Silvio Vallero - Pietro Ferrari
La baia di Lorenzo D.H. Lawrence a Fiascherino
EDIZIONI CINQUE TERRE
PAESE MIO Alla ricerca delle nostre radici
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1ª edizione: dicembre 2012 © 2012 Copyright EDIZIONI CINQUE TERRE Viale S. Bartolomeo, 169 - 19126 La Spezia Tel. 347-4431628 internet: www.edizioni5terre.com e-mail: amministrazione@edizioni5terre.com Copertina: Frieda von Richtofen, La baia di Fiascherino, acquerello, 1914, per gentile concessione della famiglia Cimati Fiori. Il simbolo della collana, Paese mio, è un disegno di Edy Duranti. Grafica: Salvatore Di Cicco Codice ISBN: 9 788897 070061
Silvio Vallero - Pietro Ferrari
La baia di Lorenzo D.H. Lawrence a Fiascherino
EDIZIONI CINQUE TERRE
INDICE Prefazione (di Massimo Bacigalupo ) ................................................... Pag. 9 Presentazione (di Pierluigi Ghiggini ) ................................................... Pag. 11 A mia madre (di Silvio Vallero) ......................................................... Pag. 15 1 - La baia di Lorenzo .................................................................. Pag. 17 2 - Incontro fra il poeta e il contadino pescatore Ezechiele ......... Pag. 33 3 - Il sigaro di Mario Soldati ........................................................ Pag. 37 4 - Ezechiele ................................................................................ Pag. 43 5 - La casa sulla spiaggia .............................................................. Pag. 45 6 - Andare per mare ....................................................................... Pag. 51 7 - Lorenzo .................................................................................. Pag. 55 8 - Frieda ..................................................................................... Pag. 59 9 - L’incontro ............................................................................... Pag. 61 10 - A Fiascherino ......................................................................... Pag. 65 11 - Il matrimonio ......................................................................... Pag. 104 12 - Note d’inverno ....................................................................... Pag. 116 13 - Primavera .............................................................................. Pag. 141 14 - La lettera ................................................................................ Pag. 159 15 - Il ritorno ................................................................................ Pag. 165 16 - La casa di Charles ..................................................................... Pag. 169 Bibliografia ........................................................................................ Pag. 179 Ringraziamenti ................................................................................... Pag. 179
Prefazione
Silvio Vallero e Pietro Ferrari hanno scritto un libro ben congegnato in cui intrecciano ricordi, documenti, lettere, autobiografia, storia letteraria. Al centro Lorenzo e la vulcanica Frieda e il loro soggiorno felice di amanti fuggiaschi nella baia di Fiascherino prima della Grande Guerra. Di fianco Ezechiele, Felice, Elide, la maestra di Tellaro, il pranzo nuziale cui Frieda e Lawrence parteciparono, il sogno italiano di questa coppia geniale e vitale. Lawrence non smetteva mai di scrivere, faceva lavorare come non mai le poste di Tellaro informando tutti a casa delle sue scoperte e intuizioni, e regalando immagini come quella della farfalla ubriaca sul fico scoppiato. Fa piacere leggere questi dispacci febbrili nelle traduzioni proposte da Vallero e Ferrari. È la prima volta che questi materiali sono stati presentati organicamente e nel loro preciso contesto locale, in un racconto spedito che evita malinconie e campanilismi. Sono i fatti che parlano. In realtà su queste famiglie italiane dalla storia intricata che furono vicine ai Lawrence sarebbe interessante sapere di più. Così questi passaggi di stranieri geniali spesso gettano una luce nuova e suscitano ricerche sul nostro stesso passato. D’altra parte è importante cogliere il grande scrittore nei suoi rapporti umani, da vicino, ridimensionando quello che fuori contesto può in lui sembrare eccessivo e incomprensibile. Ezechiele probabilmente lo capiva meglio di tanti critici professionisti.
