Concerto op. 64 in Mi minore per violino e orchestra (anteprima)

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Artwork di copertina: G. Paolo Zeccara Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2016 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati EC 11828 / ISMN: 9790215906068 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2016 da INGRAF Industria Grafica S.r.l., Via Monte San Genesio, 7 – Milano


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I GRANDI CONCERTI PER VIOlINO DEll’OTTOCENTO: CONVERSAZIONE CON SAlVATORE ACCARDO

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di Alberto Cantù

by Alberto Cantù

I grandi concerti per violino dell’Ottocento si contano sulle dita di una mano. Questo perché “il re degli strumenti”, che fino alla metà del secolo precedente era stato appunto il violino, viene destituito dal trono e cede protagonismo e primato al pianoforte, lo strumento solista per eccellenza dei romantici (Paganini è un’eccezione). Non solo. Rispetto al passato, abbiamo pochi concerti ottocenteschi per violino, perché con il Romanticismo i compositori dedicano al concerto solistico – come anche alla sinfonia – un numero sempre minore di lavori, seppure straordinari e tali da riassumerne emblematicamente la personalità. Queste revisioni interessano i quattro maggiori concerti violinistici dell’Ottocento: l’op. 61 di Ludwig van Beethoven (1806), l’op. 64 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1838-1844), l’op. 35 di Pyotr Ilyich Ciajkovskij (1878) e l’op. 77 di Johannes Brahms (1879).

The great violin concertos of the nineteenth century can be counted on the fingers of one hand. This is because the “king of instruments”, which until the second half of the previous century had been the violin, was dethroned and the centre of attention and leadership was given to the piano, the instrument par excellence of the romantics (Paganini is an exception). Not only. Compared to the past, we have only few nineteenth century violin concertos, because with Romanticism the composers dedicated to the solo concerto – as also to the symphony – an increasingly smaller quantity of works, which are nevertheless extraordinary and symbolically sum up their personalities. These revisions concern the four major violin concertos of the nineteenth century: Ludwig van Beethoven’s op. 61 (1806), Felix Mendelssohn-Bartholdy’s op. 64 (1838-1844), Pyotr Ilyich Ciajkovskij’s op. 35 (1878) and Johannes Brahms’s op. 77 (1879).

Anzitutto, un’osservazione generale. Tutti i grandi concerti per violino dell’Ottocento, tranne quello di Mendelssohn, sono nella stessa tonalità: re maggiore. Anche il famoso Primo concerto di Paganini, in mi bemolle, viene eseguito con il violino accordato mezzo tono sopra, quindi è come se fosse in un re maggiore un poco più alto. Perché la scelta di questa tonalità, peraltro già ricorrente nella letteratura violinistica del passato? Secondo me perché il re maggiore fa vibrare molto di più il violino, in quanto comprende molte corde suonate a vuoto: il la, il re e il sol. Parliamo dei criteri di revisione violinistica di questi concerti.

To begin with, a general remark. All the great violin concertos of the nineteenth century, except for Mendelssohn’s, are in the same key: D major. Even Paganini’s famous First concerto, in E flat, is played with the violin tuned half a tone higher, so it is like a slightly higher D major. Why the choice of this key, which is furthermore already recurring in the violin literature of the past? In my view because D major makes the violin vibrate much more, since it contains many open strings: A, D and G. Let’s talk about the criteria of the revision for the violin of these concertos.

ho adottato lo stesso criterio seguito nella revisione dei Concerti di Mozart, pubblicati sempre da Curci: risalire alle fonti, agli originali. Purtroppo non ho potuto esaminare i manoscritti di Mendelssohn e Ciajkovskij ma ho studiato tutte le partiture (e le parti di violino e pianoforte) pubblicate, dalle primissime edizioni a quelle più recenti. Il criterio è stato quello di privilegiare sempre la scrittura del compositore quanto ad articolazioni e coloriti, oltre, naturalmente, alle note. Va detto infatti che alcune edizioni hanno apportato numerose modifiche anche a queste ultime. Per quanto riguarda i coloriti, soprattutto nelle partiture di Beethoven e Ciajkovskij ne troviamo alcuni che nella parte solistica non vengono riportati (“crescendo”, “fortissimo”). Indico tali coloriti fra parentesi, con rimando alle partiture o ai manoscritti di riferimento. Nel primo tempo del Concerto di Ciajkovskij, inoltre, incontriamo note diverse rispetto a quelle pubblicate in molte edizioni in commercio. In particolare, sono presenti due situazioni musicali molto interessanti, che ho segnalato con asterischi e rimandi alle partiture e alle parti di violino o pianoforte in cui si trovano tali note. ho fornito alcuni suggerimenti su articolazioni che, come si può constatare con tutta evidenza, sono state dimenticate, perché le stesse frasi si trovano scritte la prima volta con un’articolazione diversa rispetto alle successive. In questi casi si può supporre un errore da parte dei copisti o degli editori nel vedere una legatura più lunga o più corta pur in presenza di passaggi del tutto analoghi ma con articolazioni che musicalmente e violinisticamente risultano molto più consone. Questi suggerimenti di legatura sono tratteggiati. Quanto alla Canzonetta di Ciajkovskij, ribadisco l’importanza di mettere la sordina, come prescrive l’autore e come non fanno molti interpreti, temendo che il violino “non si senta”. la sordina, invece, con il suo timbro suadente, crea l’intimità necessaria a questo canto interiore così ciaikovskjano e suggerisce all’orchestra di suonare più “discreta”.

