Correnti è una collana diretta da Carlo Boccadoro
Direzione e coordinamento editoriale: Laura Moro
Progetto grafico: Studio Temp Redazione: Jansan Favazzo
Impaginazione: Anna Cristofaro
Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. – Milano
Tutti i diritti sono riservati
EC 12351 / ISBN: 9788863954005 www.edizionicurci.it
Prima stampa in Italia nel 2023 da PressUp S.r.l. - Roma
Alma Rosé. Un nome, un volto, una storia che mi ossessionano da sempre e che sento ancora più vicini da quando ho chiuso, sopraffatta, il commovente testo di Dario Oliveri. Un saggio che si dispiega con sapienza e cura minuziosa ma con il ritmo di un’opera teatrale, ricostruendo per immagini, viaggiando incessante tra tempi e prospettive, facendoci amare e odiare i personaggi di una storia che da un lato fa parte di noi e dall’altro ci sembra rivelata per la prima volta, ascoltando mille voci, quelle dei testimoni, che ci guidano diventando un coro penetrante e profondamente evocativo.
Oltre quaranta membri della famiglia di mia madre, americana di origini ebraico-tedesche, non fecero mai ritorno dai campi di sterminio nazisti. Già da piccolissima, la consapevolezza di far parte delle vittime mi schiacciava: sapevo che se fossi nata 65 anni prima sarei stata uccisa insieme con tutti quelli che amo. Insieme con Alma e le altre voci che piangono tra le pagine di questo libro: #jesuisalma, urlerebbero rabbiosi i social oggi, in un goffo tentativo di raccogliere parole spezzate, concetti troppo traumatici, laceranti catarsi. Per Theodor W. Adorno non ci può essere poesia dopo i campi; Alma invece, al suo arrivo ad Auschwitz, chiede un violino, ultimo desiderio di una condannata. La musica la salva, almeno per qualche tempo, e le permette di strappare altre donne musiciste alle camere a gas.
Alma. Alma che osserva la vita degli altri mentre viene trascinata da un pullman verso un destino spaventoso. Alma la debuttante timorosa che suona il Concerto per violino di Ciajkovskij al Musikverein di Vienna gremito delle più eminenti personalità dell’epoca, tra cui
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PREFAZIONE
Richard Strauss. Alma innamorata, Alma gelosa, Alma dalle belle mani affusolate. Virtuosa, inquieta, privilegiata, a tratti viziata. Alma ragazza normale. Alma speciale. Alma il cui carisma strega addirittura i più ripugnanti mostri della Storia, che ne piangono, grottescamente, la morte. Alma che vuole vivere, Alma che vuole sopravvivere a tutti i costi. Alma che suona il Doppio Concerto di Bach con il padre. Alma sola, tradita.
Anche il violino ha un’anima , non forse in senso spirituale ma funzionale sì: è un listello cilindrico di abete di circa sei millimetri di diametro che collega il fondo alla tavola armonica, facendone “comunicare” le vibrazioni come un perno. Il punto di collocamento dell’anima è fondamentale per ottenere una migliore qualità sonora e per raggiungere il giusto equilibrio timbrico fra le corde, cioè fra i suoni acuti e quelli gravi. Alma, giovane violinista mia coetanea, studia per ore, giorni, anni, sforzandosi di entrare in sintonia con quella piccola anima di legno. Beethoven e Brahms, e poi le Zigeunerweisen (Zingaresca) di Sarasate, che l’accompagnano dai luminosi salotti viennesi alle ceneri umane di Auschwitz. Pezzetti di anime calpestate.
