Sarzana tra fascismo e libertà (estratto)

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Werther Bianchini

Sarzana tra fascismo e libertĂ Fatti e personaggi di una storia da non dimenticare

EDIZIONI CINQUE TERRE



PAESE MIO Alla ricerca delle nostre radici

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1ª edizione: dicembre 2012 © 2012 Copyright EDIZIONI CINQUE TERRE Viale S. Bartolomeo, 169 - 19126 La Spezia Tel. 347-4431628 internet: www.edizioni5terre.com e-mail: amministrazione@edizioni5terre.com Copertina: il “Diploma Alexander” rilasciato a Werther Bianchini. Il simbolo della collana,Paese mio, è un disegno di Edy Duranti. Grafica: Salvatore Di Cicco


Werther Bianchini

Sarzana tra fascismo e libertĂ Fatti e personaggi di una storia da non dimenticare Prefazione di Pino Meneghini

EDIZIONI CINQUE TERRE



Alla memoria di mia moglie Anna e ai miei nipoti Maria e Vittorio.



INDICE Prefazione di Pino Meneghini ......................................................... Pag. 11 Presentazione e ringraziamenti ........................................................ Pag. 15 I - La mia famiglia ....................................................................... II - Le prime esperienze politiche ................................................. III - Il lavoro politico clandestino .................................................. IV - La Resistenza con le stellette ................................................... V - Il carcere .............................................................................. VI - Partigiano a Carrara - Via Groppini .................................... VII - La battaglia per la liberazione di Sarzana ............................. VIII - L’attività politica - L’uscita dal partito ..................................... IX - Gino Lombardi e Piero Consani ........................................... X - Il dopoguerra, la ricostruzione, le mura ............................... XI - La fame, la miseria .................................................................. XII - L’assistenza sociale ................................................................... XIII - Personaggi della vecchia Sarzana ............................................ XIV - Le bombe, le vittime ...............................................................

Pag. 19 Pag. 25 Pag. 35 Pag. 52 Pag. 55 Pag. 65 Pag. 91 Pag. 97 Pag. 109 Pag. 115 Pag. 118 Pag. 123 Pag. 129 Pag. 142



Prefazione di Pino Meneghini

Da molti anni Werther Bianchini (classe 1924) stupiva tutti con i suoi racconti di vita e di guerra. Gli amici conoscevano naturalmente, sia pure a larghe maglie, molte delle vicende che ascoltavano, ma la cosa per loro più stupefacente era la ricchezza dei dettagli con cui il nostro caratterizzava il racconto: il fatto narrato si era svolto in quel tal giorno (parlando di 60-70 anni prima!), all’angolo della tale piazza o strada, il protagonista o la protagonista, fratello o cognata del tale, vestiva in un certo modo, descritto spesso con vividi dettagli coloristici… Insomma un vero e proprio acquerello sonoro della vecchia Sarzana, dal quale usciva una città molto diversa da quella che oggi conosciamo, popolata da personaggi caratteristici, ciascuno dei quali aveva un passato che innescava a sua volta un’altra storia, mai banale e ricca di contenuti e dettagli narrativi. Un vero e proprio cantastorie di episodi più o meno importanti, ma tutti assolutamente veri e realmente accaduti, spesso storicamente verificabili sugli antichi documenti ufficiali. La curiosità quindi e soprattutto la necessità di non perdere i molti ritratti di vita della Sarzana del Novecento, hanno indotto gli amici e in genere i suoi ascoltatori a pregarlo di cimentarsi nella scrittura di quei ricordi, confortata da una memoria che ancora oggi definire “prodigiosa” è pallido complimento.

