosse migliore di quello che avevamo ricevuto. Venticinque anni dopo, ora che Carl-Olaf e Laurenz-Frederik sono diventati adulti brillanti che si prendono cura dei tre fratellini e della sorella più grande, ciò che ci resta collettivamente da compiere per affrontare la sfida ecologica mi sembra difficile quanto le 12 fatiche di Ercole. Noi tutti abbiamo un rapporto complesso e molto personale con l’ecologia. La mia presa di coscienza in materia risale agli anni Ottanta quando scoprii l’opera di Lester Brown e della sua squadra del Worldwatch Institute. Il bombardamento di statistiche allarmanti e di analisi con cascate di tendenze negative non lasciavano molto spazio per le speranze. Si può dire che studi di questo genere continuino ad accumularsi di anno in anno. Mi è apparso subito chiaro che non si possa, mentre gli anni passano, accontentarsi di essere un cittadino preoccupato per il futuro e dispiaciuto degli errori commessi. Ognuno a suo modo, abbiamo il dovere di reagire e di trovare metodi che creino una base a cui le generazioni che verranno possano aggrapparsi. Dobbiamo donare ai nostri figli la libertà di pensare e ancora di più di agire. E di agire in modo diverso da noi. Da quel momento, mi ci sono dedicato con tutte le mie forze. Una delle mie attività fu animare il più possibile il Club di Roma, un’organiz-


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zazione che ha la missione di pubblicare degli studi e rendere comprensibile lo stato del mondo a una comunità ben definita e particolarmente scettica: le élite economiche europee. Il Club di Roma è un’assemblea informale di uomini e donne appartenenti alla politica, al mondo delle università, imprenditori e diplomatici. Ormai faccio parte del Club da quasi quarant’anni, e per questo non posso che notare la necessità tuttora impellente di far passare questo segnale d’allarme. Il rapporto I limiti dello sviluppo1 che abbiamo commissionato ai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) esplicitava, senza lasciare spazio a dubbi, il circolo vizioso dell’esplosione demografica, dell’impoverimento dell’ambiente, della crescita industriale senza fine e del crollo dell’etica. Nonostante tutto, continuo a pensare che per ogni tendenza negativa esista una risposta positiva. Le cattive notizie non riguardano solo la salute del nostro pianeta, ma anche i nostri equilibri economici, e tutto questo sembra catastrofico. Tuttavia, rimango dell’idea che in ogni situazione a rischio possa esserci anche un’opportunità. Giovane e pieno di buona volontà, ho fatto sì che il mio primo impiego fosse adeguato al mio profilo di cittadino responsabile con a cuore il destino del pianeta. Fu così che dopo una serie di iniziative imprenditoriali nella creazione di banche dati, una casa editrice, e import-export con il Giappone, entrai nella società Ecover, azienda europea nel campo dei prodotti di pulizia biodegradabili. Nel giro di poco tempo i giganti del settore hanno cominciato ad adottare i nostri componenti biodegradabili di base (gli acidi grassi dell’olio di palma). Il successo commerciale fu immediato. Purtroppo, questo condusse tanti agricoltori, soprattutto in Indonesia, a rimpiazzare vaste aree di foresta con piantagioni di palma. La distruzione della foresta tropicale ha incluso anche l’habitat degli oranghi. Biodegradabilità e “riciclabile” non sempre sono sinonimi di sviluppo sostenibile. Questa fu una lezione dolorosa e dura da accettare, che mi ha segnato per il resto della vita. Con il primo articolo che ho potuto far pubblicare – era in Corea del Sud nel 1991 – esortavo le industrie a prendere ispirazione dagli ecosistemi, 1  Meadows D., D. Meadows, J. Randers, W. W. Behrens III, I limiti dello sviluppo,

Mondadori, Milano 1972.


