Nucleare

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NUCLEARE: A CHI CONVIENE?

LE TECNOLOGIE, I RISCHI, I COSTI



GIANNI MATTIOLI MASSIMO SCALIA NUCLEARE: A CHI CONVIENE? Le tecnologie, i rischi, i costi Introduzione di Gianni Silvestrini Postfazione di Marcello Cini kyoto books

Edizioni Ambiente


Gianni Mattioli e Massimo Scalia NUCLEARE: A CHI CONVIENE? le tecnologie, i rischi, i costi realizzazione editoriale

Edizioni Ambiente srl www.edizioniambiente.it

coordinamento redazionale

Paola Cristina Fraschini

progetto grafico: GrafCo3 Milano impaginazione: Roberto Gurdo

© 2010, Edizioni Ambiente via Natale Battaglia 10, 20127 Milano tel. 02.45487277, fax 02.45487333 ISBN 978-88-96238-20-2

Finito di stampare nel mese di novembre 2010 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (Pg) Stampato in Italia – Printed in Italy Questo libro è stampato su carta riciclata 100% i siti di edizioni ambiente

www.edizioniambiente.it www.nextville.it www.reteambiente.it www.verdenero.it

I Kyoto Books sono frutto della collaborazione tra Kyoto Club ed Edizioni Ambiente. Scritti dagli esperti che fanno riferimento al comitato scientifico di Kyoto Club, intendono promuovere lo sviluppo di una consapevolezza diffusa in merito alle maggiori tematiche ambientali.


sommario

introduzione di Gianni Silvestrini premessa

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0. abrupt climate change

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1. la storia passata

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0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8

1.1 1.2

Introduzione: fenomenologia I cambiamenti climatici L’effetto serra Il dibattito scientifico sul clima Il nuovo paradigma Dalla stabilità all’instabilità climatica. La causa “antropica” L’iniziativa politica La rivoluzione energetica

La vicenda nucleare italiana Dopo Chernobyl

2. l’energia nucleare: elementi essenziali

2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10 2.11 2.12

Nuclidi e isotopi Radioattività – radiazioni ionizzanti Reazioni nucleari Uranio naturale Condizioni di criticità. Moderatore Arricchimento dell’uranio Reattori autofertilizzanti. Reattori veloci I reattori “provati” Ritrattamento del combustibile Lo smantellamento dei reattori I rifiuti radioattivi La questione della sicurezza

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l’energia nucleare è pulita? 3.1 Introduzione 3.2 Il ciclo del combustibile nucleare: lavorazioni a rischio salute 3.3 Effetti biologici e rischi sanitari connessi con le radiazioni 3.4 Il “protocollo” Icrp 3.5 Tumori infantili e trasparenza delle istituzioni 3.

4.

allora: quanto costa il kwh nucleare?

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5.

quale futuro per l’energia nucleare? 5.1 La situazione 5.2 Una prospettiva di energia abbondante 5.3 I reattori innovativi 5.4 Generation IV 5.5 Proliferazione e terrorismo 5.6 Un’esperienza industriale in declino

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6.

conclusioni: allora, che cosa fare? 6.1 Se non il nucleare, che cosa? 6.2 La strategia comunitaria 6.3 Una prospettiva industriale di qualità 6.4 Scelte alternative 6.5 Il club nucleare. Si farà il nucleare in Italia? 6.6 Rivoluzione energetica e green economy. Il sol dell’avvenire? 6.7 La scelta per la sostenibilità

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un libro nel libro

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La preparazione Il comitato per il controllo delle scelte energetiche Il movimento Chernobyl, 26 aprile 1986

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postfazione di Marcello Cini

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riferimenti bibliografici

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sapere scientifico e movimento popolare: breve storia del movimento antinucleare italiano

Nel testo sono riportati tra parentesi i rimandi bibliografici. Sono da leggersi così, esempio: “(B.P.1)” B indica la bibliografia, P indica la premessa (o numero del capitolo), la cifra finale indica il numero del volume riportato in bibliografia, che troverete a fondo libro.


