Buzzati in musica (anteprima)

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I libretti d’opera Procedura penale ed Era proibito sono di proprietà di Casa Ricordi S.r.l., una società di Universal Music Publishing Group, e riprodotti per gentile concessione di Hal Leonard Europe BV (Italy).

L’editore, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle immagini prescelte, è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune o omissioni.

L’editore ringrazia i proprietari delle immagini riportate nel presente volume per la gentile concessione. Le immagini alle pagine 86 e 107 sono di proprietà degli eredi di Luciano Chailly; le immagini alle pagine 149 e 189 sono di proprietà della Fondazione Teatro alla Scala (ph. Erio Piccagliani); tutte le altre immagini sono di proprietà degli eredi di Dino Buzzati.

Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2022 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano Tutti i diritti sono riservati EC12345 / ISBN: Primawww.edizionicurci.it9788863950946stampainItalianel2022daCiscraS.p.A. Villanova del Ghebbo (RO)

Redazione: Jansan Favazzo Impaginazione: Francesca Centuori, Samuele Pellizzari

I racconti Il mantello, Eppure battono alla porta, La giacca stregata, Non aspettavano altro sono riprodotti per gentile concessione di Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Quando compositore e librettista, musicista e letterato si guarda no negli occhi. Succede se praticano una lingua, per intelligen za e sensibilità teatral-musicale, comune. Nella storia dell’opera non è frequente. Più diffuso è il rapporto gerarchico, di sudditanza o diplomatica reciproca indipendenza operativa. Raro che il dialogo paritetico vada oltre la singola esperienza – pen siamo a Monteverdi-Busenello, Stravinskij-Auden, CalvinoBerio: è accaduto con Mozart e Da Ponte, Verdi e Boito, Strauss e Hofmannsthal e, appunto, Chailly e Buzzati. Anche se nel caso di Da Ponte, nonostante la propensione narcisistica e romanzesca delle sue testimonianze autobiografiche, il librettista veneto non ha mai rivendicato responsabilità oltre il ruolo di alta sartoria del verso né un confronto col musicista influente su forma o conce zione dell’opera. Cosa che, in qualche stadio di collaborazione, tentò Hofmannsthal; prontamente rintuzzato dal compositore che tra musica e parola stava sempre e solo da una parte. Senza paragoni fu il colloquio tra Verdi e Arrigo Boito, fine e originale intellettuale, musicista non per hobby, e uomo di lettere non limitato (poeta, traduttore, librettista, romanziere, giornalista). La loro correlazione fu un miracoloso patto poetico-creativo tra pari grado. In alcune fasi di lavoro i ruoli gerarchici saltarono: fu il librettista a distogliere il compositore dall’idea di una scena di battaglia al culmine del terzo atto di Otello e molte imbeccate sue sono nella partitura di Falstaff.

diPrefazioneAngeloFoletto

Non per sminuire una vicenda artistica particolare e protratta nel tempo, ci piace pensare che la forma di complicità operativa e poetica tra Luciano Chailly e Dino Buzzati sia stata diversa e unica. Moderna e schietta, segnata e rafforzata da pudori e cor tesie “da provinciali” segretamente e vicendevolmente condivisi. Tenacemente arricchita con reciprocità intellettuale, amichevo le e privata. Non facilmente classificabile se non per la qualità

