Francesco Micheli racconta "Il lago dei cigni" di Ciajkovskij con la Filarmonica della Scala (antep)

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A Erika, a Rocco

Il lago dei cigni debutta la sera del 20 febbraio 1877 al teatro Bolshoi di Mosca. Nell’ultima scena una tempesta sommerge i due innamorati. Una favola dal finale tragico? Il pubblico fischiò il compositore che faceva trionfare il male e soccombere il bene. Dopo la morte di Ciajkovskij il fratello Modest interverrà sulla partitura, cambiando il finale. Perché? Per far felice il pubblico? Per tradire la volontà del fratello? O forse per continuare a parlare con lui: «Mi dispiace che tu fossi infelice e la tua vita sia finita male come questa triste storia. La musica che ci hai lasciato, però, rende il mondo più bello. Per questo ho voluto dare un lieto fine al tuo Lago dei cigni. Perdonami, Pyotr ».

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non puoi capire

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Sono cose da

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Era la frase che mi capitava di sentire più spesso quando mio padre aveva l’età che io ho adesso.

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A quel tempo ero in quinta elementare, non ero né carne né pesce. Ero l’ultimo di tre: dieci e dodici erano gli anni che mi separavano da mia sorella e da mio fratello. Ero l’unico bambino in famiglia, cresciuto in un paese della provincia bergamasca, ai miei occhi molto meno interessante del mondo che vedevo in televisione. Ore e ore trascorse in salotto con Goldrake e Raffaella Carrà   , unica compagnia di eterni pomeriggi. Volevo crescere in fretta per raggiungere i miei familiari: nel mio corpo iniziavano a prendere forma alcuni muscoli, spuntavano i primi peli ovunque. L’attenzione maggiore era concentrata sulla voce che iniziava a trasformarsi in modi e tempi imprevedibili e sorprendenti. Gradatamente diventava più scura, quasi baritonale, morbida e confortante; poi, improvvisamente, si spezzava, tornando ad essere infantile o, peggio, stridula. Era già un progresso quella voce stonata ma non era abbastanza: quante volte ancora, ogni giorno, mi capitava di rivivere la seguente scenetta … «Pronto?» «Signora, c’è suo marito?» «Non sono la moglie, sono il figlio. Mio padre non c’è e non c’è nemmeno mia madre. Anche mio fratello e mia sorella sono fuori. Sono solo! Arrivederci!» Mi vergognavo da morire di essere scambiato per una donna. Pregavo Dio e gli dèi dell’Olimpo televisivo perché la muta della voce avvenisse rapidamente. Detestavo i suoni che uscivano dalla mia bocca e arrivai ad alterarli, travestendo la mia voce per assomigliare ai presentatori dei programmi del sabato sera: «Signori e signore. Ecco a voi: Francesco Micheli! Applausi!». I risultati erano tendenzialmente insoddisfacenti e, in ogni caso, poco attendibili. Ogni sera, prima di addormentarmi, speravo che magicamente, al mio risveglio, avrei udito una voce corposa, omogenea, da vero uomo: la mia! Insomma, crescere mi dava entusiasmo. Era un desiderio impellente quanto la voglia di ballare.

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Nel vasto silenzio del nostro appartamento appoggiavo delicatamente sul piatto del giradischi i vinili che trovavo: la mano tremante cercava di far aderire con precisione la puntina nel solco della circonferenza di quei dischi, cerchi perfetti come oggetti sacri. Stabilito il contatto, vivevo un’attesa dalla durata variabile, carica di aspettative. Improvvisamente, il suono. Era musica da grandi, capace di riempire lo spazio, amplificandolo. I suoni entravano dentro di me e io mi sentivo grande  come quella musica. Mi percepivo gonfio come un pallone, pieno di melodie, che rimbalza, elastico, elettrico, pimpante. Di più: diventavo acqua, aria, mi pareva letteralmente di evaporare, ascoltando i dischi di musica classica dei miei genitori. Quando invece mi imbattevo nei Pink Floyd   o Janis Joplin  , idoli dei miei fratelli, il mio peso specifico diventava maggiore del piombo, fuso dal fuoco sparato dalle casse a tutto volume. Ero vulcano ed ero oceano, ero sisma ed ero turbine. Talvolta accadeva che, sul più bello, richiamati dal frastuono proveniente dalla stanza, i miei familiari aprivano la porta sorprendendomi ansimante e sudato fradicio. Dopo lo spavento reciproco liquidavano la faccenda con un classico: «Sei pazzo? Abbassa il volume!» chiudendo così la questione e la porta. Eppure posso affermare ancora oggi che non c’è mai stata esperienza come quella, capace di dirmi chiaramente e inequivocabilmente chi io fossi.

