Il legno che canta (anteprima)

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Editing: Giovanni Podera Edizioni Curci S.r.l. - Galleria del Corso, 4 - 20122 Milano I° edizione: © 2013 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano II° edizione riveduta e ampliata: © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano Tutti i diritti sono riservati. EC 11826 / ISBN: 9788863951592 www.edizionicurci.it Prima stampa della seconda edizione in Italia nel 2017 da INGRAF Industria Grafica S.r.l., Via Monte San Genesio, 7 - Milano


Nota introduttiva alla seconda edizione Com’era prevedibile, la prima edizione di questo volume ha suscitato un ampio consenso tra le categorie interessate e ha segnato l’avvio di una giusta rivalutazione dell’opera dei maestri della liuteria italiana del Novecento storico. In questa nuova edizione, ho potuto mettere a punto non pochi dettagli e aggiungere, ai liutai inclusi nella prima edizione, Rodolfo Paralupi, della cui opera non avevo potuto a suo tempo trattare a causa della mancanza di informazioni: grazie alle ricerche svolte dal professor Galliano Speri di Roma, tale lacuna è stata colmata. Anche Mario Grimaldi ha arricchito il suo saggio con alcune, importanti integrazioni. Si delinea così una sorta di work in progress – suscettibile di futuri arricchimenti – che guida e accompagna il processo di consapevolezza storica in atto nel mondo della liuteria chitarristica nazionale, fenomeno inseparabile da quello che ha portato al riconoscimento dei valori del repertorio e dell’arte interpretativa che si sono formati in Italia fin dal Barocco, e che sono proseguiti ininterrottamente fino all’eccellenza di oggi. Angelo Gilardino Vercelli, marzo 2017

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PARTE PRIMA di Angelo Gilardino

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Introduzione Il proposito che mi induce a scrivere questo libro sull’arte dei costruttori italiani di chitarre è quello di una giusta e doverosa rivalutazione della loro opera, misconosciuta e sottostimata. All’origine della poca considerazione che i chitarristi italiani dimostrarono – e tuttora in gran parte dimostrano – nei confronti dei liutai loro conterranei e coevi si può riconoscere una causa determinante: l’aver soggiaciuto alla mitologia della chitarra spagnola e dei suoi maestri. Andrés Segovia rappresentò, per i chitarristi italiani (e non soltanto per loro), il modello da imitare nel modo di suonare, nella scelta del repertorio e anche con l’adozione delle chitarre che egli adoperava nei suoi concerti. L’ingenua ambizione ad assomigliargli spinse concertisti, docenti, studenti e dilettanti a procurarsi chitarre firmate da Manuel Ramirez (in realtà, la chitarra Manuel Ramirez suonata da Segovia dal 1913 agli inizi del 1938 era stata costruita nel laboratorio Ramirez da Santos Hernández), Hermann Hauser, José Ramirez III, etc., con una devozione acritica che andò a tutto scapito delle chitarre costruite dai liutai italiani; i quali, d’altra parte, non ebbero la forza di correggere questa tendenza, e anzi si piegarono collocando – almeno nominalmente – i loro strumenti nell’orbita di quelli costruiti dai maestri spagnoli. In realtà, Luigi Mozzani assunse una posizione tutt’altro che acritica e devozionale nei riguardi delle opere dei liutai iberici, e le chitarre di Gallinotti, seppur modellate su quelle di Julián Gómez Ramirez o di Francisco Simplicio, rivelavano caratteristiche del tutto proprie. I chitarristi non erano però in grado di coglierne e di valorizzarne l’essenza, e concedettero al maestro di Solero soltanto una tiepida stima, o quella forma di affetto protettivo nelle cui manifestazioni è sottinteso che la generosità dei patroni sovrasta i meriti di chi ne beneficia. Non sembra inoltre infondato il sospetto che parecchi, tra i committenti di 7 © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