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tenace degli esiti e metodica (e comune) voglia di “mettersi alla prova” in forme e soluzioni sceniche originali, con situazioni narrative svariate: opere, balletti, canzoni, progetti radiofonici. Il rapporto tra i due artisti, in questo senso, è stato rappresentativo come pochi altri nella storia della moderna librettistica. Lo accerta la seconda parte di Buzzati in musica. L’opera italiana nel dopoguerra, intitolata “L’avvento di Buzzati nella storia del libret to d’opera”. In tale sezione Chailly censisce e disegna, in alcuni casi dettaglia con gustose e concise annotazioni individuali, una minuziosa carta topografica della librettistica del secolo scorso fino al 1982, anno di prima stesura di Buzzati in musica (edito nel 1987). L’elenco è intrigante: raccoglie nomi e abbinamenti altrimenti non facilmente reperibili, e istruttivo in quanto consente di ripassare, riportandole alla memoria, situazioni teatrali e musicali oggi poco note o rimosse, seppure non trascurabili per la storia del teatro musicale italiano. Non fosse che per questo inventario, la rilettura dell’agile volumetto di Chailly ha ragion d’essere. Il corpo di Buzzati in musica è centrato a rievocare e ragguagliare con testimonianze e documenti che allora uscivano per la prima volta dell’archivio privato di Chailly le ragioni “vere” dell’incontro d’arte tra scrittore e musicista. Ma al libro pertiene in maniera appropriata il sottotitolo L’opera italiana nel dopoguerra. Spiegando, come riassume la nota editoriale dell’edizione originale, che l’oggetto secondario, ma non in secondo piano, delle pagine è il mondo del «melodramma contemporaneo […] opere che affrontano coraggiosamente il giudizio di un pubblico soven te distratto e poco conscio dell’importanza di tener vivo un set tore che fu la massina gloria musicale italiana». Anche oggi è un “mondo” in insofferenza. Il rapporto tra pubblico e teatro musicale contemporaneo è distante, poco favorito nella conoscenza e familiarità dalle grandi (e piccole) istituzioni che, a differenza di ciò che avviene fuori d’Italia, danno poco e irregolare spazio Edizioni Curci S.r.l. - Milano.

ai nuovi autori con commissioni e messe in scena. Non avrebbe potuto immaginarlo Luciano Chailly che invece in queste vivide pagine, diaristiche ma a cuore aperto, cioè senza (auto)censure né rimpianti, evoca una stagione artistica vivace. Allora i titoli nuovi c’erano, andavano in scena, erano (vivacemente, spesso) giudicati dal pubblico e seguiti con attenzione e competenza dal la critica musicale di quotidiani e periodici (di cui ampi stralci, e non solo laudativi, sono riportati nel libro).

Quando uscì, Buzzati in musica era il quarto libro con cui Luciano Chailly aveva dato conto cronisticamente e cronachisticamente – Cronache di vita musicale (1973) è il titolo del se condo libro che, guarda caso, mette in copertina uno dei più celebri disegni “teatrali” di Buzzati schizzati privatamente per il compositore – delle sue vicende artistiche e personali. Da giornalista, compositore, didatta e testimone-protagonista che aveva declinato in vari modi e ruoli professionali, inclusa la direzione artistica del Teatro alla Scala, l’essere musicista militante. Già in Cronache di vita musicale, il secondo capitolo era “Dino Buzzati e la musica”, nucleo originario di Buzzati in musica. A cominciare dall’indimenticabile profilo dello scrittore, fatto dopo il primo incontro: «usciva all’improvviso fuori tema, avanzando, più attraverso il naso che per la bocca, frammenti di concetti

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In questa chiave la nuova edizione di Buzzati in musica – nel cinquantenario della morte di Buzzati e nel ventennale della scomparsa del maestro Chailly – è un’occasione doppiamente preziosa. Per riesaminare, attraverso le testimonianze d’autore, il colloquio intellettuale messo in pratica tra scrittore e musicista e concretizzato in quattro opere – più una postuma e a insaputa dell’autore del testo: L’aumento (1995), inedita fino alla prima esecuzione a Milano del 2006 – due balletti, tanti progetti, un gustoso epistola rio, e l’amicizia salda e artisticamente complice che fondò e rinsal dò. Per riflettere su anni civilmente e culturalmente più vivaci – in un certo modo, perfino più coraggiosi – dei nostri.

