L'Italia del biologico

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L’Italia del biologico

un fenomeno sociale, dal campo alla cittĂ



Roberta Paltrinieri, Stefano Spillare

L’Italia del biologico Un fenomeno sociale, dal campo alla cittĂ


Roberta Paltrinieri, Stefano Spillare l’italia del biologico un fenomeno sociale, dal campo alla città realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale:  Diego Tavazzi progetto grafico:  GrafCo3 Milano impaginazione:  Roberto Gurdo

© 2015, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o qualsiasi supporto senza il permesso scritto dell’Editore ISBN 978-88-6627-140-6 Finito di stampare nel mese di maggio 2015 presso GECA S.r.l., San Giuliano Milanese (Mi) Stampato in Italia – Printed in Italy i siti di edizioni ambiente

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sommario

introduzione

7

1. contro la modernità: lo sviluppo dell’agricoltura biologica

11

2. dalla nicchia al successo di mercato: i numeri del biologico oggi

29

3. il riscatto del biologico nella tarda-modernità: società del rischio e consumo critico

45

4. nuove sfide e il futuro dell’agricoltura

63

5. il ruolo dell’agricoltura biologica nella sostenibilità ambientale

75

6. processi di standardizzazione dell’agricoltura biologica

85

7. l’altra economia del biologico: cibo, relazione, significati e territori

103

8. agricoltura biologica e civic engagement

137

9. considerazioni conclusive

157

note

165

bibliografia

181



introduzione

Il modello di sviluppo che ha finora sorretto un ideale di benessere sproporzionato rispetto alle capacità fisiche del pianeta sta mostrando tutti i suoi limiti, e lo sviluppo tecnologico continua a lanciare ombre inquietanti sul futuro dell’agricoltura e sul benessere di tutti noi. Il processo di modernizzazione ha finito per minare nel tempo la fiducia nella tecnocrazia e nel progresso, almeno così come lo si è inteso finora, ovvero uno sviluppo schiacciato più sugli aspetti quantitativi che su quelli qualitativi. In agricoltura, la sfida a tale forma di “riduttivismo”, lanciata ormai un secolo fa dal movimento per il biologico, non pare avere ancora esaurito la sua ragion d’essere. Anzi, ormai le stesse istituzioni pubbliche nazionali e transnazionali si fanno promotrici di un necessario cambiamento di paradigma, il quale vede al centro proprio l’agricoltura biologica intesa come pratica da incentivare e modello per un’agricoltura che possa essere tutta maggiormente sostenibile. L’obiettivo di uno sviluppo su larga scala dell’agricoltura biologica sembra oggi, in effetti, più alla portata rispetto al passato, in quanto tale modello si affida dal punto di vista istituzionale a solide politiche transnazionali, mentre da quello economico è retto da una domanda crescente che vede nei consumatori l’altro asse di un’uscita tendenziale dalla nicchia in cui per lungo tempo è stato confinato. Grazie infatti agli interventi normativi delle istituzioni pubbliche è stato possibile uniformare gli standard rafforzando la riconoscibilità dei prodotti, e ciò ha contribuito in maniera determinante a far crescere un mercato che, anche in tempi di crisi economica, mostra risultati in netta controtendenza rispetto al più generale comparto alimentare. Sempre meno sostenuto artificiosamente da sovvenzioni pubbliche, il settore dell’agricoltura biologica, sorretto da una maggiore domanda, tende ad accrescere la propria autonomia sui mercati. Ciò accade perché la trasparenza dei prodotti ha incontrato (e in qualche modo alimentato) un atteggiamento dei


