Appunti di un pianista (anteprima)

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© 2001, 2018 by Yale University Originally published by Yale University Press

Per l’edizione italiana: Traduzione di Artin Bassiri Tabrizi con la supervisione di Roberto Prosseda L’editore, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione dei brani prescelti, è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune od omissioni. Impaginazione: Francesca Centuori Redazione: Jansan Favazzo Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2022 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati EC12247 / ISBN: 9788863953497 www.edizionicurci.it Prima stampa in Italia nel 2022 da PressUp S.r.l. - Roma.


Ai miei studenti, con i quali ho condiviso molti momenti di gioia, frustrazione e scoperta

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INDICE Prefazione all’edizione italiana Prefazione alla seconda edizione Prefazione alla prima edizione

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PARTE I. IN AULA 1. Suono e tocco 2. La tecnica 3. Articolazione e fraseggio 4. Questioni di tempo 5. Il pedale 6. Lo studio

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PARTE II. COSTRUIRE UNA PERFORMANCE 7. Decifrare il messaggio del compositore 8. Vedere il quadro generale 9. Tecnica dell’anima 10. Durante la performance (e prima) 11. L’arte di insegnare e di imparare

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Nota biografica Indice analitico Crediti

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Prefazione all’edizione italiana Ho avuto la fortuna di conoscere Boris Berman durante i miei anni di studio presso l’International Piano Foundation. Ho ancora molto vivido il ricordo delle sue lezioni di allora, la chiarezza con cui riusciva a spiegare concetti complessi nel modo più immediato e diretto, e la precisione con cui sapeva individuare e risolvere i problemi che uno studente poteva incontrare nell’interpretazione di un brano. Un’altra caratteristica che mi ha sempre colpito di Boris Berman come docente di pianoforte è il suo equilibrio: a volte può capitare di imbattersi in altri grandi didatti che però sono spesso troppo influenzati dalle proprie idee o princìpi, al punto da perdere di vista le esigenze pratiche di miglioramento che uno studente incontra quotidianamente. Boris Berman riesce, invece, a combinare una notevole profondità di pensiero e penetrazione psicologica della musica con una sorta di “buon senso” che rende le sue lezioni spesso rivelatrici e risolutive per molti studenti. Ha sempre a cuore i bisogni dell’allievo che si trova davanti, ai quali, con molta umiltà e senso pratico, riesce ad adattare il suo approccio per ottenere il massimo risultato. Un’ulteriore dote del Boris Berman insegnante è la sua “visione dall’alto” della musica e delle strutture musicali, che però sa combinare ad arte con una profonda indagine psicologica, indispensabile per sviluppare una interpretazione personale e convincente. Tutte queste caratteristiche che ho elencato le possiamo ritrovare appieno in questo suo libro, il quale evidentemente è la naturale filiazione della sua lunga esperienza di concertista e docente ai più alti livelli. Come lo stesso autore specifica nella sua introduzione, non è sua intenzione offrire qui una “summa” del sapere pianistico, cosa peraltro impossibile in un libro che si pone come uno strumento pratico a disposizione di studenti e insegnanti di pianoforte. Eppure, in un certo senso, ci riesce: troveremo in ciascun capitolo alcune intuizioni che fanno chiarezza su aspetti tecnici o interpretativi, che altri trattati ben più voluminosi non riescono a spiegare con la medesima efficacia, e con una costante attenzione all’uso pratico, alla tastiera, di quanto espresso nel testo. Un altro pregio di questo libro è la sua compatibilità con modi diversi di intendere la musica e l’approccio al pianoforte: parla spesso di princìpi generali, che possono quindi perfettamente essere recepiti e applicati da

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pianisti con una formazione diversa. Il tono, mai cattedratico e spesso anche finemente umoristico, con cui Berman esprime concetti anche molto profondi e complessi rende la lettura piacevole e intellettualmente stimolante anche per coloro che non suonano il pianoforte, ma che hanno curiosità di conoscere quale possa essere l’approccio di un musicista professionista all’interpretazione musicale e allo studio di uno strumento. L’interpretazione musicale è unica e diversa per ogni musicista, e il mistero del funzionamento profondo dei princìpi che la regolano resta uno degli aspetti più affascinanti del far musica. Con Appunti di un pianista Boris Berman ci aiuta ad avvicinarci a esso, stimolando ogni lettore a sviluppare un approccio individuale più profondo e consapevole alla musica e alla gestione dello studio del pianoforte, con una sapienza che consente di applicare molti suoi consigli anche ad aspetti extramusicali della nostra vita. Roberto Prosseda Prato, 23 marzo 2021

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Prefazione alla seconda edizione Sin dalla prima edizione di questo libro, pubblicata nel 2000, sono rimasto gratificato dalla calorosa ricezione con cui è stato accolto: non solo esso ha ricevuto riscontri e commenti positivi da parte di molti colleghi, ma è stato anche adottato come testo obbligatorio nelle università e nei conservatori di tutto il mondo, oltre a essere stato tradotto in diverse lingue. Un tale riscontro mi ha fatto capire che la nostra professione ha bisogno di questo mio approccio, e lo apprezza in quanto si basa sull’inseparabile connessione tra dettagli di natura tecnica e problemi musicali più ampi. Da quando è stata pubblicata la prima edizione, il mio pensiero su diversi argomenti si è evoluto; ho sentito l’esigenza di definire vari aspetti in modo più chiaro, e ho voluto maggiormente approfondire alcune idee. Così ho colto l’occasione per aggiornare il libro, giovandomi anche dei suggerimenti di molti amici, tra cui maestri del calibro di Radu Lupu ed Emanuel Ax. Ringrazio Thomas Hicks per l’aiuto nella formattazione di esempi musicali aggiunti e corretti. Sono poi in debito con il team editoriale della Yale University – Sarah Miller, Sara Sapire e la mia editor, Jenya Weinreb – per avermi guidato nel processo di creazione di una nuova versione del libro.

Prefazione alla prima edizione Questo libro è costituito da una raccolta di pensieri, discussioni ed esperienze che fanno parte del mio percorso di insegnante e di interprete. Essendo un riflesso della mia esperienza personale e professionale, esso affronta problematiche che emergono regolarmente nel lavorare con studenti di livello avanzato, o che in generale considero rilevanti per un musicista. La maggior parte del libro è stata scritta durante tour concertistici e sulla scia di numerose lezioni, e questo ha ovviamente influenzato la scelta del repertorio. Non pretendo di poter far fronte alla totalità dei problemi che i pianisti possono riscontrare, e nemmeno aspiro a fornire una qualche sorta di rivelazione; spero comunque che i miei colleghi possano riconoscersi nella gran parte di ciò che scrivo. Spero anche che troveranno utili alcune strategie che suggerisco per affrontare problemi piuttosto comuni. Il mio obiettivo non è di rimpiazzare l’insegnante di pianoforte; gli studenti dovrebbero piuttosto avvicinarsi al libro nello stesso modo in cui si