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Prefazione alla prima edizione

Con questo volume la collana si estende a un’altra realtà musica le, spesso evocata ma in gran parte sconosciuta: il melodramma contemporaneo. Cioè quelle opere che affrontano coraggiosamente il giudizio di un pubblico sovente distratto e poco conscio dell’importanza di tener vivo un settore che fu la massima gloria musicale italiana.

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Riportiamo qui di seguito la nota editoriale che accompagnava l’edi zione originale del 1987: un documento significativo che restituisce fedelmente la temperie culturale degli anni in cui questo libro fu scritto e dato alle stampe per la prima volta.

Una parte soltanto di tali lavori raggiunge le ribalte, talora accompagnata da polemiche che nulla hanno a che fare con i loro autori, gode di qualche recita semivuota, interessa per un giorno la critica e, con rare eccezioni, cade nell’oblio più totale, indifferente allo sforzo di autori, cantanti, artisti, e ai valori reali di talune.Questa realtà contraddittoria, più ricca di frustrazioni che di onori, è il soggetto del lavoro. A parlarne è uno dei maggiori protagonisti, Luciano Chailly, di cui ricorderemo soltanto il recente successo della Cantatrice calva su testo di Ionesco. Un musicista che ha pur avuto la fortuna di lavorare accanto a grandi nomi e in particolare a Buzzati. Chailly racconta le sue esperienze (e quelle di altri suoi colleghi) con sincerità, a volte persino disar mante; c’introduce in un mondo che è lo specchio di molte vanità; ci fa partecipi di tentativi generosi, di successi effimeri e di fiaschi clamorosi.

La sua è in ogni caso una testimonianza viva – e affascinante per il rapporto fra la musica e i fantasmi evocati da Buzzati – che avvicina il lettore a qualcuno dei “misteri” della creazione artistica anche in un mondo disincantato e apparentemente scettico come il nostro. Edizioni Curci S.r.l. Milano.

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Preludio

Nella investigazione per l’adozione o per la riconferma di lin guaggi babelicamente diversi trovavi gli eroici furori dei ricerca tori del nuovo Eldorado e i paladini dello status quo, agli estremi di un fermento che, animato da contrasti ideologici, tecnici e d’impegno politico, aveva però il limite di una disarmante consapevolezza: che nel reame di Euterpe la grande scossa tellurica era già avvenuta prima della guerra. E a ondate, non in un sol colpo: il futurismo, l’espressionismo, l’atonalismo. La provocazione del pubblico (nel senso auspicato da Schopenhauer per un indice di progresso) c’era già stata. Una rivoluzione era iniziata da tempo, e col sospetto di caos da parte di Stravinsky «in quanto la rivoluzione – scriveva nella sua Poetica della musica – è disordine, mentre l’arte deve essere ordine».

Periodo a modo suo affascinante, come ha scritto Pierre Boulez nel suo Pensare la musica, ma di grande confusione: forse il più intricato, ibrido e ambiguo della storia della musica.

E benché egli così si esprimesse poco dopo la Sagra, non volendo essere considerato rivoluzionario “a programma”, nondimeno a inizio di secolo un ordine c’era ancora: le correnti e le individualità, sia pur sempre in un caleidoscopio di tendenze e di stili, erano ben precisate.

Non solo. Io sono convinto che ogni movimento d’avanguar dia, in sé e per sé, non conti. La storia ci insegna che ogni rivoluzione è valsa soltanto al momento in cui ha dato dei capolavori, da Bach a Debussy, da Monteverdi a Wagner; quando cioè fu l’opera a consacrarne i principi. La teoretica o la tecnologia non sono sufficienti a determinare, sotto la specie estetica, il fenome no d’arte. Tutt’al più possono stimolarlo.