Gallinotti, si rivolgessero a lui soltanto perché i suoi strumenti erano meno costosi di quelli madrileni o barcellonesi. Ancora più ingrata fu la sorte di altri liutai di grande valore, quali Lorenzo Bellafontana di Genova – la cui cerchia di estimatori non andò mai oltre la regione ligure – e Mario Pabè di Turate (Como), costruttore di altissima caratura che fu letteralmente ignorato in vita; né fu baciata da fortuna commisurata ai meriti dell’artefice l’opera ispiratissima di Nicola De Bonis di Bisignano (Cosenza), erede, insieme al fratello minore Vincenzo, di una tradizione liutaria plurisecolare. Nel quadro del salutare ripensamento della storia della chitarra, che da alcuni decenni si sta ricomponendo in modo verosimile, si delinea, soprattutto tra gli interpreti più giovani, una diversa consapevolezza. Grazie a studiosi come Giovanni Intelisano – che ha pubblicato un corposo volume su Luigi Mozzani1 – Mario Dell’Ara e Mario Grimaldi, che hanno dato alle stampe un volume su Pietro Gallinotti2 – è già possibile avvalersi di studi monografici seri e attendibili. Sembra quindi giunto il tempo di tracciare un quadro storico d’insieme della liuteria chitarristica italiana del Novecento. Premetto che non intendo redigere una compilazione carente di indirizzo critico e inevitabilmente esposta al rischio di qualche involontaria omissione. Scopo di questo libro è invece quello di aprire una visione capace di aiutare il lettore nella comprensione di aspetti della storia della chitarra che si manifestano 1 Giovanni INTELISANO, Mozzani, Un liutaio e la sua arte, Arts & Crafts, Cento, 1990. Il volume, ampliato e aggiornato con la collaborazione di Lorenzo Frignani, è stato ristampato con il titolo Luigi Mozzani/vita e opere, Minerva Edizioni, Bologna, 2008. Nelle note successive, il numero 1 si riferisce alla prima edizione e il numero 2 alla seconda. 2 Mario DELL’ARA – Mario GRIMALDI, Pietro Gallinotti, Liutaio di Solero, Rosa Sonora, seconda edizione, Savigliano 2006. Un volume d’aggiornamento a cura di Mario DELL’ARA, intitolato Pietro Gallinotti, Liutaio di Solero, Rosa Sonora, terza edizione, è stato pubblicato nel 2007.

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parallelamente a quelli della storia del repertorio e dell’arte interpretativa. A tale proposito, ho creduto opportuno individuare alcune figure nel panorama della liuteria italiana del Novecento e mi sono limitato ad autori nati entro il 1920: Luigi Mozzani, Pietro Gallinotti, Lorenzo Bellafontana, Mario Pabè, Nicola De Bonis. Credo che questi siano stati i grandi maestri della liuteria chitarristica italiana nel Novecento e mi propongo, con questo studio, di incoraggiare e di stimolare un processo di giusta considerazione della loro opera. Con la mia selezione, non voglio minimamente sminuire il valore dell’opera di altri esponenti della generazione dei capostipiti, né di quella di coloro che ne furono i continuatori, per non parlare dei più giovani, non pochi dei quali hanno raggiunto livelli di eccellenza – e anzi mi auguro che questo libro contribuisca a far meglio apprezzare anche la loro opera. Ho scelto figure emblematiche, degne di essere collocate accanto a quelle dei grandi liutai iberici il cui prestigio è meritatamente vivo in tutto il mondo: così sia anche per i grandi italiani che costruirono magnifiche chitarre in tempi in cui, al sostantivo “chitarra”, l’aggettivo “spagnola” si legava inscindibilmente in una sorta di simbiosi molto simile al luogo comune. Ho chiesto al liutaio Mario Grimaldi – che è anche uno studioso – di completare questo libro scrivendo una sua versione degli stessi temi dei quali io mi sono occupato: essa costituisce la seconda parte di questo volume, e scorre parallelamente alla prima – in piena autonomia.