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l’italia del biologico

consumatori non più esclusivamente incentrato al sé, bensì sempre più attento anche agli altri e al mondo, determinando un comportamento d’acquisto più responsabile. Tale atteggiamento è alimentato soprattutto da fattori strutturali e sistemici, ovvero dalla crescente evidenza dei rischi e delle interrelazioni tra i diversi ambiti della società contemporanea a livello ormai globale. Si tratta dei limiti dell’attuale modello di sviluppo che tendono a riportare la dimensione etica e l’azione politica all’interno delle dinamiche stesse di consumo. Il biologico, in questo senso, lungi dall’essere una moda passeggera, tende a incontrare spontaneamente esigenze emergenti e strutturali dei cosiddetti “consumatori critici”. Si tratta di quei consumatori attenti, competenti ed esigenti che non subiscono più in modo passivo le seduzioni commerciali e non si accontentano più solo del prezzo basso a ogni costo, ma cercano nei prodotti e nei produttori un rapporto di fiducia e trasparenza in un’ottica tanto di salubrità del prodotto, quanto di una dimensione etica più ampia, che arrivi ad abbracciare l’intera collettività. Da questo punto di vista, l’agricoltura biologica, oltre a una maggiore salubrità dei prodotti, presenta anche una maggiore sostenibilità ambientale, la quale, assieme al crescente successo di mercato, sembra identificarla quale modello ideale della cosiddetta green economy, un’economia capace di buone performance economiche nel rispetto degli equilibri ecosistemici e sociali. Nell’agricoltura biologica, infatti, le esigenze di sostenibilità si conciliano con un sistema business as usual in modo che il cambiamento ecologico possa essere ricompreso all’interno di un orizzonte di sostanziale tenuta delle esigenze dei sistemi economici e di approvvigionamento vigenti. Questo processo, tuttavia, non è del tutto indolore in quanto la crescente domanda e l’esigenza della produzione di stare al passo costringe il comparto biologico a una serie di compromessi con le esigenze del mercato, in particolare con esigenze produttive e distributive sempre più massificate. Al prender piede di quello che Michael Pollan (Pollan 2008) definisce “Big Organic”, un sistema biologico sostanzialmente industriale, corrisponde quindi una sorta di seconda ondata reattiva, che si pone l’obiettivo di andare “oltre il biologico”, e non solo dal punto di vista delle pratiche agroecologiche. Uno degli elementi critici riguarda, per esempio, l’ingresso del biologico nel circuito agroalimentare globale, un fatto che, a detta di molti, sottrarrebbe quell’elemento localistico considerato implicito nei valori dell’agricoltura biologica. Come scrive infatti Cinzia Scaffidi, di Slow Food: “Possono essere biologiche le produzioni massive che necessitano poi di grandi esportatori o comunque di una distribuzione di larga scala? Se il biologico riduce il suo sguardo al mero ‘prodotto senza residui’, non sta in realtà tradendo il suo stesso nome? Posso-


introduzione

no essere biologiche le produzioni di un’azienda che, con un altro ramo di investimenti, inquina e ammala il terreno? Non possono. E se una cosa dobbiamo fare, come cittadini, è sorvegliare affinché non ci rubino le parole. Perché se ce le rubano, ci rubano la possibilità di dire e di capire” (Scaffidi 2014, p. 31). Questo appello ai cittadini, che è anche un appello ai consumatori – o meglio ai nuovi “cittadini-consumatori” – si traduce, in concreto, in una svolta verso la qualità, intesa non solo come salubrità del cibo che mangiamo (garantita dai protocolli di certificazione biologica), ma anche come recupero delle identità e delle specificità dei territori locali, come impegno sociale e ambientale, come passione per la terra e per il lavoro che vi si svolge. Un approccio che, inevitabilmente, passa per il recupero di uno degli elementi da sempre impliciti nei valori dell’agricoltura biologica, ovvero la relazione, la socialità, la fiducia. La manifestazione di questo elemento implicito, impossibile da razionalizzare in procedure e standard, ricomprende nell’alveo dell’agricoltura biologica una serie di pratiche accomunate tanto dall’elemento agricolo quanto da quello sociale. L’agricoltura viene intesa in questo senso soprattutto come prossimità e socialità, ovvero come localismo e comunità. Da questo punto di vista, pur a scapito di un certo rigore normativo, viene recuperata quella specifica “gravità” che, nonostante i processi di globalizzazione in atto, vede ancora i prodotti dell’agricoltura necessariamente legati alla terra e al territorio locale, il quale può divenire (nuovamente) il principio e il punto di partenza per una risposta alle contraddizioni del nostro tempo. Questo lavoro di ricerca si inserisce all’interno del percorso di studio e delle attività svolte dal ces.co.com, Centro studi avanzati sul consumo e la comunicazione dell’Alma Mater Studiorum-Università degli studi di Bologna. Un particolare ringraziamento ai collaboratori del ces.co.com Piergiorgio Degli Esposti, Lucia Marciante e Umberto Mezzacapo, con i quali condividiamo quotidianamente il nostro lavoro. Questo libro è dedicato a Evelyn, Eleonora e Francesco Nunzio, a cui toccherà la vera sfida del futuro. Bologna, dicembre 2014 I capitoli 2, 7 ed 8 sono da attribuire a Roberta Paltrinieri, mentre i capitoli 1, 3, 4, 5, 6 sono stati scritti da Stefano Spillare. L’introduzione e la conclusione sono il frutto di una scrittura condivisa.