introduzione

I destini delle rinnovabili e del nucleare si sono incrociati più volte nella storia italiana. Dopo lo stop all’atomo seguito ai referendum del 1987 l’Italia ha perso un’occasione storica: cambiare radicalmente la propria strategia energetica puntando sul solare e l’eolico, tecnologie che iniziavano proprio allora ad affermarsi in diversi paesi, dalla California alla Danimarca, dal Giappone alla Germania. Se un paese con poche risorse fossili come il nostro avesse abbracciato questa scelta, oggi avremmo un’industria verde in grado di primeggiare nel mondo. Ma ancora più grave e incomprensibile è l’errore dell’ultimo governo Berlusconi. Proprio quando l’onda verde si stava espandendo in tutto il pianeta, con investimenti nella produzione elettrica da rinnovabili ormai superiori a quelli per gli impianti convenzionali, viene proposto un anacronistico ritorno al nucleare. Con il rischio di distrarre risorse economiche e intelligenze che sarebbero necessarie a recuperare il ritardo accumulato nella produzione di tecnologie solari ed eoliche. E tutto ciò per puntare su una scelta priva di prospettive che rischia di farci affondare nelle sabbie mobili di proteste locali, scontri istituzionali, querelles giuridiche... Ma torniamo alla rivoluzione energetica in atto per evidenziarne l’ampiezza. Nel periodo 2004-2009, la potenza eolica e solare installata nel mondo è stata 14 volte superiore alla nuova potenza nucleare. Tenendo presenti poi le variazioni nette nel quinquennio considerato, contando quindi anche gli impianti atomici chiusi definitivamente, il rapporto diventa di 43 a 1.


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Se si concentra l’attenzione sull’Europa il cambiamento in atto emerge in tutta la sua evidenza: lo scorso anno il 63% della nuova potenza elettrica installata infatti era green, con l’eolico al primo posto, il gas al secondo, il fotovoltaico al terzo. Analizzando infine gli scenari ufficiali al 2030 elaborati dalla Commissione europea nell’agosto 2010, si evidenzia una forte crescita della quota di elettricità verde – dal 19 al 36% – e la contemporanea riduzione del nucleare dal 28 al 24%. In questo quadro in forte movimento l’Italia negli ultimi anni è riuscita a ribaltare la posizione di fanalino di coda nelle nuove rinnovabili. Nel 2009 è risultata seconda al mondo per la potenza fotovoltaica installata e sesta per quella eolica. Con una politica intelligente, le nostre imprese potrebbero ritagliarsi uno spazio a livello internazionale nella componentistica degli aerogeneratori, in tecnologie avanzate come il solare a concentrazione, nell’Italian solar design per l’edilizia fotovoltaica. Il programma Industria 2015 lanciato dal precedente governo andava proprio in questa direzione ed è un peccato che ora sia fatto languire. La scelta del nucleare appare invece del tutto velleitaria e ideologica. Mancano completamente le strutture e le competenze che sarebbero necessarie per il suo rilancio. Basti dire che l’Agenzia per la sicurezza nucleare che doveva essere attiva dal novembre 2009, a causa dei conflitti interni al governo ha visto sbloccarsi la nomina di Umberto Veronesi a suo presidente solo nell’ottobre 2010. Inoltre per avere qualche possibilità di successo una tecnologia così complessa e controversa dovrebbe contare su un certo grado di consenso tra la popolazione e le istituzioni locali. Ma i sondaggi indicano un’opinione pubblica spaccata mentre molte Regioni, anche di centro-destra, hanno apertamente manifestato il proprio dissenso. Del resto si riscontra una diffusa diffidenza anche all’estero. Secondo le ultime rilevazioni dell’Eurobarometro solo il 17% dei cittadini della Ue vorrebbe un aumento della produzione nucleare, mentre il 34% preferirebbe una riduzione del suo contributo. Inoltre il 50% degli europei considera il nucleare un’opzione rischiosa, mentre solo il 36% valuta questa soluzione come portatrice di benefici. In Italia queste ultime percentuali sono rispettivamente del 52 e del 22%.


