Crediti Per le illustrazioni e gli esempi musicali riprodotti in questo libro si ringraziano: Illustrazioni Fig III.1.1 p. 163 Fig III.3.1 p. 194
© Kunstmuseum Basel, Depositum der Freunde des Kunstmuseums Basel und des Museums für Gegenwartskunst 1940 Foto: Kunstmuseum Basel, Martin P. Bühler Courtesy of Cyfarthfa Castle Museum and Art Gallery
Esempi musicali Es. I.2.1 p. 32 Es. I.2.2 p. 34 Es. I.2.17a p. 51 Es. I.2.18 p. 53 Es. I.2.21 p. 55 Es. I.4.1 p. 71 e Es I.4.3 p. 73
© Oxford University Press 1968. Extract reproduced by permission. All rights reserved. Courtesy of The Music Sales Group Ltd Reproduction by permission of The Fitzwilliam Museum, Cambridge © The British Library Board Image courtesy of Cardiff University Library: Special Collections and Archives Reproduced by permission of Stainer & Bell Ltd, London, England
Es. II.1.1 pp. 94-95 Tabella II.2.1 p. 106 Es. II.2.6 p. 113 Es. II.2.16 p. 124 Es. II.2.17a p. 126 Es. II.2.17b p. 126 Es. II.4.1 p. 142 Es. II.4.2 p. 146 Es. II.4.3 p. 147 Es. II.4.4 p. 147 Es. III.2.2 p. 174 Es. III.4.1 p. 205
© Oxford University Press 1937 . Extract reproduced by permission. All rights reserved. Kolisch, R. Tempo and Character in Beethoven’s Music (Continued) Musical Quarterly (1993) 77 (2): 268-342, table: ‘authentic metronome marks for selected works by Beethoven.’ Reprinted by permission of Oxford University Press © The British Library Board © The British Library Board © Internationale Stiftung Mozarteum (ISM) © The British Library Board © The British Library Board © The British Library Board © ONB/Wien – Image ID © The British Library Board © ONB/Wien – Image ID Courtesy of Bibliothèque nationale de France
L’editore, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle immagini e degli esempi musicali prescelti, è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune od omissioni.
Edizione italiana a cura di Angelo Gilardino Traduzione: Cristoforo Prodan Revisione: Daniela Magaraggia Redazione: Samuele Pellizzari Progetto grafico: Anna Cristofaro, Cristiano Cameroni
Contenuti digitali disponibili on line: edizionicurci.it/guide_abrsm_fiati
Titoli originali dell’opera: A Performer’s Guide to Music of the Baroque Period, © 2002 by the Associated Board of the Royal Schools of Music A Performer’s Guide to Music of the Classical Period, © 2002 by the Associated Board of the Royal Schools of Music A Performer’s Guide to Music of the Romantic Period, © 2002 by the Associated Board of the Royal Schools of Music Per l’edizione in lingua italiana riorganizzata in quattro volumi, su licenza dell’Associated Board of the Royal Schools of Music: Guida all’interpretazione della musica barocca, classica, romantica per strumenti a tastiera (EC 11873) Guida all’interpretazione della musica barocca, classica, romantica per strumenti ad arco e a corda (EC 11874) Guida all’interpretazione della musica barocca, classica, romantica per strumenti a fiato (EC 11875) Guida all’interpretazione della musica barocca, classica, romantica per canto (EC 11876) Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2016 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati / All rights reserved EC 11875 / ISBN: 9788863951912 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2016 da INGRAF Industria Grafica S.r.l., Via Monte San Genesio, 7 – Milano
Avvertenze generali Ove necessario, le altezze delle note vengono indicate utilizzando la notazione scientifica:
do centrale: c'/do4
Notazione di Helmholtz
Notazione scientifica
C''-B" (C2-B2)
do0 - si0
C'-B' (C1-B1)
do1 - si1
C-B (C-B)
do2 - si2
c-b (c-b)
do3 - si3
c' - b' (c1-b1)
do4 - si4
c'' - b'' (c2-b2)
do5 - si5
c''' - b''' (c3-b3)
do6 - si6
c'''' - b'''' (c4-b4)
do7 - si7
c''''' - b''''' (c5-b5)
do8 - si8
Nelle didascalie degli esempi musicali la data si riferisce a quella di composizione, a meno che non sia indicata fra parentesi, nel qual caso si riferisce a quella di pubblicazione o, nel caso di rappresentazioni, alla prima esecuzione. In questo volume viene adottata la notazione scientifica per la numerazione delle ottave sul pianoforte. Il do centrale (corrispondente alla frequenza di 264 Hz) viene pertanto indicato come do4, in quanto quarto do sulla tastiera, partendo da sinistra. Nella tradizione italiana, la stessa nota è indicata più frequentemente come do3 (poiché la prima ottava non ha indice numerico). I QR Code presenti nel volume (come quello a fianco) rimandano agli ascolti selezionati nelle playlist Spotify disponibili in streaming all’indirizzo: edizionicurci.it/ guide_abrsm_fiati. Per ulteriori informazioni consulta le Note sugli ascolti a p. 211. I QR Code possono essere utilizzati da qualunque dispositivo mobile dotato di fotocamera e apposito programma (“app”) di lettura, che può essere scelto tra quelli disponibili gratuitamente negli app store dedicati ai principali sistemi operativi (es. iTunes Store, Google Play Store, Windows Phone Store). Come funziona: inquadrando il QR Code dall’interno dell’app, si accede al corrispondente contenuto online. L’uso delle cifre romane nella numerazione di esempi musicali e illustrazioni identifica il periodo a cui si riferiscono e la corrispondente sezione del libro (I – Età barocca; II – Età classica; III – Età romantica).
© 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Prefazione di Anthony Burton
Cosa intendono l’amico, l’insegnante o il membro di una giuria, quando, dopo che è stato suonato o cantato un pezzo, affermano che il brano “è stato eseguito con lo stile giusto” o, al contrario, che “non è stato molto in stile”? Significa che il pezzo è stato interpretato con, o senza, la consapevolezza di come il compositore si sarebbe aspettato che suonasse quando lo ha scritto. E queste guide sono state scritte proprio per aiutarvi a scoprire cosa si sarebbe aspettato il compositore in epoche diverse e per applicare tali conoscenze al vostro modo di suonare o di cantare. In effetti, fino all’inizio del XX secolo non c’era un’idea precisa di cosa fosse lo “stile dell’epoca”. Quando fu riscoperta, la musica dei secoli XVII o XVIII veniva di solito trattata, da curatori e interpreti, come se appartenesse al presente. Tuttavia, col passare del tempo i musicisti cominciarono a rendersi conto che non potevano tranquillamente assumere in modo semplicistico che tutto – compresi gli strumenti e il modo di suonarli – andasse sempre bene, e che il loro abituale stile esecutivo si adattasse ugualmente ad affrontare qualsiasi composizione musicale. Essi iniziarono così a ricercare nuovi modi di eseguire la musica del passato, che fossero più attenti alle aspettative del compositore: attraverso il recupero di strumenti come il clavicembalo e il liuto e la formazione di orchestre da camera; attraverso l’affermarsi delle edizioni “Urtext”, che proponevano (o pretendevano di proporre) nient’altro che le intenzioni originali del compositore; attraverso lo studio dettagliato della “prassi esecutiva”, cioè del modo in cui la musica veniva interpretata in tempi e luoghi diversi; e, più recentemente, attraverso l’utilizzo di strumenti d’epoca (o, sempre più spesso, di fedeli repliche moderne degli stessi). In tutto questo le registrazioni hanno svolto un ruolo fondamentale, facendo rivivere molte zone trascurate della storia della musica, gettando una nuova luce sulle opere famose del passato e dimostrando quale poteva essere l’intenzione del compositore. Per un po’ questi sviluppi hanno portato a uno scoraggiante trasferimento di competenze di intere aree del repertorio agli specialisti, a non vedere di buon occhio qualsiasi esecuzione di musica barocca al pianoforte e a rimuovere non solo Bach e Händel, ma anche Haydn e Mozart, dai programmi delle orchestre sinfoniche. Ma ciò non era di certo sufficiente ai musicisti o al loro pubblico; e per gli studenti che avessero voluto conoscere un repertorio musicale più vasto, probabilmente senza alcuna possibilità di accesso agli strumenti d’epoca, ciò non aveva proprio senso. In ogni caso, non appena gli esecutori specializzati e gli studiosi estesero le loro ricerche nel territorio più familiare del XIX secolo, scoprirono altre tradizioni
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Anthony Burton
esecutive andate perdute o fraintese. Così diventò sempre più chiaro che tutte le esecuzioni del passato potevano beneficiare delle conoscenze e dell’esperienza maturata dal “movimento della musica antica”. Un settore rimasto indietro riguardo a questo aspetto è quello della didattica. Molto spesso solo gli artisti che hanno effettuato studi musicali fino al liceo musicale o all’università (e certamente non tutti) si sono cimentati con le idee sull’interpretazione filologica. E poche sono state le pubblicazioni contenenti delle informazioni affidabili di carattere generale, non specialistico, sull’interpretazione della musica del passato. È questo il divario che noi cerchiamo di colmare con questa serie di guide all’interpretazione della musica attraverso epoche diverse: l’età barocca, definita approssimativamente come quel periodo che va dal 1600 circa al 1759 (anno della morte di Händel); l’età classica, dal 1759 (prima sinfonia di Haydn) al 1828 (anno della morte di Schubert); l’età romantica, dal 1828 (anno di composizione dell’op. 1 di Berlioz) a circa il 1914. Le guide si rivolgono principalmente agli studenti dell’Associated Board (soprattutto dei livelli più avanzati) e ai loro insegnanti – per non parlare degli esaminatori. Tuttavia esse non sono state pensate come vademecum per specifici piani di studio, attuali o futuri; e noi speriamo che possano essere utili a tutti i musicisti, oltre che agli adulti dilettanti e ai professionisti. I volumi seguono tutti lo stesso schema. Per ognuna delle tre epoche storiche, un capitolo introduttivo che delinea la collocazione storica della musica e un capitolo conclusivo che tratta delle fonti e delle edizioni. Gli autori di questi saggi, tutti scelti fra i massimi esperti del settore, hanno adottato approcci nettamente diversi per raggiungere i loro obiettivi, per cui i volumi costituiscono, nel loro insieme, un’introduzione ai diversi modi di trattare la storia della musica e la musicologia. Ogni volume contiene un importante capitolo generale su come la notazione sarebbe stata interpretata dai musicisti dell’epoca, seguito da una serie di capitoli più specifici dedicati, in ognuna delle quattro guide, rispettivamente agli strumenti a tastiera, agli archi e agli strumenti a corda, agli strumenti a fiato e al canto. Questi capitoli sono stati scritti da musicisti che non hanno soltanto una competenza accademica, ma anche un’esperienza di prassi esecutiva, in molti casi ai più alti livelli. Un elemento importante che emerge da questi capitoli è che i diversi tipi di musicisti hanno sempre imparato gli uni dagli altri. Ci auguriamo che leggiate tutti i capitoli, non solo quelli dedicati alla vostra specialità;1 e anche che ricaviate chiarimenti e stimoli da tutti i brani di cui consigliamo l’ascolto. Un altro elemento importante trasmesso dagli autori in molti punti del testo è che l’obiettivo dell’interprete non è semplicemente dare l’esposizione più accurata possibile delle note stampate sulla pagina. Questa è un’astrazione circolata solo per pochissimi anni alla fine del XX secolo. Normalmente, per secoli, ci si è sempre aspettato che l’interprete fornisse un apporto, attraverso la sua abilità strumentale e il proprio gusto personale, a sostegno della concezione del compositore – in alcuni momenti dando anche un sostanziale contributo. Quindi ci auguriamo che consideriate queste guide non come un insieme di istruzioni su come realizzare un’interpretazione “corretta”, ma come una fonte di tutte quelle informazioni di cui avrete bisogno per realizzare un’interpretazione significativa – una sintesi fra l’ispirazione del compositore nel passato e la vostra immaginazione e fantasia nel presente.
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Si veda la Nota all’edizione italiana.
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Nota all’edizione italiana
Rispettando il testo dell’introduzione di Anthony Burton – che appare indispensabile per la comprensione della forma originale dell’opera ‒ si rende necessario spiegare preliminarmente che questa edizione è stata strutturata in modo da renderla aderente a quelle che, in base alle esperienze acquisite dall’editore, si presume siano le preferenze dei lettori italiani: si è ritenuto cioè che nelle nostre scuole di musica, a ogni livello, prevalga in ogni categoria di interpreti l’interesse specifico per la trattazione riguardante il proprio ambito strumentale. Mantenendo quindi intatto e inalterato il contenuto del testo originale, si è proceduto a una ripartizione del medesimo non più per età (barocca, classica, romantica), ma per destinazione: strumenti a tastiera, strumenti ad arco, strumenti a fiato, canto. Ciascuno dei quattro volumi derivati da tale ristrutturazione conserva, in comune con gli altri, le parti di interesse generale, e si differenziano dunque soltanto le trattazioni dei rispettivi ambiti strumentali. Naturalmente, tale scelta editoriale – operata con il proposito di offrire ai lettori italiani il servizio che essi si aspettano ‒ non può andare disgiunta dall’auspicio che i componenti di ciascuna categoria leggano anche i volumi destinati alle altre – il che li ricongiungerebbe idealmente ai lettori dell’edizione originale – ma si è preferito lasciare tale lodevole orientamento alla scelta personale. Il curatore
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PRIMA PARTE - ETÀ BAROCCA
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Strumenti a fiato di Stephen Preston
Gli strumenti Probabilmente la cosa più utile da sapere, se si suona musica barocca su uno strumento a fiato, è la differenza costruttiva fra strumenti d’epoca e strumenti moderni. Il vostro strumento è in ogni caso più grande e pesante rispetto alla sua controparte storica. Essere consapevoli di questo semplice fatto, e capirne le implicazioni tecniche e musicali, può fornirvi una serie sorprendente di preziose intuizioni. Quello che non serve raccontare sugli strumenti d’epoca è quanto fossero primitivi e inferiori rispetto agli strumenti moderni né che i compositori barocchi, se avessero ascoltato gli strumenti moderni, li avrebbero di gran lunga preferiti per l’esecuzione della loro musica. Ci sono molte assurdità in queste affermazioni. Ma ciò non significa che la musica barocca non possa essere suonata con notevole successo sugli strumenti moderni.
