Redazione: Samuele Pellizzari, Jansan Favazzo Curatore editoriale: Pino Pignatta Progetto grafico: Samuele Pellizzari Foto di copertina: © Angelo Giampiccolo / Shutterstock.com Impaginazione e artwork di copertina: The Sky Designers Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati EC 12246 / ISBN: 9788863953480 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2023 da PressUp S.r.l. – Roma
Premessa
Una moderata quantità di ritocchi al testo, un paragrafo sul concetto di fedeltà alla partitura sviluppato dalla critica al tempo di Toscanini, il conseguente lavoro di revisione apportato alla bibliografia. Queste sono le poche novità nella ristampa di un libro che vide la luce nel 1998, dopo anni di ricerche per le quali fu imprescindibile l’aiuto di una schiera di amici operanti in Europa e negli USA. Il volume fu pubblicato grazie ai buoni uffici del compianto Giovanni Morelli. Con la generosità che gli era propria, Giovanni mi chiese di avere pazienza a fronte di un piano editoriale prestabilito con largo anticipo. Nell’attesa concordai un capitolo di chiusura e in veste di ospite potei seguire a Venezia il lavoro di editing. Poi una gradita sorpresa. Il libro riscosse un piccolo quanto inaspettato successo dovuto, presumo, alla scelta di uno stile espositivo semplice, che rese fruibile la materia sia agli studenti sia agli esperti. Oltre alle critiche favorevoli, mi stupì la richiesta di chiarimenti suppletivi da parte di alcuni direttori incuriositi dalle mie argomentazioni. Suppongo che la ragione di tanto interesse per un saggio che si colloca a mezzo tra la divulgazione e lo specialismo sia da attribuire alla scelta di descrivere in via esclusiva le origini della direzione d’orchestra, ribaltando la consuetudine di sbrigare il problema in poche pagine per arrivare all’arte dei grandi interpreti del Novecento. Nel 2000 piovvero le offerte di nuovi materiali per approfondire il tragitto storico dell’impresa. I colleghi che mi incitavano a proseguire avevano senz’altro ragione, ma non era ancora a disposizione l’immenso patrimonio librario oggi disponibile in internet e mi spaventava l’idea di dover ripartire da capo. Elaborare un progetto più sofisticato significava analizzare altre fonti, spesso ripetitive, da inquadrare comunque in un disegno più ampio del precedente. Perciò, al lettore smaliziato vorrei dire che le pagine sulle partiture ridotte ad uso del primo violino direttore sono appena sufficienti per iniziare un’indagine settoriale su manoscritti che si trovano negli archivi di importanti istituzioni a Vienna e a Parigi. E vorrei aggiungere che sarebbe indispensabile un esame circostanziato sul modo di studiare le partiture © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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IL DIRETTORE D'ORCHESTRA
nella seconda metà del diciannovesimo secolo, allo scopo di sezionare la “narrazione” in base ai rapporti tra frasi, temi, variazioni ed episodi irrelati rispetto ai principi della trama. Non sono invece convinto del fatto che avrei dovuto prospettare il moderno dirigere come un processo genetico dipendente dalle nuove forme di orchestrazione, come sostenne uno dei primi recensori del presente volume. Il ritorno all’archetto è ben documentato anche dopo l’imposizione della bacchetta, e la logica causa-effetto è inapplicabile a un regime segnato dalle intermittenze. Infine, resta l’auspicio ad allargare il quadro di una geografia che privilegia l’Italia e l’Europa occidentale senza accennare alla situazione di Paesi da sempre reputati subalterni. Relegare oggi la Russia o gli Stati Uniti al ruolo di mute colonie della cultura musicale di direttori italiani, tedeschi e francesi sarebbe un imperdonabile atto di supponenza.
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Ringraziamenti
Ringrazio l’amico Ennio Nicotra, stimato docente di direzione d’orchestra che mi ha fatto scoprire il metodo di Ilya Musin e si è prodigato per la ripubblicazione di questo libro. Ringrazio altresì l’amico e grande poeta Aldo Gerbino, per avermi onorato con l’omaggio di versi inediti scritti in memoria di Franco Ferrara. Anche Aldo subì il fascino del maestro, uno dei primi in Italia a dare lustro alla didattica del dirigere, dopo avere abbandonato per ragioni di salute una carriera costellata di successi. Al numero 9 abita Dvořák1 “Signori, non arrivederci, addio.” 1948. Franco Ferrara: il suo addio alla direzione.