prefazione

i cui capisaldi sono zero rifiuti e zero emissioni. Ero già dell’idea che la saggezza intrinseca di un ecosistema non si limiti ai vantaggi che procura, quali l’aria pulita o l’acqua fresca, la fertilizzazione del suolo, l’autocontrollo dei batteri, già quest’ultimi ottimi benefici. Ancora di più, è la ricerca permanente di un’alternativa migliore a essere preziosa. In questo articolo, elaboravo l’idea che lo sviluppo sostenibile non è possibile se non eliminando la produzione di rifiuti per privilegiare un’integrazione totale in cui le energie e i nutrimenti si combinano, proprio come accade in natura. Ed è proprio a questo equilibrio “naturale” che dobbiamo puntare. Per tutta la vita ho sviluppato quest’idea, e ancora oggi cerco di approfondire la scienza e le innovazioni nei modelli di business. In seguito alla mia frustrante esperienza in Ecover, fui approcciato da Heitor Gurgulino de Souza, all’epoca rettore dell’università delle Nazioni Unite con sede a Tokyo. Mi chiese di pensare a un modello economico che non producesse né emissioni né rifiuti ma che permettesse la creazione di posti di lavoro e di coesione sociale a un prezzo sostenibile. Accettai, anche se più che una missione, era una pericolosa scommessa. All’epoca eravamo tre anni prima dell’adozione del Protocollo di Kyoto. Ho avuto l’opportunità di immaginare, da un punto di vista accademico, come possiamo emulare gli ecosistemi nel trattamento dei rifiuti. Per dirlo in breve, all’interno degli ecosistemi i rifiuti dell’uno sono il nutrimento dell’altro. Proprio questo era l’obiettivo. Dopo tre anni di ricerche, è stata creata in Svizzera la fondazione ZERI,2 con la collaborazione dello United Nations Development Programme (UNDP, Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo). Il suo solo e unico obiettivo: la creazione di progetti pionieristici, che dimostrassero al mondo che un tale modello di produzione e consumo non solo è tecnicamente possibile, ma anche economicamente sostenibile. Dal 1997 ho avuto il privilegio di moltiplicare le esperienze pratiche che andavano verso l’imitazione della natura, con intelligenza. Mi sono chiesto, di concerto con tanti tra scienziati, imprenditori, analisti, giornalisti economici o ricercatori nel mondo, quali innovazioni possano es2  Zero Emission Research and Initiatives.

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sere raggruppate in un sistema che permetta alla società di funzionare come un ecosistema; sarebbe a dire raccogliere innovazioni sviluppate da diversi attori e utilizzare in maniera più efficace tutte le infallibili forze fisiche esistenti. Grazie alle centinaia di iniziative immaginate, progettate, sviluppate, realizzate e corrette, abbiamo trovato la chiave di una nuova crescita, capace di modificare la logica dei risultati a breve termine in una scala microeconomica e di rispondere ai bisogni fondamentali delle persone, senza esigere che la terra produca di più, che dalle miniere si estraggano maggiori quantitativi di materiali, che l’effetto serra aumenti ancora e, in particolare, senza rimanere schiavi delle fluttuazioni del Pil.

blue economy Questo libro è ispirato alla comprensione della logica intrinseca agli ecosistemi. Si tratta della blue economy, che vuole rivelare la formidabile alternativa con cui poter dimenticare le difficoltà economico-sociali e ambientali attuali. Potremmo mettere una pietra sopra a questo modello consumista non realistico, ingiusto e deleterio. Spingere le persone a spendere ogni giorno di più per rilanciare l’economia significa promuovere un sistema semplicistico e di breve durata, che scaricherà il peso del debito sulle generazioni future. È altrettanto chiaro che con la disoccupazione giovanile in crescita nel mondo intero, visto che i giovani inseguono lauree e stage senza avere l’opportunità di mettersi in gioco, tirare in ballo ancora una volta l’austerità, parola che domina i dibattiti di gestione economica per raddrizzare i conti pubblici, non sia assolutamente una soluzione. Così come questa abitudine sconsiderata di fare assorbire le liquidità reali a una piccola élite bancaria che finanzia solo sé stessa, guadagnando con gli interessi e riversando i rischi e le ricadute negative sulle spalle del grande pubblico. È un’economia che prende in prestito da tutto e tutti, dalla natura e dall’umanità, senza pensare a rimborsare un giorno ma piuttosto ad accumulare in conti bancari virtuali. La crisi finanziaria del 2008, ormai si sa, è stata originata da banchieri e dirigenti concentrati unicamente sulle fusioni/acquisizioni,