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Legni L’oboe barocco, il flauto traverso e il flauto dolce si svilupparono in Francia durante la seconda metà del XVII secolo. Lo sviluppo del fagotto è più oscuro, anche se molto probabilmente subì i suoi più significativi cambiamenti in Francia all’incirca nello stesso periodo. Il clarinetto barocco a due chiavi, invece, fece la sua prima apparizione in Germania nel 1710. Perché non si sviluppò prima? Rispetto agli altri legni esso presumibilmente non aveva le giuste qualità di suono e di colore. Furono queste qualità – timbro più caldo, flessibilità dinamica e suono meno penetrante – che resero i nuovi strumenti barocchi significativamente diversi dai loro predecessori rinascimentali. Questa nuovo suono barocco fu il risultato di una serie di cambiamenti costruttivi che produssero in generale strumenti più leggeri. In particolare, i corpi venivano suddivisi in giunzioni piuttosto che realizzati in un unico blocco di legno. I fori per le dita e i diametri interni erano più piccoli; le camerature interne del flauto e del flauto dolce erano coniche, rastremate verso il piede. Le campane dell’oboe e del fagotto erano più leggere. Vennero aggiunte delle chiavi supplementari: al flauto una, all’oboe due e al fagotto tre. Il labium e la fessura della zeppa nell’imboccatura del flauto dolce erano curve anziché diritte, consentendo un maggiore controllo sul suono e sulle dinamiche.
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Stephen Preston
Corno, tromba e trombone
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Per questi tre strumenti una costruzione leggera era cruciale. Avevano pareti più sottili, campane più piccole e bocchini che offrivano brillantezza, trasparenza e controllo. Cornisti e trombettisti avevano realmente bisogno di un simile controllo; in assenza di valvole tutto il lavoro veniva svolto dall’imboccatura. Il corno si sviluppò nella sua forma circolare probabilmente in Francia intorno alla metà del XVII secolo. Inizialmente, avendo solo uno o più canneggi fissi, poteva essere suonato in una sola tonalità. Le prime modifiche settecentesche permisero i cambiamenti di tonalità inserendo ritorte di differenti lunghezze, ma l’esecutore era ancora totalmente dipendente dal solo utilizzo delle labbra e, come con la tromba, rimaneva confinato alla serie armonica naturale (es. I.3.1, p. 62). La tecnica dello stoppato – che consiste nell’inserire la mano nella campana per produrre una scala cromatica completa – verrà introdotta non prima dell’inizio del periodo classico. La tromba e il trombone rimasero pressoché immutati nel passaggio dal Rinascimento al Barocco. La tromba naturale era costituita semplicemente da due tubi collegati alla sezione della campana; ma proprio a causa di questa semplicità costruttiva, il trombettista solista occupava una posizione di rilievo nella gerarchia musicale e doveva avere una tecnica fenomenale. Il trombone, o sackbut, come si diceva allora, era uno strumento moderatamente sonoro e agile come il violino. Nel periodo barocco queste qualità si tradussero in un eccellente repertorio, anche se alla fine del XVII secolo lo strumento andò incontro a un periodo di declino.
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Tecniche barocche Come vedrete, le tecniche barocche erano molto meno vigorose, più rilassate e flessibili, e permettevano una maggiore libertà fisica rispetto a quanto avviene oggi. Le informazioni essenziali che seguono dovrebbero darvi degli utili spunti tecnici e interpretativi.
Respiro, imboccatura e sostegno Imboccature, ance e bocchini barocchi erano progettati per favorire risonanza e flessibilità. Tutti gli strumenti a fiato barocchi avevano bisogno di meno aria rispetto alle loro controparti moderne per far risuonare il corpo dello strumento. Poiché l’emissione del suono era più semplice, essi opponevano meno resistenza, richiedevano meno sforzo, minor volume e intensità d’aria, permettendo al tempo stesso un controllo accurato.
Suono e volume: colore, uguaglianza e dinamica Il modo in cui venivano progettati gli strumenti barocchi, soprattutto nel caso del flauto, faceva sì che producessero un suono più tenue degli strumenti a fiato moderni. Infatti i trombettisti che si erano specializzati nel suonare assoli, sonate e concerti venivano elogiati per la loro capacità di suonare più piano di un flauto. A causa della difficoltà di acquisire e mantenere questa tecnica, essi venivano esonerati da richieste di suonare in continuazione ad alto volume. Agli accompagnatori veniva ricordato di ascoltare il suono del solista, o della parte principale, in modo da non prevalere su di esso.
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Età barocca | Strumenti a fiato
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C’era spesso una notevole variazione tra le note naturali e quelle cromatiche (la parola greca chroma significa “colore”). Le note adiacenti erano spesso disuguali per suono e volume, a seconda dell’ottava in cui si trovavano e la tecnica utilizzata per produrle. Tuttavia, le dinamiche invariabili e la totale uniformità del suono erano considerate come prive di fantasia e noiose; contrasto e varietà erano essenziali. Sui legni le diteggiature usate per le note cromatiche comportavano un suono più morbido, soprattutto nel registro basso. Compositori e interpreti sfruttavano deliberatamente queste “disuguaglianze”, variando il volume, il timbro, l’articolazione e il ritmo per ottenere un effetto espressivo. Il suonare forte era di per sé considerato indice di pessima musicalità.
Articolazione La facilità con cui il suono poteva essere prodotto consentì l’uso di un’articolazione leggera e semplice. Abbiamo già sottolineato l’agilità del trombone. Le note potevano essere variate ritmicamente ed espressivamente, alternando agevolmente quelle più forti e quelle più deboli, e graduando la differenza tra staccato e legato.
Intonazione Sebbene una buona intonazione fosse più difficile da ottenere, la capacità di risposta dello strumento permetteva ai musicisti eccellenti di suonare ben intonati. A seconda dello strumento, venivano utilizzate varie tecniche di controllo dell’intonazione. Fra queste: variazione della forza e del posizionamento del sostegno all’interno del corpo; controllo del labbro e velocità di respirazione; diteggiature speciali; fori chiusi a metà; maggiore o minore chiusura dell’imboccatura. Queste tecniche sono simili a quelle richieste per certa musica contemporanea.
Abbellimenti Poiché gli strumentisti barocchi erano fisicamente più in contatto con i loro strumenti, a causa di una minore mediazione di chiavi, l’ornamentazione era generalmente più facile di quanto lo sia oggi, sebbene gli esecutori di corno e tromba avessero bisogno di buone imboccature per raggiungere l’agilità necessaria.
L’interpretazione sugli strumenti moderni Nella musica barocca c’erano due principali influenze: la danza, coi suoi ritmi, la sua struttura e interpretazione; e il linguaggio, con le sue inflessioni, le sue strutture e la declamazione di discorsi e parole. Tenendo a mente ciò, cominciate il vostro approccio all’interpretazione interrogandovi sulla musica. Se porrete le domande giuste, se osserverete le possibilità suggerite dalla musica e farete qualche buona lettura sulla prassi esecutiva, arriverete probabilmente a un risultato musicale migliore rispetto a quanto non avvenga assumendo che il vostro istinto e la vostra formazione musicale vi abbiano già dato tutto ciò che dovete sapere. La domanda più importante da porsi è la più semplice. Qual è la parola comunemente usata per definire l’azione del “fare” musica? Naturalmente la risposta è ovvia: suonare. © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Stephen Preston
Poi chiedetevi quanto spesso il suonare venga inteso più come lavoro. Purtroppo la risposta è che troppo spesso è davvero un lavoro impegnativo. Talvolta la difficoltà di un pezzo è un elemento importante, ma ciò non è vero per la maggior parte della musica barocca per strumenti a fiato. Al contrario, essa veniva composta per dare gioia e piacere sia all’esecutore sia all’ascoltatore. Purtroppo non è raro ascoltare musica barocca suonata con grande abilità tecnica ma in maniera tale che il significato musicale e il godimento rimangano fuori portata. Più duramente lavorano tali esecutori, più difficile diventa il loro lavoro – e, come un cane che si morde la coda, essi non catturano mai la vera musica. La soluzione è quella di imparare a “lavorare” di meno e a “suonare” di più. Sviluppate l’intuito e la comprensione di ciò di cui trattava la musica barocca, e cercate di capire quali erano gli elementi caratterizzanti la versione barocca del vostro strumento.
Suono Mirate a produrre timbri caldi e pieni, ma leggeri. Sviluppate le parziali armoniche inferiori del suono, poiché le armoniche superiori di ordine pari generano un suono più affilato e tagliente. (Le parziali armoniche costituiscono la fondamentale e gli ipertoni, o armonici, di un suono). Ex. 7.2
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Es. I.3.1. Serie armonica naturale sul Do, che mostra le parziali armoniche presenti in aggiunta a ogni nota fondamentale; le loro proporzioni variabili creano il timbro di una nota. Le parziali indicate in nero sono fuori intonazione nel temperamento equabile.
Le parziali 3, 5 e 7 non solo daranno al vostro suono più calore e timbro, ma vi aiuteranno anche ad amalgamarvi meglio con gli altri strumenti. Sviluppate un uso più fluido del respiro, un sostegno più flessibile, un’imboccatura più rilassata. Attraverso un suono pieno, ma dai contorni morbidi, potete suonare forte senza essere invadenti. Se vi piace la musica barocca, per produrre un suono caldo e flessibile è consigliabile utilizzare particolari tipi di bocchini, testate o ance.
Intonazione Può sembrare strano pensare all’intonazione in relazione agli strumenti moderni; dopo tutto, non è forse vero che si presume che siano gli strumenti antichi a essere fuori intonazione? In realtà lo strumento moderno scientificamente intonato non ha solo vantaggi – soprattutto perché il temperamento equabile non era il sistema di riferimento dell’accordatura barocca. Nel periodo barocco si utilizzavano una serie di sistemi di accordatura diversi, ma l’unico aspetto musicalmente rilevante per noi oggi è che allora i diesis venivano suonati più bassi e i bemolle più alti. Questo è esattamente l’opposto di quello che ci si aspetterebbe. I diesis barocchi venivano pensati come tendenti alle note naturali dello stesso nome (le “diesavano”), e così anche i bemolli nei confronti delle corrispondenti note naturali (le “bemollizzavano”). © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
Fonti ed edizioni di Clifford Bartlett
Cosa significa la notazione? La lingua si esprime con parole, che possono essere anche scritte. Ciò che state leggendo ora veicolerebbe lo stesso significato se lo sentiste pronunciato da me, ma per ottenere il loro massimo effetto alcune parole hanno bisogno di essere declamate. “Essere o non essere” o “I have a dream...” di Martin Luther King, sulla pagina stampata hanno un significato, ma devono essere ascoltate affinché il loro contenuto emotivo raggiunga il risultato più completo. Chi non ha mai sentito una registrazione di Martin Luther King mentre pronunciava il suo discorso avrà molta difficoltà a immaginare come esso suonava facendo riferimento solo al testo stampato. Il problema della notazione musicale è che le informazioni suggerite sono limitate: essa fornisce solo il testo, ma questo deve essere interpretato dall’esecutore per diventare musica. La quantità di informazioni fornite dalla notazione è cambiata nel corso dei secoli, diventando per molti aspetti più precisa. Ma di volta in volta, nelle diverse epoche, si sono modificate le priorità su ciò che fosse più importante trasmettere. L’antica notazione del canto gregoriano è vaga per quanto riguarda l’altezza dei suoni, ma è minuziosamente dettagliata per quanto riguarda la formazione delle frasi. Quando divenne comune indicare con precisione le altezze, altri dettagli andarono perduti. Si può notare questo aspetto nel Graduale Triplex1 (Solesmes, 1979), un’edizione di canto gregoriano per la Messa in cui la notazione tardomedievale (che fino al 1970 rimase la norma nei libri liturgici della chiesa cattolica romana) è affiancata dai segni provenienti da due manoscritti del X secolo. Quando due o più parti vengono eseguite assieme la precisione ritmica diventa più importante, per cui a partire dal XIV secolo comincia a comparire un complesso sistema atto a rappresentare il valore delle note. Questo fu poi semplificato nel XVII secolo con l’avvento della notazione moderna; è ancora oggetto di dibattito lo stabilire quanto a lungo sono state ricordate le regole precedenti per correlare i ritmi binari e ternari. Nel periodo barocco la funzione principale della musica scritta era di mostrare le note e i ritmi. Più tardi, quando i compositori prestarono molta più attenzione a indicare dinamiche, fraseggio e altre nuances, si ritenne necessario aggiornare la vecchia notazione musicale con l’aggiunta di indicazioni per fare in modo che la musica del passato assomigliasse e quella moderna. Il Graduale Triplex riporta, rispettivamente al di sopra ed al di sotto del tetragramma con la notazione quadrata, in inchiostro nero i neumi della notazione metense e in rosso quelli della notazione sangallese, permettendo così una lettura sinottica. [N.d.T.]