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avvicinano a una masterclass, vedendolo come un’opportunità per conoscere un altro punto di vista, complementare a quello del proprio docente. L’insegnante deve infatti affrontare una moltitudine di problemi nel breve arco temporale di una lezione e, tra la correzione di note e ritmi, il suggerimento di una migliore diteggiatura e la discussione dell’interpretazione di un particolare brano, è raro che riesca a trovare il tempo per parlare in generale anche di uno solo dei temi trattati in questo libro. Quindi spero che alcuni dei miei colleghi possano occasionalmente assegnare ai loro allievi un capitolo come lettura supplementare, così da integrare il lavoro svolto durante la lezione. Questo non è un libro di “istruzioni per l’uso”, né tantomeno è limitato esclusivamente a questioni musicali generali. Le mie esperienze sia di insegnante che di concertista mi hanno convinto di quanto sia sbagliato separare aspetti pratici e ideali nell’arte del suonare il pianoforte. Credo fermamente che queste due aree non possano essere affrontate indipendentemente l’una dall’altra. Il lavoro tecnico dovrebbe mirare sempre a un obiettivo musicale, e anche le idee più elevate hanno bisogno di essere supportate dalla capacità di metterle in pratica. Durante le lezioni con gli studenti, si può facilmente passare dalla discussione delle caratteristiche stilistiche di un particolare compositore all’osservazione della posizione della mano dello studente, o alla ricerca della migliore diteggiatura per un passaggio difficile. Il libro riflette questa interdipendenza tra pratico e ideale; sebbene sia diviso in due parti – di cui la prima tratta di varie problematiche tecniche, mentre la seconda si sofferma maggiormente su aspetti artistici –, questa separazione è fatta al solo scopo di semplificazione. In realtà, anche un artista di successo rivisita di tanto in tanto questioni tecniche e rivede il suo approccio. In questo senso, quando un artista è curioso, egli resta studente per tutta la vita. Allo stesso modo, uno studente di talento, per quanto di competenza limitata, è già un artista e dovrebbe essere trattato come tale. La scelta della distribuzione degli argomenti in ciascun capitolo ha comportato qualche difficoltà, poiché non si può davvero separare l’articolazione dalla tecnica, o tracciare una linea di demarcazione tra il lavoro sul suono e il lavoro sulla tecnica. I riferimenti incrociati abbondano nelle due parti, riflettendo la mia forte convinzione che si debbano mobilitare tutti gli strumenti e gli approcci a nostra disposizione per ricreare un’opera musicale in tutta la sua ricchezza. A volte, per motivi di chiarezza, i concetti sono stati formulati e divisi in maniera troppo netta. Il lettore farà bene a ricordare © 2022 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati


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che nella vita reale essi sono spesso intrecciati e si sovrappongono l’un l’altro con affascinante complessità. Oppure, come diceva Goethe: “Grau... ist alle Theorie / Und grün des Lebens goldner Baum”. (Grigia... è ogni teoria / E verde è l’albero d’oro della vita). Gli studenti cercano naturalmente risposte chiare ai loro problemi, e gli insegnanti provano a rispondere con soluzioni complete. Tuttavia, tranne che nel lavoro con i giovani principianti, non dovrebbe essere data (o ricevuta) alcuna raccomandazione che includa le parole “sempre” o “mai”. Nel verde dell’albero d’oro della musica, c’è sicuramente spazio per molte eccezioni, anche alle regole più sagge. I capitoli di questo libro non devono obbligatoriamente essere letti in ordine. Incoraggio, anzi, i pianisti a consultare quei capitoli che rispondono maggiormente alle loro attuali esigenze. I lettori che non sono pianisti praticanti potrebbero sentirsi scoraggiati dalle discussioni tecniche in alcuni capitoli della Parte I (“In aula”). Per loro, la Parte II (“Costruire una performance”) e alcuni capitoli della Parte I, come “Articolazione e Fraseggio” e “Questioni di Tempo”, potrebbero in tal caso essere più interessanti. Non avrei potuto scrivere questo libro senza l’aiuto e l’incoraggiamento di molte persone. I miei più sinceri ringraziamenti vanno a Michael Friedmann, mio amico e collega di facoltà della Yale School of Music. I suoi consigli, in ogni fase del mio lavoro, sono stati inestimabili. Altri colleghi hanno letto le prime versioni del manoscritto e hanno contribuito con opinioni estremamente utili. Tra queste persone ci sono il compianto Claude Frank, e Peter Frankl, Annie Frankl, Stephane Lemelin e Janos Cegledy. Harry Haskell della Yale University Press mi ha guidato attraverso il terreno sconosciuto del mondo dell’editoria. Harold Meltzer, Wei-Yi Yang, Dmitri Novgorodsky e il mio meticoloso correttore di bozze Jeffrey Schier mi hanno aiutato a preparare il manoscritto per la pubblicazione. Harold Shapero ha prodotto le foto, Leora Zimmer ha curato gli esempi musicali. Sono molto grato per il supporto del Griswold Fund e del Frederick W. Hilles Publication Fund della Yale University. Infine, ringrazio molto affettuosamente mia moglie, Zina, e i miei figli, Ilan e Daniella (la mia prima lettrice), per il loro costante incoraggiamento, in particolare quando il compito mi è sembrato troppo grande e insormontabile. Non credo che il libro avrebbe potuto essere scritto senza il loro supporto. Boris Berman

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PARTE I. IN AULA

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CAPITOLO 1. SUONO E TOCCO Molti aspetti sono importanti per sviluppare le abilità di un pianista: la tecnica, il ritmo, la memorizzazione e il repertorio sono tra questi, e verranno tutti discussi in questo libro. Preferisco iniziare, tuttavia, con un tema spesso ignorato o sottovalutato dagli insegnanti e dagli studenti: il suono. In musica, trascurare il suono equivale a trascurare il colore nelle arti figurative, o il movimento del corpo nella recitazione. La produzione del suono dovrebbe essere considerata parte della tecnica in senso lato, perché la tecnica è molto più del saper suonare le note rapidamente ed egualmente. Nei rari casi in cui si parla della produzione del suono, il tutto spesso si riduce ad affermazioni come “dovresti avere un bel suono”, “canta!” o “cambia il colore”. Gli insegnanti danno raramente consigli su come ottenere il bel suono, su cosa fare con le mani o con il braccio per far cantare il pianoforte, o cosa si debba fare fisicamente per creare la sensazione di cambiare il colore. Credo che il docente dovrebbe essere molto specifico nel soddisfare le esigenze degli studenti che aspirano a una guida più pragmatica su questi aspetti. Nel corso degli anni, ho sviluppato un mio modo di approcciare questo problema. Prima di presentarlo qui, vorrei però fare alcune precisazioni: 1. Sebbene io trovi abbastanza semplice insegnare la base della produzione del suono, queste abilità di solito non sono compatibili con chi è indifferente alla qualità del suono pianistico, o con uno studente le cui orecchie non desiderino già un particolare tipo di suono. In sintesi, non è possibile raffinare il proprio tocco senza raffinare il proprio orecchio. Mi riferisco a due tipi di orecchio. Il primo è “soggettivo”: l’immagine (nella mente del pianista) del tipo di suono che si vorrebbe produrre. Più l’immagine è specifica e precisa, migliore sarà il risultato. L’altro tipo di orecchio è “oggettivo” e si riferisce all’abilità del pianista di monitorare il suono effettivamente prodotto dalle sue dita. L’ascolto oggettivo è sempre un obiettivo, una battaglia che dura tutta la vita, giacché un musicista tenta costantemente di ascoltare oggettivamente la sua esecuzione, ma non vi riesce mai completamente. Il pianista non può fare un lavoro significativo, senza imparare prima ad ascoltare attentamente e