Io ero quel fiatone, io ero quel sudore.

A onor del vero, in casa mia tutti amavano ballare, ognuno a modo proprio. A volte, di sera, dalla televisione partiva un valzer: mio padre prendeva la mamma tra le braccia e si mettevano a volteggiare in cucina. Una scena sorprendente, d’altri tempi, come se fossero stati due principi dell’Ottocento. Sì, come quando si sono sposati: lei luminosa, bianca come la luna; il papà in nero, serio anche nel giorno più bello della sua vita. Portava sempre gli occhiali scuri, persino d’inverno. Discutevano molto i miei genitori, scontrandosi anche duramente. Eppure, quando ballavano il valzer   si intendevano a meraviglia. Al contrario, per i miei fratelli danzare, o meglio, muoversi a ritmo di musica, era il modo più efficace per lottare, per aggredire, per distruggere. O semplicemente

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per tacere, per chiudersi in loro stessi, alzando il volume fino a far vibrare le pareti di casa. Forse è questo il primo grande insegnamento della mia famiglia: la musica e la danza sono democratiche, sono per tutti. «Io voglio essere libero di muovermi come mi pare e piace, non a comando. Solo così, sarò padrone della mia vita». Di questo tenore erano i miei progetti rivoluzionari a quel tempo … Pinguino! Così mi apostrofavano i compagni delle medie, per via dei miei piedi totalmente piatti, aperti a centottanta gradi: «Pinguino! Dove hai lasciato il frac?» E giù grasse risate. Cosa potevo farci io se ero goffo? A nove mesi già camminavo: «Suo figlio ha troppa fretta di crescere! Così facendo si è sfondato l’arco plantare» Il desiderio di evolvermi rapidamente da quadrupede a bipede mi trasformò in un palmipede: il brutto anatroccolo, il pinguino che fa ridere i compagni di scuola. Pinguino … Mi calzava a pennello quel soprannome: nel lago della mia immaginazione ero un volatile che sfiorava il pelo dell’acqua, aggraziato e leggero; una volta a riva, nel mondo reale, le zampe palmate infondevano, invece, quel tipico passo sgraziato, instabile, che faceva tanto ridere tutti quanti. Improvvisamente, davanti alla televisione, nella fascia pomeridiana per casalinghe, l’epifania: «Dal Teatro Bolshoi di Mosca va ora in onda Il lago dei cigni, balletto in tre atti del maestro russo Pyotr Ilyich Ciajkovskij. Dovete sapere, care amiche, che Ciajkovskij era un musicista tanto sensibile e sfortunato. Dalla sua penna è nata la più romantica storia d’amore e di dolore. Dopo questa visione saremo tutte innamorate del compositore. Preparatevi a piangere e a sognare. SIPARIO!»