I adopted the same criteria as the ones I followed in my revision of Mozart’s Concertos, which have also been published by Curci: returning to the sources, to the originals. I was unfortunately not able to examine Mendelssohn’s and Ciajkovskij’s manuscripts but I studied all the scores (and the parts for violin and piano) which have been published, from the very first editions to the most recent ones. My criteria have been to always privilege the composer’s writing of the articulations and the dynamics in addition, naturally, to the notes. It must indeed be said that some editions have made many alterations even to the last. Concerning the dynamics, we find some, especially in Beethoven’s and Ciajkovskij’s scores, which are not written down in the solo part (“crescendo”, “fortissimo”). I indicate such dynamics in brackets, with cross-references to the background scores or manuscripts. In the first movement of the Concerto by Ciajkovskij, we furthermore find some notes which are different from the ones that are published in many available editions. There are two very interesting musical situations in particular which I marked by asterisks and cross-references to the scores and to the violin or piano parts in which those notes are found. I have provided some advice about certain articulations which have most obviously been forgotten, because the same phrases are written the first time with a different articulation than the ones which follow. In these cases we can suppose that it was a mistake of the copyists or the publishers who saw a longer or a shorter slur in passages which are totally similar but with articulations that are much more suitable musically and for the violin. These suggested slurs are marked with broken lines. Concerning the Canzonetta by Ciajkovskij, I reiterate the importance of using a mute, as the author prescribes, and which most interpreters do not use, out of fear that the violin would “not be heard”. In fact the mute, with its soft timbre, creates the necessary intimacy for this interior song which is so typical of Ciajkovskij and suggests to the orchestra that it should play more “discreetly”.

Come ha affrontato la “questione diteggiature”, visto che non sono presenti nei manoscritti di questi concerti né esistono diteggiature assolute e valide per tutti i violinisti?

How did you tackle the “fingerings issue”, since none are indicated in the manuscripts of these concertos and there are no absolute fingerings which would work for all violinists?

Per le diteggiature ho dato più d’un suggerimento, perché non tutti i violinisti hanno la stessa mano: chi l’ha più grande, chi più piccola. Possibilità diverse, oltre che utili, sono molto interessanti anche per permettere a chi suona di cambiare diteggiatura. Ricordo sempre le parole di David Oistrach: «Bisogna imparare a studiare in pubblico». Effettivamente, in pubblico molte volte ci si trova a

I have given more than one suggestion for the fingerings, because not all the violinists have the same hand: some have a bigger one, some a smaller one. Different possibilities, apart from being useful, are very interesting since they also enable the player to change fingerings. I always remember David Oistrach’s words: «One must learn to practise in public». We indeed often find ourselves performing a passage with

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realizzare un passaggio con una diteggiatura diversa da quella studiata, e ci si può accorgere che è migliore.

different fingerings than the ones we practised, and we can discover that they work better.

L’Ottocento, dicevamo, è secolo di pianisti che per scrivere un concerto per violino devono necessariamente rivolgersi a violinisti; ad essi, poi, per gratitudine dedicano il loro componimento e ne affidano il battesimo. Penso ai casi di Mendelssohn (che per l’op. 64 si rivolge a Ferdinand David, “spalla” dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia) e di Brahms (il quale per l’op. 77 – ma non solo – interpella Joseph Joachim, che ne sarà il primo interprete, diretto dallo stesso compositore, sempre al Gewandhaus). Leopold Auer, dedicatario del Concerto di Ciajkovskij, si rifiutò invece di eseguirlo, ritenendolo «troppo lungo» e «poco violinistico», a prescindere dal «grande valore intrinseco».