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Capitolo 1. Suono e tocco

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instancabilmente ogni suono che produce al pianoforte (ne parleremo meglio nel capitolo sullo studio). 2. Spesso è sottovalutata la necessità di studiare su uno strumento che risponda sufficientemente alle sfumature del tocco (nessuna tastiera elettronica è in grado di farlo, temo). Chopin doveva avere questa opinione poiché, secondo il suo allievo Karol Mikuli, i suoi studenti «suonavano sempre un magnifico gran coda da concerto, ed era loro dovere studiare solo sugli strumenti di qualità migliore»1. Come afferma il pianista e scrittore russo Grigory Kogan: «Il pianista dovrebbe essere capace di suonare su ogni tipo di pianoforte, ma deve studiare solo su un buono strumento»2. 3. Il pianista può essere tentato di cercare un suono di assoluta bellezza, che sia adatto ad ogni occasione. Anche io dico spesso ai miei studenti che non esiste il “bel suono” in sé, ma c’è un suono appropriato ad un determinato stile, brano o passaggio (a dire il vero, esiste però il “suono brutto”, e il pianista dovrebbe sapere come evitare di produrlo). Il suono adatto a Rachmaninov sarebbe completamente fuori luogo in Mozart, e viceversa. Effettivamente, il suono dovrebbe essere usato come uno strumento per la definizione dello stile. La consapevolezza stilistica, che si esprime nella scelta del tempo, o del ritmo, del fraseggio e dell’articolazione che il musicista ritiene appropriato allo stile dell’opera, dovrebbe essere incorporata nella nozione di “suono corretto”. 4. Anche un bambino di due anni è in grado di produrre il suono giusto occasionalmente, ma in tal caso si tratterà di un suono, una singola nota. Solo un pianista professionale può produrre un secondo suono che corrisponda perfettamente alla qualità del primo. È importantissimo per i pianisti avere la capacità di mantenere un certo tipo di suono per la lunghezza di un passaggio o una frase, e di cambiarlo a piacimento. Quando i pianisti parlano di “bel suono”, essi intendono solitamente un suono cantabile e lungo, che lasci percepire il meno possibile la natura percussiva del pianoforte. Anche nei casi relativamente rari in cui i compositori evidenziano la percussività dello strumento (si pensi al Primo Concerto di Bartók e a Les Noces di Stravinsky), il pianista non dovrebbe restare

Jean-Jacques Eigeldinger, Chopin: Pianist and Teacher as Seen by His Pupils (Cambridge, Cambridge University Press, 1986), p. 25 [ed. it.: Chopin visto dai suoi allievi, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 2010]. 2 Grigory Kogan, Izbranye Statiy (Mosca, Sovetsky Kompozitor, 1972), p. 255. 1

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indifferente alla qualità del suono; dovrebbe aspirare a emulare la risonanza di un gong o la potente combinazione di asciuttezza e profondità dei tamburi africani, piuttosto che un rumore di pentole da cucina. Ogni pianista professionista ha passato (o avrebbe dovuto passare) lunghe e frustranti ore a studiare, cercando autonomamente di produrre questo bel suono durevole. Siamo tutti diversi fisicamente, e per questa ragione ogni pianista sviluppa la sua propria strategia. La moltitudine degli approcci e delle loro combinazioni, comunque, può essere ridotta a due tipologie generiche. Il mio compianto insegnante, il grande pianista e pedagogo Lev Oborin, definiva la polarità di questi approcci con i termini sostenuto e leggero. Io preferisco usare le parole inglesi “in” (in dentro) e “out” (in fuori). Entrambi questi modi di suonare, come vedremo, condividono un medesimo obiettivo: mascherare il momento più infido e pericolosamente “rivelatore”, quello dell’attacco effettivo del suono, quando il martello colpisce la corda. È stato usato un immaginario eloquente per descrivere il primo tipo di produzione del suono (“in dentro”). Rachmaninov parlava di “radici che crescevano dalle dita nella tastiera”. Joseph Hoffmann diceva che il suono dovrebbe essere prodotto “come se ci fosse una fragola molto matura sul tasto, e bisognasse abbassare il tasto facendo pressione su di essa”. Queste immagini implicano due importanti caratteristiche del tipo “in dentro”. La prima è la velocità controllata del processo: il ritmo lento con cui crescono le radici e l’affondo graduale con cui il dito deve premere sulla fragola, per evitare che si spappoli sulla tastiera. L’altra caratteristica è la continuità del movimento; le radici crescono senza fermarsi, infatti. Il tipo di attacco “in dentro” è basato su un lento affondare nella tastiera: le azioni continuano anche quando il suono è stato prodotto, come se venisse ignorato il momento dell’attacco. Il peso che si trasferisce sui tasti rimane su di essi: non viene rilasciato, e, anzi, si sposta sulla nota successiva della frase. L’attacco “in fuori” potrebbe essere descritto come l’opposto del precedente. Il suono è prodotto tramite un colpo veloce, come se il dito lasciasse il tasto ancora prima che il suono possa essere udito. Ovviamente, se la nota deve essere tenuta o connessa alla successiva, il dito non lascia il tasto. Ma la maggior parte del peso va via; ne rimane solo una piccola parte, sufficiente a tenere il tasto abbassato. Questo tipo di azione è simile al suonare l’arpa (il pianoforte non è d’altronde essenzialmente un’arpa posizionata orizzontalmente?).

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Capitolo 1. Suono e tocco

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L’arpista pizzica e poi lascia le corde, quasi prima che le note vengano prodotte, altrimenti il suono sarebbe smorzato dalle dita. Oppure, si pensi al modo in cui il percussionista suona il tam-tam: egli non lascia mai la mazzuola premuta sullo strumento. Subito dopo aver colpito il tam-tam, allontana la mazzuola, permettendo allo strumento di risuonare senza essere ostruito. Suonando in questo modo, il pianista non dovrebbe dirigere il movimento verso il basso. Piuttosto, il dito dovrebbe percorrere una traiettoria circolare (tangenziale), come se attraversasse il tasto ma non vi si fermasse. Ancora una volta, l’azione è simile al movimento circolare usato per pizzicare l’arpa, per percuotere il tam-tam, o per suonare i piatti o giocare a baseball o tennis. Nell’analogia sportiva, la racchetta da tennis e la mazza da baseball superano il punto in cui colpiscono la palla, continuando con il movimento circolare. Il pianista dirige il movimento verso se stesso come se stesse “afferrando” il suono dalla tastiera e tirandolo fuori3. (Alcuni pianisti preferiscono spostare la mano in avanti, piuttosto che verso se stessi. Konrad Wolff descrive così il modo di suonare di Artur Schnabel4. Schnabel potrebbe averlo appreso a sua volta da Theodor Leschetizky, la moglie del quale – altra leggendaria pianista e insegnante russa –, Anna Esipova, raccomandava: «Appoggia la mano sui tasti corrispondenti all’accordo e sposta la mano come se spingessi un cassetto in una scrivania»5. L’importante, per me, è che i due movimenti non percuotano il tasto perpendicolarmente ma obliquamente. Entrambi possono essere descritti come “carezzevoli”, in quanto permettono al dito di scivolare lungo il tasto6. Trovo più pratico spostare le mani verso di me, invece che in direzione opposta, perché in quest’ultimo caso il copritastiera del pianoforte limita il movimento. C’è invece più spazio tra la tastiera e il pianista.) Questi due tipi di produzione sonora, “in dentro” e “in fuori”, non appaiono quasi mai nella loro forma pura; piuttosto, sono possibili innumerevoli combinazioni dei due.