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Intanto godiamoci il racconto, per molti tratti inedito, costruito con passione da Vallero e Ferrari, e magari prendiamone spunto per fare una capatina nella baia di Fiascherino in un giorno tranquillo o fuori stagione. Per quanto essa possa sembrare, resta un’oasi ospitale sulla lingua di terra che la chiude a levante. Et in Arcadia ego. Massimo Bacigalupo (Università di Genova Dipartimento di Lingue e culture moderne)
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Presentazione
Cosa resta, oggi, della baia di Lorenzo? Mario Soldati, nella sua casa di scogliera di Trigliano al confine con la bolla incantata di mare e ulivi dove nel 1913 D. H. Lawrence e Frieda von Richthofen trascorsero giorni felici, notò che ormai solo la luce indisturbata di certe giornate d’autunno e il silenzio delle mattinate invernali rilanciano talvolta l’eco delle voci del passato. In fondo è ancora così, anche se nulla è stato risparmiato pur di spegnere ogni riverbero antico ed esiliare la pace dalla baia di Fiascherino. Con un po’ di fortuna possiamo ascoltarle ancora quelle voci, anche se il “cottage” del comandante Veppo dove soggiornarono prima Böcklin e poi i Lawrence non esiste più da tempo immemorabile e un bunker sempiterno deturpa la visione della casa rosa sulla spiaggia, mentre un ecomostro domina la scena nella baia accanto. In certi giorni possiamo ancora ascoltare lo sciacquio della barca di Ezechiele che va per polpi con l’amico scrittore e il silenzioso dialogare dei due giovani. O vedere passeggiare con Lawrence, impegnato a dirozzare il suo italiano, la giovane maestra e poetessa Eoa Rainusso da Santa Margherita, fidanzata con il bel Luigi, “tanto bello”, come dice Frieda, “mentre raccoglieva le olive”. Persino ascoltare nelle sere limpide i concertini della famiglia Azzarini e degli ospiti con chitarra, mandolino e il piano di Frieda. Ma è solo lo schiantarsi delle onde nelle ore di mareggiata potente che rimanda da cent’anni il grido di Elide all’indirizzo di Lawrence,
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quando lo scriteriato sfida la bufera e nuota sino al centro di una baia scura e gonfia di pericolo: “Lorenzo, Lorenzo!” Ecco Lawrence-Lorenzo, ecco “La baia di Lorenzo”. Mai storpiatura di nome fu più bella e profonda nel significato. Solo in anni recenti, con la traduzione italiana delle memorie della Richthofen, Non io ma il vento..., abbiamo scoperto che quel nome gli era rimasto per sempre, e che Frieda lo salutò proprio così sulla tomba di Vence: “Ciao, Lorenzo”. Sapevamo che quei mesi in cui Lawrence scrisse poesie, dipinse e concepì l’Arcobaleno, furono straordinariamente creativi e che i due fuggitivi mai dimenticarono Fiascherino: Lawrence tornò fugacemente nel 1919 (ultima visita a cui è legato l’enigma del baule perduto), poi la coppia restò a lungo in corrispondenza con Ezechiele e la maestra. Nondimeno quel “ciao, Lorenzo” ci ha rivelato che Fiascherino rappresentò davvero la stagione di una vita, la maturazione di una visione umanistica, il paradigma della rottura col vecchio mondo che fa da sfondo profetico alla grande opera di Lawrence. C’è tutto questo nel raccontare di Silvio Vallero e Pietro Ferrari, e molto di più. Le memorie di quel soggiorno tramandate per un secolo dalla famiglia Azzarini con una messe di ricordi e una manciata di documenti sono state raccontate per lo più attraverso gli articoli di una frotta di giornalisti e scrittori, alcuni di prima grandezza come Attilio Bertolucci, che tra gli Anni Cinquanta e Sessanta cercarono a Tellaro le ultime tracce dello “scandaloso” autore dell’Amante di Lady Chatterley. Lo stesso Mario Soldati arrivò a Tellaro, per non andarsene mai più, proprio alla ricerca dei quaderni e dei disegni lasciati da Lawrence e forse custoditi in un vecchio mulino.