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Ebbene, sul palco di quel teatro antico e lussuoso come un palazzo aristocratico, tutti si muovevano come me, a papera! Per di più la loro camminata strana non è definita con disprezzo “da pinguino” ma identifica una attitude codificata dai coreografi francesi che si chiama en dehors. I più grandi danzatori la studiano fin da piccoli e a me viene naturale. Che talento! «Ma cosa guardi quella robaccia?» «Robaccia? È Il lago dei cigni» «Ciajkovskij è roba da femmine» «Non mi importa: io da grande diventerò un étoile, un grande danzatore» «Cosa? Il pinguino che balla? Smetti di sognare». Capii in fretta che il mondo aveva le idee chiare: la grazia e la fragilità sono solo per le femmine, a noi maschi spetta la potenza e la certezza. «Non sono favole, sono cose vere» «Dimostramelo!» «Certo! A Pittsburgh   c’è una ragazza che di mestiere fa la metalmeccanica ma è riuscita ad entrare nella più importante Accademia di danza». Era grosso modo la trama di un film, Flash Dance , anno 1983, ma avrei voluto fosse la storia della mia vita: un ragazzo della Val Brembana che sogna il teatro dei teatri, il Bolshoi, e il balletto dei balletti, Il lago dei cigni. Amore e dolore: un’accoppiata che imparai a vivere come indissolubile. Giunge poi quella strana domenica: gita in famiglia, al lago. L’ambientazione naturale del mio balletto dei sogni. Il corpo di ballo è composto dai paperi, dalle anatre e dalle oche; l’étoile? Il cigno, ovviamente. Mi faccio avanti eccitato per accarezzarlo come fosse un peluche, ma quell’animale superbo o spaventato mi dà un colpo di becco micidiale. Per la prima volta provai il vero dolore, un dolore totale, del corpo e dell’anima: pensavo che di quella bellezza mi potessi fidare, vedevo in quel cigno ciò che sarei potuto diventare. Ecco, mi fidavo di lui come mi fidavo di mio padre e invece … Lo stesso dolore lo provo ancora oggi quando penso a mio papà, che ho perso molti anni dopo.

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Credevo fosse immortale colui che mi aveva dato la vita... Da quel giorno, per molto tempo, cigni e pennuti vari sono diventati parte di un esercito nemico. Sassi, bastoni, barattoli: tutto andava bene per ferire chi mi aveva fatto tanto male. Maledetto cigno, maledetto lago! «Care telespettatrici: misteriosa e spietata è la maledizione che grava sul lago, Il lago dei cigni di Pyotr Ilyich Ciajkovskij». Ripetevo come un mantra quel nome russo, tanto musicale ed esotico che la sola pronuncia mi portava lontano da casa: Pyotr Ilyich Ciajkovskij, Pyotr   Ilyich   Ciajkovskij, PYOTR

ILYICH

CIAJKOVSKIJ …

Il grande compositore che ha dato vita alla storia di Odette, un’incantevole principessa trasformata in un cigno. Maledetto cigno, maledetto lago! Stavo crescendo e cresceva la mia rabbia: avevo undici anni, non ero ancora un adulto ma non credevo più alle favole. Non ero né carne né pesce. Il nido domestico mi andava stretto ma il mondo reale era ancora troppo vasto, spaventoso. Come hai fatto tu, Pyotr Ilyich Ciajkovskij, a non perderti? Tu, piccolo cittadino della grande Russia: la Russia degli zar, un Impero! A scuola mi avevano insegnato che noi facciamo parte di uno stato chiamato Repubblica. Ognuno di noi è un cittadino e ha gli stessi diritti; tra questi c’è il più prezioso: la libertà. La libertà di essere e diventare quello che vuoi. «Ognuno di voi ha il diritto di diventare, per esempio, Presidente della Repubblica. In un Impero questo non è possibile. In un Impero i cittadini sono sudditi: c’è chi ha tutte le libertà che vuole e chi non ne ha nessuna. In cima c’è lo zar, l’imperatore; sotto di lui stanno i nobili