Il movimento circolare può essere effettuato sia con il dito sia con la mano o con l’avambraccio, a seconda di quale leva il pianista decide di usare in quel determinato momento. I criteri con cui scegliere una determinata leva saranno discussi successivamente. 4 Cfr. Konrad Wolff, Schnabel’s Interpretation of Piano Music (New York: W. W. Norton, 1979), p. 25. 5 Citazione da Nikolai Bertenson, Anna Nikolaevna Esipova (Leningrado, Gosudarstvennoye Muzykalnoye Izdatelstvo, 1960). 6 Lo scivolamento del dito può essere molto utile per ottenere la morbidezza del legato, anche se è irrilevante per la produzione del suono in senso stretto. 3

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Diverse scuole nazionali hanno dimostrato preferenze per l’uno o l’altro: i pianisti della scuola russa preferivano l’attacco “in dentro”, mentre quelli di discendenza musicale francese o tedesca sembravano prediligere l’attacco “in fuori” (uso il tempo imperfetto qui, perché l’attuale espansione delle tradizioni non ha lasciato praticamente nessuna scuola nazionale priva di altre influenze). Per me è importante utilizzare diversi tipi di suono per diversi tipi di musica. Un’opera di carattere introverso, come l’Intermezzo op. 119 n. 1 di Brahms (Es. 1.1), può beneficiare di un attacco “in dentro”, mentre musica più esplicita ed estroversa, come l’inizio del Notturno in do minore di Chopin (Es. 1.2), richiede l’attacco “in fuori”. Molti pezzi possono essere presentati in modo ugualmente convincente usando uno o l’altro dei due approcci, come, ad esempio, il Notturno in fa diesis maggiore di Chopin (Es. 1.3). Il pianista che ha familiarità con entrambi gli approcci può scegliere quello che gli sembra più appropriato.

Es. 1.1. Brahms: Intermezzo in si minore, op. 119 n. 1

Es. 1.2. Chopin: Notturno in do minore, op. 48 n. 1

Es. 1.3. Chopin: Notturno in fa diesis maggiore, op. 15 n. 2

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Capitolo 1. Suono e tocco

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Può capitare che il pianista voglia imitare il suono di altri strumenti, specialmente quando si trova di fronte ad una trascrizione pianistica di un brano per orchestra. Il suono arioso del corno, come all’inizio della parte orchestrale del Concerto n. 2 in si bemolle maggiore di Brahms (Es. 1.4), sarà reso meglio dal tocco “in fuori”. Il calore del suono degli archi nell’estratto del Primo Concerto di Liszt (Es. 1.5), d’altra parte, richiede l’approccio “in dentro”.

Es. 1.4. Brahms: Concerto n. 2 in si bemolle maggiore, op. 83, primo movimento

Es. 1.5. Liszt: Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore

Finora abbiamo analizzato i modi per produrre il suono a proposito di passaggi in piano. Temo tuttavia che l’approccio “in dentro”, se si vuole suonare forte, quasi mai possa funzionare bene. Immaginiamo un lungo crescendo: aumentando la velocità di abbassamento del tasto per produrre il suono più forte, la distanza temporale tra il momento dell’attacco e il punto di arrivo immaginario del movimento diventa sempre più breve, finché i due coincidono del tutto. Di conseguenza, invece di mascherare il momento dell’attacco, lo stiamo sottolineando: il suono diventa spiacevolmente duro e aspro, e quello che dovrebbe essere un affondo morbido diventa un suono “di spinta”. La mia soluzione per evitare la durezza del suono è quella di passare al modo “in fuori” usando un approccio “hit-and-run” (colpisci e fuggi). Più forte è il livello dinamico, più veloce dovrebbe essere il movimento. Gli accordi nell’Es. 1.6, per esempio, vengono suonati come se fossero “strappati via” dalla tastiera (naturalmente, il pedale prolungherà la durata e migliorerà la risonanza). Se le note devono essere tenute, le dita non possono lasciare i tasti, ma il peso va utilizzato solo per l’attacco, dopo il quale le mani non dovranno affondare sui tasti neanche per un momento. Un buon esempio

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di questo approccio è il primo tema del Quarto Concerto di Beethoven (primo movimento) quando appare in forte all’inizio della ripresa (Es. 1.7).

Es. 1.6. Liszt: Concerto n. 2 in la maggiore

Es. 1.7. Beethoven: Concerto n. 4 in sol maggiore, op. 58, primo movimento

Prima ho accennato a come il pianista abbia bisogno di possedere una sua immaginazione timbrica: il cosiddetto “orecchio soggettivo”. Questo non è sufficiente, comunque, in quanto l’interprete deve anche avere la capacità tecnica di realizzare le sonorità che ha in mente. Il pianista deve sapere quali azioni fisiche influenzano il suono, e in che modo. Ci sono molti parametri variabili che vengono usati sia nell’attacco “in dentro” sia in quello “in fuori”. Alcuni riguardano anche altri aspetti del suonare, come l’articolazione o la velocità (del resto, la vera vita di un pianista che studia non può essere semplicemente divisa in compartimenti). Ma prima vorrei parlare di una condizione fisica indispensabile per produrre un suono ricco ed espressivo: la flessibilità del polso. Josef Lhévinne paragonava il ruolo del polso agli ammortizzatori delle macchine7. Il polso elastico ammortizza 7 Josef Lhévinne, Basic Principles in Pianoforte Playing (New York, Dover, 1972), p. 19 [ed. it.: Principi di tecnica pianistica, Edizioni del Cigno, 1999].

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Capitolo 1. Suono e tocco

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il suono e assorbe la forza in eccesso (il pianista usa spesso anche il gomito come “ammortizzatore”, come verrà descritto nel capitolo successivo). 1. Il peso. Più peso applichiamo al tasto, più il suono sarà pieno (e/o forte). Il pianista ha bisogno di saper utilizzare tutto il peso delle dita, della mano, dell’avambraccio e del braccio. È ugualmente importante sapere come non usare il peso quando è necessaria una sonorità più leggera. Chiedo spesso ai miei studenti di sperimentare come appesantire le dita lasciandovi “versare” il peso delle giunture più grandi (da non confondere con il suonare “di spinta”), per poi ritirare gradualmente il peso per tornare ad un tocco leggero (per quest’ultimo, si immagini un’aspirapolvere che, a partire dalla spalla, “aspiri via” il peso dalla mano: questa immagine può risultare particolarmente utile per i pianisti di grande stazza che hanno difficoltà ad evitare l’uso del peso delle loro braccia nel suonare passaggi che richiedono un tocco leggero). Questi esperimenti sono importanti per imparare una delle abilità più essenziali per un pianista: dosare precisamente il peso necessario per un passaggio specifico. I pianisti che hanno un fisico esile potrebbero a volte sentire di non avere abbastanza peso per suonare un passaggio forte. Così cercano di compensare questa mancanza esercitando una pressione “di spinta” sui tasti con il tocco “in dentro”, che però non è consigliabile per il forte, come detto. L’attacco “di spinta” produce un suono duro e aggressivo. In questi casi raccomando fortemente che il pianista resista alla tentazione di suonare di spinta, utilizzando invece un tipo di movimento “in fuori” e aumentando la velocità di attacco. 2. La massa. Questo parametro variabile dipende dalla parte del nostro corpo che usiamo per la produzione del suono. Il suono può essere prodotto da un solo dito, dal dito col supporto della mano, dal dito assieme alla mano e all’avambraccio, oppure da tutti questi insieme al braccio. Più è lunga la leva che partecipa – ovvero, maggiore è la massa – e più pieno sarà il suono. Quando vogliamo aumentare il volume, allora attiviamo le leve più lunghe. Quando invece vogliamo restare allo stesso livello dinamico e al contempo ottenere un suono pieno, cerchiamo il supporto delle leve più lunghe, senza la loro partecipazione totale. Per aiutare i miei studenti a tal proposito, accenno spesso al fatto che dovrebbero sviluppare la sensazione di avere un dito lungo come tutto il braccio, o immaginare che tutta la carne del braccio confluisca nelle dita. Un’altra immagine utile è quella di un “collo lungo” per percepire © 2022 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati