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E il nostro anteguerra di capolavori ne aveva dati tanti: da La valse di Ravel a Le boeuf sur le toit di Milhaud, dal Cappello

Il primo ventennio del dopoguerra fu per i compositori di musi ca il periodo delle grandi contraddizioni.

a tre punte di De Falla alle Kammermusik di Hindemith, da Die Dreigroschenoper di Kurt Weill ai Cori di Michelangelo di Dallapiccola e al Coro di morti di Petrassi. Poi la collana di “perle” di Stravinsky (Les noces, l’Ottetto, Histoire du soldat, Oedipus rex, la Sinfonia di Salmi, il Dumbarton Oaks, ecc.), la Kammersymphonie e i Klavierstücke di Schönberg, Il mandarino meraviglioso di Bartók, i quartetti del medesimo e alcuni di Gian Francesco Malipiero, i balletti e le sinfonie di Prokofiev, Wozzeck, Lulu e il Kammerkonzert di Berg, la Sinfonia op. 21 e la produzione da camera di Webern.

* * *

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C’era a dire il vero in Italia qualche eccezione, qualche tentati vo di affiatamento, come la “Bottega dei compositori” a Milano, la “Camerata fiorentina”, il “Gruppo romano”, ecc., ma erano rapporti più di profitto associativo che di reciproco reale sostegno. Fu proprio per questo complesso di ragioni che la nostra generazione fu definita genericamente “di congiuntura”.

Se non che congiuntura dovrebbe significare transizione.

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Un agglomerato quindi non compatto, anzi disgiunto, discorde, eterogeneo: una specie di “legione straniera” dove l’uno non vuol sapere dell’altro, dove (ben lontani dai tempi e dagli intenti del salotto di Apollinaire o della “Corporazione Casella”) ognuno produce isolatamente, monade senza finestre, chiuso con ostentazione nella sua turris eburnea a perseguire con ardore ma anche con ingenuità i propri idola tribus, negando così a priori l’establishment di uno stile unitario.

Ed ecco che dopo questa straordinaria fioritura compare alla ri balta, negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, una generazione piena di interessi ma per varie cause stordita e sbandata, una generazione che in prevalenza si trova a vivere sulle varie eredità dei “Padri” e che finisce poi col trovare in Darmstadt, per la scintilla sprizzata dalla lezione di Webern, l’unico punto di forza per proiettarsi verso il futuro.

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Ma sono sorti i nuovi geni? Per Massimo Toffoletti «l’èra dei geni si estinse con la morte di Stravinsky». Io credo, anche per non essere pessimista, che almeno due sian sorti. Inoltre è in dubbio che – superata la fase critica dell’utilizzo indiscrimina to dell’alea, della standardizzazione di certo calligrafismo o (per contro) del volontarismo dilettantesco e spregiudicato della corrente che Kagel definì «la seconda categoria di musicisti» – si sono profilati all’orizzonte alcuni compositori di grande personalità, e che – cosa fenomenologicamente influente – hanno saputo creare di sé stessi dei “personaggi”.

Mi è sempre rimasta impressa una lettera assai amara di Gian Francesco Malipiero, ossia di chi era stato, come si sa, uno dei pionieri della Rinascita nel periodo “storico” del primo Novecento. In quella lettera (che è del 1962), nella malinconica intuizione di un declino ancora da vivo, egli mi scriveva queste parole: «Non la tedierò parlandole di me. Sarà quello che Dio vuole. Mi fa orrore l’ipocrisia dell’età e mi fanno schifo gli organizzatori che da più di un anno giustificano la mia apparizione nei loro malnutriti programmi tirando in ballo la mia età. Mi voglia perdonare questo intermezzo, ma tengo a farle sapere che io non aspiro a farmi onorare».*

Ordunque, nel tormentato ventennio dei compositori della “generazione di congiuntura” visse, e partecipò attivamente ai loro problemi, lo scrittore Dino Buzzati. Curci S.r.l. - Milano.

Ma quanti e quali di questi possono sperare nella sopravvivenza della propria opera? Questo è il punto. Quando si è visto qual è stato, dopo la scomparsa terrena, il calo nelle programmazioni – se non la disattenzione – per autori quali Richard Strauss, Casella, Pizzetti, Ghedini, Honegger e altri!

