Polveri e Veleni

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tascabili dell’ambiente


Luca Carra e Margherita Fronte

polveri & veleni viaggio tra salute e ambiente in italia

realizzazione editoriale Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it coordinamento redazionale Anna Satolli progetto grafico: GrafCo3 Milano immagine di copertina: spaxiax/Shutterstock © 2009, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02 45487277, fax 02 45487333 ISBN 978-88-96238-16-5 Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia - Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100%


Luca Carra e Margherita Fronte

polveri & veleni Viaggio tra salute e ambiente in Italia



sommario

prefazioni nessun uomo è un’isola. le nuove responsabilità verso 7 l’ambiente di Pietro Greco 13 perdita del paesaggio, malattia dell’anima di Paolo Vineis il paese avvelenato

1. L’Italia da rifare (da Seveso a Gela) 2. Con la diossina si può condire l’insalata? 3. I veleni in corpo 4. I bambini di Chernobyl

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storie di campi e fattorie

5. Mangiare sano, mangiare tutti 6. Naturale è salutare? 7. I geni in tavola 8. Primavera silenziosa 9. Le malattie dalla fattoria globale

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che aria tira

10. Padania, la valle dei veleni 11. Le virtù della bicicletta, le malattie da automobile 12. Attenti al radon 13. Amianto, una storia non ancora conclusa

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le insidie del clima

14. Il clima cambia anche la salute 15. Il trasloco dei microbi 16. Il caldo che farà

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stili di vita

17. La salute in tavola e i malati di dieta 18. Pendolari, una malattia curabile? 19. È vero che è meglio lavarsi poco? 20. La salute in fumo

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i nuovi rischi

21. Il paese dei cellulari 22. Malati di decibel 23. Nanotecnologie, nuova minaccia o risorsa per la salute?

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acque sporche

24. La discesa del Po fino al “lago Adriatico” 25. Pozzi avvelenati: come stanno le falde? 26. Mare da amare

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città malsane e oasi urbane

27. Obesi? Colpa dell’urbanistica 28. Una città da camminare 29. Il giardino che cura

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conclusione

30. Curare il pianeta per curare l’uomo

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bibliografia

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ringraziamenti

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nessun uomo è un’isola. le nuove responsabilità verso l’ambiente di Pietro Greco

La salute umana e l’ambiente sono strettamente legati tra loro. Per almeno tre motivi. Il primo è persino banale ricordarlo: l’uomo non vive in una sfera di vetro separato dal resto dell’universo, ma vive in quella parte dello spazio tra la superficie e l’atmosfera del pianeta Terra che chiamiamo biosfera. È questa parte dello spazio fisico, peraltro abbastanza sottile, che definiamo ambiente. È in questo sistema che i termodinamici definiscono aperto (scambia materia ed energia con l’esterno) che l’uomo ricava gli elementi essenziali che gli consentono di vivere (aria, acqua, cibo) in salute ed è sempre qui, nell’ambiente, che sono presenti molti dei fattori che mettono a rischio le sue condizioni fisiche e mentali. La salute di un uomo, dunque, dipende, dalla presenza nell’ambiente in cui vive degli elementi essenziali di cui ha bisogno e della possibilità di accedervi: quasi un miliardo di persone, per esempio, non è in salute (soffre la fame o, comunque, è malnutrita) perché non dispone di una quantità sufficiente di cibo. Allo stesso modo, oltre un miliardo di persone vive in condizioni sanitarie precarie perché non ha accesso a quantità sufficienti di acqua potabile. La salute delle persone dipende anche dalla presenza nell’ambiente di fattori di rischio di diversa natura: fisica, chimica e biologica. Le malattie infettive, per esempio, dipendono dalla presenza nell’ambiente di agenti biologici, come virus o batteri. Altre malattie, si pensi all’asbestosi causata dall’esposizione alle fibre di amianto, dipendono dall’esposizione ad agenti inquinanti non biologici. Si calcola che tra il 5 e l’8% delle