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il flusso muscolare ininterrotto, che parte da dietro l’orecchio e che attraversa il collo e la parte superiore del braccio fino alla punta delle dita (da confrontare con il principio di “estensione” di cui discuteremo nel prossimo capitolo)8. Quando il pianista percepisce la necessità di “dare più aria” al proprio suono, che sente come troppo sottile e “ossuto”, un gomito flessibile potrebbe essere d’aiuto: può essere utile immaginare un paracadute attaccato al gomito. È importante distinguere tra massa e peso. Si può utilizzare l’intero braccio e comunque produrre un suono leggero, o usare invece solo il dito che tuttavia può avere su di sé il peso delle giunture più grandi. 3. La velocità. Quella con la quale le dita colpiscono i tasti comporta dei cambiamenti non solo nel volume del suono, ma anche nell’articolazione. La fisica elementare ci insegna che la velocità può essere ottenuta solo da una certa distanza. Questo significa che un dito ha bisogno di cadere da una certa altezza, a meno che non vogliamo suonare molto piano. Se il pianista prova a suonare forte rimanendo con le dita appiccicate alla superficie dei tasti, tutto quello che riuscirà a fare sarà premere il tasto producendo un suono molto “pressato”. Più è grande la velocità che vogliamo ottenere, più deve essere alta la posizione del dito. A un certo punto, comunque, il pianista non può più contare solo sull’energia di caduta del dito, e deve coinvolgere anche la mano (questo sarà discusso anche nel prossimo capitolo sulla tecnica). Nella mia discussione sul tipo di tocco “in fuori” ho affermato che il suo movimento deve essere veloce. Eppure, i gradi di velocità possono apportare grande varietà a questo tipo di tocco, e nelle mie lezioni utilizzo diverse metafore per sottolineare le differenze di velocità nello stesso tocco. Parlo, ad esempio, di “prendere” il suono dal pianoforte piuttosto che di “tirarlo”, o, nell’altro estremo dello spettro, “strapparlo fuori” in opposizione a “pizzicarlo”. La velocità non solo può compensare un peso insufficiente, ma può anche essere interscambiabile con la massa. Un livello di dinamica simile può essere raggiunto usando una leva più grande con meno velocità di attacco, o con una leva piccola ma con un attacco più veloce. La decisione su quale azione intraprendere

8 L’immagine del “collo lungo” può anche essere utile per contrastare un diffuso difetto di molti studenti che suonano con le spalle rigide. Oltre che generare tensione nell’area delle spalle e del collo, questo modo di suonare rende di fatto impossibile ottenere un suono pieno e lungo.

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Capitolo 1. Suono e tocco

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dipende da quale sia il suono più adatto o più appropriato stilisticamente per un particolare brano, secondo il pianista. Un cantabile in mezzo forte in Mozart, per esempio, può richiedere l’uso del movimento delle dita per un attacco rapido del tasto, probabilmente con il supporto della mano, e possibilmente con un parziale coinvolgimento dell’avambraccio. Al contrario, un livello dinamico dello stesso tipo in un pezzo di Rachmaninov sarà prodotto al meglio portando il peso del braccio sul tasto con una velocità relativamente lenta. Il suono “sottile” appropriato per Mozart è molto diverso dal suono pieno di Rachmaninov. Spesso, avendo a che fare con un pianoforte poco sonoro, i pianisti iniziano a forzare e pestare. Il suono è teso, sgradevole, e ciò può provocare una tendinite. L’approccio corretto in questi casi è quello di adottare un attacco veloce e leggero. Al contrario, se il pianoforte è molto brillante, una velocità di attacco più lenta e un tocco molto leggero eviteranno il rischio di un suono brutto. 4. La percezione dell’affondo del tasto. Più che per le altre variabili, questa dipende dall’immaginario del pianista, poiché la effettiva profondità della corsa dei tasti non offre grandi possibilità di essere variata. Eppure, ogni pianista che sia davvero ben formato è capace di sentire la differenza tra un tocco profondo e uno superficiale. Normalmente si suona in profondità per ottenere un suono cantabile (tuttavia questo “suonare in profondità” non dovrebbe essere esasperato, perché altrimenti comporta un suono forzato e “sgolato”. Ho visto pianisti che suonavano come se volessero bucare la superficie della tastiera). Un errore comune è quello di affondare molto quando si suona forte, e di utilizzare un attacco molto più superficiale se si suona piano. Per sviluppare un tocco ben affondato, è molto utile il consiglio della Esipova: «Prima si suoni la frase (che deve essere suonata pianissimo) lentamente, percependo sotto le dita il fondo-corsa del tasto, e nella dinamica di mezzo forte. Successivamente, risuonare il tutto con la stessa sensazione di affondo, ma molto piano. Si continui a passare da un modo di suonare all’altro»9. La profondità del tocco dovrebbe rimanere inalterata per tutta la durata della frase o del passaggio. Un tocco disuguale, con le note adiacenti suonate con livelli di affondo diversi, si nota facilmente e testimonia

9

Citato da Bertenson, op. cit., p. 119.

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la mancanza di controllo del suono da parte del pianista. Tuttavia, non tutte le voci devono essere cantate, e, per quelle che non ne hanno bisogno, sarà più appropriato un tocco più superficiale. Per ogni determinata voce o frase, dobbiamo adottare un affondo definito. È cruciale mantenere lo stesso affondo fino a quando non cambia la natura della linea musicale che stiamo suonando. Molto spesso abbiamo due o più elementi suonati simultaneamente o in rapida successione, ognuno dei quali va suonato con un affondo diverso. Ovviamente, questa situazione richiede una grande abilità di controllo del suono, specialmente quando questi elementi compaiono nella parte che va suonata dalla stessa mano. In questi casi, il pianista sviluppa la sensazione di una “mano divisa”, con una metà che adotta un affondo maggiore dell’altra (la differenziazione nell’articolazione, molto legata al tema dell’affondo, sarà discussa nel capitolo “Articolazione e Fraseggio”). Quando si usa l’attacco “in fuori”, la differenza di affondo può essere ugualmente efficace che con l’attacco “in dentro”. Per l’approccio “in fuori” io incoraggio gli studenti a immaginare di prendere (o tirare, strappare, e via dicendo, come già spiegato prima) il suono da uno “strato” più profondo o più superficiale nei tasti. 5. La posizione delle dita. Josef Lhévinne ha osservato: «È quasi un assioma il dire che più è piccola la superficie della terza falange del dito che tocca il tasto, più duro e smussato è il suono; più grande è la superficie, più il suono è risonante e cantabile»10. La differenza del suono dipende dal fatto che il dito abbassi il tasto con il polpastrello o con la punta. Per suonare musica che richiede chiarezza nell’articolazione, il pianista spesso curva le dita in modo che la terza falange sia quasi perpendicolare ai tasti. D’altra parte, si riuscirà a creare un suono cantabile e caldo se le dita assumeranno una posizione più piatta, plasmando la frase come se modellassero argilla calda. Per evitare l’irrigidimento muscolare, le dita non dovrebbero mai essere estese più di quanto sia naturale. La posizione fisiologicamente corretta può essere controllata lasciando che il braccio si affianchi liberamente parallelo al corpo; le dita assumeranno naturalmente la loro corretta posizione curva (fig. 1.1). 6. Il ruolo della punta del dito. Sia che si suoni con le dita più piatte o con le dita più rotonde, la sensibilità della punta delle dita rimane di suprema

10

Lhévinne, op. cit., pp. 18–19.