Dell’uomo: il volto secco del legno e l’oscura pupilla, il corpo nel tiro d’uccello, il disco ceco della bacchetta. Il Nuovo Mondo fa dono d’una rosa rosso sangue; la sua spina arresta la mano: d’improvviso brusii, labbra serrate. Dal podio, tra i crudi capelli, il gesto roccioso per musicali tratti; sospesi al tempo assoluto, ecco la pausa feroce. Poi, all’orecchio irraggiano strida: da clarinetti, viole, da oboi per l’armonioso sguardo. Vorticano, nell’agro tocco della geometria, echi di zither, cilici, inospitali ruote dentate. Aldo Gerbino (inedito, Palermo 2013)
1 Il titolo e il numero dei versi della poesia alludono alla Nona sinfonia di Antonin Dvořák, conosciuta anche come Sinfonia dal nuovo mondo. A Roma, nel 1940, durante l’esecuzione di questa celebre partitura, Ferrara fu colto da una crisi di «eccesso di coinvolgimento emotivo», con effetti simili a quelli dell’epilessia. Per tale ragione, dopo anni di sofferenze, nel 1948 decise di deporre la bacchetta e dedicarsi alla composizione, alla musica per il film e poi alla docenza. Fu uno dei primi italiani a tenere corsi di direzione presso istituzioni prestigiose in tutto il mondo. Se Dvořák “abita” nelle note della Nona, nelle parole di Gerbino Ferrara fu costretto da quella sinfonia a spostare la propria residenza nella scuola. Scese dal podio, formò professionisti di classe e rinunciò alle glorie del mondo con stoica determinazione.
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Premessa alla prima edizione
Da oltre quarant’anni almeno, dopo i volumi di Adriano Lualdi e Andrea Della Corte, la musicologia italiana sembra avere disertato la direzione d’orchestra quale problema storico prima che tecnico1. Se da una parte non sono mancati i singoli interventi e i saggi su celebri direttori, dall’altra è venuto meno uno studio d’assieme, e soprattutto un lavoro di ricognizione per superare le colonne d’Ercole erette dalla storiografia, che separavano Le chef d’orchestre di Hector Berlioz (1856), il primo metodo moderno, dalla precedente trattatistica sui doveri del Kapellmeister. Lo stesso Della Corte, più generoso di Lualdi nel ripercorrere le tappe del dirigere partendo dal sedicesimo secolo, ha inquadrato la nascita dell’arte direttoriale in base a un discrimine tipico dei primi anni del dopoguerra. Dividendo, cioè, quanto della storia della direzione appartiene al momento in cui maestri e teorici dimostrano consapevolezza del problema dell’interpretazione, dal periodo in cui non viene mai affrontato tale aspetto. Una linea di demarcazione imposta in Italia dalla cultura neoidealistica, segnatamente crociana, mediante la quale i tempi moderni vengono fatti iniziare con il lavoro di Wagner e Berlioz. Per quanto accettabile, tale visione andrebbe oggi corretta. Rettificata in base a una logica evolutiva meno drastica: se prima del saggio di Berlioz non esistono testi che si addentrano nella definizione del gesto e della lettura intesa come traduzione della partitura, non è detto che siano mancate le indicazioni riguardo a una sensibilità nuova nella prima metà del diciannovesimo secolo, grazie a interpreti di grande mestiere, perlopiù compositori-direttori, ma anche in virtù di musicisti che furono principalmente esecutori. Non solo, dunque, i vari Paganini, Mendelssohn, Liszt o Berlioz, ma Reichardt, Spohr, Habeneck, Nicolai, Gassner e tanti altri formano A. Lualdi, L’arte di dirigere l’orchestra. Antologia e guida, Milano, Hoepli, 19492; A. Della Corte, L’interpretazione musicale e gli interpreti, Torino, UTET, 1951, pp. 73-220. Una storia della direzione, ma con finalità diverse da quelle proposte in questa sede, è stata intrapresa da M. Zurletti, La direzione d’orchestra, Firenze, Ricordi-Giunti Martello, 1985.