introduzione

Tornando alla scelta dell’opzione nucleare viene spontaneo chiedersi come ci si voglia lanciare in questa avventura se non si è finora stati in grado di identificare un sito per i rifiuti a bassa e media radioattività (non parliamo di quelli la cui pericolosità si estenderà per decine di migliaia di anni). Si tratta di una scelta etica di non poco conto. Lasceremmo alle generazioni future per le prossime centinaia e migliaia di anni un’eredità velenosa. E il fatto che non ci sia un solo paese al mondo che, a oltre mezzo secolo dall’inizio del funzionamento di centrali nucleari, abbia realizzato un cimitero per le scorie ad alta radioattività la dice lunga sulla superficialità con cui ci si è lanciati nello sfruttamento dell’atomo. Infine c’è un elemento decisivo, quello economico, su cui va fatta chiarezza. Uno degli elementi che vengono sbandierati con maggiore forza è la riduzione delle bollette che si otterrebbe grazie a questa tecnologia. Il messaggio che si vuole fare passare è che l’obiettivo del governo (25% nucleare e 25% di rinnovabili al 2030) consentirebbe di eliminare l’attuale gap tra le tariffe elettriche italiane e quelle europee. “Prezzi dell’elettricità europei e quindi più bassi del 25-30%”, “Con il nucleare 11 miliardi di risparmi”, questi alcuni titoli dei giornali. È evidente che per portare le nostre tariffe sui livelli europei, il 25% da fonte nucleare non dovrebbe costare niente; anzi dovrebbe avere un prezzo negativo, considerando che nella tariffa elettrica si conteggiano anche i costi di trasmissione e distribuzione, le tasse ecc. Il nucleare ha invece un costo, molto elevato e crescente. Le ultime stime dell’Energy Outlook 2010 elaborate dal governo Usa indicano per i nuovi reattori in funzione nel 2020 costi dell’elettricità pari a 85 euro/MWh, superiori a quelli dell’eolico, del gas e del carbone. Usando questo valore, il nucleare porterebbe quindi a un aumento e non a una diminuzione delle nostre bollette. In realtà circolano stime anche più alte. Secondo la stessa Associazione italiana nucleare i costi per i reattori attualmente in progetto si collocano tra i 75 e 110 euro/MWh. L’azione di disinformazione presso il grande pubblico passa spacciando con disinvoltura i costi di reattori ammortizzati da trent’anni che si riferiscono solo alle spese di funzionamento dell’impianto con quelli delle nuove centrali che hanno bisogno di enormi capitali per essere costruite.

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In effetti, il tema degli economics è proprio quello su cui è necessario un corretto approfondimento. Una cosa poco nota, per esempio, è che il nucleare, proprio per gli alti costi, ha sempre goduto di incentivi diretti o indiretti. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia gli aiuti per gli impianti esistenti nel mondo equivalgono a un terzo del costo dell’elettricità nucleare prodotta. Il sostegno sarà ancora più importante per i nuovi reattori, più complessi e più costosi. Un’altra verità spesso sottaciuta che accomuna esperienze molto diverse tra loro come il nucleare francese e quello statunitense riguarda l’escalation dei costi. In Francia l’incremento a moneta costante tra i primi e gli ultimi impianti è stato di 3,5 volte. E il reattore francese Epr in costruzione a Olkiluoto, con costi che sono lievitati dai previsti 3 miliardi euro a 5,3 miliardi euro, conferma questa tendenza. Negli Usa la crescita fuori controllo dei costi è stata ancora più incredibile, con un rapporto tra le prime centrali e le ultime di 1 a 6. Questa dinamica perversa ha portato al blocco negli ultimi 25 anni della realizzazione di nuove centrali e ha portato a quello che è considerato il più grande disastro industriale della storia. Questa paradossale learning curve che vede un aumento e non una diminuzione dei costi è attribuibile al costante aumento della complessità della tecnologia. Si tratta di una tendenza opposta a quella delle tecnologie delle fonti rinnovabili che hanno visto una drastica riduzione dei costi nell’ultimo ventennio. Gli scenari futuri vedranno dunque il confronto tra il nucleare, che prevedibilmente avrà sempre maggiori difficoltà, e un mix di tecnologie verdi con costi decrescenti ed efficienze sempre più elevate. In uno scenario nel quale i paesi industrializzati si devono attrezzare per ridurre dell’80% le emissioni climalteranti entro il 2050 queste dinamiche incideranno pesantemente nelle strategie da sviluppare. Non stupisce dunque che nel corso del 2010 siano stati pubblicati diversi studi che fino a qualche tempo fa sarebbero stati considerati eretici: come soddisfare la domanda elettrica europea entro metà secolo con le so-