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Oggi La baia di Lorenzo non solo restituisce interamente e nei dettagli quelle storie sinora dipanate in modo frammentario – anche attraverso immagini e ricordi d’epoca attinti da una scatola gelosamente conservata in famiglia – ma ne coglie l’essenza rimasta in ombra: la scelta dei Lawrence di annullare le distanze, trasformare la vacanza in esperienza umana, condividere da pari a pari la vita e i giorni dei contadini-pescatori della baia di Fiascherino. Tra gli Azzarini mezzadri del senatore Cimati e la comunità degli inglesi facoltosi, colti e di schiatta nobile che vivono nel Golfo in un dorato isolamento, i Lawrence non fanno differenze, anche se sembrano sentirsi più vicini ai primi. La natura così sostanzialmente rivoluzionaria di quel rapporto è ricostruita nell’intreccio dei due filoni portanti del libro: il racconto dell’intesa fra Lawrence ed Ezechiele, nonno di Silvio Vallero, e le lettere di Lawrence da Fiascherino, riproposte in traduzione e così ben collegate con la storia, da fare emergere sfumature altrimenti trascurate. Ne scaturisce un affresco con mille propaggini, un affollarsi di co-protagonisti, microstorie e sentimenti, dove assume una prospettiva inedita la stessa vicenda tante volte raccontata della maestra Rainusso che insegna l’italiano a Lawrence, in cui c’è posto anche per un backstage con Charles Tomlinson e Paolo Bertolani e dove non mancano i gialli letterari: dicevamo del baule perduto, ma non solo. Parliamo anche delle lettere scritte da Lawrence alla maestra di Tellaro e a Ezechiele, una di queste ritrovata alcuni anni fa dallo stesso Vallero. La baia di Lorenzo è il risultato di anni di ricerche e riflessioni, tuttavia non è soltanto una sequela di memorie e tanto meno un freddo catalogo di testi critici: è scritto con il cuore, sul filo della nostalgia e della riconoscenza verso chi
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ha tramandato tanta ricchezza, con la gioia di chi ha scavato a lungo per riportare alla luce un patrimonio prezioso e ora intende condividerlo con i lettori. Il soggiorno di Lawrence a Fiascherino, cent’anni dopo, non poteva essere ricordato, vagliato, riscoperto in modo migliore. Non è temeraria la speranza che La baia di Lorenzo segni l’avvio di una nuova stagione di ricerche e possa smuovere le coscienze, facendo crescere una nuova consapevolezza su Fiascherino come luogo della cultura europea, almeno perché ciò che ha resistito non sia sopraffatto una volta per tutte dal cemento e dal dio denaro. Pierluigi Ghiggini
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A mia Madre
Dopo la pioggia del giorno prima, che pareva aver lavato via l’estate, settembre ci regalava un’altra giornata di sole, una di quelle giornate così trasparenti e luminose da confondere i confini e le distanze. La fila degli scalini che, dalla collina, scivola verso la baia di Lorenzo è un ripido budello stretto fra i muri di un cemento antico graffiato di nomi e di cuori trafitti da mani sicure. Dietro al fitto del bosco che il sole penetrava appena, la “villa bianca” nascondeva il suo abbandono. I pini si asciugavano nel tepore e spandevano nell’aria il loro profumo. In fondo, dove gli ultimi scalini cedevano il passo al canale, l’acqua scorreva veloce, sdraiando l’erba. Voltai accosto al muro fra barche tirate a secco su improbabili sostegni. Alzai lo sguardo. La luce aprì il sipario sulla piccola cala. Mi avvicinai al mare, dove i colori del sole al tramonto galleggiavano alla deriva. Sulla spiaggia, i pochi bagnanti erano immobili sotto gli ultimi raggi. Più in là, alcuni ragazzi in cerchio tenevano in aria un pallone, mescolando le loro voci ai richiami rivolti a un bimbo intento a tracciare segni incerti fra l’acqua e la sabbia. Attraversai la spiaggia guardando le isole in controluce sulla linea dell’orizzonte. Alcune barche andavano o tornavano in un mare dorato. In fondo alla baia, ormai segnata dall’ombra dei pini accanto agli antichi scali, dove sgorga la polla d’acqua dolce e
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inizia la scogliera, trovai un posto dove sedermi fra le rughe della roccia. Ora potevo guardare la casa poggiata sulla spiaggia, la “casa rosa” dove sono nato una sera d’agosto, poche ore dopo che mia madre si era seduta su quella stessa riva, i piedi nell’acqua a lenire i dolori del travaglio. La ricordavo in una fotografia, ancora diciottenne, i capelli raccolti, seduta lì, fra i ciottoli della spiaggia, il cagnolino fra le braccia, negli occhi la speranza di un futuro di cui ignorava le molte sofferenze. Alle sue spalle, il bragozzo scaricava sulla testa delle donne il materiale che avrebbe costruito la grande “villa bianca” con la sua torre, nascondendo per sempre il villino dei Gambroisier, dove per molti mesi avevano abitato una giovane aristocratica e uno scrittore che, attraverso i suoi romanzi, voleva cambiare la società in cui viveva. Quindici anni prima della fotografia, la ragazza sulla spiaggia, allora una bambina di tre anni e mezzo, aveva conosciuto quello scrittore, tornato a riprendersi un quaderno di poesie lasciato nella stessa baia. Silvio Vallero
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1 La baia di Lorenzo
“Eravamo a un matrimonio di contadini, in una casa sulla baia, vestiti nei nostri abiti migliori in onore della sposa e ci divertivamo moltissimo: Gibson è una persona veramente amabile, e così anche Trevelyan, e Abercrombie, uno degli uomini più intelligenti che abbia mai conosciuto. Ma è stato così strano lasciare il banchetto e scendere nell’atmosfera sottile di un piccolo gruppo di inglesi colti. Nella stanza superiore dove era disposto il banchetto, c’erano venticinque persone. C’erano nove volatili uccisi per il banchetto, e la portata successiva era composta di polpi (belli grossi, con tentacoli lunghi mezzo metro, ho visto Ezzechiele tirarli su dal mare, con i loro occhi fissi aperti, e quasi sono stato male). Il vino scorreva molto rosso, poi d’improvviso siamo dovuti scendere da questi cinque poeti inglesi. È stato come entrare d’improvviso in un’aria molto rarefatta. Uno barcollava, e io ho quasi perso l’orientamento. Ma sono persone che mi piacciono molto.” Questo è un passo da una lettera di D.H. Lawrence dalla baia di Fiascherino. Ezechiele, lo sposo, era mio nonno, amico personale del romanziere inglese, nell’occasione testimone per la sposa.