prefazione

gli effetti di prezzi gonfiati e la creazione di debiti sulla base dell’ipotesi di una crescita infinita. In confronto, la green economy esige dalle imprese nuovi investimenti, e si aspetta dai consumatori che questi ultimi paghino cari prodotti della stessa qualità ma fabbricati nel rispetto dell’ambiente. Ebbene, quella che già era una scommessa in tempi di prosperità è ormai divenuta quasi impossibile, in tempi di crisi. La green economy, nonostante i suoi obiettivi lodevoli e i suoi sforzi, non è riuscita a imporsi né a diventare sostenibile. Perché, e come, continuare ad aderire a un sistema economico in cui ciò che è dannoso per la salute e per l’ambiente è a buon mercato? Chi ha inventato questo “marchio” per l’economia di mercato? Cambiando prospettiva, potremmo constatare come la blue economy si impegni su questioni di rigenerazione che vanno al di là della preservazione o della conservazione. Mezzo secolo di encomiabile retorica sulla conservazione non ci ha portato ad alcuna reale protezione della Natura, né della biodiversità, né del nostro tessuto sociale. La blue economy non ricicla, né protegge di più. Si impone una nuova realtà: essa rigenera. Non ha tra i suoi propositi di fare meno male; piuttosto si impegna a fare del bene, in particolare il Bene Comune. Questo è il suo contributo più importante. Consiste nell’assicurarsi che un ecosistema mantenga le sue regole evolutive affinché tutti possano beneficiare degli infiniti flussi della natura sulla creatività, sull’adattabilità e sull’abbondanza. Mettere in pratica i concetti della blue economy significa anche che le decisioni di milioni di attori possano scalzare il dirigismo di un manipolo di decisori, i monopoli di qualche multinazionale o il protezionismo degli stati. Il profondo impegno dei cittadini – soprattutto i giovani che non riescono più a comprendere l’inerzia ormai totale dei genitori – vuole cambiare le “regole del gioco” in meglio. Lo scopo di questo libro è contribuire a installare una nuova logica economica, atta non solo a rispondere ai bisogni, ma anche a trasformare la penuria in abbondanza. Per convincervi, miei cari lettori e mie care lettrici, pescherò tra numerose esperienze di successo nel mondo. Prenderò anche, come esempi, “modi di fare” animali e vegetali a cui faremmo bene a ispirarci per concepire un nuovo modo di conoscere e di abitare il nostro mondo.

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oltrepassare la modernità È sempre sorprendente vedere come la nostra società moderna privilegi logiche contronatura (per non dire stupide): per rinfrescarci pompiamo l’aria fredda verso l’alto; per purificare l’acqua la mescoliamo con prodotti chimici che distruggono la vita; nelle serre riscaldiamo l’aria invece delle radici; paghiamo i kilowattora di elettricità quasi cento euro quando utilizziamo pile tossiche e pericolose; centinaia di tonnellate di titanio, lavorate con un ciclo produttivo costoso e inquinante, vengono buttate ogni qualvolta cambiamo le lame dei nostri rasoi; quasi tutti i prodotti di plastica – perfino gran parte di quelli biodegradabili – non si degradano nell’acqua del mare, nella terra o con il sole. Nella migliore delle ipotesi si decompongono nella terra dopo decenni, ma si accumulano negli oceani. Uccidiamo le femmine dei pesci, portatrici di milioni di uova, e siamo qui a preoccuparci della pesca eccessiva. Abbiamo tagliato milioni di alberi per soddisfare la nostra voglia di leggere o di scrivere, per poi riciclarli consumando ancora più acqua di quella che utilizziamo per tirare lo scarico del bagno e incenerendo la poltiglia tossica dei prodotti chimici derivati dagli inchiostri. L’umanità attuale consuma troppa energia, produce gas serra e massacra l’ambiente, lo sappiamo; i politici si impegnano davanti alle telecamere per poi non fare assolutamente niente. I cambiamenti climatici attuali non sono affatto sorprendenti. La nostra sola scusante per ciò che facciamo, e per come lo facciamo, è che siamo ignoranti (o incoscienti) delle conseguenze. Tuttavia, sapere vuol dire aver l’obbligo morale di cambiare e far di tutto per correggere e migliorare. Sembra che la mia generazione abbia fermamente optato per “dopo di me il diluvio”. Le proteste dei giovani in tutto il mondo non ci toccano. Il proposito della blue economy è ispirato anche a una realtà diversa da quella dei paesi ricchi, e alla dura quotidianità di miliardi di persone che non beneficiano di questa economia, sia essa rossa o verde. Ci sono milioni di persone, principalmente donne e bambini che, per ottenere una minima quantità di acqua e nutrimento, o il più modesto rifugio, si riducono al peggio. Proprio come una che ha imparato in fretta