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Così dunque nasce questo racconto autobiografico dei momenti più significativi della sua esistenza. Dalla formazione politica che inizia fin da piccolo, a contatto della madre e soprattutto del padre Carlo, la cui bottega di barbiere è una vera fucina di antifascismo, nella quale crescono fra gli altri personaggi come Ercole Gallinella, il primo esule antifascista sarzanese in terra di Francia, ma anche Paolino Ranieri, cugino di Werther, condannato dal Tribunale Speciale a quattro anni di reclusione e successivamente sindaco di Sarzana per un quarto di secolo. Ben presto la passione politica prende anche il giovane Werther che finisce in cella a 19 anni dopo la caduta del fascismo, mentre a 20 conosce il carcere vero per alcuni mesi. Fortunosamente libero il giovane sale ai monti nella Brigata Muccini, dalla quale dovrà presto separarsi per andare fra i partigiani di Carrara. Qui, catturato insieme al gruppo di comando partigiano di quella zona, e messo a morte dai tedeschi, sarà liberato in modo avventuroso insieme ai suoi compagni. Il libro raccoglie anche intense pagine dedicate alle storie di eroi, spesso senza nome, che muoiono per gli stessi suoi ideali di libertà e democrazia e tuttavia dimenticati oggi dai più, come nel racconto dei soldati che hanno resistito in divisa all’invasore tedesco o dei due partigiani di Seravezza uccisi dai fascisti a Sarzana, con modalità mai del tutto chiarite. Filtrano dalle pagine del libro anche narrazioni di episodi che bene illustrano la violenza che dalle parti in guerra venne messa in atto in quei tempi, tanto da spingere il partigiano Nuto Revelli a parlare di “Pietà l’è morta”.

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Dopo aver ricordato i diversi bombardamenti dei quali furono vittime i sarzanesi e la sognata fine della guerra, l’autore, ormai libero come tutti gli italiani, racconta il suo impegno politico continuato nelle file del partito comunista, dal quale si separerà già nel 1945, dopo averne denunciato la subordinazione all’impero sovietico. Vi è poi l’ultima parte, meno eroica, ma molto interessante e sconosciuta ai più, nella quale si parla del dopoguerra, della miseria e della fame di vaste aree di popolazione, ma anche dello slancio solidaristico che in tutti i modi, anche con mezzi rimediati e insufficienti cercò, riuscendovi, di alleviare le sofferenze di quel triste periodo. Il Collegio Convitto e l’Ente Comunale di Assistenza sono i principali protagonisti di questa missione umanitaria, all’interno della quale si muovono personaggi, spesso ricordati anche se poco conosciuti, come il Baluardo, Batilìn, Vasìn, Mortaretto, la Menelik ed altri qui rievocati e raccontati alle vecchie e nuove generazioni perché non se ne cancelli il ricordo. Un libro insomma da leggere d’un fiato, e soprattutto da far leggere a chi domani dovrà continuare a tessere la tela infinita della storia, grande e piccola, della nostra città.

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Presentazione e ringraziamenti

Queste note che inizio a scrivere partono dal periodo della mia infanzia per arrivare ai nostri giorni. Non ho mai scritto libri e mi accingo a farlo, per le cose che ho vissuto e che ricordo chiaramente, sollecitato da tante persone, politici e cittadini comuni, a portarle a conoscenza del pubblico. Eccomi quindi pronto ad accogliere i consigli che ho ricevuto, non senza prima aver ringraziato quanti mi hanno aiutato in questa fatica. Un particolare ringraziamento a Pino Meneghini per l’amichevole collaborazione nella stesura, per i consigli che mi ha dato nella redazione finale di questo volume, ed infine per la prefazione che ha voluto fare al mio lavoro. Un caloroso ringraziamento, nel segno di una profonda amicizia, a quanti mi hanno fornito notizie e soprattutto le immagini che arricchiscono le pagine che seguono. Un grazie particolare quindi a Paolo Ambrosini, Mimma Vignolini, Franco Conti, Lanfranco Sabbadini, Achille e Carlo Gallinella, Ester Madrignani, Francesca Gilardi, Fabio Boccardi, Marcello Bellegoni, Natale Amodio, Giorgio Valenti, Natalia Montarese, Franco Montepagani, Federico Luci, Elena Forcieri e Irma Checchi Ferrari.