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PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE
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distintamente un nucleo di realtà importanti a dimostrazione del fatto che la carriera del direttore era già una convenzione acquisita nei primi decenni dell’Ottocento, a quanto si evince dalla monografia di Adam Carse e da quelle non poco arruffate di Georg Schünemann e Elliott Galkin2. Una professione alla quale non pare corrispondere una vera scolastica, di cui non si hanno testimonianze se non quelle riguardanti il normale tirocinio della composizione, mentre la nascita di un repertorio sinfonico storicizzato, e delle associazioni concertistiche che ne promossero l’idea, diventa un riferimento ineguagliabile per la maturazione di quest’arte. È dal seno di società come il Gewandhaus di Lipsia, la Philharmonic Society di Londra o la Société des Concerts di Parigi che uscirono i migliori talenti. Ed è da situazioni di patrocinio, ricerca e promozione di repertori non sempre à la page, predisposte da taluni teatri di corte, che si sono create le premesse per sperimentare i criteri più nobili della professione. Si pensi non solo a Mendelssohn presso il Gewandhaus di Lipsia, ma anche ai vent’anni trascorsi da Spontini allo Opernhaus di Berlino, o ai dieci e più anni in cui Liszt si dedicò anima e corpo al Teatro di Weimar in qualità di Hofkapellmeister, a Wagner presso il teatro di Dresda, e pure a Verdi, nella sconcertante realtà italiana, che identificò il direttore nella figura ideale del musicista responsabile della regia. Per questi motivi la gittata storica del libro concerne l’arte del dirigere in relazione al periodo compreso all’incirca fra il 1750 e il 1870. Date convenzionali, da assumere con qualche cautela, corrispondenti ai due momenti nei quali si situano i primi trattati che concedono spazio al ruolo emergente del direttore e, sul versante opposto, ai manuali che fissano a scopo didattico i criteri della professione trasformata in autentica disciplina. Il resto è storia di battitori di tempo, o della direzione così com’è ancor oggi concepita, mentre il tema prescelto si colloca tra questi estremi e riguarda specificamente l’origine della disciplina. Locuzione, quest’ultima, con la quale si vuole alludere alle diverse soluzioni in cui si è espressa l’attività dei capi d’orchestra e intorno a quelle discetta il presente lavoro, che inizia con
2 Per certi versi è ancora attuale A. Carse, The orchestra from Beethoven to Berlioz: a history of the orchestra in the first half of the 19th century, and the development of orchestral baton-conducting, Cambridge, Heffer and Sons, 1948; troppo generici, nonostante la quantità di dati raccolti, poiché carenti nell’inquadramento delle problematiche storiche, G. Schünemann, Geschichte des Dirigierens, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1913, e E. W. Galkin, A history of orchestral conducting in theory and practice, New York, Pendragon Press Stuyvesant, 1988.
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IL DIRETTORE D'ORCHESTRA
una rassegna dei sistemi che hanno avuto meno fortuna durante il diciottesimo secolo e prosegue con la direzione sonora a due strumenti (violinocembalo) e con la tradizione del bâton. Non dovrà dunque sembrare un paradosso o una scelta snobistica che solo il quinto capitolo sia dedicato a Berlioz e a Wagner, compositori ai quali si deve in buona misura la fondazione di una tecnica che è rimasta inalterata nelle sue linee essenziali sino ai tempi nostri. Ciò che si è voluto anzitutto mettere in luce è attraverso quali vie il dirigere è divenuto un elemento risolutivo dell’esecuzione. E come, in seguito, è stato trasformato in professione autonoma, riconosciuta in quanto tale, capace di offrire soluzioni mirate e quindi diverse dalle nozioni relative al solfeggio, alla pratica strumentale e a quella compositiva. L’organizzazione della materia non è strettamente epocale, né rigorosamente geografica. La sopravvivenza di formule tipiche del diciottesimo secolo a Ottocento inoltrato, come la direzione a due, non permette di esaminare il fenomeno secondo un piano di periodizzazione storico-artistica. In epoca romantica, ad esempio, nonostante il processo di trasformazione dell’orchestra in relazione al nuovo stile, solo in alcuni casi isolati vi è stata l’individuazione di una concezione direttoriale innovativa. Ciò è avvenuto soprattutto in Germania, e in misura minore in Francia con alcuni personaggi di spicco, mentre l’affermazione del principio moderno si situa verso la metà del secolo. Meno problematica si configura una trattazione per aree geografiche distinte; tuttavia essa darebbe luogo a una serie di noiose ripetizioni, poiché i sistemi ovunque accettati, per quante fossero le varianti, erano