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Clifford Bartlett
Ciò era legato a questioni di prassi esecutiva, in quanto ci si aspettava che la vecchia musica suonasse come musica del presente, sugli stessi strumenti e con lo stesso stile. Tali edizioni erano la norma fino a poco tempo fa. Quindi, se un vostro parente anziano vi regala della musica stampata, ringraziatelo debitamente, ma siate estremamente cauti nell’usarla. (Questo, per inciso, non è solo un problema della musica antica; edizioni del repertorio ottocentesco hanno le stesse probabilità di essere superate.) Ogni volta che ho partecipato a una masterclass, uno dei consigli più comuni dati da qualunque interprete famoso era: studia ciò che ha scritto il compositore. A volte si raccomanda di controllare la partitura autografa, anche se non è sempre la sola fonte autorevole. Chi studia un pezzo di musica dovrebbe essere abbastanza sicuro che le informazioni sulla pagina siano il più possibile affidabili. Se state preparando seriamente un pezzo, ogni dettaglio è significativo. Ma se l’autorevolezza del dettaglio è discutibile siete in errore. Per quanto eminenti possano essere i nomi associati alle indicazioni interpretative inserite nel testo, ciò che esse suggeriscono può rappresentare solo una possibile interpretazione; quel che può aver funzionato bene per loro potrebbe non funzionare per voi. Inoltre oggi siamo meglio disposti nei confronti della prassi esecutiva barocca rispetto ai musicisti della vecchia generazione, e ne vogliamo sapere di più.
Affrontare un’edizione Cosa dovrebbe metterci in allerta nelle vecchie edizioni? L’es. I.4.1 mostra l’inizio dell’ultimo movimento della Sonata n. 6 dell’op. 2 di Pietro Antonio Locatelli, così come fu pubblicata da Augener nel 1920. Nel frontespizio si legge Sonata da camera per violino e pianoforte. Edizione di F. David. Curata e riveduta da Emile Sauret. (Ferdinand David, 1810-1873, fu un grande violinista e insegnante, e fu il primo a eseguire il Concerto di Mendelssohn. Sauret, 1852-1920, fu al pari virtuoso del violino e didatta, e per alcuni periodi insegnò presso la Royal Academy of Music e il Trinity College of Music di Londra.) All’inizio cercate di non guardare l’originale, come quello riprodotto nell’es. I.4.2 a pagina 72; non sempre è possibile accedere a una versione migliore per il confronto. Di cosa, di quanto riportato nell’esempio I.4.1, non ci dovremmo fidare?
Dinamiche Nella musica di questo periodo (la Sonata fu pubblicata per la prima volta nel 1732; informazione questa che l’edizione non riporta), forte e piano sono indicati molto raramente; quando appaiono, di solito denotano una semplice eco. Le “forcelle” dei crescendo e diminuendo entreranno nell’uso un po’ più tardi. Qualche violinista può molto verosimilmente aver trattato la battuta di apertura come una frase introduttiva, con un crescendo che porta a un poderoso sol5; allo stesso modo la frase successiva, contrassegnata da una p dal curatore, può essere suonata più piano. Ma la frequenza delle f e delle p è del tutto insolita nella notazione del periodo: la loro presenza esagera la gamma dinamica appropriata al pezzo, e non incoraggia l’esecutore a trovare un modello adatto per incrementi e diminuzioni di volume più delicati.
Legature Le legature aggiunte possono essere più difficili da individuare, poiché ce ne potrebbero essere state anche nell’edizione originale. Fatta eccezione per gli abbellimenti nei movimenti lenti, le legature originali tendono a essere brevi (su due o tre note) e all’interno di una battuta piuttosto che © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
Età barocca | Fonti ed edizioni
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tra una battuta e l’altra. Quindi è probabile che nessuna delle legature sia originale. (Le edizioni di questo tipo riportano spesso lunghe indicazioni di frase, che attraversano anche diverse battute; queste sono caratteristiche della musica del XIX secolo ma non venivano utilizzate in epoca barocca.)
Accompagnamento In questo periodo una sonata solistica sarà stata accompagnata da un basso continuo, costituito visivamente da una sola linea di basso, che può essere suonata (a seconda delle circostanze) da uno strumento a tastiera o uno strumento a corde pizzicate e/o uno strumento melodico basso (v. volume Per strumenti a tastiera, “Età barocca | Strumenti a tastiera”, pp. 66-68 e il volume Per strumenti ad arco e a corda, “Età barocca | Archi e strumenti a corda”, pp. 74-75). Questa versione non è ovviamente stata scritta per il più comune strumento a tastiera del tempo di Locatelli, cioè il clavicembalo. Nessuno se lo sarebbe aspettato negli anni ’20 del Novecento. Ma anche sul pianoforte sembrerebbe ragionevole basare un’esecuzione sulle dinamiche che avevano un certo significato nel periodo in cui il pezzo è stato scritto. Un buon clavicembalista varierà le dinamiche per mezzo della consistenza accordale e dell’articolazione; non c’è modo di suonare sul clavicembalo le indicazioni qui riportate. È anche improbabile che l’esecutore voglia raddoppiare all’ottava la linea di basso come avviene qui. Ma qual è l’ottava corretta da suonare? In un primo momento sembra essere quella superiore, ma alla battuta 3 l’ottava superiore si interrompe, per cui si potrebbe presumere che l’ottava più bassa sia quella originale. 7-1
Allegretto moderato
Es. I.4.1. Pietro Antonio Locatelli, Sonata in sol minore op. 2 n. 6, a cura di Emile Sauret, Augener Edition (1920): quarto movimento, batt. 1-11.
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SECONDA PARTE - ETÀ CLASSICA
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Notazione e interpretazione di Cliff Eisen
Cosa significano le note? Da diverse generazioni a questa parte, ai musicisti è stato tradizionalmente insegnato ad assumere che i simboli utilizzati per eseguire un brano musicale abbiano un significato universale, accettato dai compositori nel corso della storia. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità: tutte le evoluzioni avvenute, fra il 1759 e il 1828, nello stile musicale e nell’estetica, nella prospettiva teorica, nella costruzione e nelle possibilità degli strumenti musicali, sono volte a confutare l’idea che ci fosse una prassi esecutiva comune e di conseguenza un unico modo di interpretare la notazione. I teorici del Settecento, ad esempio, consideravano la musica come basata essenzialmente sull’armonia. Nel 1806, tuttavia, circa a metà della carriera di Beethoven e all’inizio di quella di Schubert, Jérôme-Joseph de Momigny (nel suo Cours complet d’ harmonie et de composition) sosteneva che si dovesse recuperare un approccio “orizzontale”, o melodico, alla musica, dopo che essa era stata subordinata a una concezione “verticale”, o armonica. Si possono ritrovare anche delle differenze nelle descrizioni di specifiche prassi esecutive. Nel 1789, ad esempio, Daniel Gottlob Türk (nel suo metodo per pianoforte intitolato Clavierschule) raccomandava che “quando le note devono essere riprodotte nel modo usuale, vale a dire, né staccate né legate, il dito dovrebbe essere sollevato dal tasto un po’ prima della durata corrispondente al valore della nota”; nel 1801, tuttavia, Muzio Clementi scriveva che “la migliore regola generale è di tenere abbassati i tasti dello strumento per tutta la durata di ogni nota”. E, infine, si dava talvolta il caso che particolari strumenti, o modi particolari di suonarli, non fossero disponibili sullo scenario paneuropeo – o anche all’interno di regioni che noi oggi consideriamo culturalmente affini. Quando Mozart volle un suono particolare per la tromba e il corno per il suo Idomeneo, scrisse a suo padre chiedendogli un particolare tipo di sordina, che non era disponibile a Monaco ma veniva utilizzata dalle sentinelle di Salisburgo. Anche fra queste due città, geograficamente e culturalmente vicine, sopravvivevano dunque delle tradizioni musicali diverse. Quanta differenza ci sarà stata fra Vienna, Berlino, Parigi e Londra? Per questo motivo, le fonti scritte che descrivono la prassi esecutiva del tardo Settecento e del primo Ottocento devono essere trattate con cautela. A quale repertorio sono coeve? E a quali opere si applicano realmente? In alcuni casi le risposte non sono problematiche: il trattato di C.Ph.E. Bach Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen (“Saggio sulla vera arte di suonare uno strumento a tastiera”, 1753), quello di Quantz Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen (“Saggio di un metodo per suonare il flauto traversiere”, 1752), quello di Leopold Mozart Versuch einer gründlichen Violinschule (“Saggio sui principi fondamentali di una © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Cliff Eisen
scuola di violino”, 1756), possono essere associati a specifici repertori. Inoltre, tutti e tre i libri sono stati molto apprezzati in tutta Europa per gran parte del XVIII secolo: evidentemente avevano qualcosa da dire agli esecutori di qualsiasi nazionalità. Al tempo stesso, tuttavia, non è affatto chiaro se tutto ciò che questi autori hanno scritto fosse applicabile in ogni circostanza. Ciò nonostante, vale veramente la pena di studiare i loro trattati, così come i trattati degli allievi e amici più stretti di interpreti famosi. Fra questi ultimi troviamo Musikalischer Unterricht di E.W. Wolf (“Lezioni musicali”, 1788), Schule der praktischen Tonsetzkunst op. 600 di Carl Czerny (“Scuola pratica di composizione”, 1849-1850 ca.), Ausführlich theoretisch-practische Anweisung zum Piano-forte Spiel di Johann Nepomuk Hummel (“Corso completo di regole teoriche e pratiche sull’arte di suonare il pianoforte”, 1828). Le fonti musicali ci raccontano un’altra storia e le informazioni che possiamo ricavarne dipendono in misura non banale da come viene inteso il loro carattere distintivo predominante. Una scuola di pensiero – nata nel XIX secolo e ancora oggi dura a morire – sostiene che solo la partitura del compositore, e non l’interpretazione, rappresenta la “sostanza” di un’opera: è come se Mozart con straordinaria facilità, e Beethoven con lotta titanica, avessero colto dall’etere cosmico le loro opere, musicalmente perfette e complete e delle quali non si debba modificare alcun dettaglio durante l’esecuzione. È questo l’atteggiamento che incoraggia gli esecutori a vantarsi di “lasciare che la musica parli da sola”. Eppure questa affermazione cozza con due fatti molto evidenti: in primo luogo che la musica non può parlare da sola; e, in secondo luogo, che Mozart e Beethoven, e in misura minore Haydn e Schubert, erano in prima istanza degli interpreti. Sicuramente erano anche degli interpreti-compositori, e la straordinaria complessità tecnica e concettuale della loro musica si configura già di per sé come una sorta di interpretazione. Un approccio più fecondo è allora quello di considerare le fonti stesse come delle interpretazioni: questo è chiaramente il caso degli autografi di Mozart, le cui stratificazioni cronologiche conservano spesso letture altrettanto plausibili. Viste come possibilità esecutive, le fonti musicali spalancano una finestra su un’enorme varietà di interpretazioni. Forse l’impressione prevalente che si ha a un attento studio delle opere di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert, o di qualsiasi altro grande compositore della fine del XVIII e dell’inizio del XIX secolo, è che nessun dettaglio sembra essere completamente indipendente dal suo contesto, sia esso una singola frase o un intero movimento. Ne consegue quindi che la classificazione delle convenzioni notazionali e dell’interpretazione – compresi il ritmo e il metro, l’articolazione e il fraseggio, le dinamiche e gli abbellimenti – risulta, nella migliore delle ipotesi, arbitraria. Ci sono degli indizi, tuttavia, sui modi in cui questi singoli elementi interagiscono fra loro. E c’è almeno un esempio che cerca di mettere assieme molte delle questioni discusse qui.