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“Nel nome dei Governi e dei Popoli delle Nazioni Unite, ringraziamo Bianchini Werther di Carlo di avere combattuto il nemico sui campi di battaglia, militando nei ranghi dei Patrioti tra quegli uomini che hanno portato le armi per il trionfo della libertà, svolgendo operazioni offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari. Con il loro coraggio e la loro dedizione i Patrioti italiani hanno contribuito validamente alla liberazione dell’Italia e alla grande causa di tutti gli uomini liberi. Nell’Italia rinata i possessori di questo attestato saranno acclamati come Patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà.” H.R. Alexander Maresciallo Comandante Supremo Alleato delle Forze nel Mediterraneo Centrale

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I LA MIA FAMIGLIA

La mia famiglia era composta dai miei genitori e da un fratello di età maggiore. Mio padre, parrucchiere, gestiva un negozio nel centro di Sarzana e precisamente in un fondo del palazzo comunale, di fronte all’odierno Caffè Pini. Era considerato il principale nella sua attività e serviva le persone più note della città, venendo a contatto con personaggi politici, amministratori, intellettuali dell’epoca. Questo gli serviva per portarlo a conoscenza e discutere con queste persone di vari argomenti politici e non. In questa sua attività artigianale ebbe alle sue dipendenze parecchi giovani, i quali, con le parole e l’esempio di mio padre divennero degli antifascisti. E proprio uno di questi Ercole Gallinella, un giorno, mentre si accingeva a riprendere il lavoro dopo la pausa del pranzo, fu aggredito nei pressi del Teatro Impavidi, da un gruppo di fascisti che, dopo averlo percosso, lo costrinsero ad ingurgitare dell’olio di ricino. Dopo questa disgustosa esperienza il Gallinella preferì lasciare l’Italia, migrando in Francia, e dopo alcuni anni ritornò in patria andando ad abitare a Ventimiglia dove aprì un negozio e svolgeva la sua attività di parrucchiere. Questi fu uno dei primi, se non il primo, fuoriuscito politico di Sarzana.

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Nel 1945, dopo la fine della guerra, il giovedì di ogni settimana, giorno del mercato a Ventimiglia, nel suo negozio si ritrovavano i molti sarzanesi ex fuoriusciti che abitavano in Francia nei pressi della frontiera e si formava così un gruppo di concittadini che conversavano nel loro non dimenticato dialetto di Sarzana. Ercole Gallinella Altro dipendente ed anche nipote di mio padre fu Paolino Ranieri. Di lui che avrà in seguito un importante avvenire politico e amministrativo, mi occuperò più avanti. Passarono alle dipendenze di mio padre altri due giovani che avranno un posto di rilievo nella Resistenza. Lanfranco Sabbadini, figlio di Adolfo, socialista, uno dei personaggi di spicco nelle giornate del 21 luglio 1921 e vicesindaco in rappresentanza del suo partito nelle amministrazioni comunali del dopoguerra. Per ultimo, Vilmo Tendola che, abitante in Castelnuovo Magra, il sabato era ospite di casa nostra. Il giovane morì fucilato dalla X Flottiglia Mas, a Valmozzola il 17 marzo 1944, insieme ad altri sette antifascisti.

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Paolino Ranieri nel suo negozio di barbiere


Lanfranco Sabbadini


Vilmo Tendola


Mio padre Carlo


II LE PRIME ESPERIENZE POLITICHE

Ero ancora un ragazzo quando, attraverso i racconti di mia madre, cominciai a conoscere la situazione politica di Sarzana, prima e durante il fascismo. Mio padre per il lavoro che svolgeva non aveva orari per il rientro serale, e quindi mia madre ci intratteneva raccontando episodi della sua giovinezza, e in particolare cosa era successo nel periodo che precedette e segnò l’avvento del fascismo. Fu così che cominciai da ragazzo a conoscere cosa era il fascismo, in ciò aiutato soprattutto dai ricordi di mio padre che nei momenti dedicati alla famiglia, non perdeva occasione per parlarmene. In questo modo crebbe in me una convinta avversione alla dittatura di Mussolini. Cominciai la mia esperienza di antifascista frequentando la scuola elementare senza prendere per cinque anni la tessera dell’Opera Nazionale Balilla e non indossando la relativa uniforme. Passando alla scuola secondaria, la disposizione dell’allora Ministero dell’educazione nazionale obbligava il pagamento della tessera; al momento dell’iscrizione insieme alle altre tasse, era obbligatoria anche la divisa da avanguardista, cosa che mio padre non ha mai accettato. Per questo motivo, per ben due volte, fui sospeso da scuola. In queste si-