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malattie nei paesi più ricchi (quelli dell’OCSE) siano determinate direttamente da fattori di inquinamento ambientale (pollution). La percentuale sale al 13% nei paesi in via di sviluppo. Il secondo motivo che mette in relazione stretta la salute dell’uomo e l’ambiente è un po’ meno evidente, perché chiama in causa fattori qualitativi come comfort e piacere. La salute, infatti, non è mera sopravvivenza e neppure solo assenza di malattie. Ma, come è scritto nell’atto costitutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità, essere in salute significa vivere (e avere la sensazione di vivere) in una condizione di benessere fisico e psichico. La qualità (e la qualità percepita) dell’ambiente in cui una persona vive è decisiva per il suo benessere fisico, psichico e sociale. Ne deriva che per essere “sano” non basta che un ambiente sia ricco di elementi essenziali per la vita (buon cibo, acqua potabile, aria pulita) e privo, per quanto possibile, di fattori di rischio (fisici, chimici e biologici). Per essere “sano” un ambiente deve essere accogliente, confortevole, piacevole sia nella sua dimensione ecologica sia nella sua dimensione sociale. Non bastano aria e acqua pulita, occorre anche un paesaggio – rurale o urbano – esteticamente non degradato. Non basta il controllo degli agenti infettivi e la mancanza di inquinanti: per essere in salute occorre vivere in un ambiente culturale, sociale ed economico dignitoso, gradevole, accogliente, piacevole. Il terzo motivo che pone in relazione stretta la salute dell’uomo e l’ambiente è, almeno in apparenza, del tutto diverso dai precedenti. Riguarda l’informazione e la cultura scientifica di massa. La gran parte delle persone si interessa soprattutto a due aspetti della scienza. Questi due aspetti sono, nell’ordine: la salute e l’ambiente. In altri termini le persone non esperte cercano sui giornali, in televisione e su internet di saperne di più su ciò che pensano costituisca la matrice principale del proprio benessere: la salute e l’ambiente, appunto. Tutto ciò non è nuovo. Esiste una vasta letteratura scientifica sui molteplici rapporti tra salute umana e ambiente. E, sia pure meno vasta, esiste anche una certa letteratura divulgativa. Perché, allora, un nuovo libro? Perché, allora, questo nuovo libro? I motivi che rendono importante la nuova proposta editoriale di Polveri & veleni. Viaggio tra salute e ambiente in Italia, di Luca Carra e Margherita


nessun uomo è un’isola. le nuove responsabilità verso l’ambiente

Fronte – oltre al fatto piuttosto raro che il libro è scritto con completezza, rigore e chiarezza – risiedono in altre tre parole: complessità, evoluzione, cittadinanza scientifica. Complessità. Il rapporto tra la salute di un uomo e l’ambiente in cui vive non è un rapporto semplice. Non solo perché spesso più fattori ambientali (biologici e/o chimici e/o fisici e/o psichici e/o socioculturali) concorrono a determinare la buona o la cattiva salute di un uomo. E neppure perché, nella determinazione del grado di benessere, a questa pluralità di fattori ambientali occorre aggiungere quelli propri delle persone: la struttura genetica, l’età, lo stile di vita. Ma anche e soprattutto perché è, quasi sempre, una combinazione non lineare di un insieme numeroso di fattori individuali e ambientali che determina non solo il grado di benessere ma persino la presenza o l’assenza di patologie del corpo o della mente conclamate. Non sempre la scienza e la clinica medica hanno tenuto conto di questa intrinseca complessità del rapporto tra salute e ambiente. Quasi mai la comunicazione pubblica della medicina ne tiene conto. Al contrario, troppo spesso i media tendono a ridurre la salute umana a un sistema governato da processi lineari e monofattoriali. In una simile narrazione della medicina, i rapporti tra salute e ambiente perdono la loro straordinaria varietà e le loro amplissime zone di chiaroscuro, per assumere una connotazione povera e una colorazione a tinta unica: pochi elementi, molte “pallottole d’argento” e tutto dipinto o di bianco o di nero. Il pendolo dei media oscilla senza sosta tra una visione bucolica e una visione catastrofica del rapporto tra l’uomo, il suo benessere e l’ambiente. Per estremo paradosso, nell’era dell’informazione e della comunicazione questa vera e propria patologia dei media entra nel gioco del rapporto tra salute e ambiente e ne diventa uno dei cofattori rilevanti. Evoluzione. Il rapporto tra salute e ambiente cambia, in maniera incessante, nel tempo. Per almeno quattro ragioni. Perché cambiano le condizioni di salute dell’uomo: poco più di un secolo fa l’aspettativa di vita alla nascita in Europa era di circa quarant’anni; oggi è di circa ottant’anni. Perché cambia l’ambiente: in appena un secolo la temperatura media