introduzione

le rinnovabili. Alcuni paesi si stanno peraltro già attrezzando con propri programmi a lungo termine. Così la Germania punta a coprire l’80% della domanda elettrica al 2050 con le energie verdi, mentre la Danimarca intende diventare totalmente fossil free entro la metà del secolo. La tumultuosa crescita prevista per le rinnovabili evidenzia un altro elemento di potenziale conflitto con la presenza di centrali nucleari che per loro natura non sono modulabili e introducono quindi un forte elemento di rigidità al sistema elettrico. In effetti, la Danimarca non ha centrali atomiche, mentre Germania e Spagna puntano a una forte penetrazione delle tecnologie verdi e alla contemporanea progressiva uscita dal nucleare. La stessa Merkel ha sì approvato il prolungamento della vita delle centrali atomiche, ma ha definito questa opzione come “tecnologia di transizione”. Alla luce di queste considerazioni appare paradossale che un paese come il nostro, dotato di un potenziale enorme di fonti rinnovabili, punti a rientrare nel nucleare. Basta analizzare qualche numero per comprendere la vacuità dei programmi italiani. Nel Piano nazionale d’azione sulle rinnovabili inviato lo scorso luglio a Bruxelles si ipotizza una copertura del 29% della domanda elettrica con l’energia verde entro il 2020. Nel decennio successivo questa quota dovrebbe aumentare di 5-10 punti percentuali. Quindi al 2030 ci troveremmo con il 37-42% della domanda elettrica coperta dalle rinnovabili. Un valore ben superiore a quanto ipotizzato dal governo (25%). È chiaro che il 25% di nucleare indicato dal governo Berlusconi si potrebbe ottenere o comprimendo fortemente la crescita delle rinnovabili o sottoutilizzando gli impianti termoelettrici esistenti. In conclusione, la scelta del nucleare, che al suo annuncio aveva creato grandi aspettative tra gli industriali italiani come soluzione salvifica, è destinata a dimostrare la sua dirompente carica conflittuale a ogni passaggio istituzionale, a ogni coinvolgimento dei territori. E se per caso la costruzione degli impianti riuscisse a fare qualche passo in avanti si evidenzierebbe come, al contrario di tutte le affermazioni ufficiali, sarebbero necessarie forti incentivazioni che determinerebbero un ulteriore con-

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flitto con le rinnovabili. Del resto, la campagna di stampa che sta montando nei confronti dell’eolico e del fotovoltaico sembra preludere a un attacco al sostegno economico a queste tecnologie per fare spazio alla new entry atomica. Occorre dunque preparare un’accurata azione di controinformazione che consenta ai cittadini di avere elementi adeguati a contrastare la vasta campagna già annunciata dal governo per spiegare come il nucleare sia sicuro e poco costoso. Questo libro, pubblicato da Edizioni Ambiente nell’ambito di una collaborazione con il Kyoto Club, consente di inquadrare l’inefficacia dell’opzione nucleare come risposta alla sfida climatica, di approfondire la base scientifica dello sfruttamento delle reazioni atomiche, di evidenziare i rischi sanitari connessi al funzionamento e alla gestione delle scorie e infine di ricordare il percorso del movimento antinucleare italiano che ha portato al referendum del 1987. Gli autori sono Gianni Mattioli e Massimo Scalia, da più di trent’anni in prima fila nelle lotte antinucleari e nello sforzo di definire strategie energetiche alternative.