Nel 2014 ho avuto il privilegio di far parte, a Roma, dell’enorme evento intitolato I violini della speranza , dove ho suonato strumenti sopravvissuti ai loro proprietari, sterminati dai nazisti. Dove ho suonato la Zingaresca in ricordo di Alma. Forse la musica rimane uno dei mezzi più potenti per non impazzire, un rifugio che non può essere sradicato nemmeno con la violenza, per Oscar Wilde l’arte più vicina alle lacrime e alla memoria. Che poi la memoria, per chi è di discendenza ebraica, non è una scelta. È sofferenza tramandata e indelebile, coscienza di ciò di cui sono capaci gli esseri umani. La memoria fa parte della mia visione artistica e di quanto voglio esprimere, sempre. E c’è un odio profondo per chi ha distrutto corpi e anime, per chi ha cercato di distruggere anche la musica. Sì, perché, come ricorda Dario Oliveri attraverso un’illuminante raccolta di testimonianze, se la musica poteva donare alle vittime una parvenza di continuità con la
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vita precedente – e lo studio maniacale dell’orchestra di Auschwitz era questione di sopravvivenza ma anche un modo per aggrapparsi all’idea di umanità – per gli aguzzini era la celebrazione di un rituale malato quanto esaltante. I canti e le marcette facevano da macabro sfondo alla tortura e agli omicidi, agli stupri notturni di criminali ubriachi.
A Majdanek, a uno dei luoghi più orribili dell’Olocausto, fu dato il nome in codice Erntefest, festa del raccolto o della mietitura. Carnevale e carneficina. I prigionieri erano insomma a disposizione, animali da circo da premiare o punire alla bisogna, e la musica era un’altra forma di supplizio e di farsa. I boia circondano di fiori il corpo di Alma, prima di gettarlo su un carretto destinato ai crematori. A guerra finita molti tra i musicisti sopravvissuti chiudono per sempre i loro strumenti nelle custodie.
Francesca Dego settembre 2022
Francesca Dego (Lecco, 1989) è una violinista e scrittrice di origine ebraica. Ha iniziato i suoi studi con Daniele Gay e, dopo il diploma al Conservatorio di Milano, si è perfezionata con Salvatore Accardo presso l’Accademia Chigiana di Siena. Si esibisce con le più importanti orchestre internazionali e incide per le maggiori etichette discografiche. Forma un duo stabile con la pianista Francesca Leonardi. Vive a Londra e suona un prezioso violino Francesco Ruggieri del 1697.
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5 L’ORCHESTRA DI AUSCHWITZ
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Se il lettore volesse cercare nei dizionari musicali qualche notizia su Alma Rosé (1906-1944), violinista e direttrice dell’orchestra femminile di Auschwitz, resterebbe sorpreso dalla scarsa attenzione che le è riservata: poche righe sul New Grove Dictionary of Music and Musicians (London 2001) e sul prestigioso Die Musik in Geschichte und Gegenwart (Kassel 2005) e proprio nulla invece, neppure il nome e il cognome, sul Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti (Torino 1984), che d’altronde – occorre dire – è stato concepito e pubblicato in un’epoca in cui nessuno si occupava della musica nei campi nazisti. E tutto ciò a prescindere dalla fama della famiglia Rosé (la madre di Alma, Justine, era sorella di Gustav Mahler, mentre il padre, Arnold, veniva considerato uno dei più importanti violinisti del suo tempo) e dall’interesse suscitato in seguito dalle memorie di due ex componenti dell’orchestra di Auschwitz – Fania Fénelon, Anita Lasker – e dal successo di un controverso sceneggiato televisivo (Playing for Time, 1980) firmato da Arthur Miller. Nel 2000 il musicologo canadese Richard Newman, in collaborazione con Karen Kirtley e avvalendosi dei documenti in possesso di Alfred Rosé, fratello maggiore di Alma, ha pubblicato negli Stati Uniti (Pompton Plains, New Jersey) una pregevole biografia intitolata Alma Rosé. Vienna to Auschwitz , di cui esistono già le edizioni in tedesco (Berlino 2005) e in francese (Parigi 2018), ma non ancora quella in lingua italiana.