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e qualche gradino più giù c’è il popolo; in basso ci sono gli schiavi che non hanno nessun diritto. Il vero paradosso è che nessuno è realmente libero: se alla nascita ti trovi come padre lo zar, senza muovere un dito sei principe e da grande farai lo zar. Preferiresti diventare pasticcere? VIETATO! Se tuo papà invece è uno schiavo, lo sei tu e lo saranno anche i tuoi figli … il tuo destino è scritto nel tuo nome: da dove vieni dice dove andrai. Un tempo in quelle terre fredde  e lontane c’era l’Impero Russo. Oggi c’è l’Unione Sovietica ma la storia è sempre la stessa, cari bambini: lì nessuno è libero! Ricordatevi: da dove vieni dice dove andrai». Io voglio essere libero, io voglio essere me stesso.  Chi sono io? Io mi chiamo Francesco, Francesco Micheli. Da dove vieni dice dove andrai. Il mio cognome, Micheli, è evidente, viene dal nome Michele. Chi sarà mai stato il tal signor Michele che diede origine alla mia famiglia? Chissà che mestiere faceva, se la sua voce era chiara o scura … Gli piaceva ballare? Da dove vieni dice dove andrai. I russi conoscono bene questo principio: ogni persona che abita quella vasta terra, forse proprio per non perdersi, porta con sé il nome del padre. All’origine c’è Pyotr, padre di Ilya Petrovic (che significa figlio di Pietro), padre di Pyotr Ilyich (figlio di Ilya) Ciajkovskij, il grande compositore.

«Non sei più un bambino! Cresci!». Sicuramente tuo padre Ilia, figlio di Pietro, te l’avrà ripetuto un sacco di volte. Anche quando eravate lontani l’ombra di tuo padre e di tuo nonno erano sempre con te, nel tuo nome: Pietro, figlio di Ilia, figlio di Pietro. Il tuo nome ha il sapore di un’eredità, pesante come un macigno, tutta sulle tue spalle.

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Persino il destino non è più un’avventura piena di sorprese e di possibilità. È come l’aula di una scuola senza finestre e senza porte in cui riecheggia continuamente un’unica parola: DEVI DEVI DEVI È un incubo così ricorrente che Ciajkovskij l’ha messo in musica: Il Lago dei cigni si apre proprio con una melodia detta il Tema del Destino. AIUTO, AIUTAMI! Pyotr Ilyich Ciajkovskij, protettore universale di noi provinciali, sgangherati, annoiati e affamati di sogni: tu, che hai patito il freddo dei cuori e dei termometri, discendi in questa valle di lacrime, la Val Brembana, e fammi volare! Che dico volare? Fammi danzare! Ora come allora, ho talmente bisogno di leggerezza: la levità della piuma, impalpabile come la musica, incorporea come un sogno. Fammi vivere il sogno che ho sempre sognato di …

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C’era una volta      un principe

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Sieg fried  si chiamava, nome scolpito nel cristallo. Il principe Siegfried è a caccia, da solo, nella foresta. Notte, vigilia di compleanno. È fuggito dal castello: domani ci sarà una grande festa in suo onore. In quell'occasione la regina-madre, vedova da tempo, vuole che il figlio scelga una ragazza degna di lui: «Ormai sei grande! Il nostro regno ha bisogno di un nuovo re!».

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Il nobile orfano ha un oggetto strano tra le mani: è una balestra. Apparteneva al re e questa sera la mancanza di suo padre è straziante. Con la balestra il ragazzo colpisce  tutto quello che gli capita a tiro: rami che si spezzano, alberi feriti al cuore, cespugli e roveti sconvolti. Alcuni di questi sembrano vivi: si agitano finché non sbucano fuori animali notturni terrorizzati. Il principe scaglia una freccia persino contro la luna! Si aggira nella foresta, circondato da occhi che lo fissano immobili. Improvvisamente il folto bosco cede il posto a un grande lago … In mezzo al lago c’è un gruppo di cigni. Scivolano eleganti sullo specchio dell’acqua: un bel trofeo per il compleanno di Siegfried  . Il principe tira un colpo poderoso nella mischia. Tutti i cigni volano via, tutti tranne uno. CHE CORAGGIO!