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Cioè in tal caso il passaggio dal periodo dei geni della prima metà del secolo a quelli della seconda.

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Di Buzzati si può dire che è stato esplorato tutto o quasi come scrittore, come giornalista, come critico, come pittore, addirittura come alpinista.

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Ma Yves Panafieu, animatore di tale associazione, quando nel la prefazione del suo volume Dino Buzzati: un autoritratto dice «vi presento però un documento incompleto», ritengo che in tenda anche riferirsi al fatto che sinora ben poco è stato detto, escludendo le critiche giornalistiche dell’epoca, su Buzzati librettista, scenografo e costumista. In altri termini non è stato ancora focalizzato il suo importante contributo al teatro in musica, con i relativi rapporti con i musicisti del suo tempo e con le conse guenti vicende in cui fu coinvolto. by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti diritti sono riservati.

Difatti finì per calamitarne alcuni, di diversa caratteristica ed estrazione, nei vari campi dell’attività artistica: nel teatro d’ope ra, nel balletto, nel teatro di prosa, nel neocabaret, nella musica vocale-strumentale, alla radio, alla televisione, nel cinema.

Ed era inevitabile che un autore di tale importanza, nuovo e vario qual era nelle tematiche e nelle ideazioni, dovesse interessare ai compositori a lui contemporanei.

A Parigi c’è anche la Association des amis de Dino Buzzati che pubblica periodicamente un volume intitolato «Cahiers Dino Buzzati», Edizione Laffont, con studi critici e approfondimenti filologici di ogni genere. È indubbiamente uno degli autori più ricordati e glorificati dopo la morte.

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Parte I

BUZZATI E LA MUSICA

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Gli spunti musicali nella narrativa di Buzzati

Poi, alla festa di San Nicola, un solenne concertato: «Dopo un gran suonare di campane arrivano sulla piazza mercanti forestieri, suonatori con armoniche, flauti e chitarre. E intanto si cantavano nella chiesa i cori della messa solenne».

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Già nella sua opera di scrittore Buzzati spesso ha toccato temi, incisi, strumenti, personaggi appartenenti al mondo della musica. Cominciando dai suoi primi due lunghi racconti: Bàrnabo delle montagne e Il segreto del bosco vecchio (1933): «quando l’Ermeda faceva la grande caccia, si cantava». E sempre per l’Ermeda «si faceva suonare la banda». E durante le feste c’erano sempre «le fisarmoniche e i canti».

Ma il momento in cui la musica svela tutto il suo fascino è quando Matteo scopre di essere musicista. «La gente usciva dal paese e si riuniva al limite del bosco ad ascoltare per ore e ore, sotto il cielo limpido, la voce di Matteo che cantava. L’organista del Duomo era geloso e diceva ch’erano sciocchezze. Ma una notte lo scoprirono anche lui nascosto ai piedi di un tronco incantato da quella musica». Poi il mistero di Procolo: «Procolo, quand’era solo, continuò a sentire quella voce fonda che saliva da una lontananza infinita, si allargava con progressione, inghiottiva le melodie dei tenori, dei violini, delle intere orchestre, fino a riempire tutta la casa».

C’è anche un giudizio liricamente critico: «Non avevo mai sentito Matteo così ispirato. È inutile, per essere veri artisti Edizioni Curci S.r.l. - Milano.

E quando Bàrnabo, dopo la festa, sta per addormentarsi, ecco che «gli giunge l’eco di una canzone, un suono assai lontano che non sembra nemmeno vero».

Inoltre la malia dei suoni della natura: «il canto del gallo che immancabilmente sbagliava tempo», poi «il dolce canto dei gril li» che seduceva Procolo, e l’augurio di Evaristo: «che il canto degli usignoli rallegri gli anni futuri del vecchio albero» e la poe sia delle «antiche storie cantate dai venti tra i rami degli alberi».