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Capitolo 1. Suono e tocco

importanza. Le punte delle dita devono essere “pronte” e attive anche nei passaggi più morbidi e delicati. Per citare Natan Perelman, pianista russo e professore di lunga data del Conservatorio di Leningrado (San Pietroburgo), «l’anima dei pianisti si trova nella punta delle loro dita»11. L’attenzione e l’attività della punta delle dita sono indispensabili per proiettare il suono in una sala da concerto, soprattutto in passaggi morbidi. La mancanza di proiezione è una carenza comune tra gli studenti, che di solito trascorrono il loro tempo studiando in stanze piccole, su pianoforti troppo brillanti.

fig. 1.1: Posizione curva naturale della mano

In queste condizioni, la loro preoccupazione principale è quella di impedire al pianoforte di “urlare”. È solo una volta che iniziano ad esibirsi in concerto e a ricevere critiche sull’insufficiente chiarezza del loro modo di suonare, e di conseguenza delle loro stesse intenzioni musicali, che emerge il problema della proiezione del suono. Anche nei passaggi più morbidi, quando altre parti del corpo del pianista lavorano poco o per

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Natan Perelman, Osenniye Listya [Autumnal leaves] (Ann Arbor, Mich., Braun-Brumfield, 1994), p. 34.

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niente, la punta delle dita deve rimanere attiva. Dirò di più su questo argomento nel capitolo sulla tecnica. Dopo aver descritto questi elementi pratici del suonare, devo sottolineare il fatto che essi servono ad ottenere il più importante degli obiettivi: la capacità di creare un’illusione. Quello che si fa è infinitamente meno importante del suono che emerge dallo strumento. Così, per esempio, non è sempre necessario suonare un legato fisicamente per creare un suono legato. In effetti, gli sforzi per suonare le note con un legato “fisico” possono rendere la linea melodica meno fluida che suonandola “non legata” (naturalmente, con l’aiuto del pedale). Nel passaggio da La fille aux cheveux de lin di Debussy (Es. 1.8), il pianista che prova a legare gli accordi con le dita può rimanere facilmente “incastrato” nella tastiera; la linea melodica leggera e scorrevole sarà invece assecondata meglio con un tocco dolce e “non legato”, supportato da un pedale cambiato frequentemente. La chiave per il successo in questo e nei casi simili è una ideale omogeneità degli attacchi degli accordi successivi. Nel suonare questo estratto, così come numerosi altri esempi di accordi in legato (vedi La cathédrale engloutie e la Sarabande da Pour le Piano di Debussy, o l’inizio del primo tema del Concerto “Imperatore” di Beethoven), le mani del pianista devono muoversi con attenzione da un accordo all’altro, come se portassero una tazza piena di liquido.

Es.

Es. 1.8. Debussy: “La fille aux cheveux de lin”, dai Preludi, primo libro

D’altra parte, troppo spesso sentiamo un legato insufficiente, sebbene il pianista non spezzi veramente la linea melodica. Per rimediare, il pianista deve rimanere appoggiato con il peso sui tasti, senza ritirarlo, ma trasferendolo al dito successivo. Non potrò mai sottolineare abbastanza che sto parlando del peso e non del suonare “di spinta”, che dovrebbe essere evitato a tutti i costi. Anche in questo caso, un ascolto accurato è © 2022 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati


Capitolo 1. Suono e tocco

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fondamentale. Il controllo delle dinamiche è un’importante manifestazione di un tocco raffinato. Una maggiore consapevolezza della differenziazione delle dinamiche può essere riscontrata nella letteratura pianistica dei primi del Novecento. La musica barocca utilizzava quasi esclusivamente solo due indicazioni: forte e piano (solo occasionalmente possiamo trovare esempi di pianissimo nella musica di J.S. Bach). Nella musica tastieristica di quell’epoca, queste indicazioni di dinamica servivano solo come indicazione per suonare una tastiera più sonora o più leggera sul clavicembalo o sull’organo [che erano di solito dotati di due o più tastiere, NdT]. I compositori dell’epoca classica usavano un maggior numero di indicazioni dinamiche; quelli romantici ancora di più. Anche in questo caso, però, le indicazioni non erano destinate ad essere interpretate letteralmente. Infatti, molto spesso si suonerà mezzo forte un passaggio espressivo nella musica romantica, anche se l’indicazione del compositore fosse invece piano. È stato Claude Debussy a rivoluzionare la nostra sensibilità alle gradazioni dinamiche. Nello sviluppo del pianismo, la sua importanza può essere paragonata solo a quella di Liszt. Se Liszt ha aperto nuovi orizzonti in materia di velocità, Debussy ha innalzato il tasso di consapevolezza del controllo tattile a livelli senza precedenti. Le sue indicazioni richiedono cambiamenti molto precisi di gradazioni dinamiche. Si veda, ad esempio, la fine di Pagodes da Estampes, in cui le indicazioni dinamiche sono f, dim, p, dim, pp, più pp, encore plus pp e aussi pp que possibile. Ancora più impegnativi sono i passaggi in cui utilizza diversi piani sonori all’interno dello stesso livello dinamico, ognuno dei quali richiede un tocco e un’articolazione propria (Es. 1.9). La definizione del controllo del tocco è stata ulteriormente sviluppata con la musica seriale, che assegna ad ogni nota una propria indicazione di dinamica e articolazione, come nelle rivoluzionarie Modes de valeurs et d’intensités di Messiaen (Es. 1.10). Sono convinto che un pianista di oggi semplicemente non possa essere completo se non acquisisce una adeguata precisione nel controllo della dinamica.

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NOTA BIOGRAFICA Nato a Mosca nel 1948, Boris Berman si è formato al Conservatorio “Ciajkovskij” della capitale con il celebre e rinomato pianista Lev Oborin, diplomandosi con il massimo dei voti sia in pianoforte che in clavicembalo. Nel 1973 lascia l’Unione Sovietica per emigrare in Israele. Dal 1979 vive negli Stati Uniti. In veste di concertista, Berman si è esibito in più di cinquanta nazioni in tutti i continenti. Il suo repertorio spazia dal barocco al contemporaneo; la sua discografia include registrazioni con l’Orchestra Filarmonica d’Israele – sotto la direzione di Leonard Bernstein – e con l’Orchestra del Concertgebouw diretta da Neemi Jarvi. Berman è stato il primo pianista a registrare l’integrale delle Sonate di Sergej Prokofiev. Il CD dedicato a Shostakovich ha ricevuto il premio Edison Classic. Berman ha poi inciso l’integrale delle Sonate di Scriabin, l’integrale pianistica di Schnittke, così come composizioni di von Weber, Franck, Debussy, Stravinsky, Brahms, Schumann, Janáček, Joplin e Cage. Berman è stato professore presso varie università: Indiana (Bloomington), Boston, Brandeis e Tel Aviv. Attualmente occupa la cattedra di pianoforte alla Yale School of Music. Tiene anche corsi di perfezionamento in tutto il mondo ed è spesso invitato come membro di giuria nei concorsi internazionali. Sul sito www.borisberman.com è possibile reperire ulteriori informazioni sulle prossime esibizioni, sulla discografia e sull’attività didattica di Boris Berman.