Ciò premesso, la mia intenzione è stata quella di tracciare il ritratto di un’epoca in drammatica transizione – dalla Vienna di Klimt all’abisso
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PREMESSA
di Auschwitz – ponendo in quel contesto il “romanzo” di Alma Rosé e della sua famiglia. Di tanto in tanto, però, la narrazione s’interrompe per lasciare spazio alle parole di alcuni testimoni (fra cui Anne Frank, Vasilij Grossman, Primo Levi, Elie Wiesel) e alle biografie di tre criminali nazisti (Josef Kramer, Maria Mandel, Josef Mengele): questi inserti sono intitolati rispettivamente occhio fotografico e ritratto criminale e costituiscono, in qualche modo, un omaggio al 42° parallelo (1930) di John Dos Passos. Le fonti dei testi citati sono riportate nella Bibliografia.
Dilatando i confini della scrittura saggistica e rinunciando a un linguaggio “per addetti ai lavori”, ho dunque cercato di realizzare sul piano narrativo un processo che fa pensare, citando Georges Simenon, allo sviluppo di una fotografia, quando un’immagine dapprima sfocata comincia a delinearsi e si trasforma poco per volta in una figura concreta. Da un intreccio di storie affiorano infatti il volto e il destino di Alma Rosé, debuttante e ragazza alla moda fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, violinista il cui talento matura – paradossalmente –mentre l’ombra del nazismo si dispiega sull’Europa e infine direttrice dell’orchestra femminile di Auschwitz. In quel piccolo mondo terribile, Alma diventò una specie di celebrità, alla quale persino il dottor Mengele si rivolgeva chiamandola «Frau Rosé» (signora Rosé): ed è in quelle tenebre, d’altronde, che si svolge l’atto finale del dramma, la morte misteriosa e senza un perché della protagonista.
Infine, come di consueto (ma al di là di ogni obbligo formale, e con grande affetto), alcuni ringraziamenti: a Carlo Boccadoro, a Francesca Dego, a Laura Moro, ai colleghi e amici Momme Brodersen e Valeria Cammarata.
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PROLOGO: CONCERTO PER DUE VIOLINI
Siamo diventati tutti come Prospero, capaci di evocare musicisti invisibili che cantano e suonano a nostro piacere. (Evan Eisenberg, L’angelo con il fonografo, 1987)
Alma suonava il Concerto per due violini di Johann Sebastian Bach fin da bambina e l’aveva eseguito con il padre, Arnold Rosé, anche la sera del suo debutto nella Sala Grande del Musikverein di Vienna, il 16 dicembre 1926. Da quel giorno era già passato un po’ di tempo, ma il 29 maggio 1929 l’emozione era forse anche maggiore, perché a ventitré anni Alma stava incidendo il suo primo disco. È difficile immaginare la scena, ma le fotografie dell’epoca ci aiutano almeno in parte, mostrandoci i grandi coni sospesi per aria che servivano a catturare il suono, i tecnici in camice bianco e i musicisti elegantissimi che si stringevano intorno al direttore.
Il Concerto per due violini, che sembra scritto su misura per Alma e suo padre, appartiene al periodo di Köthen (1717-23), lo stesso in cui Bach compose anche i Concerti brandeburghesi , il primo libro del Clavicembalo ben temperato e le Sonate e Partite per violino solo. Nella partitura l’autore prevede, oltre ai due solisti – che chiama “violino concertino” – anche l’apporto di altri due violini, di una viola, di un violoncello e del basso continuo, che s’intende realizzato dal clavicembalo 01. Nelle rare incisioni bachiane dei primi anni del Novecento il basso continuo è invece suonato dai contrabbassi, a volte insieme
01 Johann Sebastian Bach, Konzert für zwei Violinen, Streicher und Basso continuo d-moll BWV 1043, in Sämtliche Orchesterwerke. Urtext der Neuen Bach-Ausgabe. Band 1. Ouvertüren, Konzerte, a cura del Johann-Sebastian-Bach-Institut Göttingen e del Bach-Archiv Leipzig, Kassel, Bärenreiter, 1999, pp. 549-581.
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con il pianoforte 02, mentre gli altri strumenti sono raddoppiati fino a raggiungere l’organico di una piccola orchestra da camera. L’epoca delle esecuzioni filologiche era d’altronde assai lontana e la scelta dei tempi, il vibrato, le dinamiche, il fraseggio risultano assai diversi da quelli utilizzati ai nostri giorni.