Tempo e metro Il tempo in musica è un argomento importante e problematico. Jean-Jacques Rousseau, nel suo Dictionnaire de musique (1768), elenca tre fattori che giocano un ruolo nel determinare il tempo: Il grado di lentezza o velocità che si dà a una battuta dipende da diversi fattori: 1) dal valore delle note che compongono la battuta. In effetti, si vede che una battuta che contiene una breve deve essere presa con più calma e durare più a lungo di quella che contiene solo una semiminima; © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
Età classica | Notazione e interpretazione
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2) dal tempo, nel senso di indicazione agogica, contraddistinto dalla parola francese o italiana che si trova di solito all’inizio del pezzo [...] Ciascuna di queste parole indica un esplicito adattamento dell’andamento di un determinato metro; 3) infine, dal carattere del pezzo stesso, che, se ben eseguito, farà necessariamente sentire il suo vero tempo. Il primo di questi punti si riferisce alla prassi esecutiva nota come “tactus fisso”: a parità di condizioni, le indicazioni di tempo con i denominatori più piccoli si muovono più velocemente di quelle con denominatori più grandi (ad esempio: 3/8 è più veloce di 3/4), e i metri “corti” sono più veloci di quelli “lunghi” (ad esempio: 3/8 è un metro corto, 6/8 un metro lungo). Se ciò fosse ancora applicato alla musica del tardo Settecento, tuttavia, è incerto, sebbene E.W. Wolf nel 1788 lasciasse intendere che non esistevano relazioni fisse nelle indicazioni di tempo. E tale concezione è apparentemente contraddetta da passaggi in cui i compositori riscrivevano delle introduzioni lente, nello stesso tempo, tipicamente alle riprese (un buon esempio è dato dal primo movimento della Posthorn-Serenade, Il corno di postiglione, KV 320 di Mozart). Il secondo punto di Rousseau, ovviamente, descrive termini come presto, allegro, andante, adagio e simili. Ma anche questi sono oggetto di un significativo dibattito, come anche l’onnipresente e comune indicazione di tempo allegro: mentre molti scrittori nel periodo dal 1750 al 1800 sembrano fissarlo a una velocità di = 120, altri descrivono velocità che vanno da = 75 a = 94. In tutti i casi, tuttavia, è importante notare che, nel complesso, i tempi utilizzati nel XVIII secolo tendevano a essere in generale veloci (anche se non necessariamente così veloci come alcuni direttori “storicamente informati” di oggi vorrebbero farci credere). L’andante, in particolare, era un tempo “al passo” (o “walking”), che conferisce vitalità e movimento ai cosiddetti movimenti “lenti” – si pensi, ad esempio, all’andante con moto della Quinta Sinfonia di Beethoven. L’andantino, d’altra parte, è problematico; a volte descritto come più lento di un andante, a volte più veloce. Almeno per Mozart l’andantino era probabilmente un tempo più lento: ci sono esempi nella sua musica in cui le successioni di velocità possono essere intese solamente secondo una progressione lineare, con l’andantino presente nella parte lenta di tale progressione. Tuttavia altrove, e per altri compositori, la situazione avrebbe potuto essere differente: nel 1813 Beethoven scriveva all’editore scozzese George Thomson chiedendogli se avesse inteso l’andantino come più veloce o più lento dell’andante. Il minuetto, infine, era anch’esso un movimento veloce, sebbene sia importante riconoscere due tipi ben distinti di questa danza: uno, scritto con semiminime e crome, era veloce; l’altro, descritto da Mozart nel 1770 in una lettera dall’Italia come costituito da “una gran quantità di note”, era più moderato. Questi due tipi si trovano distinti fino ai primi anni del XIX secolo. I metronomi non divennero di uso comune almeno fino agli inizi del XIX secolo, periodo a partire dal quale i compositori, gli interpreti e i teorici dell’epoca cominciarono a descrivere con sempre maggiore frequenza non solo le loro idee in merito al tempo in generale, ma anche le loro esigenze su opere specifiche, vecchie e nuove. Beethoven, per esempio, lasciò indicazioni metronomiche per tutte e nove le sue sinfonie, i primi undici quartetti d’archi e diverse opere minori. Tra le sue opere per pianoforte, però, fornì indicazioni solo per la Sonata op. 106 “Hammerklavier”; tali indicazioni sono controverse, perché sembrano eccessivamente veloci. La Tabella II.2.1 fornisce un campione rappresentativo delle opere di Beethoven. Da questa panoramica emerge chiaramente non solo che i tempi del Settecento e del primo Ottocento erano più veloci, ma che non vi era alcuna standardizzazione. Di conseguenza non si può trarre da questa panoramica alcuna conclusione, né di carattere cronologico né geografico. © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Strumenti a fiato di Colin Lawson
Suonare i fiati nell’età classica Ci sono alcuni insegnamenti molto importanti da trarre dalla storia della prassi esecutiva di legni e ottoni nel corso dell’età classica. Come in qualsiasi epoca della storia della musica, anche allora i migliori solisti erano personalità singolari con grandi capacità di comunicazione musicale. Trovare il carattere giusto per un pezzo o un movimento era una delle loro priorità e questo influenzava le loro scelte sul tempo, la dinamica e i colpi di lingua (articolazione). La maggior parte dei musicisti conveniva sul fatto che lo scopo principale degli interpreti dovesse essere quello di emozionare il proprio pubblico e che questo aspetto fosse più importante dell’avere solamente una tecnica eccelsa. In particolar modo la musica è stata a lungo paragonata al parlato, tanto che una grande enfasi è stata data alle legature brevi e al fraseggio, proprio come avviene con le parole di una frase. Tutti riconoscevano che gli esecutori di strumenti a fiato dovessero appunto cercare di imitare i buoni cantanti e questo è ancora un ottimo consiglio. Ciò comporta non solo la necessità di plasmare le linee melodiche, ma anche di prestare attenzione a tutti i dettagli del fraseggio, proprio come un cantante che pone grande attenzione alle vocali e alle consonanti del testo di un brano vocale o di un’aria d’opera. L’età classica è stata un periodo molto stimolante per lo sviluppo degli strumenti a fiato dell’orchestra. Quando Haydn scrisse la sua prima sinfonia, nel 1759, la tipica sezione di fiati era costituita soltanto da due oboi e due corni, con uno o due fagotti in raddoppio ai violoncelli. Alla morte di Schubert, avvenuta nel 1828, si erano stabilmente radicate in orchestra coppie di flauti, oboi, clarinetti e fagotti, assieme a una sezione di ottoni che spesso comprendeva tre tromboni così come due o quattro corni e una coppia di trombe. Altri strumenti collegati alla famiglia dei fiati, come l’ottavino e il controfagotto, cominciarono a fare delle apparizioni occasionali, come, ad esempio, nella Quinta Sinfonia di Beethoven. Fra gli altri ospiti della sezione fiati ci fu il corno di bassetto, un tipo di clarinetto tenore esteso, prediletto da Mozart: due di questi hanno un ruolo di primo piano nel suo Requiem. Due corni inglesi appaiono nella Sinfonia n. 22 di Haydn (detta “Il filosofo”) del 1764, ma l’uso di tale strumento fu in gran parte limitato a pezzi brevi, prima di essere ripreso da Berlioz a partire dal 1830. I compositori cominciarono a essere esigenti nei confronti dei loro maggiori interpreti: le sinfonie di Beethoven, in particolare, contengono alcune parti di fiati molto impegnative.
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Colin Lawson
Le crescenti difficoltà musicali si rifletterono nelle mutevoli caratteristiche costruttive dei legni, che gradualmente nel corso dell’Ottocento acquisirono un maggior numero di chiavi. Questo fu anche il periodo in cui le valvole furono inventate e aggiunte agli ottoni – anche se sia Beethoven sia Schubert scrissero per strumenti naturali, senza valvole. Le valvole hanno sicuramente reso più sicura un’ampia gamma di note, ma hanno anche cambiato il carattere del suono. Un tale età dell’oro attirò l’attenzione di molti compositori, portandoli a scrivere concerti per praticamente tutti gli strumenti a fiato dell’orchestra standard. Certo, Mozart fra questi fu il più importante, ma anche molti altri hanno composto musica solistica. Non sapremo mai come suonavano veramente gli interpreti preferiti da Mozart, ma possiamo star certi che il loro modo di fare musica avesse un certo carattere. La necessità di toccare emotivamente un pubblico oggi viene spesso dimenticata – anche se gli insegnanti a volte ancora deprecano che i loro allievi siano in grado di suonare passaggi veloci senza pensare abbastanza alla musica in sé. Una recriminazione molto simile venne espressa duecentocinquant’anni fa dal celebre flautista e teorico Johann Joachim Quantz, che teneva molto alla formazione di musicisti capaci ed espressivi. Il Conservatorio di Parigi, aperto nel 1795, dopo la rivoluzione francese, pubblicò metodi e trattati per l’insegnamento della maggior parte degli strumenti. Come quello di Quantz, Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen (1752)1, i manuali per l’insegnamento degli strumenti a fiato sottolinearono che non era sufficiente limitarsi a leggere le note e a suonare la musica: sensibilità e fantasia erano essenziali. Era importante caratterizzare la musica e non limitarsi alle sole note sulla pagina. Un docente del conservatorio di Parigi, il clarinettista Xavier Lefèvre, sottolineava che gli strumenti a fiato, senza una varietà di suoni e di articolazione, potevano dopo un po’ apparire monotoni, riconoscendo che la freddezza di suono a volte attribuita al suo strumento era in realtà dovuta all’esecutore. Al disopra di tutto i teorici convenivano sul fatto che una conoscenza dell’armonia fosse essenziale a ogni esecutore di strumenti melodici. Era (e rimane) quindi importante studiare i propri accompagnamenti (soprattutto le parti pianistiche). In un’epoca come questa, precedente all’avvento della musica registrata, vi era certamente una maggiore varietà di stili esecutivi fra i solisti di strumenti a fiato. C’era anche, fra i produttori europei, una standardizzazione assai minore delle caratteristiche costruttive rispetto agli strumenti a cui siamo abituati oggi, anche se non è una sorpresa apprendere che Vienna era uno dei centri più importanti in questo ambito. Qualcuno nel 1811 osservò che gli strumentisti e i loro strumenti a fiato variavano così tanto gli uni dagli altri che non ci potevano essere diteggiature prestabilite: era compito di ciascun musicista trovare quella che avrebbe funzionato meglio. Ancora oggi c’è spazio per un maggiore utilizzo di questo tipo di diteggiatura creativa, anche con l’uso di strumenti moderni. È stato nel corso del Novecento che l’insegnamento nei conservatori, lo sviluppo della registrazione sonora e la comunicazione più facile, si sono combinati assieme per catalizzare una certa standardizzazione nell’interpretazione dei fiati e nella loro costruzione, molto diversa da quella sviluppatasi nelle condizioni in cui lavorarono Mozart e Beethoven.
Per i riferimenti bibliografici delle edizioni in lingua originale e in italiano vedi la nota a p. 40.
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Età classica | Strumenti a fiato
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Gli strumenti Quali insegnamenti musicali si possono trarre dagli strumenti a fiato d’epoca? Oggi ci sono molte più opportunità di apprezzare il suono degli strumenti originali, o di loro repliche, sia in sala da concerto sia su registrazione. Paragonati ai loro equivalenti moderni, tutti gli strumenti d’epoca hanno un suono più scarno e meno perfetto e uniforme. Proprio come Mozart scrisse ruoli operistici per cantanti specifici, così i suoi concerti venivano da lui adattati ai particolari strumenti e ai loro esecutori. Mozart non si lamentò mai dei limiti di nessuno strumento, semplicemente scriveva musica perfetta per ciò che era disponibile. Sarebbe troppo facile (e oltretutto inesatto) al giorno d’oggi assumere che gli strumenti a fiato siano stati semplicemente migliorati e che i vecchi modelli siano obsoleti e privi di qualsiasi interesse. Le nostre versioni moderne di tutti i legni e gli ottoni si sono consolidate pienamente intorno alla metà dell’Ottocento, quando si manifestò in maniera più continuativa uno stile musicale più romantico. Al tempo di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert, i legni di classe superiore continuavano a essere costruiti in legno di bosso, un materiale molto più leggero degli attuali legni neri. Vale la pena ricordare che ciascuno di questi strumenti aveva un suono abbastanza delicato. Flauti, oboi, clarinetti e fagotti avevano tutti molte meno chiavi di quelle a cui siamo abituati. Quando, all’inizio dell’Ottocento, furono aggiunti sistemi di chiavi supplementari, ciò fu fatto inizialmente per rendere più agevole l’esecuzione dei trilli e, più tardi, per rendere gli strumenti più versatili dal punto di vista tecnico, nonché più potenti. Su strumenti come il flauto a quattro chiavi, o l’oboe a due chiavi, molte delle note dovevano essere suonate usando la diteggiatura “a forchetta” (sotto un foro aperto se ne chiudono altri, uno o più, come per molte note sul flauto dolce); l’irregolarità del suono nel passaggio da una nota alla successiva fu sfruttata da compositori in vari modi. Le ance doppie e semplici variavano considerevolmente nelle caratteristiche costruttive rispetto a quelle in uso oggi. Le più antiche ance per oboe giunte fino a noi risalgono al 1770 circa; le ance divennero gradualmente più rifinite fino a raggiungere la loro foggia moderna intorno alla metà dell’Ottocento. Sarebbe un errore tuttavia pensare che le ance antiche favorissero l’irregolarità del suono; al contrario, le loro lavorazioni si adattavano bene al carattere degli strumenti sui quali venivano montate. Sin dal XVII secolo, inoltre, le diverse sagome di ance concorsero alle differenze di qualità timbrica che si riscontrano fra gli oboi francesi e quelli tedeschi; il suono francese tende alla delicatezza, quello tedesco alla calda espressività. Le imboccature per clarinetto avevano di solito profili conici che montavano ance strette e corte. La qualità timbrica del clarinetto ai tempi di Mozart e Beethoven è probabilmente più vicina, come indirizzo interpretativo, al suono tedesco moderno; ma senza dubbio era molto meno standardizzata di oggi. Nel New Grove Dictionary of Music and Musicians è possibile trovare alcune pregevoli fotografie di ance antiche per oboe e fagotto, così come di imboccature e ance per clarinetto come illustrazione degli articoli riguardanti questi strumenti. Il corno naturale è stato utilizzato da tutti i maggiori compositori del periodo. Gli esecutori avevano tutti come obiettivo primario l’omogeneità del suono. Questa era un’impresa, dato che le linee melodiche spesso includevano note “aperte” e note “chiuse”, ottenute inserendo la mano nella campana, cosa che produceva un suono più aspro. Certamente questi strumenti non raggiungevano il livello di uniformità realizzabile sui corni di oggi, più grandi e dotati di valvole. La somiglianza del suono del corno con quello della voce umana fu ampiamente rimarcata, così come la sua capacità di imitare i sentimenti di amore, tristezza e sgomento. I Concerti di Mozart mostrano una notevole conoscenza delle possibilità del corno naturale e, più tardi, nella musica di Weber esso divenne una voce realmente romantica. © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Colin Lawson Ex. 7.2
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Es. II.3.1. Serie armonica sul do. Le note in nero risultano fuori intonazione nel temperamento equabile. I corni potevano ottenere le note intermedie utilizzando i suoni chiusi.