Gianni Silvestrini Direttore scientifico Kyoto Club


premessa

Periodicamente si riapre in Italia il dibattito sulla possibilità e sugli aspetti positivi del ricorso al contributo dell’energia nucleare, che fu cancellato nel 1990 come conseguenza del referendum che seguì all’incidente di Chernobyl. Da tempo, ormai, entrano nel dibattito le grandi questioni dello sconvolgimento climatico e della geopolitica sanguinosa dell’energia e così non mancano coloro che virtuosamente si stupiscono perché non venga, proprio dal fronte di chi si preoccupa per la salute del pianeta, un ragionevole sostegno alle centrali nucleari. Che poi, spesso, accesi sostenitori dell’atomo siano anche piuttosto scettici rispetto alla gravità dello sconvolgimento climatico e alla responsabilità antropica presente nelle sue cause attiene a un fenomeno culturale interessante, ancor più se si osserva che quasi sempre il carnet culturale misteriosamente si completa con il sostegno all’uso alimentare di organismi geneticamente modificati e con lo scetticismo sugli effetti sanitari dei cellulari o degli elettrodotti. La tematica dei cambiamenti climatici è una grande questione, una prospettiva drammatica non per un futuro lontano, ma nella quale siamo già dentro: quell’Abrupt Climate Change individuato, forse nel modo più chiaro e rigoroso, dal rapporto del 2002 del National Research Council degli Stati Uniti. Bisogna in tempi drasticamente rapidi ridurre le emissioni di anidride carbonica e dunque cambiare il bilancio mondiale dell’energia, così dominato dal ricorso ai combustibili fossili. La stessa perentoria indicazio-


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ne proviene dall’avvicinarsi minaccioso del picco della curva di Hubbert, relativa all’andamento della produzione del petrolio, e successivamente si profila la situazione analoga per il gas, mentre, secondo le previsioni dell’International Energy Agency (Iea), i consumi di elettricità sono destinati a raddoppiare o triplicare da qui al 2050. Questa tematica comincia a entrare nelle motivazioni di quanti sostengono la necessità di un “rinascimento nucleare” e noi non ci sottrarremo a queste motivazioni, anzi dedicheremo il capitolo 0 proprio al drammatico scenario dei cambiamenti climatici, per metterne in evidenza gli elementi essenziali e la necessità di progettare un futuro energetico alternativo. Purtroppo però l’alternativa non passa attraverso l’energia nucleare, come questa si presenta oggi per la maturità sin qui conseguita: senza un salto di ricerca fondamentale, di nuove conoscenze di fisica, il suo contributo appare molto limitato e apre problemi più gravi di quanti non ne risolva. Di questo parleremo nelle pagine che seguono, ma vogliamo subito dare al lettore la misura della vacuità dell’argomentazione “climatica” a sostegno del nucleare: se un impegno straordinario portasse al raddoppio delle centrali nucleari – con gli enormi problemi che esamineremo nei prossimi capitoli – la riduzione delle emissioni di CO2 non supererebbe il 5%. il problema dell’informazione nella società tecnologica Come si vede, questa conclusione, che emerge dai rapporti delle agenzie internazionali e dalle comunicazioni scientifiche, è nettamente diversa da quanto riportato in Italia dalla maggior parte dei mezzi di informazione ed evidenzia indiscutibilmente un problema sul quale vorremmo soffermarci in questa premessa: il problema appunto dell’informazione scientifica, elemento fondamentale, del resto, nella formazione della scelta democratica. Il contesto è quello – è superfluo ricordarlo – di una “società tecnologica”, chiamata ormai spesso ad assumere scelte il cui contenuto di merito richiederebbe, per la sua valutazione, qualche conoscenza di carattere


premessa

tecnico-scientifico e, paradossalmente, la conoscenza tecnico-scientifica mediamente diffusa nel nostro paese è molto modesta. Sono scelte – a proposito di organismi geneticamente modificati, o di cellule staminali, o di energia (carbone a Civitavecchia o a Porto Tolle, energia nucleare...), o di opere pubbliche (il ponte sullo Stretto, la Tav in Val di Susa, il Mose a Venezia, autostrade, inceneritori o discariche...) – per le quali all’opinione pubblica pervengono dalle fonti di informazione messaggi diversi e dunque la divisione nell’opinione pubblica rispecchia anche la divisione esistente nell’informazione tecnico-scientifica. Si tratta di un problema in una certa misura nuovo, rispetto ad altre epoche. Da Bacone o Lavoisier, molti avevano teorizzato il progresso sempre associato alla scoperta scientifica e all’innovazione tecnologica: erano minoranze destinate a rapida sconfitta quelle che potevano opporsi alla macchina a vapore. Dalla politica, poi, ci si aspettava che ponesse le condizioni per l’avanzata del progresso e la modernità è divenuta sinonimo di benessere, scandito dai consumi energetici, dalla produzione industriale, dalla meccanizzazione e chimicizzazione dell’agricoltura, dai progressi della medicina. Non c’era da scegliere tra il sì o il no all’innovazione, e dunque al progresso: c’era solo da realizzarlo. L’ambientalismo ha iniziato a porre dei correttivi, delle compatibilità, dei limiti. Ha posto in modo sempre più perentorio la questione della sostenibilità della crescita. Da qualche tempo però si è passati a una fase in cui si mette in discussione il contenuto stesso dell’iniziativa tecnico-scientifica. L’opinione pubblica così si divide vivacemente e questa vivacità ha del paradossale nel nostro paese, se si confronta, come si è detto, con la modestia della cultura scientifica diffusa: lasciata la scuola, fanno già paura le quattro operazioni e la delega all’esperto è l’abitudine consueta, per il cittadino ma anche per il decisore politico. E poiché il più delle volte scienziati e tecnici sono tutt’altro che concordi, il loro scontro si trasferisce, appunto, nell’arengo dei media, dove numeri e formule divengono bandiere sventolate.