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Oggi, tutti conoscono Lawrence. Molti hanno almeno sentito parlare del suo soggiorno con la sua compagna Frieda a Fiascherino, vicino alla casa di Ezechiele (o Ezzechiele) dove io stesso sono nato. Ma io mi sono più volte domandato che cosa unisse quei due giovani uomini, uguali di anni, ma così differenti per origini e cultura. Di che cosa parlassero nelle loro frequenti sortite in barca il contadino pescatore che trascorreva la sua esistenza coltivando la terra fra mare e cielo e l’inquieto scrittore straniero che coltivava la sua vita nella massima libertà. Quanto quella visione così moderna, romantica e utopistica di un mondo sgombro da ogni oppressione, improntato a una rinata sessualità, al pacifismo e a uno stretto contatto con la natura, così strenuamente inseguita dall’intellettuale inglese, fosse lontana dal pensare quotidiano del contadino pescatore, in un luogo che induceva Lawrence a scrivere in una delle sue lettere: “Oh è così bello qui, mi sento come se il cuore mi balzasse fuori dal petto come una lepre nella notte”. Lawrence era figlio di un minatore. Per tutta la vita serbò un genuino interesse per le persone più semplici e vicine alla natura, nella vita come nei suoi romanzi. Fiero avversario della Rivoluzione Industriale, avrebbe cercato in tutto il mondo, dall’Italia al Messico, ciò che secondo lui era andato perduto della spontaneità istintuale e la vera essenza dell’uomo negli ingranaggi delle società ritenute più avanzate. Giunto a Fiascherino, dove ancora capitavano diversi intellettuali di spicco come in una coda del Grand Tour, non conosce il distacco di tanti viaggiatori inglesi meglio provvisti di denaro e inclini a vedere gli italiani, più che altro, come figli degeneri di una grande civiltà, esempi viventi dei guasti portati dalla Storia, oltre che dallo scarso carattere.
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Nelle sue lettere, ci parla dello sfruttamento dei mezzadri, dello strazio degli emigranti e, perfino, dello stato di abbandono in cui versano i muretti a secco. Il carbonaio incontrato sulla collina di fronte alle Apuane, vorrebbe chiamarlo comrade, suo compagno, suo uguale, al modo di Whitman. Certo, qua e là indulge al pittoresco, un tratto che affligge il personaggio del pur scorbutico Ciccio nel suo romanzo di quegli anni La ragazza perduta, secondo la tipologia degli italiani belli, infidi e sensuali invalsa nella narrativa inglese dell’epoca. Ma Lawrence, innamorato della natura, a cui è legato da un vincolo tenero e, al tempo stesso, vitale; bricoleur infinitamente abile, come ci dice Frieda nelle sue memorie, capace di fabbricare con passione rustici mobili per le loro svariate residenze scalcinate e meravigliose; scadente rematore, tanto che mio nonno si mise le mani nei capelli, dopo avergli affidato la sua preziosa barca; scadente nuotatore, sulle orme di Shelley, e tuttavia felice di passare le sue giornate in mezzo alle onde; ebbene, Lawrence dimostra una capacità particolare di comprendere e apprezzare nella loro verità e immediatezza contadini e pescatori, godendo della loro compagnia ben più che della vicinanza con un poeta suo compatriota, come confessa in un’altra lettera a proposito del matrimonio. Forse vergognoso, più che tutto, di farsi vedere per una volta dai suoi conterranei nell’elegante abito scuro e gli stivaletti di vernice che tanta meraviglia suscitarono nei suoi ospiti italiani, come ho potuto apprendere dalla viva voce dello sposo. Ma, al di là di ogni considerazione, mi piace pensare che anche la condivisione della stessa baia dove erano vicini di