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INDICE ANALITICO accento agogico: 112 accordi: 19, 26, 29-31, 34, 53-57, 59, 61-62, 69, 90, 101, 114, 121, 128, 141, 160, 166, 168, 170; legati: 90; ripetuti: 54, 176; ribattuti: 53-54 Albeniz, Isaac: 179 analisi (musicale): 84, 131, 137-139, 148 appoggiatura: 138-139 armonia: 67, 105, 115-116, 120, 128, 142, 159 arpeggi: 31, 35, 46, 51, 60-63, 130 articolazione: 11, 24, 27, 38-39, 44, 63, 66, 68, 7075, 83-84, 118, 132, 138-139, 152, 166, 212 Ashkenazy, Vladimir: 37 associazioni (di idee): 158, 167, 186, 219 [v. anche: connessioni (emotive)] attacco: 16, 18-24, 32, 66, 66n, 68, 76, 125, 127 [v. anche: articolazione] avambraccio: 17n, 21, 23, 37-39, 41-43, 45-46, 5256, 58, 64, 141, 202 Bach, Johann Sebastian: 27, 39, 41, 72-73, 84-87, 108-109, 113, 114n, 130, 132, 149, 160, 169173, 176-177, 183, 201, 218, 225 bambini (prodigio): 187 Bartók, Béla: 15, 46, 76, 93, 97-98, 124-125, 150, 179, 194 basso albertino: 118, 161 basso continuo: 73, 115n, 170-172 Beethoven, Ludwig van: 20, 26, 29-30, 33, 38-39, 45-46, 52, 58, 69-70, 72, 77, 86-89, 94, 97-98, 100, 103, 109, 116, 118-121, 119n, 126, 131135, 140, 143, 145, 160-161, 164-165, 167-168, 182-183, 185, 190, 199-200, 204, 218-219, 225 Berg, Alban: 18 Berio, Luciano: 100, 125, 128 Bizet, Georges: 220 Boulez, Pierre: 71, 83 braccio (peso del): 23, 56 Brahms, Johannes: 18-19, 45, 60, 66-67, 94-96, 99100, 119, 142, 144-145, 162, 165-166, 174, 178, 180, 194, 207, 221, 224, 226 Brendel, Alfred: 35 Bülow, Hans von: 91 Busoni, Ferruccio: 141 Cage, John: 83, 226 carattere (della musica): 18, 40, 72, 96, 105, 111, 134, 136, 140, 142-143, 162, 165, 167, 182, 184-185, 188-190, 192-193, 197, 221, 223 Cegledy, Janos: 153n

Chaliapin, Feodor: 203 chiarezza dell’esecuzione: 36 Chopin, Frédéric: 15, 18, 31-32, 38, 40, 44-45, 4849, 51, 53, 57-58, 60, 62, 76-77, 79-83, 96, 102103, 105, 107-109, 114-115, 120-123, 136-137, 141-142, 145-147, 174, 179, 194, 198, 202, 204, 218, 222 Ciajkosvkij, Pyotr Ilych: 54, 160, 226 clavicembalo: 27, 68, 73, 75, 111, 113, 171-172, 226 clavicordo: 113 Clementi, Muzio: 60 “collo lungo” (immagine del): 21, 22n connessioni (emotive): 190, 196 continuità emotiva: 190, 195; continuità musicale: 57, 190 contrappunto: 160 Cramer, Johann Baptist: 60 crescendo: 19, 31, 33, 63, 75, 79, 81, 87, 89, 111, 124, 165, 206 Czerny, Carl: 60 Dallapiccola, Luigi: 71, 84, 85 danza: 114, 177-179, 201, 220 Davidovsky, Mario: 101 Debussy, Claude: 26-28, 30, 66, 89, 115, 118, 125, 127-128, 131, 174, 178, 182, 192-193, 207, 220, 226 de Falla, Manuel: 179 Denisov, Edison: 92-93 diaframma: 57 dinamiche: 27-29, 32, 51, 63, 80, 83, 89, 127, 130, 156 direzione (d’orchestra): 109, 226 dita: 14, 16-17, 19, 21-26, 29, 35, 37-39, 41-48, 53-57, 59-60, 63, 65-66, 68, 70-71, 113-114, 116, 118-119, 129, 136, 141, 146-147, 191, 213, 221, 223 diteggiatura: 10, 38, 52, 55, 60-62, 139-142, 152, 194 Dvorák, Anton: 179 economia (principio di): 41, 42 edizioni: 76, 130-131, 139, 176, 202 emozioni: 152-153, 159, 188, 191-195, 199, 210, 221 enunciazione: 43, 71 errori durante l’esecuzione (vuoti di memoria): 150, 210-211 Esipova, Anna: 17, 23, 42, 62 esercizi: 28-29, 32, 44, 54, 60, 63, 68, 70, 104, 111, 130, 192-193

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228

estensione (principio di): 22, 41-42 fiducia (in se stessi): 152, 222 Frank, Claude: 226 frase (musicale): 11, 15-16, 23-24, 28, 34, 40, 43, 53, 57, 66, 71, 75-87, 89-91, 101-103, 108, 110-111, 116, 118, 132, 140, 163, 166, 174, 176, 200, 206, 223 Furtwängler, Wilhelm: 37, 159n Glass, Philip: 83 Godowsky, Leopold: 145 gomito: 21-22, 43, 53-56, 64, 212 Gould, Glenn: 43, 223 Granados, Enrique: 179 Grieg, Edvard: 179 Hanon, Charles Louis: 60 Haydn, Franz Joseph: 119n, 163-164, 168, 180 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus: 182, 185 Hoffmann, Joseph: 16, 136, 153-154, 204 Holliger, Heinz: 124 identificazione emotiva: 186, 189 immaginazione: 20, 187n, 219, 223 imitazione (di altri strumenti): 19, 35, 125, 179, 183 incisi: 71-73, 83-84, 199 infortuni: 38 interpretazione (musicale): 10, 75, 93, 104-105, 110, 114n, 157, 165, 167, 182, 191, 196, 197, 204, 206, 208-209, 215, 217, 223-224 Kodaly, Zoltan: 179 Kogan, Grigory: 15, 157, 203n, 206n legato: 17, 26, 35, 45, 51-52, 65, 68, 71, 96, 113, 116, 118, 132, 139, 165, 169 legature: v. articolazione Leimer, Karl: 151 Lenz, Wilhelm von: 107 Leschetizky, Theodor: 17 Lhévinne, Josef: 20, 24, 52, 151 Liszt, Franz: 19-20, 27, 35, 60, 69-70, 141, 194 mano/mani (estensione): 48-49, 51, 141; (incrocio): 56; (posizione): 42, 56 massa: 21-22, 56 melodia: 29, 31, 34, 66-67, 72, 75-77, 81, 83-84, 87, 106, 108-109, 114, 116-118, 120, 141, 151, 154, 172, 224 memorizzazione: 14, 149-152 Messiaen, Oliver: 27-28, 71, 83, 95 metro: 96-97 metronomo, 97-100, 153 Moszkowski, Moritz: 60 Mozart, Leopold: 106 Mozart, Wolfgang Amadeus: 15, 23, 38, 45, 70, 72-