Anche se la tromba naturale rimase fisicamente la stessa di quella dell’epoca barocca, l’uso barocco di registri estremamente acuti diminuì gradualmente; le parti orchestrali invece avevano esigenze diverse, fra cui le note tenui tenute. I concerti di Haydn e Hummel erano stati scritti per una nuova tromba con chiavi, appena inventata (e di relativa breve durata), in grado di produrre una gamma cromatica completa. In particolare essa produceva un suono più morbido della tromba naturale, forse più simile a quello del flicorno moderno. Anche il trombone aveva un suono relativamente delicato, almeno fino a quando l’influenza della musica militare (sulla scia della Rivoluzione Francese) non cominciò a renderne il suono più appariscente. Schubert ha utilizzato lo strumento per produrre effetti imponenti, come, ad esempio, nel trio di tromboni della sua Sinfonia in do maggiore detta “La grande”. Come suonavano effettivamente le esecuzioni strumentali dell’epoca? Non potremo mai saperlo veramente con esattezza, in quanto la registrazione sonora era ancora lungi dall’essere inventata. Forse è sin troppo facile assumere che vi sia stato un costante miglioramento nel corso degli ultimi duecento anni in tutti gli aspetti del suonare, mentre è probabilmente più corretto supporre che siano cambiate le priorità. Senza dubbio l’intonazione era una preoccupazione per la maggior parte degli esecutori e dei teorici. Nel 1752 Quantz sottolineava che le basse temperature potevano creare delle difficoltà al flautista e suggeriva che gli esecutori prestassero sempre una grande attenzione alla loro intonazione. Nel 1791 il flautista di Lipsia Johann George Tromlitz suggeriva che un buon insegnante di flauto dovrebbe suonare le scale assieme ai suoi alunni, in maniera tale che essi possano ascoltare adeguatamente ogni intervallo.
Qualità timbrica È sempre stato problematico spiegare a parole concetti come la musicalità e la qualità timbrica, ma le descrizioni di alcuni interpreti nella cerchia degli amici di Mozart offrono molti spunti di riflessione e di ispirazione. Quando, nel 1784, la Serenata per tredici strumenti KV 361 di Mozart ebbe la sua prima rappresentazione ufficiale, il clarinettista Anton Stadler fu elogiato da un critico nei seguenti termini entusiastici: Non ho mai sentito niente di simile a quello che voi avete tirato fuori con il vostro strumento. Mai avrei pensato che un clarinetto potesse essere in grado di imitare la voce umana come ha fatto con voi. Difatti il vostro strumento ha un suono così morbido e bello che nessuno che abbia un cuore può resistergli.
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Età classica | Strumenti a fiato
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Questo riferimento alla voce è una testimonianza importante non solo per i clarinettisti, ma per tutti gli esecutori di strumenti a fiato. Negli anni novanta del Settecento Stadler fu incaricato di stilare i programmi per la creazione di una scuola di musica in Ungheria; egli insistette sul fatto che ogni studente avrebbe dovuto imparare i principi di base del canto, qualunque fosse la qualità della voce di ciascuno. (Considerava inoltre che chiunque avesse voluto capire la musica avrebbe dovuto conoscere «l’intero scibile umano», come la matematica, la poesia, il parlare in pubblico, l’arte e molte lingue!). Tromlitz diceva qualcosa di molto simile: Poiché non tutte le persone amano lo stesso tipo di suono, e hanno opinioni diverse sull’argomento, è impossibile stabilire una qualità timbrica che possa essere riconosciuta come bella da tutti. Questo sta a dimostrare che il suono è una questione di gusti. Penso che l’unico modello sul quale uno strumentista dovrebbe plasmare il suo suono è la voce umana e per quanto mi riguarda una voce umana è bella quando è vivace, piena e risonante di una forza maschile ma non urlante, delicata ma non sorda. Insomma, per me una bella voce è ricca di timbro, arrotondata, melodica, delicata e flessibile. Può facilmente accadere che le note lunghe sembrino più vivaci e vibranti nel canto che nel suono degli strumenti a fiato. Ma queste note sono certamente andate definendosi negli strumentisti per tutto il periodo classico e oltre. Ad esempio, ci sono prove evidenti che la messa di voce (un crescendo seguito da un diminuendo su una nota tenuta: < >) continuò a essere applicata alle note lunghe. Ciò fu specificamente menzionato dalla storico inglese Charles Burney nella sua memoria sul celebre oboista Carlo Besozzi. Questo particolare effetto può essere un elemento importante nel mantenere il carattere della musica durante l’esecuzione di note dal valore maggiore. L’attacco molto netto con cui gli strumentisti moderni di fiati spesso iniziano a suonare le note è un effetto decisamente non vocale, che non ha un chiaro precedente storico. D’altra parte è evidente che il vibrato non veniva utilizzato costantemente nel corso di un movimento o un pezzo, come spesso accade oggi. Le testimonianze sull’emissione in vibrato sono frammentarie; il vibrato fu comunque sempre e solo usato come ornamento occasionale e nessun metodo per strumenti ad ancia ne parla. Dopo averne ammirato lo stile nel 1765, Mozart criticò duramente l’oboista Johann Christian Fischer, scrivendo, nel 17872: «Il suo suono è del tutto nasale e le sue note tenute sono come i tremoli sull’organo». Come eccezione a confermare la regola, un teorico viennese nel 1796 rammentava che il vibrato non poteva «essere prodotto su nessun altro strumento con tale espressività e vigore come sul corno» e che la ricchezza di effetti del corno era possibile «a causa della rotondità e pienezza del suo suono e del suo vibrato». Il primo riferimento al vibrato sul clarinetto appare nel 1832, come indicazione specifica nel Trio Pathétique di Glinka. Da quel momento Glinka assunse chiaramente che il vibrato potesse essere prodotto facilmente se necessario e la sua presenza in un tale pezzo vocale e all’italiana non è forse così sorprendente. Ma l’analisi dei fatti è che, nel repertorio classico, bisogna stare attenti a non usare con troppa continuità il vibrato.
Lettera di Mozart a suo padre a Salisburgo, Vienna, 4 aprile 1787. [N.d.T.].
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TERZA PARTE - ETÀ ROMANTICA
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Notazione e interpretazione di Clive Brown
Introduzione Per un lungo periodo fu normale pensare che la “musica antica” si fosse conclusa con Bach e Händel, e che a partire da Haydn e Mozart ci trovassimo su un terreno fermo, con una tradizione ininterrotta che ci collegava alle prassi esecutive delle epoche classica e romantica. In questi ultimi anni abbiamo iniziato a osservare la musica dell’età classica sotto una luce abbastanza diversa, fino ad arrivare oggi a considerarla come un legittimo campo di interesse per il movimento della “musica antica”. Ma per la maggior parte dei musicisti la linea di demarcazione tra la “musica antica” e una tradizione esecutiva con la quale ci sentiamo ancora direttamente in contatto non si è ancora spostata oltre l’inizio del periodo romantico. Molti musicisti moderni ritengono che le partiture di Brahms e Čajkovskij, o anche quelle di Mendelssohn e Schumann, veicolino oggi più o meno gli stessi significati di quelli percepiti dai loro contemporanei. Anche i giovani musicisti professionisti che sono a conoscenza dei recenti progressi nello studio della prassi esecutiva possono suonare un pezzo di Haydn o di Mozart in maniera sobria e “classica”, ma eseguire Schumann, Grieg e Debussy come farebbero con Šostakovič, Messiaen o Tippett. Eppure la verità è che, all’inizio del XXI secolo, la notazione musicale ci trasmette qualcosa di molto diverso rispetto a quanto diceva ai musicisti del periodo romantico. Questo non avviene soltanto perché è cambiato il suono degli strumenti e il nostro modo di suonarli, ma anche perché si è cominciato a considerare la notazione sempre più precisa nel suo significato, in relazione sia alle note sia al crescente numero di indicazioni di esecuzione fornite dai compositori. Anche nei primi anni del XX secolo gli esecutori sentivano di avere una maggiore libertà rispetto a quanto accade oggi, soprattutto (ma non solo) in materia di ritmo e tempo. Dire che oggi trattiamo la notazione in maniera letterale sarebbe troppo, ma sicuramente la interpretiamo in un modo molto più strettamente testuale dei musicisti che ci hanno preceduto. Un interprete moderno che suonasse o cantasse con ritmi significativamente diversi da quelli scritti dal compositore, che interpolasse le appoggiature in favore del portamento, che introducesse un rubato pronunciato laddove non è indicato, o che, al pianoforte, non sincronizzasse perfettamente le mani destra e sinistra, sarebbe oggetto di critiche dure e pesanti. Eppure tutte queste cose ai musicisti del periodo romantico sarebbero sembrate piuttosto normali, accettabili e addirittura encomiabili. Il nostro atteggiamento attuale nei confronti della notazione è in larga misura il risultato di due fenomeni indipendenti, uno intellettuale e l’altro meccanico. © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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Clive Brown
Il primo di questi fenomeni aveva le sue radici profonde nel pensiero del XIX secolo circa il potere dell’arte. Musicisti e scrittori, in particolare in Germania, svilupparono l’idea che gli interpreti avessero il dovere assoluto di capire le intenzioni del compositore il più fedelmente possibile: come Wagner sostenne nel 1841, nell’interpretare la musica di un compositore, l’esecutore non deve «aggiungervi né togliere nulla; egli deve essere il vostro secondo io». Influenzata da tali idee, cominciò a farsi strada una nuova generazione di interpreti. Essi consideravano che la loro più alta vocazione non fosse quella di manifestare il loro virtuosismo in modo individualistico, ma quella di assoggettarsi unicamente alle intenzioni del compositore. Uno dei primi rappresentanti di questa nuova generazione di virtuosi fu il violinista, e grande amico di Brahms, Joseph Joachim. Da giovane Joachim era stato consigliato da Mendelssohn che «un vero artista dovrebbe suonare solo il meglio»; e, in riferimento alla musica dei grandi compositori, che «è poco artistico, anzi barbaro, modificare qualsiasi cosa essi abbiano mai scritto, anche con una sola nota». Preso alla lettera, tale ammonimento sembra suggerire il tipo di approccio che al giorno d’oggi è la regola; ma, come dimostrano una gran quantità di evidenze, non è esattamente il modo in cui i musicisti ottocenteschi lo interpretavano. È certamente vero che la tendenza generale per tutto il periodo romantico fu per gli artisti quella di attenersi sempre più fedelmente alle istruzioni contenute nella partitura, ma l’idea che la fedeltà al testo del compositore rappresenti un’aderenza pedissequa al significato letterale della notazione musicale non maturerà prima della metà del XX secolo. Il secondo fenomeno importante fu l’invenzione e lo sviluppo della registrazione del suono. All’inizio i metodi di registrazione erano primitivi e restrittivi e l’impatto sull’approccio all’interpretazione fu irrilevante. Ma verso la fine degli anni ’20 del Novecento, in particolare dopo l’introduzione della registrazione elettrica – che diventò gradualmente il mezzo attraverso il quale la maggior parte delle persone aveva modo di conoscere le composizioni musicali in alternativa allo spettacolo dal vivo – gli interpreti divennero via via più consapevoli di ciò che facevano. Potendo ascoltare la stessa interpretazione quante volte si desiderava, anche la minima deviazione da quanto scritto in partitura diveniva molto più evidente e rappresentava un potenziale argomento per la critica. Con la seconda metà del secolo si sono cercate registrazioni pulite, rappresentazioni obiettive della notazione in cui l’interpretazione era confinata a più discrete e delicate nuances di accentuazione, dinamica e fraseggio. Ciò è abbastanza comprensibile, visto che le interpretazioni manifestamente soggettive possono iniziare a suonare artificiose se ascoltate più e più volte nella stessa maniera.