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del pianeta è aumentata di quasi un grado; la biodiversità si è erosa a un ritmo prima del tutto sconosciuto; si è creato un inedito “buco” nell’ozono stratosferico; l’acidità dei laghi e dei fiumi in Europa e nel Nord America è prima aumentata e ora sta rientrando; nubi brune di polvere prima inesistenti sovrastano l’Asia sud-orientale; centinaia di milioni di persone hanno cambiato “ambiente”, spostandosi dalla campagna alla città. Perché cambia la percezione umana delle malattie (l’obesità, che oggi consideriamo una malattia, in molte culture è un indicatore di benessere) e dell’influenza dell’ambiente sulle malattie. Perché, infine, l’uomo cerca di modificare in maniera attiva i rapporti tra la sua salute e i fattori di rischio ambientale, mettendo in campo sempre nuove armi (per esempio, gli antibiotici contro i batteri). A sua volta l’ambiente reagisce, adattandosi alla nuova situazione (per esempio, selezionando ceppi di batteri che imparano a resistere agli antibiotici) e proponendo nuovi fattori di rischio. Si dice che questa continua e reciproca corsa alle armi tra l’uomo e gli agenti infettivi biologici, sia come un po’ come quella “della regina rossa”: tutti corrono per restare al proprio posto. In realtà non è esattamente così. La coevoluzione è continua, ma non è affatto detto che i rapporti di forza restino immutati: a un certo punto la lotta potrebbe concludersi, con la sconfitta dell’uno o dell’altro. O, più probabilmente, con un salto evolutivo. Con un nuovo equilibrio e magari con l’avvento di nuovi protagonisti. In realtà i processi di coevoluzione non riguardano solo l’uomo e gli agenti biologici, ma – sia pure con una costellazione di modalità diverse – l’uomo e tutti gli elementi dell’ambiente. L’uomo, per esempio, sta modificando la composizione chimica dell’atmosfera. E ciò determina l’affermarsi di nuove malattie o una diversa incidenza di vecchie malattie. Un fattore evolutivo importante, infine, nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente è proprio la medicina. Che potremmo definire come il tentativo dell’uomo di risolvere a proprio favore il rapporto con l’ambiente, aumentando l’accesso agli elementi essenziali (comfort compreso) e minimizzando i fattori di rischio. La medicina è, a ben vedere, un tentativo da parte di Homo sapiens di modificare e l’uomo e l’ambiente. È uno strumento che intende, per sua natura, modificare gli equilibri ecologici, accelerandone il cambiamento verso una precisa direzione. È uno