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2. dalla nicchia al successo di mercato: i numeri del biologico oggi

“Il mondo del biologico non deve essere considerato un fenomeno riservato a pochi operatori del settore, ma deve entrare a pieno titolo nell’agricoltura moderna, ponendosi come modello di sviluppo economicamente valido per tutto il mondo rurale italiano.” Luca Bellotti, Comitato biologico mi.pa.f., sana 2002 La storia del movimento biologico è iniziata come una reazione ai cambiamenti portati dalla modernità, quasi il risvolto agricolo di quel movimento culturale più ampio che è nato e sempre si è mosso in parallelo al dirompente sviluppo delle forze modernizzatrici. Già Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, aveva sottolineato come sviluppi sociali troppo repentini o rivoluzionari, quali sicuramente i fenomeni di modernizzazione, portassero negli individui a manifestazioni di “anomia”, ovvero alla perdita di riferimenti valoriali, culturali e sociali certi e sicuri o almeno tali da poter indirizzare l’azione e i comportamenti degli individui in società. Di fronte a tali sentimenti e a tale smarrimento le reazioni degli individui possono essere molteplici, anche se fondamentalmente possono essere ricondotte a reazioni di natura soggettiva, quali la devianza o il suicidio (definito in questo caso da Durkheim per l’appunto “suicidio anomico”), oppure di natura collettiva, come l’insorgere di moti reazionari volti a frenare il cambiamento e ripristinare lo status quo, oppure, in termini più propositivi, l’insorgere di nuovi tentativi di sintesi, con la definizione di nuovi orizzonti di azione e sviluppo. Si tratta, in quest’ultimo caso, del sorgere dei movimenti “progressisti”, cioè di movimenti che, in qualche misura, accolgono criticamente il cambiamento, cioè nei termini delle alternative possibili. Crediamo sia dunque in questa chiave che vadano letti il sorgere e lo svilup-


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l’italia del biologico

parsi del movimento biologico, un movimento certamente agricolo, ma anche e soprattutto culturale, sociale e finanche politico. Il movimento biologico, infatti, è sempre stato un movimento cultural-pratico capace di autoriflessione, ovvero capace di interrogarsi costantemente sulla propria natura e sulle proprie finalità, cercando sempre di tradurre tali considerazioni in pratiche agricole concrete. Lo stesso sviluppo dei disciplinari e delle certificazioni riflette, d’altronde, questo impegno nella definizione di standard operativi precisi, chiari e, alla fine, sempre più condivisi. Proprio questa operazione definitoria, di trasparenza e uniformazione, ha contribuito al crescente successo dell’agricoltura biologica sui mercati, incontrando contemporaneamente una crescente sensibilità tra i consumatori, alimentata non solo dal proselitismo della nuova cultura agroalimentare legata al biologico ma anche, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, dai risvolti più recenti del processo di modernizzazione, in risposta al quale il movimento per il biologico nacque e si sviluppò. Dalle sue origini a oggi tanto la produzione biologica quanto il giro d’affari dei suoi prodotti sui mercati addirittura internazionali sono cresciuti costantemente, rappresentando ormai uno scenario economico di sicuro interesse nel panorama agroalimentare mondiale. In questo capitolo, anch’esso in qualche modo di natura introduttiva, forniremo quindi alcuni dati proprio in merito alla recente crescita economica (e non solo) del comparto biologico, tratteggiando anche alcune considerazioni di carattere generale che ci permetteranno di cogliere in maniera più appropriata la dimensione del fenomeno.