Edizioni – testo e interpretazione Durante la seconda metà del XX secolo gli interpreti si abituarono sempre di più a suonare da edizioni “Urtext”. Queste edizioni hanno il vantaggio di fornire un testo musicale tanto prossimo alla versione autorizzata del compositore quanto il curatore riesca a renderlo tale; tutto ciò che non si pensa sia derivato direttamente dal compositore è chiaramente indicato come “intervento editoriale”. Così si può essere sicuri che se, ad esempio, un trillo è mostrato senza un gruppetto di risoluzione, questo è esattamente ciò che contengono le fonti più attendibili. Ma nel caso di un trillo senza gruppetto, dovete ancora chiedervi: «Era destinato a essere suonato senza gruppetto, o il compositore semplicemente dava per scontato che l’interprete avrebbe saputo che ce ne voleva uno?». Alcune edizioni Urtext (non tutte) forniscono delle © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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risposte a simili domande, in funzione del grado di lettura critica della prassi del compositore da parte del curatore. Il tipo di edizione concepita per l’esecuzione, che ebbe origine nella seconda metà del XIX secolo e che rimase la norma per gran parte del XX, avrebbe fornito una risposta che probabilmente rifletteva la consuetudine soggettiva del curatore. Per buona parte della musica romantica le vecchie edizioni pratiche, spesso curate da importanti musicisti dell’epoca, possono contenere informazioni interessanti e molto utili sulle prassi esecutive del periodo, tra cui aspetti come accenti, dinamiche, fraseggio, abbellimenti, diteggiatura e così via. Le edizioni più recenti, diciamo quelle pubblicate a metà del XX secolo e riguardanti musica della metà del XIX secolo, possono presentare un quadro fuorviante della prassi al tempo del compositore. Ma per quanto buona possa essere l’edizione (e per saperne di più sull’argomento si veda “Età romantica | Fonti ed edizioni”), ci saranno comunque sempre molti dettagli necessari ad eseguire la musica in maniera convincente non adeguatamente trasmessi dalla notazione.
Accenti, dinamica, articolazione e fraseggio Quando si studiano i rudimenti della musica, una delle prime cose che si imparano è che ogni battuta musicale contiene accenti forti e deboli, e che questi sono disposti secondo schemi rigidi, specifici per i vari metri (4/4, 3/4, 6/8, ecc.). Questa norma sul cosiddetto accento metrico fu esposta dai teorici del XVIII secolo e da allora è rimasta una nozione elementare nell’insegnamento della teoria musicale di base. Tuttavia molti musicisti mettevano nello stesso tempo in guardia gli interpreti sull’adozione di tali teorie troppo alla lettera, perché c’erano altri tipi di accentuazione più importanti che spesso non tenevano in nessun conto l’accento metrico. Per esempio, molti dei primi teorici romantici sottolineavano che sarebbe stato sbagliato considerare sempre il primo accento di una battuta più forte del secondo, anche nel caso in cui il compositore non avesse espressamente indicato degli accenti sui tempi deboli. Negli anni ’30 dell’Ottocento G.W. Fink scriveva: «Un’accentuazione troppo simmetrica e scrupolosamente regolare e meccanica introduce una rigidità nell’esecuzione che si identifica con rozzezza». Un paio di decenni dopo Liszt condannava «il meccanico e frammentato modo di suonare forte e debole, vincolato alla battuta, che è ancora in molti casi la regola». E nell’ultimo quarto del secolo, il teorico Hugo Riemann rigettava sostanzialmente l’idea stessa di accento metrico, anche in relazione all’esecuzione di musica del passato. Egli riteneva che il fraseggio poteva essere descritto meglio in termini di crescendo e diminuendo.
Accenti di fraseggio e di espressione I più importanti fra i vari tipi di accento, che predominavano sull’accento metrico, erano quelli che rappresentavano la struttura fraseologica della musica e quelli fondamentali per l’espressione (a essi è stata data una molteplicità di nomi dai diversi teorici). Fink osservava che, di regola, «gli accenti metrici non dovrebbero essere tanto netti e forti» quanto gli accenti che chiariscono il fraseggio. Questi accenti di fraseggio erano sempre legati alla struttura della melodia e al suo rapporto con il movimento armonico; essi normalmente indicavano l’inizio della frase musicale e le sue suddivisioni. A volte tale accentuazione veniva indicata da collegamenti insoliti, da legature o da segni di accento, ma nella maggior parte dei casi rimaneva non contrassegnata. Anche in epoca tardo-romantica, quando molti compositori arricchirono la loro musica con numerose indicazioni di esecuzione, questi tipi di accento venivano in © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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gran parte lasciati all’esperienza o all’istinto dell’esecutore. È quindi ancora di vitale importanza per l’esecutore moderno capire in che modo il compositore intendesse fraseggiare la sua musica e applicare gli accenti appropriati in maniera ricettiva – assieme a un’adeguata sfumatura dinamica che, come riconosceva Riemann, è una componente essenziale ma spesso non indicata di un fraseggio efficace. Gli accenti di espressione erano essenziali per il contenuto emozionale e il carattere di un pezzo. Essi facevano in modo che la musica “parlasse” all’ascoltatore ed erano pertanto spesso definiti come accenti “oratori” o “retorici”. Questi accenti potevano cadere su qualsiasi tempo, a seconda dell’andamento melodico, dell’intensità armonica o delle istruzioni esplicite del compositore. Nella musica dalla prima parte del periodo romantico ci si può aspettare che il compositore abbia segnato almeno il più importante di questi accenti, ma ci possono ben essere altre note che richiedono un certo grado di accentuazione per animare il carattere o il sentimento della musica. Tali note possono richiedere un’accentuazione per una serie di motivi, di cui i più comuni sono l’armonia dissonante o cromatica, l’altezza (una nota particolarmente alta o bassa all’interno della frase) e la lunghezza (una nota più lunga tra alcune più brevi, che spesso comporta una sincope). Hummel, nel suo Ausführlich theoretisch-practische Anweisung zum Piano-forte Spiel (“Corso completo teorico-pratico sull’arte di suonare il piano-forte”) del 1828, fornì una serie di esempi commentati riguardo l’applicazione di accenti non indicati dal compositore, ma necessari per «rendere il nostro discorso d’effetto, e il significato [della musica] comprensibile a chi ascolta». Egli utilizzava due simboli: + per un «leggero grado di accentuazione» e per una «accentuazione molto più forte», come mostrato nell’esempio III.2.1. Alcuni compositori romantici successivi, in particolare nel solco della tradizione tedesca di Liszt e Wagner, fornivano indicazioni molto dettagliate di ogni tipo, mentre altri, come Brahms, lasciavano molto più spazio alle decisioni dell’interprete. Brahms, infatti, era molto diffidente nel fornire troppe istruzioni; le considerava come un male necessario quando un lavoro era del tutto sconosciuto agli esecutori, ma riteneva che, una volta che i musicisti avessero avuto familiarità col pezzo, le indicazioni superflue avessero maggiori probabilità di reprimere la loro libertà di espressione piuttosto che assisterli nell’esecuzione. La relativa scarsità di indicazioni di parte della musica tardo-romantica certamente non significa che essa debba essere suonata in maniera meno espressiva rispetto a quella con molti segni. E anche nella musica dei compositori più esigenti molti degli aspetti più sottili dell’accentuazione, specialmente quelli relativi alla struttura della frase e alla nuance espressiva, erano ancora di competenza dell’interprete. La capacità di andare oltre la notazione del compositore era in questo senso considerata come una delle caratteristiche più significative di un interprete raffinato.
Dinamiche All’inizio del periodo romantico è raro trovare dinamiche più leggere di un pp o più forti di un ff. Furono Schumann e Liszt, tuttavia, che iniziarono a indicare gli estremi dinamici con ppp e fff, e Čajkovskij a volte utilizzò pppp e ffff. Una conclusione ovvia è che la differenza tra il pp e il ff di Mendelssohn era maggiore di quella di Čajkovskij. Nella musica dei compositori che utilizzavano un minor numero di segni dinamici, quindi, si potrebbe desiderare a volte di rendere un pp molto delicato, e talvolta estremamente delicato, a seconda del contesto musicale. Tuttavia può anche essere preferibile tenere a mente che il XIX secolo fu un periodo di grandi cambiamenti nella costruzione di molti strumenti. Gli strumenti del © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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primo periodo romantico avevano generalmente un suono più leggero di quelli del tardo-romanticismo, che erano più vicini ai nostri strumenti moderni (cfr. i volumi specifici Per strumenti a tastiera e Per strumenti ad arco e a corda.) Si dovrebbe anche essere consapevoli del fatto che alcuni compositori dell’Ottocento utilizzavano come accenti ciò che a prima vista sembrano segni dinamici; si veda al riguardo “Segni di articolazione e di accento” più avanti.
Ex. 2-1
Allegro
Es. III.2.1. Johann Nepomuk Hummel, Ausführlich theoretisch-practische Anweisung zum Piano-forte Spiel (1828), parte 3, p. 56.
Articolazione L’articolazione, nel senso dei diversi gradi di esecuzione dello staccato, veniva considerata importante per la caratterizzazione di frasi o passaggi musicali. Come mezzo per indicare la fine di una frase essa ha svolto un ruolo cruciale nella punteggiatura del linguaggio musicale e nel renderne il significato comprensibile all’ascoltatore. I primi compositori raramente si prendevano la briga di specificare l’articolazione, tranne quando era essenziale per il carattere della musica, e la loro unica chiara distinzione era tra staccato, portato e legato (indicati sia per mezzo di parole sia da segni di staccato sia da legature). Anche nella musica romantica a volte non è facile stabilire se c’è qualche differenza intenzionale tra le note con segni di staccato e quelle senza indicazioni di sorta, poiché i segni di staccato erano spesso ancora utilizzati in passaggi misti di note legate e separate, al solo scopo di evidenziare quelle che non dovevano essere legate. Un certo numero di musicisti del XX secolo sottolineava che in tali circostanze i puntini dello staccato non potessero indicare
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un’esecuzione genuinamente in staccato. Ciò nonostante, i compositori romantici fornirono informazioni sempre più dettagliate su dove e come volevano l’articolazione nella loro musica. Molti cominciarono a fare una chiara distinzione tra i puntini e i trattini dello staccato (per indicare, fra le altre cose, i diversi gradi di separazione) e adottarono una serie di segni (come ad esempio o e –), così come un complesso di indicazioni di accenti e articolazioni combinate con le legature. Le legature dal canto loro potevano indicare sia l’articolazione di frasi musicali sia il legato. C’era una teoria, sostenuta da molti musicisti per tutto il XIX secolo, secondo la quale, in determinate circostanze, l’ultima nota sotto una legatura doveva essere accorciata e seguita da una pausa. Ma spesso è difficile essere sicuri di quando il compositore possa aver voluto attribuire a una legatura un tale significato. Più frequentemente una legatura aveva implicazioni di fraseggio e richiedeva un’accentuazione all’inizio e un diminuendo alla fine. Bisogna tuttavia essere consapevoli che tutti questi segni venivano utilizzati dai vari compositori in maniera leggermente, o a volte radicalmente, diversa. Per di più queste indicazioni avevano talvolta valenze diverse nella musica per strumenti diversi. Le lettere che si scambiarono Brahms (che era principalmente un pianista) e il suo amico violinista Joachim mostrano chiaramente come gli stessi segni potevano veicolare significati molto diversi ai pianisti e ai violinisti.
Segni di articolazione e di accento Le funzioni di accento e articolazione sono spesso combinate nella stessa indicazione. Tali indicazioni erano destinate a differenziare i vari gradi e tipi di accento (gentile, secco, pesante, sostenuto, diminuendo, o agogico, cioè sviluppato dalla modificazione del tempo) nonché di articolazione (maggiore o minore). I paragrafi seguenti forniscono un’indicazione generale della loro gamma di significati nella musica romantica, ma se si vuole capire cosa significavano per un particolare compositore sarà necessario consultare la letteratura più specializzata. Si dovranno anche studiare i modi in cui questi segni sono utilizzati nelle diverse opere dello stesso compositore.
f o ff
Anche se queste sembrano essere indicazioni rigorosamente dinamiche, i compositori dell’età classica le hanno spesso usate per indicare un accento e alcuni dei primi compositori romantici, come Schumann, le usarono abbastanza frequentemente in questo senso. Sembra probabile che l’intenzione fosse quella di ottenere un accento forte ma non necessariamente marcato.
fp
Talvolta significa letteralmente una diminuzione dal forte al piano, sia improvvisamente sia gradualmente (questo può essere determinato solo dal contesto). Nella musica della metà del XIX secolo, tuttavia, può spesso significare la stessa cosa di sfp (o fzp). Ciò è particolarmente verosimile nella musica di Mendelssohn e in quella di Schumann fino a circa il 1850.
sƒ (sforzando, sforzato), fz (forzando, forzato)
Non vi è alcuna differenza tra sf e fz. Alcuni compositori (ad esempio Mendelssohn, Schumann, Liszt, Wagner, Berlioz, Brahms) preferivano sf, altri (ad es. Schubert, Chopin, Dvořák) fz. Molti compositori sembrano normalmente aver impiegato questo segno per un accento poderoso, mentre alcuni lo usarono anche in contesti di piano come fosse più delicato.
rf, rfz (rinforzando, rinforzato)
Poteva indicare o un accento o un rapido (e di solito potente) crescendo. Liszt spesso lo usava in quest’ultimo senso (generalmente scritto come rinf. o rinforz.). Brahms può averlo inteso come un accento più lieve rispetto a sf.