Chitarra italiana e chitarra spagnola La resa della chitarra italiana alla chitarra spagnola non fu un processo breve né indolore. Nell’Ottocento, l’arte della liuteria chitarristica aveva raggiunto, in Italia, un altissimo grado di raffinatezza: i Fabricatore avevano autorevolmente guidato a Napoli 9 © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


la transizione tra gli strumenti settecenteschi e quelli nuovi, a sei corde semplici, e i Guadagnini avevano acquisito, con la loro successione dinastica, in quel di Torino, un meritato prestigio. Inoltre, si era creato un asse tra le ricerche del liutaio viennese Johann Georg Stauffer e quelle del grande chitarrista-compositore Luigi Legnani. Era quindi consolidata, alla fine del secolo XIX, un’arte della liuteria chitarristica italiana, ben caratterizzata nella morfologia degli strumenti e nella loro sonorità3. Le differenze tra le chitarre italiane dell’Ottocento e quelle costruite, nella stessa epoca, dai liutai spagnoli, erano radicali. Anche se Legnani aveva propugnato la necessità di ampliare le dimensioni della cassa armonica per aumentare l’intensità del suono, in Spagna si andavano definendo i caratteri di un’arte liutaria diversa, che tendeva a rendere le chitarre non soltanto più potenti nell’emissione, ma anche più capaci di tenere la durata dei suoni (specialmente nel registro medio-grave) e più sensibili alle varianti timbriche derivanti dalle diverse modalità di attacco delle corde. Non a caso questa ricerca si sviluppava contemporaneamente a quella di virtuosi-compositori sempre più interessati a esaltare, nelle loro opere e nei loro concerti, la bellezza e l’elasticità del suono – cioè, in fondo, le prerogative più importanti della chitarra. Il mezzo principale per stabilire un controllo sui modi vibratori della tavola armonica – determinanti agli effetti della qualità del suono – fu individuato dal massimo esponente della liuteria spagnola, Antonio de Torres Jurado (1817-1892), nelle barrette a ventaglio incollate alla faccia interna della tavola armonica. Non fu questa un’invenzione di Torres: tuttavia, mentre i liutai andalusi suoi predecessori avevano escogitato l’incatenatura a ventaglio allo scopo di sostenere e rinforzare la tavola armonica 3 Un quadro sintetico della liuteria italiana dell’Ottocento si trova in: Mario DELL’ARA, Rosa sonora/storia degli artigiani della chitarra, l’Artistica Savigliano, 2000.

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(che essi tendevano ad assottigliare, con il rischio che cedesse alla trazione delle corde), il geniale maestro di Almería seppe avvalersene soprattutto per disciplinare ed equilibrare i modi vibratori, raggiungendo in tal modo una padronanza fino ad allora sconosciuta del parametro timbrico. Egli non partì dal nulla, ma seppe servirsi delle conoscenze prima di lui accumulate nell’arte della liuteria chitarristica con un criterio originale, che avrebbe segnato in modo indelebile la storia della chitarra. Non era tuttavia solo, Antonio de Torres, nel rendersi conto del fatto che l’incatenatura a ventaglio, oltre a conferire resistenza alla tavola, influiva in modo determinante sul timbro. Prima di lui, ne fu consapevole Louis Panormo (1784-1862), membro di una famiglia di liutai di origine siciliana, trasferitasi dapprima a Napoli e poi a Londra. Nella capitale britannica ebbe luogo il primo, importante contatto tra la tradizione della chitarra spagnola e quella della chitarra italiana: Fernando Sor – che abitò a Londra dal 1815 al 1823 – permise a Joseph Panormo di copiare la sua chitarra, costruita dal liutaio José Martinez di Málaga. Louis Panormo, fratello minore di Joseph – e ben più di lui dotato d’ingegno – costruì chitarre che anticipano, soprattutto nell’incatenatura a raggiera, quelle di Torres. Le concezioni dei due maestri erano affini ma non identiche: le barrette, nelle chitarre di Panormo, corrono dalla bocca fino ai bordi con una sorta di ancoraggio agli estremi, mentre, nelle chitarre di Torres, non presidiano l’intero lobo inferiore, e dunque lasciano alla tavola una maggior libertà di vibrazione4. Le innovazioni di Torres non furono limitate al perfezionamento dell’incatenatura a ventaglio, ma si estesero all’architettura di tutto lo strumento, con un assetto delle proporzioni che fa delle chitarre del maestro di Almería dei modelli di armoniosa bellezza. Pertanto, anche se la convergenza tra la liuteria chitarristica italiana 4 Julio GIMENO: El estilo español de construcción de guitarras, in: Antonio de Torres y la guitarra andaluza. Festival de Córdoba, 2007, pp. 4-23.