nessun uomo è un’isola. le nuove responsabilità verso l’ambiente

strumento legittimo, che va utilizzato con senso di responsabilità, sulla base non solo di un principio di precauzione, ma anche e soprattutto sulla base di un principio di razionalità: evitare di tagliare il ramo dell’albero su cui si è seduti. Cittadinanza scientifica. Tutto questo richiama in maniera potente, persino prepotente, il concetto di cittadinanza scientifica. L’uomo, infatti, sta accelerando i cambiamenti dell’ambiente in cui vive non solo attraverso i mezzi, tutto sommato modesti, della sua medicina, ma anche e soprattutto attraverso i mezzi, ben più corposi e invadenti, della sua economia. Con lo sviluppo dell’economia industriale abbiamo iniziato a usare una quantità inusitata di materia e di energia e a produrre una quantità inusitata di materia ed energia di scarto, interferendo così con i cicli biogeochimici a scala planetaria. Homo sapiens è diventato un attore ecologico globale, capace di influire in maniera rilevante sia sul clima sia sulla biodiversità del pianeta. Questo ci richiama a una declinazione inedita del principio di razionalità: evitare di tagliare non solo il ramo dove siamo seduti, ma l’intero albero. Tuttavia questa condizione non è nuova, in assoluto. Anche nella transizione dall’economia basata sulla raccolta e sulla caccia all’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento l’uomo ha prodotto modificazioni dell’ambiente su scala globale. La vera novità della nostra epoca è un’altra: oggi, a differenza dei primi agricoltori, abbiamo una “coscienza enorme” del nostro nuovo ruolo ecologico. E una parte rilevante di questa “coscienza enorme” ci deriva dalla conoscenza scientifica. Questa “coscienza enorme” apre a nuove responsabilità, individuali e collettive. Sappiamo quali sono le conseguenze delle nostre azioni e sappiamo, almeno a grana grossa, come agire per costruire un futuro desiderabile. Naturalmente la scienza e, soprattutto, la tecnologia possono essere (e troppo spesso sono) utilizzate per distruggere o, almeno, disseminare di ostacoli il cammino verso un futuro desiderabile. L’applicazione del principio di razionalità ci suggerisce dunque di utilizzare fino in fondo le potenzialità della “coscienza enorme”. Il che significa, essenzialmente: la conoscenza scientifica (la “coscienza enorme”) deve essere accessibile a tutti, affinché tutti possano esercitare in piena consapevolezza e dunque

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in piena libertà la propria responsabilità ecologica, costruendo il proprio benessere (quindi la propria salute) individuale, il benessere dell’intera società e salvaguardando il benessere delle generazioni future. È sulla base di questi inediti diritti di “cittadinanza scientifica” che si possono stabilire nuovi rapporti tra salute e ambiente. Questa è la matrice culturale che innerva il libro di Luca Carra e Margherita Fronte: con completezza, rigore e chiarezza i due autori fanno emergere sia la complessità sia la dimensione coevolutiva dei rapporti tra la salute ambiente e ci richiamano tutti a esercitare fino in fondo i nostri diritti di cittadinanza scientifica, per costruire un futuro desiderabile sulla base di un principio di razionalità. Buona lettura. Pietro Greco Giornalista scientifico e scrittore Fondazione IDIS-Città della Scienza di Napoli


perdita del paesaggio, malattia dell’anima di Paolo Vineis

Polveri & veleni. Viaggio tra salute e ambiente in Italia, di Luca Carra e Margherita Fronte, è un libro prezioso, perché sintetizza in modo rigoroso e completo un numero molto elevato di informazioni sullo stato del nostro ambiente. Messe una dietro l’altra, queste informazioni sono indubbiamente impressionanti, e testimoniano come incuria, indifferenza e illegalità – oltre che uno sviluppo economico ispirato all’accumulo più che alla qualità – abbiano avuto un effetto devastante sull’ambiente italiano, consegnando alle nuove generazioni un territorio fortemente degradato. Il libro mi ricorda un’altra lettura di quest’estate, anch’essa ben documentata e impietosa, Patria 1978-2008 di Enrico Deaglio (Il Saggiatore 2009). Le somiglianze non sono probabilmente casuali, e una lettura parallela potrebbe essere illuminante. Deaglio mostra infatti l’intreccio tra la mafia, il potere politico, le logge massoniche e una parte (quanta parte?) del grande capitalismo italiano, dai Gardini ai Pesenti. Le soluzioni facili, le scorciatoie utilizzate per disfarsi di politici scomodi, di scorie industriali o di sindacalisti petulanti rispondono infatti alle stesse logiche sommarie. Quanto siamo lontani da ciò che l’Italia avrebbe potuto essere con altri politici e altri imprenditori, come Adriano Olivetti. Il libro di Deaglio soprattutto denuncia, come anche il recente Il partito del cemento di Marco Preve e Ferruccio Sansa (Chiarelettere, 2008), il fatto che gli affari dell’industria cementiera si sono intrecciati con quelli della mafia e della camorra, con l’appoggio della politica, per fare dell’Italia il paese al mondo con il maggiore rapporto tra cemento e abitanti.