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È il segno di accentuazione più comunemente usato nella musica romantica. Starà sempre a indicare un accento che muore gradualmente. A volte sembra significare la stessa cosa di sf, e alcuni compositori, come Verdi, lo preferivano a esso. Un certo numero di compositori del tardo Ottocento, come Brahms ad esempio, a volte usavano una lunga forcella di diminuendo per indicare un accento. Questo segno di accento non fu largamente adottato fino alla metà del XIX secolo. Il suo rapporto con il segno non è chiaro, anche se la sua forma suggerisce un accento più sostenuto, senza un significativo diminuendo. Molti compositori, come Schumann, utilizzarono entrambi gli accenti di frequente. Alcuni autori, soprattutto nella metà del XIX secolo, consideravano come un accento più leggero rispetto sf. Nel periodo tardo-romantico, sembra sia stato considerato più spesso come un accento molto forte. Bruckner e Dvořák usavano sulle note consecutive nelle parti degli archi come l’equivalente di ripetute indicazioni di arcata in giù in un contesto di fortissimo (es. III.2.2). Un esempio di utilizzo di questa combinazione da parte di Dvořák si trova nel primo movimento del Quartetto per archi op. 106, dove, nella partitura della prima edizione, egli segnò una successione di minime sia con il simbolo sia con le indicazioni di arcata in giù.
La lineetta orizzontale, da sola o in combinazione con un puntino, o , divenne di uso comune a partire da circa la metà del XIX secolo. Normalmente sembra abbia indicato un’esecuzione pesante, ma non marcata, probabilmente meno accentuata di o . Se combinata con il punto essa indicava anche separazione, ma meno del segno di staccato. Anche senza il puntino essa spesso sembra implicare una leggera separazione. Alcuni autori, tuttavia, suggerivano che le note segnate con lineette orizzontali dovessero essere tenute per la durata completa del loro valore. Quando le lineette orizzontali venivano utilizzate su una successione di note sotto una legatura, esse generalmente implicavano un peso leggero e una separazione infinitesima. Questo stile esecutivo fu detto portato. La più grande fonte di confusione qui è tra . . . . e - - - - . Entrambi si presentano molto frequentemente nella musica ottocentesca per tutti i tipi di strumenti e, occasionalmente, anche per le voci. Alle lineette sotto le legature ci si può riferire generalmente per indicare un portato; i puntini sotto le legature a volte potrebbero significare esattamente la stessa cosa, ma in altri tempi avrebbero potuto significare un breve e netto staccato o uno spiccato. Questa è in parte una questione di tecnica su strumenti diversi. I violinisti, per i quali le legature erano essenzialmente indicazioni per le arcate, avevano impiegato la notazione dei puntini sotto le legature a partire dal XVIII secolo sia per indicare un’esecuzione nettamente in staccato sia per significare un colpo d’arco portato. Nel XIX secolo, le lineette sotto le legature furono adottate anche per evitare questa confusione. Ma alcuni compositori che erano principalmente pianisti, come Brahms ad esempio, non ravvisarono alcuna necessità di distinzione e spesso segnarono il portato coi puntini sotto le legature. Il segno aveva la sua origine nella vecchia messa di voce, un rigonfiamento della voce, di solito accompagnato da un vibrato, applicato alle note lunghe tenute. I compositori dei periodi classico e romantico lo usavano come segno di accentuazione sulle note brevi. Fu anche usato nella musica pianistica, dove non è possibile un rigonfiamento della nota. Implicava un accento particolarmente espressivo, magari comportando un certo grado di persistenza (agogica). In molta della musica per archi del XIX secolo esso sarà stato visto come un invito ad applicare un vibrato.
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I segni di staccato in primo luogo indicavano articolazione, ma potevano anche implicare un accento. Anche se i tre simboli possono suggerire tre differenti tipi di staccato, non ce n’erano in realtà mai più di due, poiché il piccolo cuneo ( ) veniva utilizzato come l’equivalente editoriale del trattino verticale manoscritto. Alcuni autori infatti utilizzavano solo un unico tipo di simbolo dello staccato e le distinzioni nelle prime edizioni a stampa spesso erano il risultato di un fraintendimento degli autografi o del semplice capriccio degli editori. Tuttavia, molti compositori romantici, tra i quali Wagner, Brahms e Dvořák, per lo staccato utilizzavano i puntini e i trattini verticali (o cunei) con significati specifici. Durante la seconda metà del XIX secolo le edizioni a stampa sono generalmente affidabili nel riportare questi segni come quelli che il compositore desiderava, in quanto le bozze erano di solito corrette e migliorate dai compositori stessi. Ma non possiamo sempre essere sicuri con esattezza di cosa intendevano veicolare all’esecutore i diversi simboli di staccato. Il trattino verticale di solito significava un attacco più accentuato e una durata più breve del puntino. Ma ci sono delle eccezioni; nella prassi francese, per esempio, il trattino sembra spesso aver significato uno staccato più corto e leggero del puntino, mentre in quella tedesca poteva essere più forte e lungo. Ma c’erano anche delle distinzioni nel modo in cui questi due segni venivano utilizzati per particolari strumenti. Nella musica per archi potevano indicare specifici tipi di colpi d’arco (martelé, sautillé, spiccato, ecc.), ma i diversi musicisti li potevano utilizzare con significati diversi.
In realtà la musica del periodo richiede molte più gradazioni di staccato rispetto a quanto fosse in grado di indicare anche il più attento dei compositori e dunque, in ultima analisi, è responsabilità dell’interprete abbinare lo stile dello staccato al contesto musicale.
Es. III.2.2. Anton Bruckner, Sinfonia n. 3, terza versione, 1887-1889, primo movimento, estratto dalla partitura autografa. I simboli nelle parti dei fiati indicano una serie di accenti forti; sono utilizzati assieme al segno di arcata in giù nelle parti degli archi e ciò indica l’equivalenza dei due segni. Si può inoltre osservare che Bruckner scrisse in origine i segni nella prima e nella seconda parte di violino prima di cambiarli con quelli di arcata in giù. © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
Strumenti a fiato di Trevor Herbert
Introduzione La mia intenzione in questo capitolo è guidarvi attraverso alcune delle principali questioni inerenti la prassi esecutiva del periodo romantico e di spiegarvi in che modo possano risultare di vostro interesse. Gran parte di ciò che ho da dire è applicabile a tutti gli strumenti a fiato perché, anche se legni e ottoni appartengono a due distinte famiglie di strumenti, in epoca romantica essi condivisero una serie di stili e di influenze. Ma ugualmente ci sono caratteristiche proprie ai singoli strumenti o gruppi di strumenti, per cui ho incluso anche delle sezioni specifiche più brevi. Spero che leggiate questo capitolo nella sua totalità, non solo nelle parti che sembrano più rilevanti per il vostro strumento, perché uno dei segreti dell’apprendimento sull’interpretazione del passato è quello di ricavare un senso generale da tutto il quadro, e non solo dalla vostra angolazione all’interno di esso. Chiunque abbia avuto la fortuna di suonare uno strumento ottocentesco autentico, o su una copia di alta qualità, sarà rimasto sorpreso e colpito da questa esperienza. Tali strumenti producono spesso una sensazione molto diversa da quella a cui si è normalmente abituati. Hanno un peso diverso; si maneggiano diversamente; spesso si ha la percezione che nel suonarne uno si abbia una sensazione fisica differente (il fiato che lascia le labbra sembra incontrare un livello di resistenza inusuale) e, ovviamente, il suono, la voce dello strumento, è inaspettatamente d’altro tipo. È come se lo strumento stesse dicendo qualcosa sul pianeta sonoro dal quale proviene. Molti esecutori professionisti di strumenti a fiato paragonano il processo del suonare su strumenti d’epoca a un esperimento. Essi osservano una testimonianza storica, tentano di capirla e sottopongono a verifica le cose per vedere quanto funzionino bene: provano tempi, segni di espressione e sfumature dinamiche differenti per scoprire cosa davvero intendessero i compositori con le loro indicazioni. Ma non tutti hanno la fortuna di poter suonare su strumenti d’epoca. Vi potrebbe capitare di suonare uno strumento realizzato nella seconda metà del XX secolo, sia con l’accompagnamento di un pianoforte moderno, sia in una banda, un’orchestra o un ensemble in cui tutti, come voi, suonano strumenti moderni. Qual è – vi potreste chiedere – il punto essenziale da scoprire sulla prassi esecutiva ottocentesca se si sta suonando uno strumento moderno? Penso che la risposta sia che ciò ci aiuta a capire e a eseguire la musica in modo migliore. In ogni caso suonare uno strumento d’epoca è solo una parte del processo di
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Trevor Herbert
scoperta di come gli strumentisti a fiato eseguivano la musica nel XIX secolo. Ci sono cose altrettanto importanti da cercare, accessibili a voi quanto a chiunque altro. Nel XIX secolo le modalità esecutive erano molto meno standardizzate rispetto a oggi. Quindi, nel preparare una musica per un’esecuzione, vale la pena di pensare a cosa avrebbe potuto essere importante quando la musica fu eseguita per la prima volta. Una tale considerazione è il contesto, cioè l’insieme delle circostanze in cui la musica è stata originariamente scritta e interpretata. Proprio come oggi un musicista di una jazz band suona in modo diverso rispetto a un collega in orchestra, così vi erano delle differenze fra gli stili esecutivi, ad esempio, dei componenti di una banda militare o di coloro che suonavano in salotti o orchestre. Gli stili spesso variavano da paese a paese e i diversi modelli di strumenti a fiato erano popolari in alcuni luoghi e non in altri. Il modo in cui venivano utilizzati gli strumenti – le tecniche esecutive dei musicisti – influenzava i compositori, che a volte scrivevano la musica per fiati avendo in mente un particolare interprete, o un tipo di interprete. Molti compositori spesso scrivevano in un modo che si adattava alle tecniche degli artisti che conoscevano. Gran parte delle evidenze di ciò che i compositori romantici intendevano come qualità speciali di ogni strumento a fiato – il cosiddetto “idioma” dello strumento – si trova nel luogo più ovvio: la musica stessa. Le figurazioni, la scelta del fraseggio, i segni di espressione e le dinamiche rivelano molto circa il carattere dello strumento per cui il pezzo è stato scritto. Queste indicazioni rappresentano dei messaggi provenienti non solo dai compositori ma anche dagli esecutori, poiché (come avviene oggi) i compositori spesso si consultavano con gli interpreti, e alcuni compositori di musica per fiati erano essi stessi degli interpreti. Il trucco è comprendere tutti i significati contenuti in questi messaggi. A volte le note e le parole scritte non trasmettono l’intero significato di un pezzo. Immaginate quanto si perde di una barzelletta quando ci si limita a leggerla, senza ascoltarla raccontata da un comico davvero divertente. Il vostro compito è utilizzare questo capitolo come un modo per entrare più in profondità nella musica e catturarne lo spirito originario. Ricordate che questa guida è pensata per essere di uso pratico; non è solo sulla storia della musica. Man mano che leggete dovreste cercare di pensare al vostro stile esecutivo. Anzi, sarebbe bello se magari vi accadesse di applicare alcune delle idee che discuterò a pezzi che state studiando in questo momento.
Invenzioni e modelli Nell’Ottocento la progettazione della maggior parte degli strumenti a fiato cambiò considerevolmente. Con l’inizio del periodo romantico i legni furono dotati di meccanismi aggiuntivi, ma continuarono a essere sviluppati e perfezionati. Gli ottoni cambiarono sostanzialmente e il loro sviluppo principale fu l’invenzione e l’applicazione delle valvole1. Non ho intenzione di fornire qui una descrizione completa degli strumenti a fiato, ma vale la pena di delineare alcuni dei più importanti cambiamenti generali che ebbero luogo. Vi accorgerete che questa sezione vi porterà a ragionare sul modo in cui questi sviluppi ebbero un’influenza sul suono prodotto da tali strumenti e sulle relative tecniche esecutive.
1
Viene qui usato il termine più generale di valvola (valve, in inglese) per intendere sia la valvola a pistone, detta anche semplicemente “pistone” (piston valve, in inglese) e presente sulla maggior parte degli ottoni moderni, sia la valvola rotativa (rotary valve, in inglese) presente solo sul corno francese e, più raramente, su alcuni modelli di trombe, tromboni, flicorni e tube. [N.d.T.]
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Età romantica | Strumenti a fiato
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Ottoni Le valvole furono introdotte come mezzo per aiutare gli esecutori a suonare tutte le note della scala cromatica. I primi strumenti a valvola furono realizzati nel secondo decennio dell’Ottocento. In quel periodo i cornisti usavano stoppare le note con la mano e cambiare le ritorte (porzioni di canneggio aggiuntive e di diversa lunghezza che modificano l’intonazione di base dello strumento) come tecniche standard. Anche i trombettisti utilizzavano queste tecniche, ma alcuni esecutori importanti (soprattutto in Inghilterra) suonavano trombe a tiro con pompa a coulisse. Trombe a chiavi furono in uso all’inizio dell’Ottocento, ma sembra che queste siano state realizzate in numero estremamente limitato. I bugle a chiavi tuttavia erano molto più comuni e vennero realizzati in diverse dimensioni. Il problema dei primi strumenti a valvole (in origine ne avevano solo due) era che mentre almeno in teoria le valvole offrivano la possibilità di un cromatismo completo, gli strumenti non funzionavano sempre molto bene: le differenti combinazioni di valvole producevano un’intonazione mediocre e una scarsa uniformità del suono. La progettazione e realizzazione su larga scala di strumenti a valvole omogenee e affidabili non avvenne prima del 1840. I centri più importanti di ideazione e produzione furono la Francia, il Belgio, l’Inghilterra e la Germania (e, più tardi, gli Stati Uniti). Gli strumenti più nuovi non avevano solo un design migliore; essi beneficiavano di un miglioramento del processo di produzione. Il metallo di buona qualità era più facile da ottenere e, sebbene venissero prodotte grosse quantità di strumenti economici e scadenti, gli strumenti migliori erano di un livello costantemente elevato. Le valvole furono applicate anche ai tromboni e circolarono parecchi modelli a pistoni. In Italia infatti i tromboni a pistoni erano molto più comuni dei tromboni a tiro (questo è il motivo per cui ci sono tante scale cromatiche veloci in alcune opere italiane del periodo); ma il trombone a tiro continuò a essere utilizzato e fu visto come uno strumento piuttosto diverso, con un suo carattere distintivo rispetto ai vari altri strumenti dotati di valvole. Circa l’avvento degli strumenti a valvole è importante capire non solo che gli strumenti avevano un aspetto e un suono diversi, ma che cambiavano anche il modo di suonare degli esecutori. Oltre a fornire un mezzo semplice per suonare la scala cromatica completa, le valvole diedero agli esecutori delle opportunità probabilmente mai pensate dagli inventori originari. La maggior parte delle valvole sugli ottoni vengono messe in azione premendo e rilasciando le tre dita più agili della mano destra (i cornisti usano la mano sinistra). Le valvole fornivano così un mezzo per l’esecuzione del legato e rendevano possibile un nuovo tipo di virtuosismo. Se suonate la musica di questo periodo, scritta per ottoni dotati di valvole, è importante ricordare che un pezzo potrebbe essere stato scritto per mettere in evidenza la tecnica della valvola.