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e quella spagnola fu un fenomeno verificatosi nel quarto decennio del Novecento, essa fu preceduta di circa ottant’anni in zona franca, cioè in Inghilterra, dall’opera di Panormo. Secondo alcuni accesi sostenitori della liuteria italiana, a voler cercare, procedendo a ritroso nel tempo, si sarebbe potuto risalire fino ai tempi di Antonio Stradivari, le cui chitarre (pochissime) avrebbero influito sugli artefici della chitarra spagnola di quell’epoca: è questo un esercizio nel quale non intendo avventurarmi. Osservo invece che l’orientamento di Louis Panormo non riversò effetti immediati sulla coeva liuteria italiana perché, dopo l’anglicizzazione della sua famiglia, il liutaio non tornò in Italia, e anzi andò a terminare i suoi giorni in Nuova Zelanda. All’inizio del Novecento, le chitarre adoperate dai chitarristi italiani non mostrano alcuna divergenza notevole dalla linea della tradizione nazionale, assai ricca di varianti ma assestata su alcuni cardini condivisi da tutti i costruttori, quali la forma a otto con profilo molto pronunciato delle curve, una differenza poco marcata tra la larghezza massima del lobo superiore e del lobo inferiore della tavola, le fasce basse, etc. Luigi Mozzani ebbe sicuramente contezza delle chitarre Torres fin dai primi anni del nuovo secolo, cioè da quando, probabilmente tra il 1905 e il 1908, incontrò a Parigi Miguel Llobet, che suonava una magnifica Torres; mostrò qualche interesse per la chitarra spagnola fin dagli anni Venti, ma si spese concretamente in tale ricerca, raggiungendo risultati importanti, soltanto nell’ultima fase della sua attività, a partire dal 1934. Avviando nel 1900 in quel di Bologna la sua attività di liutaio, si attenne al modello italiano, arricchendolo delle innovazioni di cui il suo straordinario ingegno era capace. Nel primo decennio del Novecento, egli fu l’unico chitarrista italiano impegnato in un’attività concertistica internazionale, e il fatto che egli si recasse a Parigi e in Germania suonando – con pieno e caloroso consenso del pubblico e dei chitarristi – una chitarra “modello Guadagnini” 12 © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


dimostra che, al di fuori della Spagna, non esisteva un canone condiviso nella costruzione della chitarra. Applaudito dallo stesso pubblico, Llobet veniva elogiato per la sua arte, ma non perché la sua Torres risultasse superiore alle chitarre di cui Mozzani si serviva nei suoi concerti. Fu soltanto nel 1924, in occasione dell’esordio in Germania di Andrés Segovia, che la chitarra spagnola vide sorgere la sua prima colonia all’estero. Llobet presentò Segovia al liutaio Hermann Hauser, che fino ad allora aveva costruito chitarre seguendo il modello del liutaio viennese Stauffer, nonostante il fatto che conoscesse da tempo Llobet e la sua Torres: infatti, una Hauser costruita per Llobet nel 1913 era rimasta senza seguito. Hauser e Segovia si intesero al volo, e la Manuel Ramirez-Santos Hernández di Segovia divenne il nuovo ideale dell’artefice tedesco: gli sarebbero occorsi non meno di tredici anni di tentativi per raggiungere, con la chitarra costruita per Segovia nel 1937 – e da questi adottata a partire dal mese di marzo dell’anno seguente – un risultato tale da indurre il grande chitarrista a mettere da parte la sua Ramirez-Hernández. La cronologia e gli itinerari dei concerti segoviani tracciano la storia della propagazione della chitarra spagnola in tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, risulta di estremo interesse osservare le visite di Segovia. Egli esordì nel nostro paese con un concerto tenuto il 28 dicembre 1926 per la Società del Quartetto di Milano. Sappiamo che, in quei giorni, Mozzani cercò di incontrarlo, ed è certo il fatto che l’indomani, 29 dicembre, Segovia suonò a Bergamo, in un concerto organizzato dalla “Estudiantina Bergamasca”. Nel sovvenzionare la modesta associazione con la provvista della bella (allora) somma di 1500 lire – a tanto ammontava il cachet del chitarrista spagnolo – si spese il mecenate Ludovico Quadri, la cui figlia sarebbe andata sposa al chitarrista, anch’egli bergamasco, Benvenuto Terzi5. È inevitabile 5