The nineteenth century, as we were saying, is a century of pianists who necessarily had to turn to violinists in order to write a violin concerto; then, out of gratitude, they would dedicate their composition to them and entrust them with its baptism. I am thinking about the cases of Mendelssohn (who, for his op. 64, addressed himself to Ferdinand David, “concertmaster” of the Leipzig Gewandhaus Orchestra), and of Brahms (who, for his op. 77 – but not only –, asked Joseph Joachim, who was to be its first interpreter, under the direction of the composer himself, again at the Gewandhaus). On the other hand Leopold Auer, to whom Ciajkovskij’s concerto was dedicated, refused to play it, since he considered it to be «too long» and «not very violinistic», despite its «great intrinsic value».

Ciò nonostante, molte articolazioni proposte da compositori non violinisti possono risultare scomode. Questo vale per Ciajkovskij e soprattutto per Beethoven, perché nel Concerto op. 61 vediamo talvolta legature che per essere eseguite alla lettera richiederebbero un arco circolare. Secondo me, si tratta chiaramente di articolazioni musicali, vale a dire di frase. Servono allora suggerimenti violinistici per fare emergere quelle linee melodiche. Mendelssohn, ad esempio, molte volte scrive una semiminima e una croma legate, poi un’altra croma separata. Se però le eseguissimo così con il violino, ne risulterebbe ogni volta un falso accento. Il suggerimento, allora, è di eseguire le note con la stessa arcata rispettando però l’andamento della frase: due note legate e una separata (tutti questi suggerimenti di articolazione sono tratteggiati). Nel Concerto di Mendelssohn sicuramente David ha cambiato molte cose perché ci sono due versioni del lavoro, una giovanile e una più tarda, con differenze secondo me suggerite da David. Quanto al Concerto brahmsiano, a testimoniare il sodalizio artistico fra Joachim e Brahms, oltre alla straordinaria amicizia, è la partitura autografa, ripubblicata in facsimile a colori*. È la partitura usata dall’autore per la prima esecuzione e riporta i segni, in blu e in rosso, degli interventi apportati da compositore e strumentista. Si capisce dunque benissimo l’evoluzione che, dopo il battesimo, questo concerto ha vissuto, e si può anche suonare una cadenza diversa da quella di Joachim; tuttavia, è come se quest’ultima fosse stata scritta dallo stesso Brahms, ed è per questo che nella mia revisione non ne ho riportate altre.

Nevertheless, many articulations proposed by composers who are not violinists can be awkward. This applies to Ciajkovskij and especially to Beethoven, because in his Concerto op. 61 we sometimes find slurs which, to be played to the letter, would require a circular bow. According to me these are clearly musical articulations, that is phrases. Violinistic suggestions are then needed to make these melodic lines stand out. Mendelssohn, for example, often writes a crotchet slurred with an eighth note, and then another eighth note which is separated. But if we played them like that on the violin, we would produce a wrong accent every time. My suggestion, therefore, is to play these notes with the same stroke while nevertheless respecting the style of the phrase: two slurred notes and one detached (all these suggested articulations are in broken lines). In Mendelssohn’s Concerto, I am sure that David changed many things because there are two versions of the work, an early and a later one, with differences which I think were suggested by David. As for Brahms’s Concerto, the autograph score, which was republished in a colour facsimile*, is a witness of the artistic association between Joachim and Brahms, in addition to their extraordinary friendship. This is the score which the author used for the first performance and it is marked with signs, in blue and in red, of the interventions made by the composer and the instrumentalist. We can therefore understand very well the evolution this concerto went through after its baptism, and we can also play another cadenza than Joachim’s; however, it is as if this one had been written by Brahms himself, and that is why I did not include any others.

Mendelssohn e Ciajkovskij hanno scritto le cadenze per i propri concerti. Beethoven, invece, si rifà alla tradizione sei-settecentesca della cadenza improvvisata.

Mendelssohn and Ciajkovskij wrote the cadenzas for their own concertos. Beethoven, on the other hand, takes inspiration from the seventeenth-eighteenth century tradition of the improvised cadenza.