in sostanza gli stessi. Sistemi classificabili a seconda dell’azione svolta dal direttore, visiva o sonora, e quindi a seconda degli strumenti adoperati da soli o in combinazione: rotolo, bacchetta, cembalo-violino, organo-violino, pianoforte-bacchetta. È preferibile dunque iniziare con la direzione sonora, per verificare sino a quando essa sia rimasta in uso nei vari Paesi d’Europa, per essere poi travolta dal ricorso alla bacchetta e dalla successiva, ma congiunta fondazione del Dirigieren (i.e. l’arte del dirigere), analizzando anche l’opera dei maestri e degli istituti che hanno contribuito alla gestazione della nuova disciplina. Va detto, inoltre, che in assoluto non è mai esistita, né tantomeno esiste, una tecnica più o meno buona del dirigere (ove per tecnica non si intenda la norma assoluta distinta dal livello di applicazione). Qualsiasi soluzione © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE
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può essere considerata valida, purché l’interprete sia in grado di conseguire ottimi risultati. Partendo da questo assunto banale, proiettato retrospettivamente, la ricerca recupera gli elementi che fanno della direzione un’arte in via di sviluppo sin dal diciottesimo secolo, anche se il progetto si pone al di fuori di una visione in progress, caratteristica di molte dissertazioni dei tempi andati. Al contrario, la proposta sottesa al presente lavoro è di relativizzare ai contesti e alla struttura delle musiche i mutamenti che si sono verificati nella complessa materia, ripartendo dalle innovazioni compiute in base alle esigenze poste da tradizioni, stili e ambienti – il teatro, la sala da concerto e in misura minore la chiesa –, per meglio precisare che la coesistenza dei metodi più disparati, testimoni a volte di spinte regressive, accerta quanto sia errata la visione di uno sviluppo lineare e compatto. Anzi, andrebbe illustrata come una linea zigzagante, i cui picchi corrispondono alla crescente puntualità con cui vengono delineati gli obblighi di chi guida l’orchestra, ma niente di più. La documentazione al vaglio privilegia allora il dibattito intorno agli organici e alle qualità richieste al direttore, avendo scartato la consueta normativa che regola il tactus, inadeguata a risolvere le molte questioni riguardanti il rapporto tra l’orchestra e il maestro. Perciò, più che di un codice stabilizzato, si parla qui dei processi che descrivono la genesi del Dirigieren, il cui apice è rappresentato dalla formazione di una coscienza interpretativa e dalla definizione del conduttore unico, arbitro dell’orchestra, nonché traduttore della partitura secondo la propria personale sensibilità. Per portare un po’ di luce nella storia della disciplina è parso opportuno ripercorrere i modi più antiquati di guidare una formazione di musicisti. Nella variopinta rassegna si avvicendano, ma anche si incrociano, le competenze del primo violino e del direttore con bacchetta, del maestro al cembalo o concertatore, del batteur de mesure e del maestro di coro. Non meno provvide si rivelano le indagini sulla posizione del capo d’orchestra, in concerto e in teatro, rispetto alla collocazione degli strumenti, nonché le attestazioni sulle prove d’orchestra e dei cantanti, e sui diversi modi di stendere la partitura o la riduzione da porre sul leggio del primo violino. Per contro, un’indagine sulla figura del direttore di banda, un’analisi delle partiture relativamente alla dislocazione degli strumenti – invero problematica se non inattuabile, constatati i frequenti cambiamenti in funzione dell’acustica delle sale –, o le informazioni sul modo di studiare la partitura sino alla metà dell’Ottocento, avrebbero dilatato oltre misura il presente saggio. © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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IL DIRETTORE D'ORCHESTRA
Le testimonianze più difficili da valutare in questo tipo di studio sono quelle offerte dai trattati: poco affidabili quando riflettono le esigenze degli autori, o la prassi di un solo luogo, o anche una pratica sorpassata. In questo senso si rivela maggiormente attendibile la letteratura giornalistica che, dalla fine del Settecento e senza pretese scientifiche, accoglie spesso il punto di vista del critico di turno e aiuta almeno a fissare talune nozioni relative al gesto del direttore, negletto da altre fonti3. Infine, corre l’obbligo di avvertire che si è evitato di raccogliere aneddoti e curiosità intorno ai grandi maestri del passato recente e remoto. L’unico intento perseguito è quello di documentare taluni episodi emblematici, che costituiscono un contributo essenziale per la storia della direzione e a fronte di questa scelta si spiega l’assenza, o la citazione en passant, di personaggi che trovano spazio in altri tipi di letteratura.