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casa sia giunta a unire, oltre le barriere sociali, quei due uomini tanto diversi. Fra il settembre del 1913 e il giugno de1 1914, D.H. Lawrence e Frieda Emma Maria Johanna Freiin von Richthofen, in fuga dal precedente matrimonio inglese e ancora in attesa del divorzio, passarono nove mesi scanditi dalle stagioni, dalle attese e dagli eventi legati alla loro storia personale in un luogo dove qualsiasi cosa, qualsiasi fatto, piccolo o grande, portava con sé il suo incanto, nonostante le ristrettezze economiche. Lì il romanziere, dopo il successo di critica riscosso nel maggio del 1913 dal suo primo libro innovatore, Figli e amanti, scrisse quella che è, per molti, la sua opera più riuscita, L’Arcobaleno. Compose poesie, dipinse, dando sfogo a quella ricchezza interiore grazie a cui divenne uno dei più importanti e discussi scrittori del Novecento. Ma Fiascherino non era solo un paradiso nudo e appartato. Nelle sue lettere imbucate a Tellaro, di cui è offerta qui una scelta, Lawrence mescola liberamente questioni letterarie, le apprensioni per il suo futuro professionale, i primi accenni di una definitiva consapevolezza, gli echi degli scontri e le riconciliazioni con Frieda, disperata di non poter più vedere i suoi tre figli, al racconto della bellezza dei luoghi e di una cultura contadina che l’affascinava profondamente. A maggior ragione, la sua corrispondenza resta viva testimonianza, non solo di uno scrittore ancora in evoluzione, ma anche della sua integrazione totale con la comunità del posto, per cui divenne senz’altro “Lorenzo”. In quella veste, riportò per i destinatari delle sue lettere eventi, tradizioni e modi di vivere oggi in parte perduti. Né di minore libertà intellettuale, sia detto una volta per tutte, diede prova Frieda che, per parte sua, compì un viag-
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gio ancora più lungo dalle aristocratiche origini tedesche alla stretta comunanza con i contadini della baia. A parere di mio nonno, «L’éa lé che la porteva i carzón», ovvero era lei che portava i pantaloni. Di sicuro, al di là di questa opinione personale, la solida, intelligente e sensibile Frieda, dotata di un profondo buon senso, si pose come un incrollabile punto di riferimento per lo scrittore, diviso dalle sue lacerazioni interiori e trasportato dai suoi slanci utopistici. Dal canto mio, confesso che anche altri fili, di un carattere extra-letterario, mi legano al soggiorno della coppia sui nostri lidi. Penso, per esempio, alla lettera dove Lawrence mette in dubbio l’amore di Ezechiele verso la mia futura nonna, a cui faceva da testimone: “... è piuttosto triste, lui non la vuole proprio con tutta l’anima. Ci si sposa, sì, come si fa!1 Lo dicono tanto spesso: ma come si fa?” Possibile? Costernato, avevo interrogato alcuni parenti, ricevendone una risposta di piena soddisfazione. Forse anche per questo, chi può dirlo, mi sono deciso a scrivere la vicenda di Lawrence e Frieda a Fiascherino, legandola alla figura di un uomo in apparenza così lontano, ma unito a loro, nel filo dei ricordi miei e delle persone di casa, anche dalle testimonianze da lui rese a letterati e giornalisti venuti a interrogarlo sull’onda del nuovo interesse suscitato negli Anni Sessanta dalla riapparizione dell’Amante di Lady Chatterley dopo una lunga censura. È giusto, dunque, che il mio viaggio a ritroso cominci da quella fotografia di mia madre e da una lettera che mi riu1 - In italiano nel testo, come, di qui in avanti, tutte le parole sottolineate nella corrispondenza di Lawrence.