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Il volume di Carra e Fronte è sufficientemente completo e argomentato per non richiedere ulteriori commenti. Ma c’è un aspetto che viene trattato negli ultimi capitoli, che è quello del degrado del paesaggio e delle conseguenze che questo ha sul piano simbolico e psicologico, che merita un commento. Le persone anziane vedono continuamente la realtà intorno a loro erodersi, i campi sparire o rimanere abbandonati e incolti, i ricordi (visivi, sonori, olfattivi) sfumare, corrompersi, svanire. La perdita del paesaggio è la perdita di una parte di ciascuno di noi, ed è anche una questione di classe: i ricchi possono “comprare” i paesaggi, come minimo permettendosi di viaggiare in posti ameni. Si può obiettare che è naturale che il mondo cambi: lo “sviluppo” ha molte ricadute positive, il paesaggio non è più naturale (per esempio nella Pianura Padana) da millenni, e così via. La contro-obiezione è che nessun cambiamento è innocente. Il rimodellamento del paesaggio non è causale e neutro dal punto di vista dei significati che veicola, del mondo che crea, degli individui che contribuisce a plasmare. Per esempio, possiamo chiederci se il degradarsi dell’estetica ambientale e della qualità degli oggetti non sia anche all’origine di problemi psichici come la depressione. La standardizzazione verso il basso sembra spesso la norma. Quando mi muovo in treno per l’Italia penso ai vecchi bar delle stazioni: al di là di ogni atteggiamento nostalgico, essi erano molto connotati e diversi l’uno dall’altro (essendo a gestione familiare), erano luoghi significativi, che potevano riservare sorprese e consentire incontri interessanti (un rimando letterario: Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino). O era semplicemente gradevole sedersi a un tavolino e leggere un libro in un ambiente con luci deboli e un rumore di sottofondo costituito solamente dalle conversazioni dei clienti. Magari alle pareti c’era qualche vecchia foto che destava la curiosità. Oggi i bar delle stazioni e degli aeroporti sono tutti ispirati al modello McDonald’s, e non viene voglia di soffermarcisi, se non per “espletare una funzione fisiologica”: le luci sono da camera operatoria, i colori violenti, la musica spesso assordante (consiglio il self-service di Fiumicino, partenze internazionali). Ed è improbabile farvi incontri significativi. Come è dunque l’ambiente che l’industria del cemento, i pubblicitari e


perdita del paesaggio, malattia dell’anima

il complesso industriale-mediatico hanno creato intorno a noi? È un universo fatto di rumore, del chiacchiericcio continuo e infantilizzante delle radio private, di cui non riusciamo a liberarci nella metropolitana, in taxi, nei bar, alla stazione, al ristorante. Non solo il verde, ma anche il silenzio è diventato bene prezioso, “esclusivo”, di classe. E poi c’è la pubblicità pervasiva, onnipresente, che oscura molti dei meravigliosi paesaggi italiani. Prendiamo un comune della tanto celebrata Padania. Non conosco il sindaco di Romagnano Sesia – né pretendo che legga questo libro –, ma prendo questo comune come esempio di tanti della Pianura Padana. Se uscite dall’autostrada a Ghemme, là dove pochi anni fa c’erano colline e vigneti sorge una delle tante aree destinate a outlet, numerosi chilometri di capannoni senza stile, tristissimi ma pretenziosi alberghi, bar per motociclisti, e una sequenza talmente densa di cartelli pubblicitari da risultare illeggibili. Lo stesso paesaggio vi si presenta se fate inversione di marcia e viaggiate tra Borgomanero e il Lago d’Orta. Che cosa ci ricorda tutto questo? So di esagerare, ma io lo associo con il grado di mercificazione cui si è ridotto il nostro paese. Questa è in realtà la tesi di James Hillman, sofisticato psicanalista junghiano: molti dei problemi psicologici della modernità nascono non necessariamente da turbe infantili, ma dalla cattiva qualità dell’ambiente – inteso in senso lato –, dalla sua “povertà simbolica”, dall’assenza di senso che veicola. Secondo Hillman la nostra – quella della società dei consumi – è una “vana fuga dagli dèi”, nel senso che tutti abbiamo bisogno di un “ordine simbolico” le cui origini risalgono all’alba dell’umanità e al suo rapporto con la natura. Pensiamo al senso di armonia trasmesso dall’arte del Rinascimento e ai molteplici significati che esprimeva: nella sola Primavera di Botticelli ci sono ben 500 tipi di piante e fiori, ciascuno con i suoi rimandi simbolici. È una pura illusione fare a meno di questi simbolismi, pensare di sostituirli con i “neutri” oggetti di consumo. Gli oggetti non sono neutri, ma veicolano a loro volta specifici significati e simbolismi. Non intendo dire che dobbiamo fissarci a un passato remoto (non esistono età dell’oro), ma che non possiamo pensare che le trasformazioni dell’ambiente e del paesaggio siano neutre, senza conseguen-