Il contratto stipulato tra Quadri e Segovia è custodito nell’archivio Terzi di Bergamo.

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supporre che il giovane Terzi avesse ricevuto da Segovia, in quella circostanza, la raccomandazione rivelatrice del nome di Hermann Hauser come nuovo astro della liuteria spagnola – ancorché dislocata in Baviera – altrimenti non ci si spiega come avrebbe potuto, Terzi, essere edotto dell’eccellenza del lavoro di Hauser al punto da ordinargli una chitarra, che ricevette nel 1929. Sebbene il quadro delle informazioni di cui dispongo non sia esaustivo, credo di poter individuare nella commissione di una Hauser da parte di Benvenuto Terzi, se non proprio il primo, in ordine cronologico, certamente il più importante evento tra quanti, in quell’epoca, segnarono l’avvento della chitarra spagnola in Italia. Il 13 maggio 1927 Segovia esordì a Roma, suonando al Conservatorio per l’Accademia di Santa Cecilia. Mi sembra logico dedurre che fu quel concerto a spingere Benedetto Di Ponio, futuro docente nel primo corso di chitarra istituito da un conservatorio italiano, quello appunto di Santa Cecilia, all’ordinazione di una Hauser: non so con esattezza quando ne giunse in possesso, ma sicuramente fu prima del 19376. È quindi chiaro il fatto che Segovia sosteneva la reputazione – e il business – di Hauser mentre stava ancora adoperando, nei suoi concerti, la Ramirez-Hernández del 1912. La sua stima per il liutaio bavarese si manifestò in attestazioni che, tra l’altro, ferirono profondamente l’orgoglio di Santos Hernández, il quale – impiantato il proprio laboratorio dopo la morte del suo principale Manuel Ramirez – aveva offerto a Segovia una nuova chitarra. Convinto di aver costruito uno strumento migliore di quello del 1912, etichettato Ramirez, Hernández contava sul prestigio che avrebbe acquisito se il grande chitarrista avesse adottato uno La voce riguardante Benedetto Di Ponio nel Dizionario dei chitarristi e dei liutai italiani, pubblicato dall’editrice “La Chitarra” nel 1937, riferisce che il maestro romano possedeva, insieme ad altri strumenti, anche una Hauser. 6