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sciva difficile trovare anche per un motivo strettamente personale. Ma quella lettera esisteva, e io lo sapevo. Né poteva essere altrove che fra gli oggetti nella cassetta di legno che mia madre custodiva gelosamente. “Ricordi della nostra famiglia”, aveva scritto sull’etichetta incollata al coperchio. Quanto rimaneva di vecchie fotografie, documenti di famiglia, lettere e cartoline ricevute da luoghi impensabili, mescolate a qualcuna scritta e mai spedita. L’avevamo aperta più volte, sempre insieme, negli ultimi anni in cui il tempo le asciugava la vita. A lei, che ancora pensava alla baia di Fiascherino come alla sua casa e diceva: «Noi a semo de Fescain», piaceva frugare nella memoria, riavvolgere la sua vita attraverso quei ricordi. A fatica la seguivo fra parentele antiche, nomi che avevo sentito girare per casa, ma poi subito mi smarrivo e aspettavo, come sempre, che la sua memoria mi venisse in aiuto: «No te recordi mai dè niente.» Era diventata ormai una consuetudine e un po’ alla volta mi ero abituato a riconoscere, a serbare nella memoria, a registrare quei ricordi, a scriverli, e poi c’era sempre lei: «Quelo lì gé ’r zio Samuele da picolìn. Quela lì lé mi zia Rosalia. A zia Gentile. Quelo lì mi pà da militare...» Così ogni fotografia o cartolina, fra le sue mani, prendeva vita, si animava di episodi, vere pietre miliari piantate nel suo ricordo a segnare il lungo racconto di una vita fatalmente in via di giungere a confine: «Quando a no ghe siò pù no butàgi via stì ricordi». Erano passati ormai due anni dalla sua morte e quella scatola era rimasta lì, chiusa con le sue memorie. Mi capitava spesso di guardarla, appoggiata sul comò scolorito dal tempo, ma riaprirla da solo un po’ mi spaventava.
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Se avessi dimenticato? Chi avrebbe potuto aiutarmi a ricordare. A chi avrei potuto domandare di quel bambino in quella foto, vestito d’altri tempi, messo lì in posa, accanto al balocco di legno. Così continuavo a tenerla chiusa per zittire quei ricordi che ogni tanto affioravano. Ma la lettera, ora, dovevo rintracciarla, tanto più che rammentavo bene quel foglio di una carta quasi trasparente, inviato da un giornalista inglese a mio nonno Ezechiele. Trovarlo subito in cima agli oggetti nella cassetta vicino alla fotografia della ragazza sulla spiaggia fu un’emozione forte. Un tuffo al cuore ripensare a come io e mia madre l’avessimo letto insieme quando avevamo aperto la scatola per l’ultima volta per lo stesso motivo: ricordare Lorenzo. E lei: «Te ghe dovessi scrive n’ libio». La lettera, scritta in un italiano faticoso, chiedeva informazioni sul soggiorno a Fiascherino di D.H. Lawrence con la sua compagna Frieda von Richthofen e sul rapporto che si era creato fra quella coppia di foresti e la famiglia di pescatori e contadini, quando i due irregolari avevano preso in affitto la casa sopra la baia di Fiascherino. A quella lettera lei e lo zio Samuele, fratello del nonno, avevano risposto mettendo insieme i loro ricordi. Cominciai così a riprendere per mano quelle memorie e ricongiungerle ai racconti lasciati per casa da mia madre, da mio nonno e dallo zio Samuele, quando rispondevano alle domande di giornalisti e altri curiosi venuti a cercarli da fuori, a volte anche dall’estero. Inevitabilmente, la lettera mi riportò agli Anni Sessanta, quando l’interesse per D.H. Lawrence si era rinnovato per via della pubblicazione in Inghilterra dell’Amante di Lady Chatterley.
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Il 2 novembre del 1960, il testo fu dichiarato not guilty (non colpevole) e potè avviarsi nell’era della sua libera circolazione, mettendo la parola fine a una storia iniziata oltre trent’anni prima.
Mia madre sulla spiaggia
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Ezechiele seduto sulle scale di casa con un giornalista americano
In una lettera del 1927 all’amica Dorothy Brett, Lawrence scriveva: “Ho finito il mio romanzo. Mi piace. Ma è così indecente – secondo gli stupidi canoni convenzionali – che nessuno lo pubblicherà mai. E io non intendo assolutamente tagliarlo”. Puntuale come previsto era arrivato il rifiuto degli editori Secker e Knopf, che declinarono di pubblicare il romanzo per il contenuto “scandaloso”.
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Lawrence ricorse allora a Pino Orioli, eclettico personaggio che, molti anni prima, aveva aperto a Londra una libreria antiquaria al 24 di Museum Street e avviato una piccola casa editrice. Lo scrittore e Frieda l’avevano conosciuto in Cornovaglia, dove erano vissuti per due anni fra il dicembre del 1915 e il novembre del 1917. La prima edizione ufficiale inglese Successivadi Lady Chatterley’s lover mente, Orioli era tornato a Firenze, dove aveva aperto un’altra libreria antiquaria e poi fondato un’altra piccola e raffinata casa editrice, attorno a cui vennero a gravitare, anche, scrittori come Aldous Huxley, Sir Harold Acton, Somerset Maugham, Norman Douglas e Richard Aldington. Quando Lawrence l’informò circa la possibile oscenità del testo da pubblicare, il futuro editore rispose: «Oh, ma sono cose che noi facciamo tutti i giorni!» E accettò senz’altro l’incarico, a ulteriore conferma, per l’autore, di una società dai costumi più liberi.