2.1 lo sviluppo del mercato biologico a livello globale Lo sviluppo del settore biologico sembra inarrestabile e il mercato dei prodotti biologici ha mostrato in tutti i paesi una sana crescita che si prevede continuerà anche per gli anni a venire. A dirlo sono i numeri: alla volta del nuovo millennio, in soli dieci anni, il giro d’affari globale di cibi e bevande biologiche è più che triplicato, passando dai 17,9 miliardi di dollari del 2000 ai 59 miliardi di dollari del 2010. Arrivati poi a oltre 64 miliardi nel 2012.1 Dal punto di vista dell’estensione territoriale, le aree coltivate in maniera biologica a livello mondiale coprono una superficie di circa 37,5 milioni di ettari (incluse le aree in conversione) e i dati più recenti, relativi al 2012, hanno registrato un aumento complessivo di circa 0,2 milioni di ettari, equivalenti allo 0,5%, un incremento che ha riguardato soprattutto l’Europa e l’Africa. Stiamo


2. dalla nicchia al successo di mercato: i numeri del biologico oggi

figura 1

crescita del mercato globale di bevande e alimenti biologici, 2000-2012

70

Miliardi di dollari usa

60 50 40 30 20 10 0

2000

2004

2008

2012

Fonte: Organic Monitor 2014.

America settentrionale

6,9

3,2

0,05

30

11,2

aree agricole (in milioni di ettari) coltivate in maniera biologica e altre aree (2012) 10,7

figura 2

Asia

America Latina

1,1

2,9

6,8

11,2

9,6

Europa

Africa Oceania

Terreni agricoli Altre aree (aree selvagge, apicoltura, acquacoltura, foreste, pascolo, terreni non agricoli)

Fonte: fibl-ifoam, 2014.

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l’italia del biologico

ancora parlando di poco meno dell’1% dei terreni agricoli mondiali, ai quali vanno aggiunte le superfici destinate all’acquacoltura, le foreste e i pascoli, ovvero le aree non destinate direttamente all’agricoltura, con le quali è possibile conteggiare un totale di circa 69 milioni di ettari dedicati, in diverso modo, al comparto biologico. A questa estensione di superfici agricole corrispondono all’incirca 1,9 milioni di produttori (al 2012), concentrati soprattutto in Asia (36%), Africa (30%) ed Europa (17%). Questi dati confermano che un terzo dei terreni coltivati in maniera biologica (10,8 milioni di ettari) e più dell’80% dei produttori si trovano nei paesi sviluppati e nei mercati emergenti. Balza subito agli occhi il dato di fatto di una produzione e di un mercato biologici in grande espansione in tutto il mondo, con dinamiche e interdipendenze ormai globali. La globalizzazione dei mercati, infatti, non ha risparmiato il settore dell’agricoltura biologica, creando, anche in questo caso, alcune disparità e squilibri, i quali riguardano, per esempio, la persistenza di numerosi standard differenti. Ciò comporta che i mercati più sviluppati, oppure quelli che hanno una lunga storia di scambi commerciali e maggiori affinità culturali o linguistiche, siano chiaramente anche i più avvantaggiati dal punto di vista degli accordi commerciali. Nel 2012, per esempio, Unione europea e Stati Uniti d’America hanno aperto i negoziati per uno storico accordo in merito proprio alla reciproca compatibilità degli standard commerciali (e non), compresi quelli riguardanti l’agricoltura biologica. Chiaramente gli altri paesi rimangono fuori da tali accordi e i produttori di Asia, America Latina e Africa potrebbero avere così molte più difficoltà ad accedere ai mercati di esportazione. In termini generali, nella ridefinizione degli equilibri economici globali, i paesi meno sviluppati, ma anche molte delle economie emergenti, basano la loro strategia economica sulle esportazioni piuttosto che su un mercato interno spesso ancora poco sviluppato. Un esempio paradigmatico è la Cina, la quale, cavalcando la globalizzazione economica in atto, ha inondato i paesi occidentali di ogni genere di prodotto a basso costo. Infatti, nella ridefinizione degli assetti economici globali, gran parte della produzione in tutti i settori tende a ri-orientarsi verso paesi in via di sviluppo, nei quali il costo del lavoro è decisamente inferiore. Tale riorganizzazione economica, operata su scala mondiale, riguarda la definizione geoeconomica delle nuove grandi aree produttive globali, concentrate prevalentemente nei cosiddetti “paesi emergenti”, nei quali si assiste a un forte sviluppo soprattutto dei settori primario (agricoltura) e secondario (industria), in opposizione ad altre grandi aree geoeconomiche votate prevalentemente al consumo e a un’economia legata al commercio, ai servizi e al terziario avanzato.