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In città, gli orologi, uno dopo l’altro, con voci diverse, ades so suonavano le dieci, ai rintocchi tintinnavano lievemente i bicchieri nelle credenze, dalla cucina giungeva una eco di risata, dall’altra parte un canto di pianoforte. È la concezione di un contrappunto di suoni e rumori nella loro realtà concreta quale alcuni registi raffinati e musicali hanno tentato di realizzare, e tra gli esempi più riusciti ch’io ricordi ci fu quello di Tatiana Pavlova nell’edizione televisiva dei Dialoghi del le carmelitane di Bernanos, quello di Cayatte nel film Siamo tutti assassini e di Autant-Lara in Non uccidere.

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Altrove uno spunto grottesco: «Il ragno, bisogna dire, aveva in fatto di musica dei gusti tutti particolari, ma era ritenuto dai più un buon competente».

Quando poi Drogo, dalla sua cameretta, scrive alla madre, ripensa ai rumori di casa:

Ciò valga in primo luogo per «la vaga eco di tromba tra i monti» all’arrivo di Drogo alla Fortezza Bastiani, poi poco dopo per «il nitrito del cavallo sul grande silenzio» ma soprattutto per i rumori della prima notte: «un colpo di tosse lontano», «un ploc d’acqua vicino», «un secondo ploc, rumore da sotterranei, da ac quitrini, da case morte». E il giorno dopo «i trombettieri delle sette guardie suonarono i ritornelli d’uso... l’ultimo squillo restò a lungo nell’aria, ripetuto dalle lontane mura...».

E nel fantasticare del vecchio Colonnello, uno spunto eroico: «La banda soltanto mancava, eppure tutta l’aria era piena di mu sica, una canzone vittoriosa».

bisogna essere di malumore... Se non è musica autentica non salta fuori un bel niente, i trucchi non sono permessi».

Nel romanzo Il deserto dei Tartari (1940), il libro che gli dette la celebrità, si trovano parecchi accenni più che a sonorità vere e proprie, a effetti di “sonorizzazione” o di sottofondo sonoro.

19BUZZATI IN MUSICA

I librettisti contemporanei di Buzzati 64

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DI BUZZATI NELLA STORIA

PARTE L’AVVENTOII

I librettisti del primo Novecento italiano 52

I librettisti del nostro anteguerra 53

Prefazione di Angelo Foletto 3 Prefazione alla prima edizione 11 Preludio 13

PARTE BUZZATII E LA MUSICA

DEL LIBRETTO D’OPERA

I librettisti del tempo di guerra 57

I librettisti dopo la morte di Buzzati 70

I librettisti del dopoguerra (fino all’avvento di Buzzati) 58

Gli spunti musicali nella narrativa di Buzzati 18 La ricerca dei nomi propri in funzione espressiva 38 Alcune opinione di Buzzati sul mondo della musica 42 Il cronista di argomenti musicali 48

INDICE

diritti sono

Il teatro lirico di Buzzati come librettista, scenografo e costumista 73

APPENDICE

Ferrovia soprelevata (1955) 73 Procedura penale (1959) 92 Il mantello (1960) 103 Battono alla porta (1961) 118 Era proibito (1963) 136 La giacca dannata (1967) 150 La fontana (1971) 158 Paura della Scala (incompiuta) 162 Sola in casa (incompiuta) 165

Jeu de cartes (1959) 172 Fantasmi al Grand-Hotel (1960) 182

Teatro 202 Radio 210 Televisione 215 Cinema 218

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I libretti d’opera di Buzzati 242 Procedura penale 242 Era proibito 255 Racconti di Buzzati che ispirarono opere liriche 264 Il mantello 264 Eppure battono alla porta 270 La giacca stregata 284 Non aspettavano altro 290 Curci

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I MUSICISTI DI BUZZATI IN TEATRO, RADIO, TELEVISIONE E CINEMA

PARTE IV

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PARTE BUZZATIIII E IL BALLETTO

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