75, 106-107, 111, 118, 133, 137-139, 160, 167, 194, 197-198, 201, 207, 218 Mussorgsky, Modest: 97, 180-181, 184 Neuhaus, Heinrich: 32, 56, 59, 91n, 105, 111, 197, 209 Newman, William: 41 Oborin, Lev: 16, 98, 109, 110n, 204-205, 220, 226 ottave: 29, 53-54, 59, 61-62, 215 orchestrazione: 34, 168 orecchio assoluto: 100 organo: 27, 75 ornamentazione: 201 paura del palcoscenico: 211 pedale: 19, 26, 31, 35, 68, 70n, 90, 113-129, 143, 194, 202 Perahia, Murray: 84, 150 Perelman, Natan: 25, 35, 111n, 137 performance: 11, 64, 97, 156, 202-203, 206, 208, 210, 212, 222 peso: 16, 19, 21-23, 26, 33, 37-38, 43, 56, 64-65, 98, 114 polifonica (musica): 31, 84, 114, 119, 149-150 pollice: 46-47, 52, 59, 139 polso: 20, 35, 37-38, 40-41, 43, 51-56, 60, 64, 139, 212 postura: 42, 44, 64 prima vista (lettura a): 59, 61, 136, 200 profondità del tocco: 23 programma (del concerto): 204-205, 208, 225 Prokofiev, Sergej: 34, 40-41, 45, 81, 92-93, 125-127, 136-137, 140, 161, 167, 179-180, 184, 188, 226 pulsazione (musicale): 97, 101, 104-105, 108, 112, 146-147 Rachmaninov, Sergej: 15, 16, 23, 38-39, 60, 81-82 Ravel, Maurice: 115, 178 repertorio: 9, 14, 37-38, 59-60, 71, 130, 139, 150, 154, 166-167, 173, 191, 196n, 204, 207, 216, 218, 221, 226 resistenza fisica: 60, 64 respiro/respirazione: 57, 78, 83, 110, 196 Richter, Sviatoslav: 151n Riley, Terry: 83 rilassamento: 38, 42, 46, 64, 211 ritornelli/ripetizioni: 199, 201-202 ritmo: 14-16, 54, 91-93, 97, 99-101, 107, 134, 139, 147, 153, 166, 178, 224 rubato: 90-91, 104-111, 174, 223 Sándor, György: 39-40, 53, 64, 70, 146, 215 salti: 53, 57-59, 140-142, 180 scale: 34, 44, 46, 60-63, 115, 130, 139, 215 Scarlatti, Domenico: 92-93, 179 schenkeriana (analisi): 84, 148, 159

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Indice analitico

Schindler, Anton Felix: 98 Schnabel, Artur: 17, 76, 131, 164, 207, 208n Schnittke, Alfred: 158n, 226 Schoenberg, Arnold: 33, 68, 71, 83, 150, 178, 196 Schubert, Franz: 39-40, 54, 67, 77-78, 83, 93-94, 102, 110-111, 145, 163, 167, 175-177, 199, 202, 207, 219, 221 Schumann, Clara: 98-99 Schumann, Robert: 60, 77-78, 81, 85, 89-90, 98-99, 106-107, 119, 142, 174-175, 178, 182, 198, 226 Scriabin, Alexander: 60, 79, 93, 116-117, 165, 178, 196n, 226 scuole nazionali: 18, 207 seriale (musica): 27, 91, 95, 100 Shostakovich, Dmitri: 98, 101-102, 180-182, 204205, 226 Silvestrov, Valentin: 124 sincope: 86-87 Smetana, Bedrich: 179 Sofronitsky, Vladimir: 116 sonorità: 20-21, 31, 34-35, 41, 43, 69, 84, 114, 124125, 127-128, 134, 136, 140-141, 168-169, 173175, 182 Stanislavsky, Konstantin: 187, 188n, 189-190, 192,

203, 207, 211, 222 stile: 15, 39, 71, 79, 97, 104, 106, 141, 157, 159, 162n, 168, 179, 180, 194-195, 200, 213, 218 Stockhausen, Karlheinz: 71, 83, 101 Stravinsky, Igor: 15, 53, 71, 85, 150, 161, 226 struttura (musicale): 76, 78, 84-85, 91, 103, 116, 136, 148-149, 162-163, 169, 189, 196-199 tastiera: 7, 15-17, 19, 23, 26-27, 42-44, 47-48, 50, 55, 57-59, 63, 65, 72-73, 115, 118, 124, 126, 133, 151, 168, 171, 173 Tausig, Karl: 60 tonale (pedale): v. pedale. trascrizioni: 19, 34-35, 69, 145, 172 trilli: 52, 55 umoristico (carattere): 165 velocità: 16, 19-23, 27, 31n, 37, 56, 63, 66n, 68, 70, 96, 98-101, 104, 115, 127, 136, 139, 146-147, 193 voci (conduzione delle): 24, 29, 31, 84, 106, 114, 134, 139, 150, 171, 223 Walter, Bruno: 109 Weber, Carl Maria: 145, 226 Webern, Anton von: 178-179, 196n Wolff, Konrad: 17

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CREDITI Es. 1.10. Messiaen, Modes de valeurs et d’intensités Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 1.17. Prokofiev, The Young Juliet da Romeo e Giulietta, op. 75 Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 2.6. Prokofiev, Sonata n. 6, op. 82, quarto movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 2.10. Prokofiev, Sonata n. 7, op. 83, primo movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 3.26. Dallapiccola, Quaderno Musicale di Annalibera © 1953 by Edizioni Suivini Zerboni, Milano. Es. 3.27. Stravinsky, Suite da L’Histoire du soldat per violino, clarinetto e pianoforte, secondo movimento Music by Igor Stravinsky – Libretto by Charles Ferdinand Ramuz Music © Copyright 1924, 1987, 1992 Chester Music Limited, worldwide rights except the United Kingdom, Ireland, Australia, Canada, South Africa and all so-called reversionary rights territories where the copyright © 1996 is held jointly by Chester Music Limited and Schott Music GmbH & Co. KG. Libretto © Copyright 1924, 1987, 1992 Chester Music Limited. All Rights Reserved. International Copyright Secured. Reprinted by Permission of Hal Leonard Europe Ltd. Es. 4.1. Denisov, Concerto, primo movimento Edition Peters No. 5767, © 1973 Edition Peters Leipzig GmbH. Reproduced by permission of Peters Edition Limited, London. Es. 4.2. Prokofiev, Sonata n. 3, op 28 © 1917 by Hawkes & Son (London) Ltd. Reproduced by permission of Boosey & Hawkes Music Publishers Ltd.

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Es. 4.4. Prokofiev, Marcia da L’amore delle tre melarance © 1922 by Hawkes & Son (London) Ltd. Reproduced by permission of Boosey & Hawkes Music Publishers Ltd. Es. 4.9. Messiaen, Oiseaux exotiques, cadenza © 1959 By Universal Edition (London) Ltd, London. Es. 4.12. Shostakovich, Trio n. 2 in mi minore op. 67, terzo movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 6.5. Prokofiev, Sonata n. 6, op 82, quarto movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 6.9. Prokofiev, Concerto n. 4, op. 53, primo movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 7.3a. Prokofiev, Sonata n. 5, op. 38/135, terzo movimento © 1925 by Hawkes & Son (London) Ltd. Reproduced by permission of Boosey & Hawkes Music Publishers Ltd. Es. 7.3b. Prokofiev, Sonata n. 5, op. 38/135, primo movimento © 1925 by Hawkes & Son (London) Ltd. Reproduced by permission of Boosey & Hawkes Music Publishers Ltd. Es. 8.19. Shostakovich, Preludio in mi minore, op. 87 n. 4 Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 8.21. Shostakovich, Concerto n. 1, op. 35, quarto movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy. Es. 8.25. Prokofiev, Sonata n. 7, op. 83, secondo movimento Diritti per l’Italia: Casa Ricordi Srl. Tutti i diritti riservati. Riprodotto su autorizzazione di Hal Leonard Europe BV Italy.

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