Legni Con l’inizio dell’età romantica avevano già avuto luogo alcuni dei più importanti sviluppi nella progettazione dei legni, ma nel corso del secolo si verificarono ulteriori cambiamenti. Molti di questi vennero incontro al fatto che il suono strumentale stava in generale diventando più potente. Essi influenzarono inoltre il timbro e la tecnica. La realizzazione di strumenti completamente cromatici, con meccaniche a tenuta d’aria e qualità di suono ragionevolmente coerente su tutta l’estensione, fece sì che i costruttori da quel momento avessero la possibilità di concentrarsi sullo sviluppo di strumenti con forme interne e dimensioni dei fori tali da produrre un suono migliore e con meccanismi più efficaci. Mi soffermerò su alcuni dettagli
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Trevor Herbert
quando mi occuperò dei singoli strumenti più avanti. Nel frattempo vale la pena di ricordare perché i principali sviluppi – il sistema Böhm sul flauto, l’oboe “Böhm” (in realtà prodotto da Buffet nel 1844), il clarinetto perfezionato da Klosé e Buffet nei primi anni ’40 dell’Ottocento e le modifiche un po’ più tarde apportate da Heckel al fagotto – ebbero luogo tutti assieme: essi avevano lo scopo di fornire agli esecutori una grande varietà timbrica, con meccanismi che (come era accaduto con le valvole per gli ottoni) rendessero possibile il raggiungimento di un fraseggio più uniforme e un più alto grado di virtuosismo.
Strumenti antichi e nuove invenzioni Uno degli equivoci fondamentali sulla prassi esecutiva ottocentesca sta nel ritenere che i nuovi strumenti – i legni con le chiavi e gli ottoni a valvole – avessero immediatamente sostituito gli strumenti vecchio stile. Pensate a questo: è il 1845 e voi siete degli esecutori nel pieno della vostra carriera professionale; qualcuno viene da voi con un nuovo tipo di strumento e cerca di convincervi ad abbandonare lo strumento di cui vi fidate per abituarvi a questo nuovo aggeggio. Per quale motivo dovreste farlo? Il nuovo strumento costa probabilmente molti soldi e vi impegnerebbe nell’apprendimento di una nuova serie di tecniche. È ovvio che molti musicisti dell’epoca – forse la maggior parte – avranno mantenuto gli strumenti che già conoscevano. Inoltre molti compositori erano piuttosto vecchio stile. Brahms, per esempio, era relativamente conservatore nel suo approccio e la sua musica per ottoni si rifaceva spesso a vecchie tecniche esecutive. D’altra parte, compositori come Berlioz, Wagner ed Elgar erano desiderosi di sfruttare le opportunità che offrivano gli strumenti moderni. Tutto ciò è volto a sottolineare la necessità da parte vostra di prendere sempre in considerazione la storia e il contesto di ogni pezzo che vi apprestate ad eseguire.
Dove si esibivano i fiati In epoca romantica molti furono i lavori solistici composti per ciascuno dei principali strumenti delle famiglie dei legni e degli ottoni: relativamente pochi furono scritti da compositori realmente grandi, ma alcune figure importanti scrissero molto per legni e ottoni nella loro produzione per orchestra, con il risultato che l’esecuzione solistica si sviluppò maggiormente nel contesto dell’orchestra sinfonica e lirica piuttosto che in quello della musica da camera e del repertorio solistico propriamente detto. Questa è una considerazione importante per i solisti, dal momento che alcuni dei più grandi interpreti del passato di strumenti a fiato non erano dei solisti ma degli orchestrali. L’orchestra sinfonica moderna si affermò proprio in questo periodo. Essa era più grande e aveva un più ampio spettro di strumenti rispetto all’orchestra dell’età classica; e sebbene la musica per orchestra ottocentesca contenga molti assoli per fiati, vennero anche utilizzate masse sonore provenienti dall’intera sezione dei legni e degli ottoni. C’era la tendenza delle sezioni di ottoni ad avere timbri più pesanti, mentre la colorazione timbrica dei legni era più chiara e brillante. Ma tutto ciò era in relazione al Settecento. Rispetto a quelli di oggi gli strumenti dell’orchestra ottocentesca avevano sonorità più leggere, con un’articolazione più chiara e precisa. Nel tardo Ottocento si svilupperà una preferenza per sonorità più morbide e ampie. La maggior parte degli strumentisti a fiato ottocenteschi tuttavia non suonava nelle orchestre, bensì nelle bande, sia militari sia di soli ottoni. Oggi tali bande sono a volte considerate di rango © 2016 by EDIZIONI CURCI S.r.l. su licenza dell'Associated Board of the Royal Schools of Music – Tutti i diritti sono riservati
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inferiore rispetto alle orchestre, ma questo era un po’ meno vero nel periodo romantico. Alcuni musicisti delle bande militari erano annoverati fra i solisti professionisti più rispettati e molti degli assoli pubblicati nel periodo non erano affatto destinati ai professionisti, ma ai membri tecnicamente più esperti delle bande musicali amatoriali. I componenti delle bande (amatori e professionisti) suonavano spesso un repertorio diverso da quello degli orchestrali e adottavano un approccio piuttosto diverso: erano meno preoccupati dei minimi dettagli rispetto all’esibizione virtuosistica vivace o al lirismo accentuato. Vi erano inoltre molti musicisti che nei salotti suonavano con uno stile più leggero, spesso associato alla musica da camera. Nel XIX secolo guadagnò importanza un altro modo di fare musica con gli strumenti a fiato: quello della musica da camera per ensemble di fiati, in combinazioni svariate e non standardizzate. Molti compositori scrissero musica da camera che comprendeva legni o ottoni, destinata a essere eseguita in uno stile orchestrale anziché bandistico. Il repertorio per ensemble di fiati è particolarmente valido non solo perché è di piacevole esecuzione, ma anche perché la sua scrittura è di solito rispondente in modo preciso all’idioma di ogni singolo tipo di strumento. Quindi, per ottenere il massimo in un ensemble di fiati, è necessario leggere e ascoltare la musica con molta attenzione, in particolare il modo in cui timbri vengono abbinati o contrapposti, cercando di raggiungere un compromesso con gli altri esecutori sulle articolazioni, i fraseggi e i segni di espressione. Vi faccio solo un esempio di come la conoscenza del contesto o dell’intenzione di un brano musicale possa influenzare il modo di eseguirlo. Osservate le terzine negli esempi III.3.1a e b. (Le variazioni sono state scritte per tromba, ma spero che siate in grado di dare un senso alla mia illustrazione anche se suonate uno strumento diverso.) Le terzine devono essere suonate con colpi di lingua singoli o tripli? A che velocità dovrebbero essere eseguiti questi passaggi? Sono sicuro che sappiate che la velocità di un pezzo spesso determina il tipo di colpo di lingua da usare. Tuttavia, il punto qui è che esso non ha importanza soprattutto nell’esempio III.3.1a, dal momento che molti avrebbero suonato la frase il più velocemente possibile con colpi di lingua singoli, in maniera tale da articolare ogni singola semicroma. Le terzine dell’esempio III.3.1b, d’altra parte, devono essere eseguite con colpi tripli perché questa variazione è stata scritta proprio per dimostrare esattamente questa abilità. Non vi è alcuna indicazione nella musica che dica qualcosa del tipo “eseguire questa sezione con colpi tripli”, ma dal raggruppamento di tante terzine e dalla natura del pezzo intuiamo che questo è esattamente ciò che il compositore intendeva. Ne consegue che il tempo di questo passaggio è determinato dalla velocità con cui si può utilizzare l’articolazione appropriata. Ex. 5-1 a
(a)
Variazione11 Variation
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
Ex. 5-1 b
(b)
Variazione Variation22
più mosso 3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
[ ]
Es. III.3.1. (a) C. Kreutzer, Variazioni in sol maggiore per tromba e orchestra, 1837; (b) F.D. Weber, Variazioni in fa maggiore per tromba e orchestra, scritte tra il 1827 e il 1840.
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Note sugli ascolti Playlist completa disponibile anche all’indirizzo edizionicurci.it/guide_abrsm_fiati playlist
Johann Sebastian Bach: Sinfonia in fa maggiore BWV 1046a (versione originale del Concerto brandeburghese n. l), primo movimento
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New Bach Collegium Musicum Leipzig, direttore Max Pommer I pionieri della rinascita barocca, come Christopher Hogwood, non erano soltanto interessati a suonare la musica su strumenti d’epoca (o loro repliche moderne), ma anche a ricercare versioni originali o alternative di pezzi ben noti – come nel caso di questa incisione del 1984 delle versioni originali dei concerti che Bach riunì e rivide nel 1721 per dedicarli al margravio di Brandeburgo1. Questo movimento però differisce assai poco dalla sua versione definitiva nel primo brandeburghese. L’orchestra è composta da tre oboi, un fagotto, due corni da caccia (corni naturali), archi solisti e clavicembalo. Si noti che i corni suonano figure di terzine, probabilmente veri e propri richiami di caccia, che non si conformano agli altri ritmi. Claudio Monteverdi: Orfeo, atto II, “Tu se’ morta”
2
John Mark Ainsley (tenore), New London Consort, direttore Philip Pickett
Orfeo è addolorato per la notizia della morte della sua sposa, ma si decide ad andare nell’Ade per cercare di 1
riportarla indietro con il suo canto; il coro sottolinea la natura effimera della felicità umana. Si confrontino l’es. I.1.2 e le osservazioni di George Pratt alle pp. 14-16 sulle dissonanze espressive di questo passo, l’uso del basso continuo d’accompagnamento e la declamazione retorica nella parte vocale. Jean-Philippe Rameau: Castor et Pollux, atto II, scena 2, “Tristes apprêts, pâles flambeaux” (Télaïra) Emmanuelle de Negri (soprano), Ensemble Pygmalion, direttore Raphaël Pichon
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Télaïra è inconsolabile per la morte del suo amato Castore, re di Sparta. L’estratto mostra le qualità distintive della musica vocale del barocco francese, con la sua sensibilità alle tensioni della lingua francese e la delicata ornamentazione. La parte del fagotto obbligato è tipica dell’orecchio immaginifico di Rameau per la timbrica strumentale. Henry Purcell: The Fairy Queen, z. 629, atto V, “Il lamento” (dal masque del quinto atto) Kym Amps (soprano), Robin Canter (oboe), The Scholars Baroque Ensemble, direttore David van Asch
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Un altro lamento per un amore perduto, questa volta da parte di un compositore inglese. La parte di obbligato è spesso suonata al violino, ma oggi si
Christian Ludwig von Brandenburg-Schwedt (1677-1734). Margravio era un titolo nobiliare del Sacro Romano Impero e corrisponde al titolo di marchese. [N.d.T.]
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Indice
Avvertenze generali
p. 3
Prefazione di Anthony Burton
p. 5
Nota all’edizione italiana
p. 7
Prima Parte - Età Barocca Note sui collaboratori Introduzione di Christopher Hogwood Collocazione storica di George Pratt Notazione e interpretazione di Peter Holman Strumenti a fiato di Stephen Preston Fonti ed edizioni di Clifford Bartlett Suggerimenti per ulteriori letture
p. 10 p. 11 p. 13 p. 29 p. 59 p. 69 p. 85
Seconda Parte - Età Classica Note sui collaboratori Introduzione di Jane Glover Collocazione storica di David Wyn Jones Notazione e interpretazione di Cliff Eisen Strumenti a fiato di Colin Lawson Fonti ed edizioni di Barry Cooper Suggerimenti per ulteriori letture
p. 88 p. 89 p. 91 p. 103 p. 131 p. 139 p. 150
Terza Parte - Età Romantica Note sui collaboratori Introduzione di Sir Roger Norrington Collocazione storica di Hugh Macdonald Notazione e interpretazione di Clive Brown Strumenti a fiato di Trevor Herbert Fonti ed edizioni di Robert Pascall Suggerimenti per ulteriori letture
p. 154 p. 155 p. 157 p. 167 p. 185 p. 197 p. 209
Note sugli ascolti
p. 211
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