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tuazioni approfittavamo dell’amicizia che mio padre aveva con il bidello della scuola, Medardo Bassi, un reggiano, socialista prampoliniano che era nelle grazie del preside di allora, prof. Ugo Bui, il quale interveniva adducendo le precarie condizioni economiche della famiglia come causa del mancato acquisto della divisa. Effettivamente in quel periodo, dopo che mio padre aveva smesso la sua attività per motivi di salute e aveva regalato il suo negozio al nipote Ranieri Paolino, che lo condurrà poi fino alla nomina a Sindaco di Sarzana, le condizioni della nostra famiglia erano meno floride. E a proposito del Preside, aggiungo che Ugo Bui, fascista della prima ora, dopo l’8 settembre ‘43 si diede alla politica attiva nella neonata Repubblica Sociale, e al momento della costituzione del corpo della brigata nera divenne amministratore del distaccamento locale. Per questo una sera, mentre rientrava alla sua abitazione fu catturato da una squadra di partigiani e di lui non si seppe più niente. Frequentavo ancora la scuola quando il 20 aprile 1937, da parte della polizia politica, furono arrestati circa 70 antifascisti sarzanesi, e tra questi mio cugino Paolino. Dopo alcuni giorni, gran parte di questi, furono scarcerati, e un certo numero rilasciati con ammonizione e sorveglianza speciale. Mio cugino, insieme ad altri, considerati responsabili locali del Partito Comunista furono rinviati a giudizio al Tribunale speciale. Al processo uno di questi, Alfio Forcieri, fu assolto, mentre gli altri, Paolino Ranieri, Anelito Barontini, Dario Montaresi, furono condannati a quattro anni di carcere e Vesco Guglielmo a due. Nel periodo della loro detenzione ho vivo il ricordo di Emilio Zappa, esponente socialista, che periodicamente,

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Emilio Zappa

quando si avvicinava il giorno che mia zia, insieme alla madre di Barontini, si recavano al colloquio nel reclusorio di Fossano dove i due erano detenuti, passava dal negozio verso le due del pomeriggio e, senza entrare, allungava una


mano e lasciava cadere nelle sue mani dei soldi: era il famoso “soccorso rosso”. Nel marzo 1940, a seguito di un’amnistia per la nascita di una principessa reale, mio cugino, insieme agli altri, uscì anticipatamente dal carcere. Si abitava a pochi metri di distanza in piazza Luni e così, alla sera, con i miei genitori andavo a casa di mia zia a tenere compagnia a Paolino che, avendo l’ammonizione e la sorveglianza speciale, dopo il tramonto e fino all’alba non poteva uscire di casa. Molto spesso sentivamo bussare al portone. Paolino sapeva che si trattava del brigadiere di pubblica sicurezza Mancioppi Pasquale, giustiziato dai gappisti il 27 settembre del 44, il quale veniva a controllare se era in casa. Intanto gli anni erano passati ed ero diventato un giovanotto, con mio cugino ci si frequentava giornalmente e in quel periodo era scoppiata la guerra. Un giorno cominciò

Luigi Cibei

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Ercole Madrignani

a passarmi la stampa clandestina: volantini, giornali ma anche libri messi all’indice per il loro contenuto politico, dei quali ricordo il primo, “La madre� di Massimo Gorki.

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Oriano Gilardi

Nel 1941, andando a lavorare come apprendista meccanico allo stabilimento della Termomeccanica della Spezia trovai due antifascisti sarzanesi: Giglio Cibei ed Ercole Madrignani, dei quali uno aveva scontato due anni di confino e l’altro era stato condannato dal Tribunale speciale a due anni di carcere.