Per favorire la consultazione, tutti i passi ripresi dalla letteratura in inglese, francese e tedesco, sia moderna sia del periodo storico considerato, vengono dati in traduzione. Inoltre, allo scopo di facilitare la comprensione dei testi d’epoca, si è data degli stessi una lettura modernizzatrice. Lettura che mitiga solo in parte la disparità di stile esistente tra gli scritti in italiano e quelli coevi tradotti da altre lingue, forzatamente ricondotti, questi ultimi, a un lessico e a una sintassi attuali. Cadono poi, con conseguente trasformazione, l’h etimologica, le doppie superflue, il nesso ci e ti per z, la forma j per i; constatato infine il diverso uso dei segni di interpunzione, si è ricostruita l’intera punteggiatura senza intaccare la sostanza del discorso. Infine, i termini esplicativi o i sinonimi da me aggiunti alle citazioni originali, che in qualche caso sono di difficile comprensione, appaiono sempre entro parentesi quadre.
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1. Il direttore... prima del direttore
Che cos’hanno in comune un direttore come Herbert von Karajan di fronte all’orchestra dei Berliner Philharmoniker, un mazziere dell’Ottocento che scandisce il ritmo in testa alla banda militare, un praecentor del Medioevo che ammaestra la schola e un Kapellmeister del Seicento che agita due fogli avvolti? La domanda non è tanto banale, sebbene si possa sottoscrivere che quelle figure poco o nulla hanno in comune tra loro, se non il fatto di essere a capo di una formazione di musicisti. Eppure, in qualsiasi contesto storico e per qualsiasi genere di composizione che richieda un discreto numero di esecutori, da sempre vi è un leader che batte il tempo e tratteggia l’espressione. Affrontare il percorso di tutte le esperienze storiche che afferiscono a questo assunto di base sarebbe un compito troppo arduo per un solo studioso, se si pensa alle competenze tecniche occorrenti per descrivere, ad esempio, il gesto del musico che interpreta il canto gregoriano, del jazzman che guida una band, o del direttore di un coro polifonico alle prese con una messa di Palestrina. Il campo di indagine va dunque delimitato, e nella prima parte di questo saggio verranno presi in considerazione i modi del dirigere nel diciottesimo secolo, in funzione o meno del processo che ha portato nel secolo successivo all’identificazione della figura del direttore unico e del direttore interprete, nonché della concertazione quale fase preparatoria all’esecuzione e dell’atto mimico, cui pertiene la chironomia, diverso dal battere il tempo onde impartire il tactus. Per comprendere quando e come sia nata la direzione moderna è necessario allora spostarsi al Settecento, poiché furono i compositori e i teorici di quel secolo a interrogarsi sulla necessità di avere un direttore e a disquisire a lungo – con prospettive che possono sembrare oziose – sulla maggiore efficacia del maestro al cembalo o del violinista, quali figure elette a sostenere tale compito in tutti i Paesi civili. La mancanza di una didattica della disciplina obbliga tuttavia a cercare tra le descrizioni della prassi orchestrale le informazioni che connotano i doveri e il gesto del capo, e a dedurre dall’arida nozione del solfeggio qualche nota sul modo di battere il tempo. © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
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Questo è quanto consente la materia per una ricostruzione del dirigere prima dello Chef d’orchestre di Hector Berlioz. Ma l’onere maggiore, nel raccontare la “preistoria” della disciplina, è costituito dalla difficoltà di connotare i vari sistemi secondo una visione storica precisa, o quantomeno “epocale”, ove a un dato periodo sia fatto corrispondere un solo modo di concepire la direzione. La coesistenza delle tendenze più varie e soprattutto di logiche direttoriali collegate ai diversi ambienti, per cui la direzione a teatro poteva divergere da quella attuata in chiesa o in concerto, nega una simile ipotesi e impone di