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Il romanzo, stampato quasi clandestinamente presso “La Giuntina”, una piccola tipografia dalle parti di Santa Maria Novella, apparve per la prima volta in Italia nel 1928. Nel mese di giugno le prime copie arrivarono a Orioli, incaricato da Lawrence di spedirle quasi di soppiatto ai librai inglesi e americani che, per evitare la censura, provvidero a venderlo sottobanco. Ugualmente, in Inghilterra il volume fu definito osceno e messo al bando. Seguirono sequestri, rifiuti, tagli mai autorizzati, denunce, processi e riproduzioni illecite di ogni tipo. Trent’anni dopo quella prima pubblicazione, nella vecchia Europa stava accadendo qualcosa di simile ai sogni di intellettuali come D.H. Lawrence. Una vera rivoluzione culturale iniziata proprio in Inghilterra, ma ormai parte della nostra storia, spazzò via vecchi tabù insieme a quanto restava della bigotta censura vittoriana, mentre all’orizzonte si affacciavano nuovi fenomeni sociali che investirono la musica, l’arte e la letteratura. Il genio letterario di D.H. Lawrence fu “riscoperto”. La Penguin, che ne stava stampando l’opera completa per commemorare il 30° anniversario della morte, pubblicò un’edizione economica da 200mila copie dell’Amante di Lady Chatterley, sfidando il nuovo Obscene Publications Act del 1959, secondo cui era “osceno” un libro che tendesse “a corrompere o a depravare”. Per molto tempo, la vicenda della lady e del guardiacaccia avrebbe catturato intere generazioni di lettori, e non solo per il suo contenuto erotico. Per la prima volta in letteratura un romanzo riconosceva esplicitamente i desideri sessuali della donna, approvava l’adulterio con un uomo di una classe sociale inferiore e usava un linguaggio esplicito. Quel libro favorì l’avvento della “Rivoluzione Sessuale”.
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Fotografia apparsa sulla stampa inglese
Annoverato dalla critica fra i classici della letteratura mondiale, contribuì a una nuova visione del rapporto fra uomo e donna, assegnando alla seconda la parte di vera protagonista, in qualità di indiscussa eroina nella vicenda narrata, anche dove figura come una vittima o appare sconfitta. A lei spetta il diritto di rivendicare il senso della propria esistenza, testimoniando la latitanza, a volte totale, della controparte maschile. La pubblicazione del libro non fu solo uno straordinario evento letterario di vasta risonanza popolare, ma anche un grande successo editoriale. Nel primo giorno della pubblicazione in Inghilterra, tutte le 200mila copie andarono vendute. Il successo letterario si trasformò presto in un vero fenomeno culturale che coinvolse la stampa di mezzo mondo. Di lì a poco, diversi giornalisti furono inviati a cercare le tracce lasciate da D.H. Lawrence. Arrivarono a Tellaro da tutta Europa e perfino dall’America, per cercare i luoghi di “Lorenzo” e le persone che l’avevano conosciuto.
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Mio nonno sapeva che quel foresto, con cui aveva stretto amicizia, era uno scrittore, ma rimase sorpreso da tanta curiosità per l’ospite inglese e per i lunghi mesi che avevano passato insieme. Vennero in molti alla ricerca di manoscritti, dei quaderni di poesie, a quanto si diceva, nascosti in una cassapanca. Si alimentò così una serie di leggende: ogni cosa, anche il più piccolo particolare che poteva riportare a Lawrence, diventava importante. Ogni giornalista covava la speranza di trovare qualcosa che potesse stupire, alimentare l’interesse dei lettori per quel romanziere che aveva cercato coraggiosamente di affrancare certi lati oscuri dell’uomo, fino a dare voce nei suoi libri a una nuova libertà interiore, restituendo valori e sentimenti fino allora soffocati. Mio nonno ricordava spesso quelle lettere e cartoline ricevute da Lorenzo, così come si ricordava del sedicente giornalista che bussò alla sua porta alla fine degli Anni Cinquanta: «Aveva in mano due lettere spedite da Lorenzo a mia cognata Eoa. A quanto mi disse, stava facendo un articolo su quello scrittore inglese e mi chiese se avevo qualche documento da prestargli. Io gli diedi due cartoline che lui ci aveva spedito dall’Inghilterra...» Molti anni dopo, seguendo le tracce di un articolo pubblicato da una rivista culturale nel 1946, scoprii che un giornalista di Parma, proprio in quell’anno, era venuto in possesso di alcune lettere da Tellaro. Una di queste lettere, inviata da D.H.Lawrence a Eoa Rainusso, cognata di mio nonno Ezechiele è oggi nel patrimonio culturale di una fondazione di Parma, e ora per fortuna, una copia è anche a disposizione nella biblioteca Civica A. Doria di Lerici.