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Rimasi in quello stabilimento fino all’8 settembre ‘43, per tutto questo tempo frequentai questi miei colleghi con i quali avevo stretti rapporti politici e di amicizia. La scuola antifascista non mi mancava e io cercavo in tutti i modi di rendermi utile alla clandestinità. Fu così che un giorno, verso la fine del 1942, con un mio amico da poco scomparso, Oriano Gilardi, studente, decidemmo di comporre da soli manifestini antifascisti. Muniti del materiale occorrente comprato a Pisa, dove il Gilardi studiava, tutti i fine settimana nel solaio della sua casa, in località Olmo, si preparavano manifestini a contenuto antifascista e contro la guerra. Avemmo anche il consenso del Partito Comunista per questa iniziativa, e così dopo alcuni mesi, fummo in grado di portare a termine l’operazione. Era estate e per diverse sere si girava fino a tarda ora per le strade di Sarzana per controllare se c’erano forze dell’ordine e quindi comportarsi di conseguenza. Sembrava che le cose andassero per il verso giusto e quindi decidemmo di condurre a termine l’opera. Quel giorno era domenica, entrammo in un bar, ma alle 22.30 dalla radio accesa, sentimmo la gente battere le mani e urlare di gioia. La radio stava trasmettendo la notizia che era caduto Mussolini. Quel giorno era il 25 luglio 1943 e l’Italia si era liberata del fascismo. Grande fu la nostra gioia che si accomunava ai ricordi e ai pericoli che avevamo affrontato per la compilazione dei manifestini. Tutto questo nostro materiale fu usato due giorni dopo, il 27 luglio, durante la manifestazione popolare nelle vie cittadine organizzata per la caduta del fascismo.

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Werther Bianchini, a destra con Oriano Gilardi


Ma il clima non era tornato del tutto tranquillo, infatti una domenica del successivo mese di agosto, in compagnia di altri amici, in tutto sei, ci stavamo recando al cinema, divisi in due gruppi di tre, come disposto dalla legge. A un tratto il primo gruppo si fermò per leggere il manifesto della chiamata alle armi dei giovani di leva. I tre che seguivano si erano aggiunti agli altri tre, formando in questo modo un gruppo di sei persone, proibito da un decreto emesso dal governo Badoglio. In quel momento dall’angolo di Piazza Garibaldi spuntò la pattuglia dei Carabinieri, con urla ci investirono e ci dichiararono in arresto. Fummo portati nella caserma di Via Mascardi, e dopo averci perquisito e fatto togliere le cinture dei pantaloni, ci rinchiusero in due celle di sicurezza, e, ligi alla legge vigente, tre per cella. Dopo sette ore di custodia fummo portati alla presenza del maresciallo per i verbali di rito, e questi, fatta una romanzina che finì con la frase “dovrei farvi fucilare”, ci lasciò lìberi.

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Paolo Ambrosini


III IL LAVORO POLITICO CLANDESTINO

Praticamente il mio impegno politico clandestino cominciò dopo l’8 settembre 1943, perché in precedenza mi era solo consentito il commentare con altri giovani antifascisti la stampa che mio cugino Paolino mi faceva avere. Successivamente iniziò la Resistenza al fascismo e ai tedeschi e quindi ci organizzammo nell’appena costituito Fronte della Gioventù, che operava tra i giovani, invitandoli alla renitenza al servizio militare, all’affissione di manifestini antifascisti, raccolta di soldi, indumenti ed alimenti per le costituende formazioni partigiane, e in generale spingendoli a tutte le forme di propaganda onde attirare i giovani che fino allora erano stati vittime della propaganda fascista. Fu così che una delle prime domeniche di ottobre, una giornata molto piovosa, con Paolino mi recai in viale Mazzini, angolo San Francesco, ad un appuntamento con un organizzatore che alle 11 sarebbe arrivato dalla Spezia e con lui avrei cominciato i miei contatti come responsabile del Fronte della gioventù. Puntuale arrivò in bicicletta un giovane, coperto da un lungo mantello impermeabile. Era il coordinatore provinciale dell’organizzazione, si presentò con il nome di Renato, ed era molto giovane, un mio coetaneo. Mi colpì il suo italiano non perfetto che, parlando, intercalava con espressioni come “bene”, “appunto”, “boh!”.

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