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Ma come è possibile il disaccordo tra persone di scienza? Molti autori hanno affrontato la questione, a partire dall’influenza che il contesto della cultura dominante in una data società esercita nella costruzione stessa delle teorie scientifiche. Così lo scontro tra Einstein e Bohr, se l’uso della probabilità nei fenomeni quantistici fosse da collegarsi all’intrinseca casualità dei comportamenti della natura microscopica o alla mera incompletezza dell’informazione disponibile, trova interpretazioni approfondite nel contesto culturale del primo dopoguerra, là dove si sviluppa, appunto, la meccanica quantistica. Ma, senza ricorrere a esempi così impegnativi, la possibile “non neutralità” delle valutazioni scientifiche è particolarmente evidente per questioni caratterizzate, proprio dal punto di vista scientifico, da una obiettiva interdisciplinarietà, per cui obiettivamente si pone addirittura l’interrogativo: chi è l’esperto? Chi è l’esperto in materia di energia? Il fisico, l’ingegnere, il biologo, il medico, l’economista? Ovviamente, nessuno di tutti questi: si tratta di ricomporre saperi diversi e va inventata la metodologia appropriata, ma senza illudersi di pervenire al risultato oggettivo, univoco: dovrebbe risultare evidente la molteplicità di fattori, che intervengono nella ricomposizione. Da ciò, appunto, la contrapposizione tra i tecnici e la necessità di disporre di una pluralità di voci diverse e la responsabilità di ciascuno di effettuare la propria valutazione. Sin qui, nobili parole: il contrasto dei giudizi tecnici riportato alle differenti formazioni culturali. Ma non c’è solo questo nello scontro tra i tecnici, nel quale sembra far capolino l’omissione consapevole di aspetti inopportuni rispetto alla tesi sostenuta e, dietro, l’interesse di quanti – politici, imprese – traggono profitto dall’affermarsi di una data scelta. Siamo di fronte, tuttavia, a fenomeni sociali complessi nei quali non ci sono solo gli “scienziati del principe” disposti a costruire appropriate giustificazioni a supporto della scelta, ma ci sono anche altre solidarietà, non necessariamente comprate dal principe: persone di scienza, che, spesso senza essersi occupate in modo approfondito della questio-