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Il camping che nei primi Anni Cinquanta prese il posto degli orti
Nulla si sa delle altre lettere e delle due cartoline prestate da mio nonno. Una rivista culturale inglese dedicò un numero straordinario a D.H. Lawrence. Un suo giornalista venne a Fiascherino alla ricerca di qualche informazione sull’ormai lontano soggiorno. “Sono finalmente a Fiascherino dove Lawrence abitò con Frieda Weekley (come si chiamava allora prima del divorzio) fra il 1913 e il 1914. Frieda aiutava Lorenzo alla correzione dei racconti per L’ufficiale Prussiano (titolo che non piaceva a Frieda, di origini tedesche e cugina del conte Manfred von Richthofen, destinato a diventare il ‘Barone Rosso’, asso dell’aviazione germanica nella guerra del 1914-1918). I due amanti lavoravano faticosamente alla stesura del nuovo romanzo che Lawrence chiamava Le due sorelle, ma intitolato da Frieda, nella stesura definitiva, L’arcobaleno. Abitavano ai
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piedi di una collina in una casetta nascosta fra gli ulivi, quasi al livello del mare. Il giardino era fitto di viti. Lawrence e Frieda frequentavano i soli altri abitanti della baia, una famiglia di pescatori che possedevano una casa rosa sulla spiaggia a cinquanta metri dal villino Gambroisier, dove i due amanti abitarono per nove lunghi e felici mesi. Ieri stavo seduto con un uomo, Samuele Azzarini, che a quel tempo aveva sedici anni e faceva parte della famiglia di pescatori descritta da Lawrence, solito passare con loro molto tempo. Samuele era fratello di Ezechiele, unito a Lorenzo da un’amicizia particolarmente stretta, tanto che lo scrittore, nel 1913, fu testimone per la sposa al suo matrimonio. Ho conosciuto la figlia di Ezechiele, la signora Azzarini Ofelia. Ma cosa rimane della casa dei Lawrence? Cosa ne è della baia di Fiascherino? Oggi, sul luogo dove stava il villino Ettore Gambroisier, c’è una costruzione imponente, stile Anni Trenta, spettrale e torreggiante. A quanto dicono i signori Azzarini, è stata costruita proprio sopra il villino dei Lawrence. [...] Qui ha abitato un genio sulla soglia della sua maturità creativa. Non il Lorenzo con barba feroce e collera furiosa, come ce lo dipingono i detrattori, ma senza barba e pieno di allegria, un uomo semplice, pieno di voglia di vivere, come lo descrive il signor Samuele. Io credo però che già fosse presente anche l’altro Lorenzo, quello non esclusivamente semplice. Anche la casa dei pescatori nella baia è ora incorporata in un camping.”
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I poeti Paolo Bertolani (a sinistra) e Attilio Bertolucci
2 Incontro fra il poeta e il contadino pescatore Ezechiele
Non furono soltanto giornalisti anglo-sassoni a interessarsi al soggiorno tellarese di Lawrence, ma anche importanti quotidiani italiani. Dopo avere ricordato in un articolo apparso su un quotidiano milanese il soggiorno e la tragica fine di Percy Bysshe Shelley, Attilio Bertolucci decise di rievocare anche la figura di D.H. Lawrence e raccontare i suoi giorni di Fiascherino. Era l’agosto del 1964. Finissimo anglista ed esperto conoscitore dell’opera di Lawrence, il poeta aveva curato e tradotto, già nel 1948, un’edizione del saggio sui classici americani per Valentino Bompiani. A segnalargli Ezechiele, era stato Mario Soldati che aveva conosciuto mio nonno nel 1960. Benché non amasse particolarmente Lawrence, Soldati era rimasto incuriosito da quelle voci che giravano sui manoscritti, sui quaderni di poesie che lo scrittore inglese, si narrava, aveva lasciato a Fiascherino nelle mani della governante Elide, cugina di Ezechiele. Mio nonno, ora, abitava in un’altra casa, sopra la villa di Percy Lubbock, già segretario e amico di Henry James e poi “ultimo dei grandi inglesi italianati”, secondo la definizione dello stesso Bertolucci.
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