Nel corso degli anni Venti, Arnold Rosé aveva eseguito varie volte il Doppio Concerto di Bach in coppia con Adolf Busch e con un ensemble formato da elementi dell’Orchestra filarmonica di Vienna, di cui era il primo violino fin dal 1881. È probabile che nella registrazione del 29 maggio gli strumentisti fossero gli stessi, ma diretti in questo caso da Alfred Rosé, fratello maggiore di Alma. Quest’ultima suonava la parte del secondo violino, al quale spetta però di cominciare i primi due movimenti: il “Vivace” d’apertura e il magnifico “Largo ma non tanto”, il cui tema struggente – che riecheggia nel “Larghetto” di Händel Ombra mai fu (Serse, Atto i) 03 – si dispiega su un ritmo di siciliana in 12/8. In tutto il Concerto, d’altronde, i due violini «agiscono su un piano di assoluta parità, scambiandosi trame melodiche e contrappuntistiche con indefettibile regolarità» 04 . Nell’incisione di Alma e Arnold Rosé il terzo tempo (“Allegro”) si caratterizza tuttavia per l’inserimento, dopo la battuta 133, di una lunga cadenza per due violini di Joseph Hellmesberger “padre” (1828-1893) 05 che potremmo
02 Ancora nel 1950, in occasione del 200° anniversario della morte di Bach, i Wiener Philharmoniker tennero a Salisburgo un concerto diretto da Wilhelm Furtwängler in cui il maestro diresse, fra l’altro, il Concerto brandeburghese n. 5 in re maggiore BWV 1050 realizzando il basso continuo al pianoforte e affrontando – in tempo lentissimo, ma con sorprendente disinvoltura – la cadenza del primo movimento. La registrazione è stata pubblicata nel 2000 da EMI Classics nella collana dedicata ai Salzburger Festspiele.
03 L’opera di Händel è stata rappresentata per la prima volta al King’s Theatre di Londra il 15 aprile 1738 (quando Bach aveva già assunto l’incarico di Kantor della Cattedrale di San Tommaso a Lipsia). I due brani sono nella stessa tonalità (fa maggiore) e contano quasi lo stesso numero di battute: 52 quelle del “Largo ma non tanto” di Bach e 50 quelle dell’aria di Händel, la cui melodia fu scritta originariamente in un registro paragonabile a quello di un violino, per il castrato Gaetano Majorano, detto “Caffarelli” o “Caffa riello”.
04 Alberto Basso, Frau Musika. La vita e le opere di J.S. Bach. Vol. i Le origini familiari, l’ambiente luterano, gli anni giovanili, Weimar e Köthen (1685-1723), Torino, edt, 1979, p. 594.
05 Cfr. Joseph Hellmesberger “padre”, Cadenz zu J.S. Bach’s Violin-Doppelkonzert, in Sechs Cadenzen, Universal Edition, W ien s.d.
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descrivere – pensando alle trascrizioni di Ferruccio Busoni – come una sintesi del virtuosismo bachiano in chiave ottocentesca: il pezzo allude infatti ai passaggi più intensi della “Ciaccona” in re minore e si conclude con la ripresa del “Largo ma non troppo”, il cui tema risuona dunque ancora volta poco prima del “tutti” finale (batt. 134-154).
La registrazione era destinata a un cofanetto di tre 78 giri pubblicato dalla filiale cecoslovacca della Voce del Padrone, che in quel periodo era la più importante casa discografica europea. Considerando che la facciata di un 78 giri durava più o meno quattro minuti, possiamo immaginare che sul primo disco fossero incisi il “Vivace” d’apertura (lato A) e la parte iniziale del “Largo non troppo” (lato B); sul secondo la sezione conclusiva del “Largo non troppo” (Lato A) e l’“Allegro” sino a battuta 133 (lato B); sul terzo la cadenza di Hellmesberger e il finale dell’“Allegro” (lato A). Infine, come “riempimento” dell’ultima facciata – e seguendo una prassi a quel tempo abbastanza diffusa – Arnold Rosé incise quello stesso giorno un altro brano di Bach, l’“Adagio” della Sonata n. 1 in sol minore BWV 1001 per violino solo 06 .