Per Beethoven ho pubblicato un volume a parte dedicato alle cadenze, che ne raccoglie diverse, compresa quella “originale” dell’autore. Beethoven realizzò infatti una trascrizione per pianoforte del concerto, nella quale scrisse le cadenze, che prevedevano anche l’uso dei timpani. Sono cadenze per lo più di incredibile ampiezza, che ho trascritto integralmente per violino, mantenendo anche le suddette parti dei timpani. Nello stesso volume, oltre a queste, ho incluso una delle due cadenze di Joseph Joachim, che nel 1844 riportò in vita il Concerto beethoveniano, un’altra quasi sconosciuta ma molto interessante di Camille Saint-Saëns, musicista che conosceva meravigliosamente tutti gli strumenti, e una di leopold Auer, grande maestro di sommi violinisti come Jascha heifetz e Nathan Milstein. Infine, ho riportato le cadenze di henryk Wieniawski, henri Vieuxtemps e Eugène ysaÿe. Questi lavori rivelano una conoscenza totale dello strumento, anche se stilisticamente rispecchiano la personalità dei grandi virtuosi che le hanno scritte piuttosto che quella di Beethoven. l’ultima cadenza proposta è quella interessantissima di Ferruccio Busoni, che prevede anche il quartetto d’archi dell’orchestra.

For Beethoven I have published a separate volume dedicated to the cadenzas, which contains several of them, including the “original” one by the author. Beethoven actually made a transcription of the concerto for the piano, in which he wrote the cadenzas, which also called for the use of the kettledrums. They are mostly incredibly large cadenzas, which I have entirely transcribed for the violin, and I have also kept the aforementioned parts for the kettledrums. In the same volume, apart from these, I have included one of the two cadenzas by Joseph Joachim, who in 1844 brought Beethoven’s Concerto back to life, another almost unknown but very interesting one by Camille Saint-Saëns, a musician who had a marvellous knowledge of all the instruments, and one by leopold Auer, the great master of famous violinists like Jascha heifetz and Nathan Milstein. Finally, I have included the cadenzas by henryk Wieniawski, henri Vieuxtemps and Eugène ysaÿe. These works reveal a total knowledge of the instrument, even if from a stylistic point of view they reflect the personalities of the great virtuosos who wrote them rather than Beethoven’s. The last cadenza is the very interesting one by Ferruccio Busoni, which calls for the string quartet of the orchestra as well.

In conclusione, queste revisioni sono un lavoro filologico, didattico e di alta divulgazione interpretativa: un’edizione critica che non si pone come un feticcio ma che apre un ventaglio di possibilità.

In conclusion, these revisions represent a philological and didactic work with a high interpretive disclosure: a critical edition which does not set itself as a fetish but opens up an array of possibilities.

Voglio segnalare il prezioso contributo di Francesco Fiore – violista, compositore e pianista eccellente, sebbene non lo sia di professione – che ha curato con grande attenzione le revisioni e riduzioni pianistiche, avendo cura di non pretendere dal pianista accompagnatore di essere un grande virtuoso per poter riprodurre al pianoforte l’intera orchestra. Sono riduzioni accessibili e al tempo stesso musicalmente e stilisticamente impeccabili, pensate anzitutto per i pianisti accompagnatori delle classi di violino nei conservatori e nei corsi di perfezionamento. l’unica riduzione pianistica originale è quella curata da Brahms, che viene naturalmente riportata come tale.

I would like to signal the precious contribution of Francesco Fiore – a violist, composer and excellent pianist, even though it is not his profession – who took care of the revisions and pianistic reductions with great attention, while making a point of not expecting the accompanying pianist to be a great virtuoso who could reproduce the entire orchestra on the piano. These reductions are accessible while at the same time musically and stylistically flawless, and are primarily intended for accompanying pianists of the violin classes in conservatories and improvers courses. The only original piano reduction is the one that Brahms took care of, and is naturally included as such.

* Johannes Brahms, Concerto for Violin Op. 77. A facsimile of the Holograph Score. Con un’introduzione di yehudi Menuhin e una prefazione di Jon Newsom, Washington, library of Congress, 1979.

* Johannes Brahms, Concerto for Violin Op. 77. A facsimile of the Holograph Score. With an introduction by yehudi Menuhin and a foreword by Jon Newsom, Washington, library of Congress, 1979.

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CONCERTO Op. 64 in MI MINORE PER VIOLINO E ORCHESTRA (seconda versione del 1845)

Revisione e diteggiatura di

Salvatore Accardo Riduzione per violino e pianoforte di

Felix Mendelssohn Bartholdy

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