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strumento firmato con il nome del suo vero autore. Mal gliene incolse: non solo Segovia non ricusò la sua vecchia chitarra, ma, mostrandone al costernato Santos una copia, eseguita alla perfezione da Hauser, si profuse in un caldo elogio del liutaio tedesco che, a suo giudizio, avrebbe superato tutti7. La cronologia dei concerti segoviani in Italia negli anni in cui i chitarristi sono in bilico tra la chitarra tradizionale e la chitarra spagnola è utile per comprendere lo sviluppo degli eventi: dopo l’esordio milanese e bergamasco alla fine del 1926, il maestro andaluso venne in tournée in Italia quasi ogni anno fino al 1939 incluso. I soli anni in cui non vi è traccia di suoi concerti nel nostro paese sono il 1929, il 1933 e il 1935. Si può calcolare che, fino al 1939, egli abbia dato, in Italia, circa quaranta concerti8. Si sa benissimo che, in quelle occasioni, i chitarristi si riversavano in massa ad ascoltarlo, riempiendo sale e teatri, e si può ben capire come, di fronte alla rivelazione della sua arte, le loro fragili convinzioni a favore della chitarra italiana andassero in frantumi: è dunque evidente che l’abbandono della chitarra italiana fu causato principalmente dal fenomeno Segovia. Il primo giorno del mese di agosto del 1936, Segovia, la sua seconda moglie, la pianista Paquita Madriguera e le di lei tre figlie (cittadine uruguayane), a bordo della nave italiana “Principessa Maria”, sbarcarono nel porto di Genova. Il chitarrista e i suoi familiari erano fuggiti due giorni prima da Barcelona, dove, con lo scoppio della guerra civile spagnola, le loro vite erano esposte a grave rischio. Si erano imbarcati fortunosamente su 7 José L. ROMANILLOS, Antonio de Torres, Guitarrero, su vida y obra, Cajamar e Instituto de Estudios Almerienses, Almería, 2004, pagg. 91-92. Un’altra versione dell’episodio vuole che la chitarra mostrata da Segovia a Santos Hernández fosse opera del liutaio ginevrino Alfred Vidoudez: Jacques VINCENTI, Une guitare à Genève en 1929, Jacques Vincenti, Genève, 2013, pag. 16. 8 Informazioni documentate e una cronologia dei concerti di Segovia in Italia fino al 1939 mi sono state gentilmente fornite da Stefano Picciano, autore di uno scritto il cui testo mi ha inviato in forma privata. Lo ringrazio sentitamente.

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una nave italiana che trasportava i soldati provenienti dall’Africa: per sfuggire al pericolo che li sovrastava, avrebbero accettato, io credo, qualunque destinazione. Segovia portava con sé soltanto gli effetti personali e la sua chitarra. In preda allo choc causato da quei fatti sconvolgenti, il maestro – che alloggiava in un albergo di Nervi – per venti giorni non riuscì a suonare nemmeno una nota. Poi si riprese, e tenne due concerti nel capoluogo ligure9. Si trattenne a Genova fino a metà ottobre10. Nel mese di settembre di quello stesso 1936, il liutaio genovese Giuseppe Lecchi costruì una chitarra – che ho potuto esaminare di persona presso il suo attuale proprietario nel mese di novembre del 2012 – evidentemente modellata sulla Ramirez-Hernández di Segovia. Del resto, nella voce dedicata a Lecchi dal “Dizionario dei chitarristi e liutai italiani”, si legge: Costruisce a preferenza quelle tipo italiano su la forma delle Guadagnini, con fascia più alta e il fondo più curvo nei due sensi e si è specializzato in quelle tipo Manuel Ramirez di Madrid11.

Sembra un po’ bizzarra, questa specializzazione nella tipologia di strumenti che non rispondono alle proprie preferenze, ma – a voler leggere bene – risulta evidente il fatto che l’allievo di Cesare Candi – già stimatissimo per i suoi violini – si adeguò ai tempi e imboccò la strada lungo la quale si sarebbero incamminati tutti – o quasi – i chitarristi e i liutai. Lo stesso avevano fatto Luigi Mozzani e Pietro Gallinotti, e nel volgere di pochi anni la chitarra italiana sarebbe divenuta uno strumento musicale del passato. Alberto LÓPEZ POVEDA, Andrés Segovia, Vida y obra, Universidad de Jaén, Ayuntamiento de Linares, 2009, Tomo I, pag. 180. Sebbene l’autore non specifichi le date dei due concerti e i nomi delle istituzioni che li organizzarono, la notizia è da considerare attendibile, perché derivata dalle informazioni che lo stesso Segovia trasmise a Poveda, sia per iscritto che verbalmente. 10 Alfredo ESCANDE, Don Andrés y Paquita/La vida de Segovia en Montevideo, Lulu, London, 2009, pag. 193. 11 Dizionario dei chitarristi e liutai italiani, La Chitarra, Bologna, 1937. 9