2. dalla nicchia al successo di mercato: i numeri del biologico oggi

Questo stato di cose sottende spesso anche il rifiorire di quella che l’economista italiana Loretta Napoleoni ha definito “economia canaglia” (Napoleoni 2009), un’economia aggressiva e sregolata che mette a repentaglio i diritti umani con fenomeni di sfruttamento del lavoro a volte al limite dello schiavismo. Ebbene, tali fenomeni rischiano di compromettere anche il settore del biologico, anche se tale comparto sembra in grado di proteggersi meglio di altri per via dello sviluppo produttivo che ha avuto e sta avendo proprio nei paesi occidentali, i quali stanno procedendo a una progressiva riconversione della propria agricoltura e si sono dotati, almeno nel caso dell’Unione europea, di precisi controlli in merito all’equivalenza delle certificazioni per quanto riguarda le importazioni da paesi esterni all’Unione. Inoltre, l’acquisto biologico è spesso connesso anche a fenomeni di valorizzazione locale, i quali sottendono un’attenzione particolare da parte del consumatore in merito alla provenienza del prodotto, oltre a un’attenzione generale per l’eticità nel consumo.2 Ciononostante, e questo rappresenta un altro fattore di grande squilibrio, resta il fatto che molti paesi si caratterizzano come grandi consumatori di prodotti biologici prima ancora che come grandi produttori, con il risultato che una domanda crescente in questi paesi finirà per stimolare inevitabilmente le importazioni. Inoltre, la necessità di assicurare dinamiche di prezzo adeguate a fasce sempre più ampie di popolazione potrebbe favorire un gioco al ribasso, sia dal punto di vista della qualità dei prodotti, sia da quello delle condizioni di lavoro e produzione.3 Tanto più che le maggiori colture permanenti nell’ambito dell’agricoltura biologica riguardano prodotti esotici come il caffè (che, con 0,64 milioni di ettari, copre da solo circa un quinto delle terre coltivate in regime di agricoltura biologica) o il cacao (0,26 milioni di ettari). In questo senso, i sistemi internazionali di fair trade, ovvero quei sistemi di commercio mondiale equo e solidale che attraverso il consumo promuovono il rispetto dei diritti dei lavoratori locali, stanno facilitando la riconversione al biologico dell’agricoltura locale di paesi come l’India, l’Uganda e il Messico, tanto per citare i primi tre paesi al mondo per numero di aziende agricole biologiche. All’interno di un approccio etico generale al consumo, queste associazioni garantiscono giusti compensi per il lavoro e condizioni di esistenza dignitose alle piccole o medie aziende agricole che scelgono un approccio più sostenibile all’agricoltura. La certificazione biologica, in questo senso, si pone come una certificazione etica inerente la produzione agricola che riesce a veicolare facilmente anche un approccio etico complessivo, in quanto, pur in un panorama nel quale si stanno moltiplicando velocemente le certificazioni ecologiche riguardanti cibo e sostenibilità dei metodi di produzione, la certificazione biologica rimane sicuramente una delle più note e rassicuranti per i consumatori.