Sicuramente è il capo di quello stormo: si avvicina al principe senza esitazione. Sta piangendo … che strano … La luna fa capolino da dietro gli alberi. Proprio in quel momento il cigno diventa una ragazza! La principessa  Odette. Piange. Il pianto ha la forma di un canto: note lunghe a formare la riga di una lacrima sulla guancia. Una melodia arrotolata e ripetitiva come il respiro di chi singhiozza. All’origine c’è la maledizione di Rothbart , un feroce mago. Rothbart ama Odette ma è brutto come un enorme corvo. Come si può amare un mostro? Per vendetta l’orribile mago trasforma i piedi pallidi e levigati di Odette in zampe palmate, rugose e perdipiù arancioni. La pelle di pesca diventa quella di un pollo: i peli radi e biondi si ingigantiscono fino a diventare piume bianche. Odette e Rothbart sono ora parte della medesima specie animale, folle anello di congiunzione tra i volatili e gli umani. Il mostruoso mago spera così che la fanciulla si innamori di lui, suo simile. «Odile, figlia mia, forse un giorno Odette diventerà tua madre. Si è mai visto un cigno bianco diventare genitore di un cigno nero?!? Del resto, siete pure coetanee… Ah Ah Ah!»

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Odette, anche se è ora un cigno, non può certo amare Rothbart. Del resto è così triste che ha dimenticato cosa significhi voler bene a qualcuno. Quando la luna si specchia  sul lago la principessa, per brevi istanti, torna nelle sue sembianze umane. Solo l’amore puro di un ragazzo può spezzare l’incantesimo: il suo rigido becco giallo ritornerà la bocca con cui bacerà l’innamorato.

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FILARMONICA DELLA SCALA Sound, Music! Dall’esperienza Sound, Music!, il progetto didattico-musicale per la scuola primaria ideato dalla Filarmonica della Scala con Francesco Micheli, nasce la Favola del Lago dei Cigni. In occasione del decimo anniversario dell’iniziativa dedicata ai bambini, la collaborazione con Edizioni Curci arricchisce l’esperienza con libro e audiolibro per raggiungere un pubblico sempre più ampio e i bambini di ogni età. Per l’audiolibro: Musiche di Pyotr Ilyich Ciajkovskij Il Lago dei Cigni Suite dal balletto op. 20 orchestra Filarmonica della Scala direttore Alessandro Ferrari Registrato a maggio 2021 Presso il Teatro alla Scala di Milano Registrazione audio 96kHz 24 bit a cura di Musicom.it Fonici: Davide Corsato, Alberto Vedovato Editing, mix e mastering: Matteo Costa © Filarmonica della Scala Tutti i diritti sono riservati Voce recitante Francesco Micheli Registrata nel mese di settembre 2021 Presso lo Studio di Edizioni Curci S.r.l. di Milano Fonico, editing, mix e mastering: Kevin Andreoni © e (P) Edizioni Curci S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Per il libro Testi di Francesco Micheli con Erika Natati Illustrazioni di Marino Neri Progetto grafico e impaginazione: Studio Temp Direzione e coordinamento editoriale: Laura Moro Proprietà per tutti i Paesi Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – Milano © 2021 by Edizioni Curci S.r.l. Tutti i diritti sono riservati EC 12236 / ISBN: 9788863953473 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2021, da Ciscra S.p.A., via S. Michele, 36 – 45020 Villanova del Ghebbo (RO)

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PLAYLIST ONLINE TRACCIA PAGINA 1 Prologo 0 2 Voglio crescere 3 3 Il pinguino 7 4 Maledetto lago! 8 5 Pyotr, come hai fatto tu? 10 6 C’era una volta un principe [ ] 14 7 Roba da femmine! 24 8 Un invito per Odette [ ] 29 9 Il ballo [ ] 32 10 Cigno bianco o cigno nero? [ ] 35 11 Al buio, da solo 46 12 Traditore! [ ] 50 13 Il combattimento [ ] 50 14 Chi sei tu 56 15 Epilogo 64

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