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INDICE Nota introduttiva alla seconda edizione............................ 3 Parte prima di Angelo Gilardino Introduzione...................................................................... 7 Chitarra italiana e chitarra spagnola................................. 9 Luigi Mozzani, il Leonardo della chitarra...................... 23 Oboista, chitarrista e liutaio....................................... 23 Il ventennio di Cento.................................................. 30 I laboratori-scuola di Bologna e di Rovereto..............32 L’opera di Mozzani nella liuteria chitarristica............33 Mozzani e Segovia..................................................... 34 La “chitarra spagnola” di Mozzani............................ 48 Le pseudo-Mozzani e le Mozzani-Farfisa...................49 La chitarra-lyra.......................................................... 50 Conclusioni.................................................................52 Pietro Gallinotti, il Beato Angelico della chitarra...........53 In pace e umiltà...........................................................53 Gallinotti e la chitarra spagnola................................. 56 Gallinotti e Gómez Ramirez...................................... 60 Gallinotti e Mozzani...................................................62 Gallinotti e Segovia.....................................................62 Un premio, finalmente!...............................................63 Gallinotti e Benvenuto Terzi...................................... 64 Gallinotti e Mario Gangi.............................................65 Gallinotti e José Ramirez III...................................... 66 Conclusioni................................................................ 68 Rodolfo Paralupi, il liutaio devoto di Santa Rita da Cascia...........................................................69 Lorenzo Bellafontana, l’artista che divenne liutaio.........74 Dal disegno alla chitarra.............................................74 Una formazione artistica.............................................75 174 © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


Bellafontana e i grandi chitarristi.............................. 77 Palladino e l’ombra di Mozzani..................................78 Due bombardamenti................................................... 80 Grande liutaio, pessimo venditore..............................81 Conservatore del Cannone......................................... 84 Dopo le bombe, l’alluvione........................................ 84 Il declino.................................................................... 85 Conclusioni................................................................ 88 Mario Pabè, il Carneade della chitarra........................... 89 Conclusioni................................................................ 99 Nicola De Bonis, l’asceta della chitarra.........................100 Il retaggio familiare..................................................100 La vocazione.............................................................101 Le chitarre di Nicola De Bonis.................................105 Ernesto Fausto Ciurlo................................................108 Conclusioni...............................................................112 Il suono italiano............................................................. 114 Appendice...................................................................... 118 Come si prova una chitarra....................................... 118 L’ambiente................................................................. 118 Il collaudo................................................................. 119 Un protocollo............................................................121 Le idiosincrasie della chitarra...................................125 L’età e la storia dello strumento................................126 Il collaudo a due........................................................127 Conclusioni...............................................................128 Parte seconda di Mario Grimaldi Luigi Mozzani................................................................131 La personalità............................................................131 Gli strumenti.............................................................132 Il periodo di Cento....................................................133 Il periodo di Bologna................................................138 175 © 2017 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.


Il periodo di Rovereto............................................... 141 Pietro Gallinotti.............................................................142 Gli inizi di un autodidatta.........................................142 Gallinotti e Julián Gómez Ramirez..........................145 Gallinotti e Francisco Simplicio...............................148 I legni di Gallinotti...................................................150 Epilogo......................................................................151 Le vite parallele dei due liutai di Genova: Giuseppe Lecchi e Lorenzo Bellafontana......................153 Genova, crocevia della chitarra................................153 La formazione e gli inizi...........................................154 Il mito di Ramirez.....................................................155 Les deux amis...........................................................157 Nicola De Bonis............................................................. 161 La dinastia e l’ambiente............................................ 161 La formazione...........................................................162 L’affermazione..........................................................163 La chitarra spagnola..................................................164 La bottega dei De Bonis............................................166 Lo stile di Nicola III..................................................167 La “forma magica”.........................................................171

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