Nel giugno 1955, registrando le Goldberg-Variationen per un 33 giri della Columbia e volendo rispettare – a dispetto di ogni limitazione tecnica – l’architettura dell’opera (lato A: Aria + Variazioni 1-16 / lato B: Variazioni 17-20 + Aria), il giovane Glenn Gould fu costretto a suonare “contro il tempo”, eseguendo gran parte dei pezzi a velocità irragionevole. Nel loro approccio al Concerto per due violini, Arnold e Alma Rosé procedono in maniera diversa e soprattutto nel secondo movimento staccano un tempo decisamente cantabile, anche se non molto diverso, alla fine, da quello che si ascolta in gran parte delle
06 Oltre che dalla data delle registrazioni, tale ipotesi è confermata anche dal numero di catalogo del cofanetto (Czech HMV 663/65) e dai numeri di matrice delle sei facciate dei dischi: “Vivace” (M43), “Largo ma non tanto” pt. 1 (M44), “Largo ma non tanto” pt. 2 (M45), “Allegro” pt. 1 (M46), “Allegro” pt. 2 (M47), “Adagio” (M48). Le registrazioni del Concerto per due violini e dell’“Adagio” sono state ripubblicate per la prima volta nel 1992 dall’etichetta inglese Biddulph Recordings, in un doppio CD intitolato Arnold Rosé and the Rosé String Quartet, che include anche le registrazioni di una versione per quartetto d’archi dell’Aria sulla quarta corda di BachWilhelmj (dalla Suite BWV 1068) e di tre Quartetti di Beethoven (op. 18 n. 4, op. 74 e op. 131).
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incisioni moderne. Musicalmente, e pur con i limiti d’ascolto di una registrazione storica, l’effetto è straordinario e, anche considerando alcune sfumature che distinguono – com’è naturale – il grande violinista maturo da una ragazza senz’altro dotata ma ancora agli inizi della sua carriera, si ha la percezione di un affiatamento e una sintonia senza eguali (a meno di non pensare, per esempio, alle incisioni realizzate alla fine degli anni ’50 da David Ojstrach e Jehudi Menuhin).
La violista e violinista Anna Amadea Gombrich, detta “Dea” e futura lady Forsdyke, dubitava del talento di Alma, ma non poté fare a meno di ammettere: «She was a beautiful girl, a very nice girl». E in effetti una fotografia pubblicitaria del 1930 ci mostra una ragazza dall’aspetto quasi mediterraneo, con un accenno di sorriso sulle labbra, lo sguardo penetrante degli occhi scuri, i capelli corti, tagliati “alla maschietta” ma un po’ ondulati, le spalle scoperte. In un’altra immagine del 1931, questa volta in campo medio, Alma tiene fra le mani il suo violino e indossa un abito da sera scollato, di stoffa chiara e lucente. Nel bellissimo ritratto dell’Atelier Ingret, di cui non conosciamo purtroppo la data, è vestita in modo meno sfavillante e indossa
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Alma e Arnold Rosé
forse la collana di perle ricevuta dalla madre: il taglio di capelli è lo stesso che ha sfoggiato in altre occasioni, ma questa volta lo sguardo è malinconico e calmo, come quello – direbbe Vasilij Grossman – di una Madonna che intravede già il Golgota.
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Alma Rosé all’inizio degli anni Trenta © 2023 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.
Prefazione di Francesca Dego 3 Premessa 7
Prologo: Concerto per due violini 9 Auschwitz-Birkenau 1943-44 17
Romanzo di due famiglie 91 Alma Rosé 1926-1943 137
APPENDICE 191
Albero genealogico delle famiglie Mahler e Rosé 192 Planimetria della “Zona di interesse” del lager di Auschwitz 195 Planimetria di Auschwitz I (campo principale) 196 Planimetria di Auschwitz II-Birkenau 198
Bibliografia 200
Crediti fotografici 207 Indice dei nomi 208
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INDICE
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