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l’italia del biologico

Un’indagine oecd del 2008 sui comportamenti dei consumatori e dei cittadini in ambito ambientale condotta in dieci paesi sviluppati di quattro diversi continenti ha fatto emergere una forte penetrazione dei prodotti biologici nella spesa media delle famiglie: oltre l’80% degli svedesi intervistati e oltre il 70% degli italiani e dei norvegesi affermavano di consumare frutta e verdura biologiche, e anche per gli altri paesi, tale percentuale non scendeva mai sotto il 55% (valore minimo riferito ai Paesi Bassi).4 Anche a fronte di una crisi economica e finanziaria mondiale esplosa con virulenza a partire proprio dal 2008, negli ultimi anni il comparto biologico ha continuato la sua crescita, e lo ha fatto proprio in quelle aree geografiche che hanno risentito maggiormente della stagnazione dei consumi, ovvero il Nord America e l’Europa, economie che rappresentano da sole il 96% del suo fatturato globale (più precisamente, i paesi che mostrano le migliori performance di mercato sono gli Stati Uniti, la Germania e la Francia, mentre il maggiore consumo pro capite di prodotti biologici si registra in Svizzera, Danimarca e Lussemburgo). Il fatto che tali consumi non si siano arrestati ma anzi abbiano continuato a crescere anche durante la fase recessiva, a dispetto di altri consumi alimentari, indica evidentemente un diverso e consolidato approccio dei consumatori al cibo e alle scelte alimentari. I mercati dove il biologico cresce di più, infatti, sono in prevalenza i paesi occidentali industrializzati, nei quali le conseguenze di un modello di sviluppo insostenibile si fanno sentire di più e in cui di conseguenza si manifesta una maggiore sensibilità dei consumatori, i quali, in tutta risposta, scelgono in numero crescente i prodotti biologici, favorendo modelli produttivi ritenuti alternativi. Mentre la dinamica domanda-offerta fa la sua parte nei mercati, l’incentivazione pubblica, per esempio da parte delle politiche comunitarie europee, favorisce e accelera ulteriormente la riconversione agricola in queste aree,5 facendo crescere le percentuali di terreni coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biologica nelle stesse aree di consumo. Tuttavia, permane a livello globale una forte disparità tra domanda e offerta, disparità tale da porre seriamente il problema del cosiddetto “green glass ceiling” (letteralmente “tetto di vetro verde”), termine con il quale si vuole indicare il fatto che i consumi di prodotti biologici o ecologici in generale riguardano ancora una porzione relativamente piccola di persone, concentrate in poche regioni del mondo, in particolare nei paesi più ricchi e sviluppati (Willer, Leroud 2014). Questo stato di cose è spesso visto come un impedimento allo sviluppo sostanziale dell’agricoltura biologica e al definitivo raggiungimento di una condizione mainstream del comparto.


2. dalla nicchia al successo di mercato: i numeri del biologico oggi

figura 3

i 10 paesi con i consumi pro capite piĂš elevati (2012)

Svizzera

189

Danimarca

159

Lussemburgo

143

Liechtenstein

129

Austria

127

Svezia

95

Germania

86

USA

72

Canada

62

Francia

61 0

50

100

150

200

Fonte: FIBL-AMI , Organic Data Network Survey 2014, su dati di enti governativi, settore privato e societĂ di ricerche di mercato.

figura 4

i primi 10 mercati per il cibo biologico

USA

22.590

Germania

7.040

Francia

4.004

Canada

2.136

Regno Unito

1.950

Italia

1.885

Svizzera

1.520

Austria (2011)

1.065

Giappone

1.000

Spagna

998 0

5.000

10.000 15.000 20.000 Vendite al dettaglio in milioni di euro

Fonte: FIBL-AMI , Organic Data Network Survey 2014.

25.000

35




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