premessa

ne, si schierano a favore di una tesi, facendo valere, a supporto di questa, i propri meriti conseguiti in altri campi. Richiamati a questa solidarietà da una sorta di solidarietà culturale che porta la corporazione a far quadrato contro chi inserisce elementi di dubbio sul progresso scientifico, fonte per tutti i membri di considerazione sociale e soprattutto di una piacevole identità. “Il passo dall’autorevolezza all’incompetenza – scrive Stefano Caserini nel suo bel libro sulle motivazioni negazioniste dei cambiamenti climatici – è più facile di quanto si creda. Proprio per la complessità, la settorialità e la specificità della ricerca scientifica, l’autorevolezza è strettamente limitata alla propria disciplina. Un grande scienziato ha certo una base scientifica che gli permette di avere una visione ampia sul mondo scientifico. Ma non su tutto avrà la stessa competenza e autorevolezza... l’autorevolezza spesso è indiscutibile, ma riguarda settori che poco hanno a che fare con la tematica in questione” (B.P.1). la questione nucleare Che da un pugno di metallo scintillante – l’uranio – si possa trarre tanta energia quanta se ne può ricavare da una montagna di carbone sporco è senza dubbio un fatto affascinante, e tuttavia il ricorso all’energia nucleare pone significativi problemi. Si può assumere, in definitiva, una scelta o l’opposta, ma, per quanto attiene all’informazione, è giustificato lo stupore per la massa di informazioni semplicemente errate che si è ritenuto di rovesciare sull’opinione pubblica. Si può aprire a caso questa rassegna con Vittorio Feltri: “Ci hanno imposto, sulla base di pregiudizi ridicoli, il ripudio del nucleare (con molti ringraziamenti degli sceicchi petrolieri)”,1 e con Lucia Annunziata: “La 1

Dalla prefazione di Vittorio Feltri a Verdi fuori, rossi dentro: l’inganno ambientalista di Franco Battaglia e Renato Angelo Ricci, edito da Libero Free Foundation nel 2007.

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realtà è che di energia nucleare non possiamo fare a meno”.2 E proseguire con il canone del “rito nucleare” recitato dai chierici del giornalismo italiano: s dal disastro di Chernobyl la produzione elettronucleare non ha cessato di crescere; s solo in Italia la nube di Chernobyl provocò l’arresto del nucleare; s questa scelta ha condannato l’Italia a importare energia elettrica e a pagarla ben più cara degli altri paesi, dato che il kWh nucleare è il meno costoso; s il nucleare è l’unica energia, abbondante e pulita, che può dare risposta al problema di Kyoto; s nelle nuove centrali nucleari sono risolti i problemi della sicurezza e anche la questione delle scorie non rappresenta più un problema. Ma, in definitiva, perché accusare il giornalismo italiano, quando l’informazione diffusa proveniva da fonti ben più autorevoli, come per esempio quel gruppo di scienziati italiani, fondatori della Associazione “Galileo 2001”, che nel dicembre 2001 scrivevano al Presidente della Repubblica: “Oggi quella disponibilità alternativa alle fonti fossili – inquinanti e sempre più costose – è offerta solo dalla tecnologia nucleare da fissione. Una tecnologia ormai ben collaudata, che trova largo e sicuro impiego nella maggior parte del mondo industrializzato”. Nelle pagine che seguono, confronteremo queste affermazioni con i dati della realtà, così come provengono dalle fonti internazionali, difficilmente contestabili. Poi toccherà al lettore farsi una propria convinzione. E forse si chiederà anche se siamo di fronte a una nuova stagione di movimento. La improbabile razionalità di un rilancio, oggi, in Italia, dei reattori pone a nostro avviso l’interrogativo di quali siano le motivazioni reali del governo: scelta nucleare da perseguire con convinzione, per consolidare l’alleanza con settori che ne trarrebbero vantaggio? Diffusa sciatteria – c’è anche questo nel quadro – di sedi, istituzionali e non so2

Dall’editoriale della rivista Aspenia di Aspen Institute Italia del gennaio 2009.


premessa

lo, che orecchiano gli elementi per la scelta? In ogni caso, la risposta di movimento c’è già. Rapidamente nascono comitati – a Trino, lungo il Po, in Maremma, nel Salento, sul Garigliano – spesso animati da quelli, oggi con i capelli bianchi, che guidarono quella straordinaria stagione che raccontiamo al termine del libro. Una stagione che fu, e già si appresta a essere nuovamente, un’occasione straordinaria di alfabetizzazione scientifica. E c’è anche, oggi come allora, chi esercita un ruolo efficace di raccordo, di circolazione di proposte e di iniziative: il Comitato nazionale Sì alle fonti pulite e rinnovabili No al nucleare, sotto la spinta di Alfiero Grandi è stato il primo di questi organismi e ha presto raccolto nel mondo scientifico adesioni importanti. L’impegno di Antonio Filippi gli ha portato anche l’adesione della Cgil. Non era scontato: venti anni fa ci volle Chernobyl per indurre il maggior sindacato italiano a liberarsi del fascino dell’atomo.

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