prefazione

come sopravvivere per anni con una tazza di arachidi al giorno, mia figlia adottiva Chido ha subito iniziato ad apprezzare le virtù di un ecosistema. Lei non aveva in mente di emigrare in Europa, bensì di rimanere nello Zimbabwe, suo paese natio, e trasformare la società dando la possibilità agli orfani di procurarsi autonomamente nutrimento e salute, punti di partenza per rendere le loro esistenze sostenibili con le risorse disponibili localmente. In Africa, troppo spesso, la natura è stata stravolta dalle pratiche irresponsabili dei coloni che sono sbarcati con una logica e con tradizioni tipiche dei paesi temperati, caratterizzate da cicli delle stagioni marcati, la cui applicazione non solo ha deturpato la vegetazione tradizionale, ma ha anche eroso il suolo e svilito le culture ancestrali. Giudicare gli errori del passato e le loro cause non è tuttavia la battaglia di Chido. Lei ha colto un’opportunità, e ha usato gli scarti del caffè come una fonte di nutrimento (dai funghi che crescono sui fondi di caffè, alla paglia del mais, ai giacinti d’acqua infestanti) e di conforto per sé e per i suoi amici orfani. Con più nutrimento e un ambiente più sicuro l’abuso, sia delle giovani donne sia degli ambienti naturali, potrebbe essere sradicato. Il sogno di Chido è proprio questo! Schiacciato tra queste realtà distanti vissute dai miei figli in Europa e da mia figlia in Africa, mi sforzo di condividere questa rosa di alternative. Nessuno potrà dirmi che vivo tra le nuvole, io sono sicuro che quest’altra economia è possibile. Sta a noi costruirla.

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1. passare dalla fisica agli ecosistemi

fisica e senso pratico L’ecologia e lo sviluppo sostenibile sono concetti che hanno fatto germogliare un “pensiero verde”. Queste idee, al giorno d’oggi ormai molto diffuse, ci hanno insegnato ad apprezzare e a privilegiare l’utilizzo di materie prime ecologicamente responsabili. Al contrario, sebbene stiamo cominciando a capire meglio l’importanza di un ciclo di produzione etica, facciamo ancora fatica a renderlo economicamente sostenibile. Nel corso della mia vita ho sempre pensato che una volta che cominceremo a comprendere la genialità della natura, la sua semplicità e la sua economia, potremmo migliorare le funzionalità relative alla logica ambientale e raggiungere dei successi di gran lunga superiori di quelli conseguiti dal nostro mondo industriale e globalizzato. Dopo oltre quarant’anni di attività mi è chiaro che le cosiddette efficacia e produttività del XXI secolo non contengono i semi per mettere le nostre comunità su una via sostenibile come invece fa la Natura. Non si farà mai una trasformazione senza l’accettazione del quadro generale in base al quale tutto opera: la geometria, la matematica e le leggi della fisica. La vita è organizzata secondo leggi fisiche immutabili. Pertanto, le relazioni tra leggi e teorie fisiche da una parte, e le condizioni reali di produzione, di fabbricazione, di consumo dall’altra, non suscitano particolare interesse nei corsi di fisica. Ed è veramente un peccato, poiché osservando i principi fisici di base noteremmo come il tempo, combinato con



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