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ze per il “tipo di uomini e donne che vogliamo essere”. A dimostrazione della non-innocenza dei cambiamenti estetici, la brillante analisi di John Berger in Ways of Seeing (Penguin Books, Londra, 1972) mostra le metamorfosi estetiche e simboliche dalla pittura fiamminga al design industriale e alla pubblicità. Secondo Berger la pittura fiamminga esprime l’individualismo borghese nella sua massima espressione. La successiva origine della democrazia moderna, e il fatto che il processo di democratizzazione si sia fermato a metà strada (quanto appare vera oggi questa predizione), ha fatto dell’invidia il sentimento più diffuso, un vero motore dello sviluppo: il perseguimento della felicità personale è stato riconosciuto come diritto universale, e porta anche innegabili vantaggi alla crescita economica. Ma la felicità universale non può esistere, tanto meno nell’attuale sistema economico. Ecco allora l’invidia, la contraddizione tra ciò che l’individuo è e ciò che vorrebbe essere. “Nei suoi sogni a occhi aperti il lavoratore passivo diviene un consumatore attivo”, sogna di realizzare attraverso i consumi quella felicità che la pubblicità (la televisione) gli propone. “La pubblicità trasforma il consumo in un sostituto della democrazia… il capitalismo sopravvive in quanto obbliga ciascuno a definire i propri interessi nel modo più ristretto possibile, e questo viene realizzato imponendo un falso standard di ciò che è e ciò che non è desiderabile”. L’analisi stilistica della pittura che diventa pubblicità rivela allora una metamorfosi che è tutt’altro che neutra e innocente. Il soggetto è spesso molto simile: un uomo bello e ricco che si compiace dei beni che ha accumulato, ma a un esame più attento i significati sono molto diversi, quasi opposti. Il quadro fiammingo rappresenta infatti il borghese che si rivolge ad altri borghesi e mostra le proprie ricchezze, la solidità della propria casa, il senso di un’esistenza in cui le acquisizioni terrene rimandano a una grazia ottenuta attraverso le opere, a un significato che trascende gli oggetti rappresentati. Una rappresentazione molto simile nella pubblicità si rivolge alle masse, proponendo loro un consumo effimero ma che crea l’illusione di assimilarsi per un attimo all’esclusività del grande borghese. D’altra parte non solo i beni di consumo sono ricchezze effimere e ben lontane da quelle ricchezze pesanti e reali che il borghese fiammingo accumulava,


perdita del paesaggio, malattia dell’anima

ma sono anche poveri e brutti. Ecco allora, secondo Hillman, il sorgere di nevrosi dovute all’evidente divario tra le attese e la realizzazione concreta (si veda anche James Oliver, Il capitalista egoista, Codice, 2008). Questo filone interpretativo che propongo può essere utile per estendere a un altro fronte, quello della qualità estetica della vita, la battaglia che questo libro propone.

Paolo Vineis Imperial College of Science, Technology and Medicine, Londra

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L’uomo va, sempre e comunque, difeso e l’onere delle prove sta tutto e sempre sulle cose, soprattutto su chi le produce e le immette nell’uso umano, nell’ambiente di vita e in particolare di lavoro. La vita dell’uomo va difesa non solo dai danni ma anche dai rischi, va riparata dai colpi ma anche dalle ombre, se queste proiettano una minaccia di malattia o di morte. Giulio A. Maccacaro, 1924-1977



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