inquadrare il problema partendo dalla descrizione dei vari tipi, per capire il motivo per cui alcuni sono rimasti in auge sino a Ottocento inoltrato, frenando talvolta lo sviluppo di una coscienza interpretativa collegabile allo spirito romantico. Tra quanti si sono occupati di storia della direzione, Adam Carse1 e Elliott Galkin2 hanno tentato di individuare con rigore le tecniche dei tempi andati; nella fattispecie le pratiche del guidare l’orchestra precedenti la conduzione con bacchetta da parte di un solo maestro, che si afferma gradualmente con Ignaz Franz von Mosel, Louis Spohr, Felix MendelssohnBartholdy, Hector Berlioz e Richard Wagner. La proposta di Carse si basa sulla decodificazione del segnale visivo o sonoro con cui il direttore esercitava le proprie mansioni; lo studioso suddivide tale azione in tre formule distinte, le quali, tuttavia, non si escludono a vicenda: • il controllo sonoro con strumento (cembalo-organo e/o violino); • il controllo visivo-gestuale con movimenti della testa, delle braccia e di tutto il corpo; • il controllo uditivo-gestuale mediante il calpestio dei piedi, il battito delle mani sul legno dello strumento da tasto, e il martellare di qualsiasi attrezzo, ivi compresi i colpi dell’archetto sul leggio3. Galkin, invece, ha elaborato una casistica assai dettagliata in relazione alla varietà degli strumenti adoperati dal direttore, alla sua specifica preparazione e al modo di porgere la battuta. L’elenco, più ampio di quello meditato da Carse, allinea i seguenti modelli:
A. Carse, The orchestra in the XVIIIth century, Cambridge, Heffer and Sons, 1940, pp. 106-107. E. W. Galkin, A history of orchestral conducting in theory and in practice, New York, Pendragon Press Stuyvesant, 1988, pp. 458-459. 3 Carse, The orchestra in the XVIIIth century, cit., pp. 106-107. 1 2
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INDICE
Premessa
3
Ringraziamenti
5
Premessa alla prima edizione
6
1. Il direttore… prima del direttore
11
2. La fonte della discordia: la direzione a due, cembalo e primo violino
25
Problemi e limiti della direzione con gli strumenti nel XVIII secolo
25
Il maestro al cembalo
32
Accompagnare id est dirigere?
45
Uno strumento inutile
55
Il primo violino direttore d’orchestra
60
Un secondo primo violino detto anche concertino
72
Partiture ridotte e adattate ad uso del capo d’orchestra
73
Figure e momenti della direzione con il violino tra il XVIII e il XIX secolo
78
Un’arte in declino
84
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IL DIRETTORE D’ORCHESTRA
3. Dal bâton de mesure all’affermazione della bacchetta
93
Il bâton all’Opéra: gli estremi di una polemica
93
Una tradizione francese che diventa tedesca
105
Spohr e il trionfo della bacchetta
111
4. La nascita di una civiltà. Il direttore e le associazioni concertistiche tra Settecento e Ottocento
127
Problemi di lessico
127
Le prove d’orchestra, segreto della buona direzione
131
Il direttore e la sua orchestra. Il rinnovamento della direzione nell’ambito delle prime associazioni concertistiche
135
5. Il «Dirigieren», ovvero l’interpretazione come arte e disciplina
166
L’irresistibile ascesa del direttore
166
Personalità emergenti: la direzione di Weber e Mendelssohn
174
Berlioz «ou l’art de jouer l’orchestre»
181
La carriera di un direttore romantico
188
Iconografia berlioziana
197
Liszt e la lettera sulla direzione del 1853
199
Wagner e lo «Über das Dirigieren»
204
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INDICE
6. Il «protogestore» e il riscatto della direzione dell’opera italiana dopo la metà del XIX secolo
214
«Uno e non più sia il direttore». Proposte per una riforma della direzione nei teatri d’Italia
214
Nuove frontiere: i direttori italiani nel mondo, Mariani e «l’unità di concetto»
220
Direttore e regisseur per «l’opera a intenti» di Verdi
235
7. Epilogo per una metamorfosi
244
Toscanini e la fedeltà alla partitura
249
Specialismo e didattica
264
Bibliografia
268
Indice dei nomi
282
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